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| << | < | > | >> |Indice5 Il lavoro rappresentato 25 Botteghe artigiane e industria nascente 59 Visibilità delle grandi fabbriche 79 Gli operai tra le due guerre 127 Il secondo dopoguerra 155 Dall'«autunno caldo» agli anni Novanta 188 Foto simbolo 190 Letture consigliate 191 Referenze fotografiche |
| << | < | > | >> |Pagina 5IL LAVORO RAPPRESENTATOLe immagini fotografiche del lavoro riflettono l'evoluzione dei mezzi di produzione, dell'organizzazione del ciclo produttivo, dei luoghi dell'attivítà artigiana e industriale, delle condizioni della manodopera, solo in modo discontinuo e disorganico e solo attraverso l'interpretazione unilaterale data dai fotografi su richiesta dei committenti (industriali, organizzazioni sindacali e politiche, gli stessi lavoratori). Questo perché in primo luogo discontinuo e disorganica è stata la loro produzione. La difficoltà nel ricostruire il passaggio dalla fotografia della bottega artigiana alla fotografia di fabbrica viene anche dalla scarsa attenzione prestata sino a tempi recenti dalla ricerca storica a questo tipo di documenti, cosa che non ha favorito una sistematica raccolta di informazioni sull'attività dei fotografi, né la conservazione in archivi della grande quantità di lastre e di stampe prodotte. Tuttavia, quanto resta negli archivi industriali e sindacali che sono stati riordinati di recente ci permette di seguire l'evoluzione del lavoro avendo come filo conduttore il modificarsi nel tempo della tipologia della presentazione e dell'autorappresentazione, cioè il modificarsi della concezione di sé del fotografo, degli industriali e dei lavoratori. | << | < | > | >> |Pagina 7Autoritratto di gruppo nelle botteghe artigiane[...] La soggettività vi domina senza che un'etichetta convenzionale la costringa entro binari prestabiliti, e si articola in forme di autorappresentazione che consentono ai singoli di cercare gesti e pose che mettano in evidenza la propria ídentità. Per emergere dal gruppo si dà la scalata a ogni punto elevato: cornicioni, pali, elevatori, tetti, davanzali di finestre, cataste di legna, sono gli appigli ricercati per attirare l'attenzione, richiamata anche attraverso l'esposizione di martelli, seghe, ruote dentate e semilavorati di ogni tipo, sino al quasi immancabile cane mascotte. Queste forme di protagonismo non stanno tuttavia a indicare l'intenzione di isolarsi per differenziarsi dal gruppo, ma al contrario sono un segno di appartenenza a una comunità di lavoro le cui relazioni, per quanto gerarchiche, non sono di alienazione, ma di partecipazione attiva, collaborazione, anche intimità e familiarità. Il luogo del lavoro artigiano presenta una continuità tra interno ed esterno, ed essendo contiguo alle abitazioni ingloba spesso nella fotografia altri soggetti che gravitano attorno alla bottega: anziani e bambini, ma anche passanti occasionali o animali domestici e da fatica. | << | < | > | >> |Pagina 9Il lavoratore nella fabbricaSe raggruppassimo le immagini delle botteghe artigiane e quelle delle fabbriche, noteremmo come le prime siano generalmente di esterni mentre le seconde quasi tutte di interni. Si noterebbe inoltre come alla molteplice gamma di lavori artigianali corrisponda una tipologia di rappresentazione piuttosto uniforme; mentre d'altro lato nella grande industria, malgrado si riduca la gamma di interventi legati alla discrezionalítà individuale dei singoli lavoratori, si riscontra una varietà maggiore delle modalità di ripresa. | << | < | > | >> |Pagina 10L'ordine che governa questo ambiente non scaturisce piú, come nella bottega artigiana, da un'autodisciplina frutto di socializzazione, ma da un sistema di fabbrica regolato dalla macchina e dai capi (anche quando è condiviso, negli aspetti operativi, da lavoratori orgogliosi delle proprie abilità di mestiere). Le funzioni di controllo sono evidenti sin dalle prime fabbriche tessili, ove le «maestre» sorvegliano implacabilmente le donne al lavoro sotto lo sguardo vigile delle icone religiose, ma sono meno sottolineate in quelle meccaniche dove anche i capi hanno compiti manuali e solo piú tardi faranno la loro comparsa i sorveglianti.| << | < | > | >> |Pagina 11Gli esordi della grande industria[...] Le fotografie mostrano l'evolversi delle macchine utensili, le acquisizioni di tecnologia dall'estero, la scomparsa dalle officine delle cinghie di trasmissione, la sostituzione di macchine universali con quelle specializzate. Nel lungo periodo si può capire anche come per i primi decenni del secolo permanga un sostanziale immobilismo nell'ambiente produttivo e come mutino radicalmente le condizioni di lavoro soltanto dopo il 1950 con le nuove tecnologie (le macchine a controllo numerico, l'informatizzazione). Per valutare però il significato della differenziazione tecnologica tra le singole aziende, visibile anche nelle fotografie, si deve ricorrere sempre a informazioni ricavate da altre fonti documentarie. Questi problemi relativi all'utilizzo delle fonti fotografiche non derivano dalla quantità di immagini di fabbrica né dall'attuale stato degli archivi, ma sono intrinseci allo stesso mezzo di rappresentazione. | << | < | > | >> |Pagina 16Seconda guerra mondiale e ricostruzione[...] L'aspetto piú interessante delle immagini del lavoro del dopoguerra riguarda l'autorappresentazione degli operai, che appare nettamente cambiata: essi si presentano ora padroni della situazione, liberi di muoversi e di atteggiarsi a proprio piacere davanti all'obiettivo, sia nelle immagini dei reparti sia in quelle delle riunioni sindacali nei cortili, esprimono un senso di raggiunta parità e democrazia nei rapporti (le gerarchie, quando vi sono, risultano frutto di una delega dal basso), e mostrano forme di nuova socialità anche nel rapporto tra i sessi. I volti sono di persone fiduciose, impegnate nella costruzione del proprio futuro di pace, sia pure in condizioni materiali molto difficili. | << | < | > | >> |Pagina 18«Miracolo economico» e nuova autorappresentazione operaiaDa queste premesse derivano le immagini degli scioperi dei primi anni Sessanta riportate dai quotidiani. Si tratta di lotte non piú solo in difesa del posto ma per migliori condizioni di lavoro, e vi appaiono numerosi giovani e donne in prima fila. Sono molto cambiate in particolare le donne: la terminologia usata negli slogan, l'abbigliamento (con l'uso di pantaloni), la disinvoltura delle pose mostrano il superamento della riservatezza loro richiesta nel comportamento in pubblico. D'ora in avanti le fotografie assumono sempre piú una funzione di denuncia delle condizioni sociali connesse indirettamente alla sfera della produzione: sono le immagini che mostrano il «lavoro nero» di intere famiglie negli appartamenti e negli scantinati, o l'occupazione delle case. Il periodo che si apre con l'«autunno caldo» del 1969 rende possibile agli operai l'aperta manifestazione delle proprie idee e delle proprie rivendicazioni, con una maggiore aggressività e immediatezza nelle scritte sui muri e nell'organizzazione delle forme di lotta. Gli operai delle grandi aziende del nord assumono un ruolo di guida del movimento, appropriandosi anche della fotografia come mezzo per materializzare il concetto di centralità operaia, che dominerà le lotte degli anni Settanta. Questo messaggio passa attraverso l'organizzazione di cortei fantasiosi e autoironici, e viene comunicato esercitando anche un controllo sugli operatori fotografici dei quotidiani e delle tv, che vengono autorizzati o respinti nei cortei e nelle assemblee. Trova qui spazio la nuova figura del fotografo militante, che partecipa attivamente al movimento. Dalle immagini traspare soprattutto la gioia della liberazione dal ricatto dell'occupazione e dal dominio dei capi, dell'unità della lotta per obiettivi comuni e anche la soddisfazione del non dover essere, anche se per un solo giorno, dentro le officine a lavorare. Le scritte esprimono in modo esauriente la protesta e le richieste dell'operaio-massa ridotto a manovale dell'automa-macchina: «Basta con il lavoro», «Lavoro di merda», o tutt'al piú «Lavorare meno lavorare tutti».
Questa presa di possesso della propria immagine, di una
forte autorappresentazione, si manifesta fuori della
fabbrica, benché sia frutto di una coscienza e di
un'organizzazione che si sono formate all'interno e di
un «potere» che scaturisce dal perfetto controllo collettivo
del ciclo produttivo. Dentro la fabbrica si hanno i momenti
piú duri dello scontro con l'apparato di controllo (capi e
impiegati) costretto a subire un «comando» che viene dal
basso e che si esercita umiliando le categorie intermedie,
ma che contiene anche il progetto di una diversa
organizzazione del lavoro, espresso dagli slogan piú
simbolici come da quelli piú operativi. «Cosa vogliamo,
tutto», «Controllo dei ritmi», «La salute non si vende»,
«Aumenti uguali per tutti».
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