Copertina
Autore Stefano Lanuzza
Titolo Bestia sapiens
SottotitoloAnimali, metamorfosi, viaggi e scritture
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2006, Fiabesca 85 , pag. 208, ill., cop.fle., dim. 120x167x15 mm , Isbn 978-88-7226-928-2
LettoreCorrado Leonardo, 2006
Classe storia sociale , antropologia , ecologia , animali domestici
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Indice


  7 Antefatto
 10 Uomini e altri animali
 21 Fisiognomica
 33 Linguaggio degli uccelli
 41 Tutte le bestie
 48 Gatti, cani, scimmie, insetti
 60 Bestiario d'amore
 67 Mostri
 78 La Bestia
 85 Zoo e arena
 98 Solitudine
105 Mistero
114 Ornitografie
124 Metamorfosi
133 Tentazioni
140 Sogni
149 Pan
155 Risvolti


173 APPENDICE
175 Poesia e animali
193 Bibliobestiario

 

 

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Pagina 7

Antefatto



Da giorni e senza sosta, furiosi nubifragi tempestano il villaggio medioevale di Les Saintes-Maries-de-la Mer in Camargue, nella Francia del sud. Inglobati in gigantesche bolle liquide, sono come navigli naufraghi il vicino parco ornitologico di Pont-de-Gau e lo stagno di Vaccarès abitato da fenicotteri rosa e aironi cinerini che, stremati dalla bufera, svolazzano qua e là alla disperata ricerca d'un riparo.


Analogamente, sotto la cupola d'un cielo brumoso saettato dai lampi, in mezzo al biblico Diluvio Universale che allaga la terraferma e stipati nell'Arca simile a uno zoo galleggiante sbattuto dai flutti e martoriato dalla pioggia, gli incolpevoli animali in balia delle acque si domandano perché la divina collera contro l'umanità debba coinvolgere anch'essi oltretutto estranei alla faccenda del Serpente, alla profanazione dell'Albero della conoscenza o alla cacciata dall'Eden d'una strana coppia vestita con foglie di fico e in evidente crisi coniugale.

Sbigottiti, in preda al panico, non riescono poi a capire per quale ragione Dio abbia voluto affidarli a Noè, rivelatosi un energumeno che li tratta brutalmente e, spesso e volentieri, non s'esime dal... mangiarli. Ma non lo sa che pure loro, esseri senzienti e di sicuro più sensibili di lui, hanno un consapevole linguaggio e un pensiero connesso alla capacità di comunicare emozioni, trasmettere insegnamenti ai propri cuccioli, provare piacere o dolore?

Altro che salvatore delle specie! Dando nefasto esempio ai posteri, lo zotico ingordo macella una parte delle bestie affidategli per cibarsene. Con particolare preferenza per i soggetti più rari; che, anche a causa sua, ora sono estinti: il bambiraptor, il bos primigenius e l'archaeopteryx, il pegaso alato dalla testa equina e l'ippogrifo, il basilisco e l'agnello vegetale detto borametz, il nunda simile al gatto e il chimiset somigliante a un piccolo orso, il pinguino-geirfugl e l'orycteropus scavatore, l'uccello dodo e l'uccello roc, l'hyrax e il potamogale ungulato, il pavone afropavo e il marsupiale zannuto thylacosmilus.


Θ indignato contro l'uomo carnivoro il vegetariano Plutarco di Cheronea, nato verso il 50 d. C., che scrive: "Mi chiedo con stupore in quale circostanza e con quale disposizione spirituale l'uomo toccò per la prima volta con la propria bocca il sangue, sfiorando con le labbra la carne d'un animale morto [...]. Come poterono gli occhi sopportare d'assistere all'uccisione degli animali sgozzati, scorticati e smembrati?" (De esu carnium, in Moralia).

Per Plutarco, non è vero che l'uso umano di consumare carne – di uccidere per mangiare, di vivere cibandosi di morti – abbia un'origine naturale. Altrimenti perché gli uomini sarebbero sprovvisti di zanne, rostro e artigli che sono prerogativa delle bestie carnivore?

La provvidenziale fine del Diluvio e lo spirito di Dio – che ora, tutto soddisfatto, aleggia sulla superficie delle acque – evitano ulteriori decimazioni delle specie animali, sventurati figli d'un dio minore, proprio quando Noè comincia a riflettere sul destino da riservare alle scimmie che pure così tanto lo richiamerebbero a se stesso.

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Pagina 10

Uomini e altri animali



Se l'uomo si considera un animale intelligente, gli animali, senza dubbio intelligenti, potrebbero dirsi uomini? A tale paradosso sillogistico l'antico saggio cinese si limita a rispondere che, se nell'uomo è presente tutto l'animale, nell'animale non c'è tutto l'uomo. La differenza fra questi parenti stretti? Più che altro, quantitativa.

"L'idea di 'uomo' è infantile" argomenta il filosofo Manlio Sgalambro. "Comunque, parlare di 'specie umana' mi è parso sempre sospetto di disattenzione [...]. La domanda di una volta: cosa differenzia l'uomo dall'animale, mi interessa assai meno, insomma, di quella che riguarda la differenza fra un uomo e l'altro" (Dell'indifferenza in materia di società, 1994).

Il patrimonio genetico delle scimmie antropomorfe, in particolare dello scimpanzé, è talmente simile a quello umano che solo un occhio esperto riuscirebbe a distinguerne al microscopio il divario cromosomico. Magari per tale somiglianza, le scimmie che come lo scimpanzé, l'orango, il gorilla o il gibbone possono camminare o correre in posizione eretta similmente all'uomo sono da questo preferite per la sperimentazione nei laboratori.

Georges Bataille, uno che, avverso ai preconcetti antropocentrici, considera trascurabile la diversità tra l'uomo e i non umani detti bestie, descrive così un laido esperimento suppliziale visto compiere su una femmina di gibbone seppellita viva: "Una volta legata e disposta allo stesso modo di un volatile, cioè con le gambe ripiegate contro il corpo, tre uomini la calano e la fissano con la testa in basso a un palo piantato nel mezzo della fossa. Così attaccata, la bocca orribilmente urlante ingoia terra e, al contrario, la forte sporgenza anale, dai colori di un rosa violento, contempla il cielo come un fiore (l'estremità del palo è stata introdotta fra il ventre e le zampe ripiegate)" (Il sacrificio del gibbone, in Opere complete, 1970).

Di cosa vogliono liberarsi gli uomini immolando in un immane olocausto ogni tipo d'animale? In Totem e tabù (1913), Freud – secondo cui l'uomo, per la sua struttura fisica e psichica "niente di più è, e niente di meglio, dell'animale" – collega l'offerta totemica, allorché l'orda umana primitiva uccide e divora il padre, a un tentativo di liberazione dal complesso edipico. Per similitudine può allora sospettarsi che le tavole imbandite, durante le ricorrenze della Pasqua o natalizie, con la carne delle bestie ammazzate adombrino l'ara sacrificale adibita alla soppressione della divina potestà. "Prendente e mangiate, questo è il mio corpo" indica Gesù agli apostoli. "Ecco il corpo di Cristo" soggiunge il prete, distribuendo l'ostia ai fedeli...


Una delle differenze tra primati antropoidi e animali umani è data dal fatto che, normalmente, le scimmie della foresta si nutrono di gemme, frutti e foglie; mentre l'uomo, l'originaria scimmia giunta dalla savana e dalle steppe dopo essere stata arboricola, suole mangiare anche gli altri animali.

Revocando l'antico divieto di nutrirsi con la carne, quel Dio la cui voce è nella Bibbia paragonata al ruggito del leone fa sapere agli uomini: "Ogni animale che si muove ed è in vita vi serva da cibo. Come fu per la verde vegetazione vi do proprio tutto questo [...]. Il timore e il terrore di voi siano su tutte le bestie della terra [...]. Esse sono nelle vostre mani" (Genesi).

Comincia col precetto biblico la perdita del rispetto per i viventi e, contro l'idea di un tutto globale, la rigida contrapposizione degli uomini verso le bestie: ricalcante un dualismo, sempre più inconciliabile, anche fra cultura e natura, bene e male, spirito e materia, passione e ragione, forte e debole, padrone e servo, concreto e astratto, valore e disvalore, cielo e inferno.

Ne deriva che la divisione della realtà e il permanente conflitto fra opposti appaia all'origine anche delle discriminazioni fra uomo e bestia o fra gli stessi uomini distinti in razze.

Simile scissione schizofrenica o effetto d'un 'io diviso' discende, oltre che dal retaggio ebraico-cristiano (si pensi alla trinità padre-figlio-spirito santo, unitaria e al contempo parcellizzata), dal pensiero platonico-aristotelico applicato a disgiungere l'anima dal corpo.


Non diversi dagli altri esseri per la precarietà della loro vita, sovrastanti coi loro ordinamenti produttivi ma sprovvisti di quell'acutezza istintuale delle bestie che non si sbaglierebbe ad assimilare all'intelletto, gli uomini mangiano in prevalenza le specie vegetariane o erbivore; e quasi mai le carnivore.

Le mangiano perché gli 'piacciono' e gli piacciono anche prima di mangiarle. Per lo più gli piacciono, in ogni senso, il tenero agnellino e il vitello, il capretto, l'anatra e la gallina, il tacchino e l'uccellino, il pesce, il coniglio e il maiale così simile all'uomo per la conformazione cardiovascolare.

"Ho allevato il mio porco come un figlio" dice il contadino, che decanta e già pregusta le delizie della carne morta: le salsicce, il prosciutto, lo zampone, il culatello e il lardo, la mortadella, il capicollo, la soppressata e il cotechino, i salami, la pancetta, la sugna e le frattaglie ricavabili dal maiale; di cui – sappiamo – 'non si butta via niente', nemmeno la composita testa con guance occhi orecchie grugno lingua e gengive: che una ricetta toscana raccomanda di degustare a fettine abbondantemente salate dopo lenta bollitura insieme a pezzi di sedano, rosmarino, pomodoro, cipolla, porro e basilico... Un'inesauribile cavia sacrificale, il grufolante suino, dell'immaginazione consumistico-alimentare degli abitatori della nostra superfagica Babilonia.

Agli umani piacciono anche il cane e il gatto, il pappagallo, il criceto e il canarino, la tartaruga e il porcellino d'India, il serpentello nella teca e i pesci rossi dell'acquario. Ma solitamente non li mangiano, lasciando che questi compagni d'affezione, amabili e comunque giudicati non appetibili, muoiano, in cattività, di morte naturale (o di casalinga tristizia).

Ma è sempre garantito che l'uomo faccia tante schizzinose distinzioni fra il 'cibo vivente' da divorare?

A Montreal, Canada, consumano una proteica pizza alle larve di scarafaggio guarnita di cavallette fritte e grilli aromatizzati all'acero. Mentre i topi, abbondantissimi allo stato libero – sparsi nelle campagne e nelle paludi, colonizzatori del sottosuolo delle città e divoratori dei cadaveri nei cimiteri –, sono anche allevati e mangiati soprattutto nei paesi detti in via di sviluppo.

Intanto in Norvegia, paese tra i più sviluppati d'Europa, sparano da sopra gli elicotteri alle balene e, trascinatele in secco con imbarcazioni a motore, ne utilizzano il grasso, le ossa e la carne. Gli Yanoama dell'alto Orinoco nell'Amazzonia venezuelana si nutrono con arrosti di bruchi, termiti, lucertole, formiche rosse, ragni-scimmia, tartarughe d'acqua, anaconde e uova d'anaconda. Sempre in Venezuela, gli indiani Piaroa sono ghiotti di uova di tarantola e della medesima tarantola cucinata alla griglia.

Buoni grigliati, in Messico, sembrerebbero il serpente, il cincillà e altri roditori (graditi anche gli spaghetti con ricotta e tenebrioni). In Colombia, mangiano le formiche giganti: tostate e coperte di cioccolato. Una specialità della Thailandia è il piatto di pomodori e cetriolini freschi con larve di falene fritte. In Guiana lessano l'iguana, nel Kyrgyzstan fanno zuppe con gli occhi di agnelli da latte e a Hong Kong vengono bollite in piccole scaglie le altrimenti indigeste pinne di pescecane: dopo avere mutilato vivo il pescecane appena preso all'amo.

Un alce, in Alaska, fornisce all'incirca due quintali di carne; e spesso gli abitanti di quelle fredde terre, per sfamare la famiglia, ne investono uno con l'automobile. Poi ci fanno lo sformato. In Turchia consumano la carne di cammello e, nella stagione degli accoppiamenti, quando i maschi sono particolarmente aggressivi, organizzano i combattimenti dei cammelli.

In Cina mangiano il cervello di scimmia e gli armadilli, i pipistrelli e i porcospini, i procioni e i cavallucci marini, gli zibetti e le tartarughe d'acqua dolce che, surgelate, vengono spedite, per servirle in brodo, nei ristoranti cinesi di tutto il mondo; nutrono amorevolmente gli orsi e dopo li mangiano; commerciano cistifellee d'orso e, per uso cosmetico-afrodisiaco, ossa, grasso e peni di tigre. Altre specialità cinesi sono i coleotteri con salsa di soia e ginger, le api e le cavallette in lattina, i topolini nel vino di riso, gli scorpioni caramellati e le lucertole macerate dentro sospetti cocktail alcolici. Ti spiegano, senza spiegare il perché, che la lucertola ha proprietà corroboranti, stimola i sensi e fa vivere più a lungo.

Insieme alle pinne di pescecane, nei ristoranti giapponesi servono carne cruda di balena oppure di delfino spacciato per balena. Sempre in Giappone, passano per leccornie le patatine all'anguilla, le cavallette in salsa di soia, le larve di ape, il pesce-palla affogato nel sakè, la solita balena, stavolta inscatolata, e molte varietà di pesce crudo (che però può provocare la tenia e i vermi intestinali).

Sulle bancarelle dei mercati indonesiani viene venduta a pezzi la carne della tigre di Sumatra e in Russia si cibano dell'antilope saiga, del cervo mosco e dell'orso bruno con la sua preziosa cistifellea (afrodisiaca – dicono) che al mercato nero, essiccata, è venduta a 3000 dollari l'etto.

Nel Camerun e al mercato di Kinshasa, capitale dello Zaire, espongono scimmie spellate da cuocere sulla brace. Nella Corea del Sud convertono in zuppa e arrosto circa due milioni di cani ogni anno. Quotidianamente, a centinaia e a migliaia, li ammucchiano nei macelli, li appendono interi e bene in vista nei negozi, o scuoiati squartati spezzettati. Proprio come si fa in occidente con vitelli maiali capretti.

Il corpo delle bestie uccise – relaziona Carlo Emilio Gadda, dopo una visita ai mattatoi – "viene agganciato posteriormente, dalle ginocchia mozze e scoperte, i due ganci fra tendine e osso; ed è sollevato mediante un verricello [...]. I trippai accorrono con speciali carrelli, piovuti come avvoltoi sulle ventraglie [...]. Una volta macellata la bestia, e scuoiatala, si procede al suo abbellimento. L'"abbellimento" è una sagace preparazione dell'animale perché figuri netto e generoso di carni, senza pendule bacche o frastagliamenti di tendini" (Una mattinata ai macelli, "Gazzetta del popolo", 25-28 ottobre 1934; e in Le meraviglie d'Italia, 1964).

Estimatori del cane commestibile sono eziandio i filippini. In Francia riscuotono gran successo gli hamburger di cavallo espressomacinati e in America vi sono il bufalo coi fagioli in scatola, lo stufato d'orso, il serpente a sonagli e l'alce in scatola. In Siberia il tricheco e in Canada la foca in scatola. Inscatolata finanche la renna, nella Norvegia subartica e in Lapponia. In Spagna la pernice. Il paté di coccodrillo in Sudafrica. In scatola, nel Botswana, i pingui lombrichi dell'albero Mopani. In Australia si commercializzano la salsiccia di cammello, il filetto e i prosciutti di canguro. In Cambogia le tarantole fritte, pure loro stimolatrici della virilità. In California gli scorpioni al cioccolato, i lecca-lecca con grillo nella glassa e i biscotti con le tarme della farina. In Amazzonia s'apprezza l'alligatore in umido, la cui carne avrebbe virtù antiartritiche e antitumorali.

E in Italia? Polli, tacchini e svariati volatili, suini, ovini e bovini sono in tutto – riporta un opuscolo dell'Unione Nazionale Consumatori intitolato Che cosa mangiano gli animali che mangiamo (2005) – "quasi 670 milioni, oltre 11 volte la popolazione italiana e devono mangiare tutti i giorni, purtroppo per essere mangiati".

Viviamo – viene da pensare – in una sterminata macelleria dove stiamo chiusi insieme agli animali, che divoriamo non perché, in generale, ne abbiamo veramente necessità ma, in fondo, per dominare su di loro. L'uomo prevarica sugli animali come sul proprio simile; e, quando non ci saranno più animali da divorare, l'uomo dominatore divorerà l'altro uomo dominato?

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Fisiognomica



Osservando le specie, viene facile verificare l'esistenza di corrispondenze morfologiche tra le conformazioni scheletriche di molti animali vertebrati e la struttura fisica dell'uomo. Ciò non vale per le differenti modifiche fisiologiche derivate dalle loro rispettive condizioni di vita, risultato di assestamenti millenari dovuti al clima, all'ambiente e all'alimentazione.

Questa determinata diversità è la ragione per la quale Hans Ruesch, nel libello Imperatrice nuda (1976), pone sotto accusa sia la vivisezione come metodo di ricerca scientifica sia gli esperimenti sugli animali, giudicati delittuosi e complessivamente vani. Ogni prova sugli animali – scrive Ruesch – "non solo rischia di portare a conclusioni errate, con tutti i pericoli che ne conseguono, ma ritarda e fuorvia la ricerca clinica". Cosicché accade che prodotti di laboratorio collaudati su ogni tipo di cavia si dimostrino dannosi per l'uomo: e viceversa, accertato che, rispetto a quelle umane, le reazioni delle bestie a molte medicine siano differenti o anche opposte.

Per fare qualche esempio, tra i farmaci sperimentati sugli animali e dannosi per l'uomo, si citino il paracetamol, un analgesico che negli anni Settanta manda all'ospedale migliaia di persone; l'orabilex, devastante per i reni umani; l'isoproterenol, uno spray mortale per gli asmatici; il metaqualone, psicofarmaco capace di provocare la pazzia e, talora, la morte; lo stilbestrolo cagione di tumori, il mel/29 all'origine della cataratta e il cloramfenicolo che avvelena il sangue; il talidomide, causa della nascita di molte migliaia di neonati focomelici e agente di nevrite inguaribile negli adulti; il celebrex e il vioxx, antidolorifici che favorirebbero l'infarto; fino al pubblicizzato viagra, che droga le prestazioni dei cavalli da corsa e – si scopre ora – può provocare la cecità negli uomini.

Inoltre è noto che certi estrogeni sintetici, innocui per il fegato umano, distruggano quello dei gatti; o che l'amanita falloide, letale per l'uomo, risulti innocua per il coniglio. La morfina, un anestetico, eccita all'estremo il gatto e il topo; l'alcool è un veleno per i maiali come il succo di limone lo è per conigli e gatti, la mandorla per la volpe o il prezzemolo per i pappagalli. L'aspirina, rinomata panacea, causa nascite deformi nei topi da sempre beniamini degli sperimentatori.

E che senso avrebbe il 'topo gigante', fatto nascere nel 1982 grazie all'inserimento nel suo patrimonio genetico dell'ormone della crescita? Seguono, nel 1985, il primo maiale geneticamente modificato, nel 1997 la pecora donata Dolly, nel 2002 il primo clone di gatto, nel 2003 del primo cavallo e del primo mulo; e, nel 2005, a Seul, del primo cane, un levriero afgano.

Si sta perdendo il conto dei molti mammiferi clonati (topi, conigli, pecore, maiali, tori e mucche) quando, nel maggio 2005, avviene una donazione di embrioni umani attuata da un gruppo di ricerca dell'Università inglese di Newcastle; preceduto dall'Università di Seul, nella Corea del Sud, che annuncia un trattamento di embrioni derivati dalle cellule di alcune donne.

In mancanza di risultati positivi per l'umanità, l'estrema prospettiva di tutto ciò è uno sconvolgimento della stessa essenza della vita: tristemente piegata ai progetti mercantili delle grandi organizzazioni multinazionali (una ditta del Wisconsin vende cloni di cani e gatti a 32 mila dollari l'uno). Organizzazioni finanziatrici di ricerche genetiche ancora gravate dagli esempi di un'eugenetica (imitata dal nazismo) che in America, dalla fine dell' '800 e sino agli anni Quaranta del secolo scorso, pianifica la sterilizzazione di centinaia di migliaia d'individui con difetti fisici. Lo stesso avviene nell'evoluta Svezia dagli anni Trenta e fino agli anni Settanta, a causa di leggi eugenetiche che portano alla sterilizzazione di molte decine di persone, in maggioranza donne 'difettose' e perciò rese inette alla riproduzione...


In simmetria coi discendenti d'Adamo, le bestie hanno un cranio col cervello e un volto. La fronte, gli occhi, le orecchie, il naso, la bocca, i denti, la lingua, i polmoni e il resto. Animali e uomini s'assomigliano nei loro diversificati processi d'adeguamento evolutivo; e ogni animale, uomo compreso, s'adatta a seconda d'una variata plasticità fisiologica e del sistema nervoso centrale, che gli fa assumere una precipua fisionomia, incluse le 'somiglianze' umanoanimali: il collo di cigno e il corpo di pantera, il muso di ciuco e il naso di capra, gli occhi bistrati della cerbiatta e i gracili arti della gazzella.

L'uomo evoca nel proprio corpo le bestie, e queste – scrive Nietzsche – vedrebbero "nell'uomo un essere loro uguale che ha perduto in maniera estremamente pericolosa il sano intelletto animale". In lui, ora identificano "l'animale delirante, l'animale che ride, l'animale che piange, l'animale infelice" (La gaia scienza, 1882).

Senza andare a farne la vivisezione, è agevole immaginarla volpe o gatta quella ragazza dallo stretto volto triangolare, gli occhi obliqui, il naso piccolo e schiacciato, gli zigomi sporgenti e il mento esiguo. E non è una deformazione della tua mente pervasa da 'animalomania' cogliere, nell'atteggiarsi dei tanti visi che incroci viaggiando in Provenza e sostando nel Chado café ad Aix, l'aspetto equino o canino, grifagno, lupesco, serpentino, porcino; riconoscere in essi l'indifferenza placida e massiccia del bue, la nittitante fissità della civetta, l'aristocratico aplomb del falco, la nobile distanza dell'aquila, il distacco minaccioso del coccodrillo, la supplichevole devozione del cane, l'ostinatezza del mulo, l'impazienza gagliarda del cavallo, l'attonita stupidità del pesce, la finta bontà orsina, la mitezza dell'agnello, l'apprensione del maiale, la tristezza del batrace, la magnetica fierezza leonina, la flemma infida del serpente, l'esitazione della cerva, la lussuria caprigna, la calma minacciosa del rinoceronte. O l'ironia della scimmia conscia del remoto inizio dell'uomo, rispecchiata in una tua perplessa espressione.

Il bestiario, catalogo del divenire animale dell'uomo incrociato col farsi umano della bestia, è una metafora secondo cui ogni bestia è all'origine un uomo e ogni uomo può mutare nella bestia – congettura Alberto Savinio raffrontando nella sua opera ogni allegoria zoologica, fisiognomica e metamorfica. La sua proliferante zoografia, derivata dall'idea che non debbano fissarsi confini o gerarchie fra le manifestazioni del mondo animato, traduce una ricerca dell'"anima segreta delle cose" (Ascolto il tuo cuore, città, 1943) tesa all'esercizio delle nostre facoltà conoscitive. In quanto è spingendosi al di là di quell'"umano troppo umano" criticato da Nietzsche che per l'uomo diviene possibile una conoscenza fuori di sé più ampia e penetrante, creatrice di nuova realtà.

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Pagina 36

Ogni tanto i colombi della piazza fanno brevi voli, si posano in punti precisi scrollandosi e stirando le ali; poi prendono a circolare in piccoli gruppi, si spingono tra i piedi dei passanti, s'accostano ai tavolini. Uno di essi, gozzuto e altero, salta sul tuo tavolo, ti guarda 'di profilo' coi suoi occhi di colore diverso, uno giallo e l'altro color antracite, viene a beccare dalle tue dita le briciole del croissant, poi la sua sagoma a barca – coda rialzata e petto spinto in avanti – fa un mezzo giro su se stessa e, involandosi, va a posarsi sulla testa della donna che ti rivolge un cenno ieratico: una specie d'armonioso volteggio con la mano a mo' d'ala.

Non possiede ali, la signora bionda da cui emana un'aria di placata follia; ma certo, palesemente identificatasi coi colombi, crede d'averle. Del resto – scrive Gaston Bachelard –, "non si vola perché si hanno le ali, si crede di avere delle ali dopo aver volato" (L'aria e i sogni, 1942): provando, nel volo che implica una ricerca di conoscenza fuori di sé, a essere altro da ciò che, pesantemente, siamo.

Per Bachelard, l'ala, che è 'raggio' e freccia o saetta ('strala' in tedesco antico), è metafora dell'aspirazione del soggetto alla leggerezza: un soggetto che, nel 'batter d'ali', sciolto d'ogni peso, si disincarna assimilandosi al simbolo ascensionale.

Storia di un'assimilazione ornitologica coniugata con le metamorfosi e le simulazioni della schizofrenia è Birdy (1978), alla sua uscita celebrato capolavoro d'uno scrittore americano che si firma con lo pseudonimo di William Wharton.

Un'ossessiva attrazione per il volo, col conseguente amore per tutti i volatili, distingue il protagonista del romanzo, un ragazzo della periferia di Filadelfia nella prima metà del '900. La sua passione sono dapprima i colombi e, in seguito, i canarini d'ogni razza (presenti nelle case dell'uomo da varie centinaia d'anni), che comincia ad allevare facendoli riprodurre e ascoltando le loro canzoni.

Cercando d'apprenderne il linguaggio, finché riesce a capirli e a comunicare con loro, s'avvede che solo il canarino maschio canta; mentre la mutangola femmina è da allevare per la cova. Ma infine a lui, dei canarini, poco interessa tutto ciò che non sia il volo. Così gli dispiace saperli in grado di sopravvivere solo in gabbia e, per questo, che finiscano per somigliare agli umani condannatisi a condurre un'innaturale vita da coatti.

Tutti lo chiamano Birdy, 'uccellino'; e lui stesso si sente tale, sognando di volare verso la libertà: lontano dalla famiglia, dalla scuola, dalla metropoli, dal mondo che lo imprigiona e minaccia di farlo impazzire. Come potrebbe farlo impazzire il pensiero che esistano al mondo almeno "cento miliardi di uccelli" di cui nessuno sembra accorgersi.

"Volevo essere come un uccello e volare: volare sul serio". Per questo aspirerebbe a rinascere da un uovo, stare nel nido e imbeccato da una solerte canarina, sentirsi crescere le ali. Sì, desidera essere come gli uccelli che, diversamente dalle persone, non mentono, non piangono e, pur conoscendo la morte, non vi fanno caso.

Frattanto, cosa pensano i suoi canarini reclusi? Più o meno – reputa Birdy – hanno gli stessi pensieri degli uomini mestamente accomodati nelle loro abitazioni, negli uffici, nelle fabbriche, in quelle gabbie che sono le città.

Poiché desidera essere uccello, superare la "tomba della gravità", librarsi nello spazio ("niente vale quanto esser solo in aria, vivo"), si fa un costume da piccione cucendosi delle penne sulla calzamaglia indossata, mette guanti rivestiti di piume e, sopra le scarpe, calzettoni giallorossicci dello stesso colore delle zampe dei volatili.

Alfine, rinchiuso in manicomio, l'ornitomorfo Birdy che avrebbe voluto volare nel vento e cavalcare la luce sogna, sconfitto, di dormire in una voliera, appollaiato sopra un trespolo. Θ davvero pazzo? "Forse i pazzi sono quelli che vedono chiaro le cose, ma si inventano un modo tutto loro per viverle" considera Wharton.

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Pagina 60

Bestiario d'amore



In un vicolo della città di Marsiglia affacciato sul mare, un cane in amore caracolla intorno alla sua femmina, ritualmente l'annusa, la corteggia e accenna a montarla; ma, poiché lei si nega, capisce che non è il caso d'insistere. Così, rassegnato, scodinzolando e scuotendo la testa, le si mette accanto e, mogiamente, prende a passeggiare con lei.

Non è cosa facile, l'amore: nemmeno tra le bestie — constata Umberto Saba nella poesia La canarina azzurra, ingenui versi d'un poeta ornitofilo rattristato perché il suo canarino rifiuta la compagnia della femmina introdottagli nella gabbia: "Eros ha le sue leggi; è un dio difficile/ non solo – sembra — agli umani. L'uccella,/ immessa appena nella gabbia, subito/ saltò da te per un bacetto. (Come/ ti conoscesse da sempre). E tu come/ piccolo drago inferocito, subito/ (forse geloso di lei) la scacciavi" (in Canzoniere, 1921-66). Ma, nel caso, il poeta dimentica che il canarino maschio in cattività accetta nel proprio 'territorio' la femmina solo durante la stagione riproduttiva.

Gli animali non hanno la parola e, per questo, sono privi della possibilità di rappresentarsi agli uomini. Ma c'è un tempo in cui — narrano le vecchie favole e gli Esopo, Fedro, La Fontaine, Lewis Carroll o Collodi — essi sono sapienti e parlano. Oppure, come nel medioevale Bestiario d'amore di Richard de Fournival, per qualità letteraria il più notevole della tradizione bestiaria, fungono da misura del carattere umano.

Con Fournival, poeta astrologo alchimista, il bestiario cessa d'essere un repertorio teologico-morale o un mero catalogo di parabole; divenendo non occasione galante o esercizio d'"amor cortese", ma tema critico esente da svenevolezze.

Scontento perché una donna respinge il suo amore e pentito d'avere avuto la debolezza di rivelare la propria passione, il poeta si rappresenta come il grillo e il cigno che, troppo intenti a levare il loro canto per attirare la femmina, dimentichi di sé muoiono d'inedia. Come in una delirante giaculatoria, paragona l'amore al leone che, non guardato, va per la propria strada; ma attacca e uccide chi lo fissa negli occhi. Intanto, troppo depresso, si descrive come il leoncino esanime che solo il ruggito di suo padre il leone potrebbe rianimare.

Persistendo a rammaricarsi per essersi imprudentemente dichiarato alla donna, adesso vorrebbe rinnegare ciò che ha detto. Ma si comporterebbe come il cane che, quando sta male, ingoia il proprio stesso vomito. "Io mi sarei rimangiato cento volte la mia preghiera dopo che m'uscì di bocca". Prova tuttavia a insistere, paragona la donna a una sirena maliosa e penosamente, nel suo 'amare odiando', s'ingegna di blandirla.

Ma lei che, come una sirena, lo ha prima stregato, adesso lo fa languire. Niente smuove la dama, che non si fida e sta pervicacemente in guardia, simile alla gru allorché sente un pericolo vicino. Quanto all'amore – spiega lei, malfidata –, esso somiglia al gatto che, morbido e tenero all'apparenza, all'improvviso, per un nonnulla, sfodera le unghie; al falco che piomba rapido sulla preda e non le dà scampo; alla volpe che, per impietosire, si finge morta; all'avvoltoio che crede di sentire odor di carogna.


Declinato nel bestiario, l'amore diviene luogo d'incessanti metamorfosi, specchio della grama condizione umana e messaggero di enigmi e segreti, d'imprevisti e fantasticherie; ma sempre interprete d'una vita che ha il proprio fulcro nella sessualità.

Così come nessun viso umano è identico a un altro, anche gli animali sono differenti tra loro; e sempre ricchi di sorprese, con una vita sessuale diversificata e straordinaria. Guarda le scimmie bonobo, i pan paniscus congolesi, che sostituiscono il sesso all'aggressione e s'accoppiano continuamente: in media ogni novanta minuti, anche nella posizione, faccia a faccia, del 'missionario'. I pipistrelli si congiungono appesi a testa in giù e le libellule in volo; le anguille si riproducono nei fondali marini del Triangolo delle Bermude; il leone, in un arco d'otto giorni, s'unisce alla leonessa più di 350 volte e il gallo della salvia fa cento turni in una notte; lo zibellino protrae l'amplesso per dieci ore; il ratto copula 400 volte in dieci ore. Per non dire della mantide femmina che, dopo un coito di circa tre ore, si risolve a decapitare il maschio e divorarlo...

Passando dalla rigida monogamia alla più disinvolta promiscuità, sciolti da ideologie, religioni, bigottismi, complessi o problemi, al contrario degli uomini inadeguati all'amore libero, nemici dell'ambiente e sempre più impegnati a consumare, distruggere e distruggersi con le guerre, gli animali rispettano la primaria logica del natura tesa alla conservazione delle specie.

Una messaggera d'amore in forma d'animale antropomorfico è la sirena incontrata dal personaggio del racconto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa Lighea (in Opere, 1958), storia d'una sorta di possessione echeggiante certi risvolti onirici dell'omonima Ligeia (1838) di Poe.

C'è tutta la siciliana e un po' maniacale malinconia ("C'è un che di pazzo in tutti i siciliani" scrive Wharton in Birdy, cit.) nella rievocazione della vicenda amorosa fra una sirena e l'ancor giovane Rosario La Ciura, divenuto in seguito grecista illustre e senatore della Repubblica. Solo il ricordo del meraviglioso incontro col mito vivente, la sirena, la fuggitiva seduttrice, incantatrice e smemoratrice della sua giovinezza appassionata mitiga il torpido sentimento di vuoto che nell'età matura lo pervade, colmato con un'ironia dapprima tenera e subito dopo sprezzante, da vecchio sileno scontroso.

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Zoo e arena



Non c'è gran differenza fra il carcere o il manicomio riservati agli uomini e i reclusori per le bestie.

Stai passeggiando nello zoo newyorkese del Bronx sito tra l'East River e lo Hudson. Quale assurdo che la città considerata la più libera del mondo elegga nel proprio perimetro una così spropositata prigione per animali... Non andare a New York se temi le contraddizioni che gli americani associano alla pratica della libertà. Se ancora credi che la libertà sia un assoluto, non stare a New York dove, dopo lo shock prodotto dalla distruzione, l'11 settembre 2001, del World Trade Center, tutto è diventato relativo. Dove, se critichi la stupidità distruttiva d'una politica al servizio dei signori della guerra, puoi essere accusato d'essere un disfattista nemico dell'America, addirittura un disloyal complice del terrorismo islamico... E cominciando dalla New York delle 146 etnie multilingui – capitale mondiale della finanza, delle comunicazioni, dell'arte, dell'editoria, dello spettacolo, della moda – che l' american dream, il 'sogno americano' di giustizia e democrazia, viene ridotto a illusione e amaro disinganno.

Prima, a Manhattan, passi dalla Fifth Avenue, angolo della 74a Strada, fermandoti a osservare un falco e la sua compagna che nidificano sul cornicione d'un palazzo di dodici piani al numero 927, vicino al Central Park. I newyorkesi li chiamano "Pale Male", maschio pallido, e "Lola". Al silenzio dei boschi, delle pianure, delle rupi sembrano preferire il chiasso, l'inquinamento e la confusione della megalopoli. Ma cosa li spinge ad abitare nello zoo umano della martoriata Man-a-hat-ta (una volta chiamata così dagli indiani della tribù degli Alconquin, quest'isola sull'Hudson, l'East River e l'Upper Bay) che, nei suoi angoli, negli androni fatiscenti, nei parchi e nelle sentine nasconde migliaia di homeless o senzatetto, confratelli dei settanta milioni di topi – si rileva – abitatori di New York?

Ora furiosi, ora catatonici o solo mesti, ora eccitati e vivaci (ma non le diresti proprio vivaci le taccole che saltellano nella voliera lanciando strilli furibondi), gli animali dello zoo del Bronx non appaiono diversi da persone costrette alla cattività nei ristretti ambienti del carcere o del manicomio.

Alcuni camminano su e giù nelle loro gabbie, altri cercano di nascondersi o assumono atteggiamenti minacciosi, altri ancora sonnecchiano in un angolo. Un orso dondola incessantemente la grossa testa, un canguro si tormenta il marsupio con le piccole mani unghiate, uccelli multicolori svolazzano negli aviari, le bertucce giocano come bambini, lo scimpanzé un po' scaglia le proprie feci contro gli spettatori e un po', dopo averle appallottolate, si rifugia in un angolo e... se le mangia.

Scrive il filosofo Ιmile M. Cioran in visita allo zoo: "Tutte queste bestie hanno un contegno decente, all'infuori delle scimmie. Si sente che l'uomo non è lontano" (Squartamento, 1979)...

Ma che avranno da guardare, i miei cugini umani?! – pensa la scimmia osservando intorno torvamente, triste caricatura di ciò che sarebbe stata se l'avessero lasciata libera nella sua giungla. Ma ora perché l' 'uomo bianco' s'avvicina alle sbarre e, appena uno scimpanzé sporge il braccio elemosinando del cibo, gli spegne sopra la sigaretta?

L'elefante – dicono stitico da settimane – si frusta i fianchi con la proboscide intanto che l'inserviente gli pratica un clistere con un lungo tubo di gomma... Nel romanzo postumo Il giardino dell'Eden (1986), Ernest Hemingway descrive un inseguimento all'elefante durante il quale il giovane David, al seguito del padre per una battuta di caccia in Africa, prende coscienza di quanta infamia possa esserci nel braccare un maestoso animale ricco d'intelligenza e ucciderlo al solo scopo d'asportargli le zanne: "L'elefante girò il capo con le grandi zanne che si mossero pesanti e lente e li guardò e quando l'uomo esplose il secondo colpo l'elefante sembrò ondeggiare come un albero abbattuto e piombò con uno schianto [...]. Non si muoveva ma il suo occhio era vivo e scrutava David. Aveva lunghissime ciglia e il suo occhio era la cosa più viva che David avesse mai visto".

Talvolta, cacciatori-contrabbandieri tendono agguati ai branchi di elefanti e sparano agli esemplari dalle zanne più lunghe. Barrendo dal dolore, i bestioni feriti fuggono nella boscaglia con al seguito il branco terrorizzato. Quando il pachiderma colpito crolla esausto a terra e ancora un po' si dibatte, i compagni tentano di sollevarlo spingendolo con le proboscidi. Ma, appena quello smette di muoversi e giace morto, accade un fatto impressionante, stupefacente solo per chi ritenga gli animali cose prive di ragione: i suoi compagni gli strappano letteralmente le zanne e, con palese rabbia, le frantumano a zampate. Coscienti d'essere cacciati per le loro zanne, vogliono far dispetto ai loro assassini...

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