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| << | < | > | >> |Indice5 Introduzione 11 Daodejing 13 Parte prima. Il Tao 89 Parte seconda. La Virtù 179 Note 181 Parte prima 188 Parte seconda |
| << | < | > | >> |Pagina 5Il Daodejing (pron. Taotegin) è un classico cinese che la tradizione situa nella prima metà del VI secolo a. C. È un'opera concisa, epigrafica, paradossale, a volte oscura, priva di interpunzioni. Caratteri e simboli sono pieni di significati e di suggestioni. Un ideogramma racchiude spesso un intero concetto, se non piú concetti. L'evolversi della lingua ha sovente mutato il significato originale, di qui la difficoltà di traduzione letterale. Tao (Dao) viene tradotto con Via, Norma, Ragione, Logos. Ma Laozi (pron. Laoz) afferma che il Tao è inesprimibile, che non ha né forma né suono, perciò ho rinunciato a tradurlo. Te (De) è la Virtù, la forza spirituale del Tao; jin significa libro. Daodejing è quindi il "Libro del Tao e della (sua) Virtù". Non si conosce l'anno di nascita dell'autore e molti sinologi ne mettono in dubbio persino l'esistenza storica. Lo storico Sima Qian (pron. Simacian, 145-90 a.C.) nel suo Shiji (Memorie di uno storico) scrive che Laozi (un soprannome che vuol dire "Vecchio Maestro') si chiamava in realtà Li Er, era vissuto all'epoca di Confucio (551-479 a. C.) del quale era piú anziano di trent'anni ed era stato archivista e bibliotecario dello stato di Zhou a Loyang (nell'attuale provincia di Honan). Amareggiato dalla corruzione della corte, rinunciò alla carica e parti verso occidente. Accogliendo la richiesta del guardiano della frontiera, scrisse un'opera in versi, con circa 5.000 caratteri, poi sparì verso occidente e di lui non si senti piú parlare. Il testo ci è pervenuto diviso in due parti di trentasette e quarantaquattro capitoli, ottantuno in tutto (81 è un numero magico). Molto probabilmente questa divisione è stata fatta artificiosamente durante la dinastia Han (206 a.C.-221 d.C). Anche il titolo è stato dato a posteriori, prendendo i primi caratteri dei due capitoli. Il Daodejing ci è pervenuto, nonostante la revisione filologica operata durante la dinastia Manciú (1644-1911), pieno di impurità, glosse e aggiunte posteriori, tanto che molti sinologi lo datano al III sec. a.C.
Ma l'oro, come dice Laozi, si nasconde tra la polvere.
Il sistema filosofico del Daodejing comprende una metafisica, che ravvisa nel Tao la causa prima e il supremo bene dell'universo, una morale, che indica all'uomo la via per raggiungere il proprio fine e una politica, che suggerisce al governo il metodo per dare al popolo la pace e il benessere. I concetti principali sono il Tao, la (sua) Virtú o forza spirituale, lo yang e lo yin, forze contrapposte della natura (vedi Yijng, Libro dei Mutamenti) e il wu-wei, il non-agire. Il Tao di Laozi (diversa è la concezione del Tao di Confucio) è la causa prima incomprensibile, il creatore, l'alimentatore e il conservatore dell'universo; può essere chiamato il nulla e, insieme, madre di ogni cosa. L'uomo e il mondo formano una unità indissolubile e si influenzano vicendevolmente. L'armonia si ha quando tutto si sviluppa spontaneamente, senza costrizioni. Il Tao può essere conosciuto attraverso l'osservazione della natura e delle sue leggi e in queste possiamo contemplare la natura del Tao. Comprendere i principi del Tao significa creare in se stessi il vuoto. Il vuoto ci riporta ad uno stato indifferenziato, inconscio e spontaneo. Il Tao, che presiede al divenire, non è né bene né male; è impersonale come la natura stessa dell'uomo. Laozi indica nelle istituzioni religiose, morali e sociali la causa di ogni decadenza. Esse infatti inducono l'uomo ad agire formalmente ed esteriormente e non piú secondo natura. Il Te (De) è la Virtú, l'energia, la forza spirituale del Tao. Essa non cerca mai d'imporsi. È buona per i buoni ed è buona anche per quelli che non sono buoni. Laozi fa una distinzione fra Virtú superiore e virtú inferiori. La prima è quella del Tao e chi la pratica è in armonia con la natura, le seconde sono quelle predicate da Confucio. L'umanità, la giustizia, i riti sono virtú inferiori, perché lo scopo di coloro che le praticano non va oltre i vantaggi prodotti da esse. Yin e yang costituiscono ciò che si chiama Tao. Yin è il principio femminile, yang il principio maschile. Gli uomini vivevano e vivono secondo l'alternanza di due momenti contraddittori: la notte e il giorno, il buio e la luce, la vita e la morte e, poi, ancora la vita e, poi, ancora la morte. Tutto finisce e tutto ricomincia, in una serie infinita di mutazioni. Dall'azione alterna di queste due forze contrapposte hanno origine le cose e gli esseri. Il divenire, quindi, come sintesi di due momenti contrastanti, dai quali nasce un ritmo, nel quale si può riconoscere il Tao. La morale di Laozi predica la conformità col Tao. La via per raggiungere questa conformità è il wu-wei, il "non-agire"; ossia la debolezza che è manifestata dal non desiderare, dal contentarsi, dall'umiltà. Il desiderio delle cose materiali è l'origine del disordine. Il "non-desiderare" non è la soppressione di tutti i desideri, ma solo di quelli che sono dannosi. Wu-wei non deve far pensare ad una passiva partecipazione alla vita, ma si ricollega al concetto di indifferenziazione, esprime l'aderenza dell'uomo al flusso spontaneo del divenire, che si attua nell'azione ultima dello yin e dello yang. Ecco allora la necessità del non-agire, che non vuol dire essere inattivi, ma ricettivi. La ricettività è la matrice femminile del Tao. La fluidità dell'acqua ne raccoglie e ne compendia ogni aspetto. Tutto ciò che si espande e raggiunge la propria pienezza, entrerà in decadenza e perirà, di modo che c'è più potenzialità di vita e di sviluppo in ciò che è ancora debole, vuoto, vile, che in ciò che è forte, pieno, nobile. Il saggio, quindi, "non agisce". Egli diventa come un neonato. Il neonato è il portatore ideale del Te (De), della forza vitale, della Virtú, perché si astiene da ogni sforzo volto a raggiungere un fine. Il saggio, perciò, potrà premunirsi contro tutti i pericoli e portare a compimento la propria vita senza morire prematuramente, anche perché non considera la vita come un gioiello inestimabile. In politica Laozi predica il "non-agire" e il ripudio della guerra. Il regnante deve governare con il Te (De), con la Virtú. Il governo non deve raccogliere troppe tasse né emettere troppe leggi né essere troppo severo. Laozi condanna la guerra perché è la forma peggiore del contendere e del desiderare. Il regnante deve trattare il popolo come un figlio, gli deve testimoniare un amore totale, senza distinzione. Egli è sempre umile e flessibile verso gli altri stati e perciò si concilia la simpatia di tutti. La filosofia di Laozi va inserita e intesa nell'ambito della civiltà cinese, quale sorse e si espresse in condizioni geografiche, economiche e storiche determinate. Nella notte dei tempi gli uomini traevano dalla natura i prodotti che spontaneamente essa offriva. Le società primitive erano comunistiche e comunitarie. Era questa l'epoca dell'"originaria semplicità senza nome".
Gli uomini vivevano moralmente secondo natura con
la sua armonia e disarmonia, ma, quando la primitiva
società mutò, allora sorsero i nomi. Si passò gradualmente dalla società
indifferenziata alla società differenziata. Abbandonati i principi del
Tao,
l'uomo ricorse all'azione. Il frantumarsi dell'unità iniziale è l'origine
del lavoro, delle classi sociali, della proprietà privata,
presupposti dei contrasti tuttora esistenti nelle civiltà attuali.
Per concludere, invito il lettore a considerare questo libro una sorta di breviario etico, che potrà aiutarlo a ritrovare se stesso nella natura. Viviamo in un'epoca che dà molta importanza all'erudizione. Attraverso l'erudizione l'uomo si distacca dalla natura e, pertanto, non riesce piú a coglierne l'ultima essenza. Infatti l'erudito tende a separare le cose per conoscerle e perciò acquisisce una conoscenza che non è conoscenza, perché la natura è un tutto indivisibile ed è governata dal Tao, dal "Senzanome". Questa nuova versione del Daodejing non è per sinologi, ma per tutti coloro che, pur avendo poca o nessuna conoscenza della cultura cinese, desiderano avvicinarsi ad un maestro di etica che, da 2500 anni, parla agli uomini semplici come il legno grezzo. Angelo Giorgio Teardo | << | < | > | >> |Pagina 15I Il Tao di cui si può parlare non è l'eterno Tao. Il nome che può essere nominato non è l'eterno nome. Il non-essere è l'inizio del cielo e della terra. L'essere è la madre delle diecimila cose. Andando verso il non-essere si può contemplarne i prodigi andando verso l'essere si può contemplarne i confini. Questi due hanno un'origine comune manifestandosi hanno nomi differenti. Ciò che essi hanno in comune io lo chiamo il mistero il mistero supremo la porta di tutte le meraviglie. II Tutti nel mondo riconoscono il bello come bello in questo modo si ammette il brutto. Tutti riconoscono il bene come bene in questo modo si ammette il male. Infatti l'essere e il non-essere si generano l'un l'altro. Il difficile e il facile si completano l'un l'altro. Il lungo e il corto si formano l'un l'altro. L'alto e il basso si invertono l'un l'altro. Il suono e la voce si armonizzano l'un l'altro. Il prima e il dopo si seguono l'un l'altro. Per questo il saggio vive senza agire insegna senza parlare non ostacola il divenire delle cose ne permette lo sviluppo senza trarne vantaggio non si attribuisce meriti e per questo risultano evidenti. III Se non si esaltano gli uomini ambiziosi si ottiene che il popolo non lotti. Se non si dà valore agli oggetti preziosi si ottiene che il popolo non rubi. Se non gli si mostra ciò che potrebbe desiderare si ottiene che il cuore del popolo non venga turbato. Ecco per quale ragione il saggio per governare svuota il cuore degli uomini e riempie il loro ventre indebolisce l'ambizione e fortifica le ossa in modo che il popolo rimanga ignaro e senza desideri e che gli scaltri non osino agire. Egli pratica il non-agire e allora non c'è nulla che non sia ben governato. IV Il Tao è come l'acqua che sgorga la sua azione è inesauribile. Com'è profondo sembra la sorgente di tutte le cose. Egli smussa ciò che è affilato districa ciò che è intricato modera il suo splendore velandosi con la polvere. Com'è profondo, sembra eterno. Io non so di chi sia figlio sembra anteriore al sovrano celeste. | << | < | > | >> |Pagina 43XV Gli uomini che nell'antichità seguivano il Tao erano sottili, abili, profondi profondi a tal punto da non essere capiti. Poiché non si può capirli io mi sforzo di descriverli. Erano prudenti come chi guada un fiume d'inverno. Erano circospetti come chi teme i propri vicini. Erano riservati come degli ospiti. Erano arrendevoli come il ghiaccio che fonde. Erano semplici come il legno grezzo. Erano vuoti come una valle. Erano impenetrabili come l'acqua torbida. Solo con la tranquillità l'acqua diventa chiara e la tranquillità si raggiunge lentamente. Chi comprende questi principi del Tao non desidera essere colmato e poiché non è colmato può consumarsi senza logorarsi. XVI Colui che raggiunge il vuoto estremo realizza una rigorosa tranquillità. Mentre i diecimila esseri si muovono attivamente egli solo ne contempla il ritorno. Infatti tutti gli esseri fioriscono e poi ognuno torna alla propria origine. Tornare alla propria origine vuol dire trovare riposo. Trovare riposo vuol dire nuovo destino. Nuovo destino vuol dire durare per sempre. Chi conosce questa legge si chiama illuminato. Chi non conosce questa legge agisce da stolto e attira la disgrazia. Chi conosce questa legge è tollerante. Essendo tollerante è giusto. Essendo giusto è degno di essere re. Essendo re è simile al cielo. Essendo simile al cielo è identico al Tao. Essendo identico al Tao vivrà a lungo e non incontrerà danni per tutta la vita. | << | < | > | >> |Pagina 107XLVI Quando il Tao regna sulla terra i cavalli da guerra vengono impiegati per il letame. Quando il Tao non regna sulla terra i cavalli da guerra vengono allevati ai confini. Non c'è colpa piú grande che assecondare i desideri. Non c'è disgrazia piú grande del non sapersi accontentare. Non c'è sfortuna piú grande della brama di possedere. Perciò sapersi accontentare è avere sempre a sufficienza. XLVII Senza uscire dalla porta si conosce il mondo. Senza guardare dalla finestra si comprende il Tao del cielo. Piú lontano si va e meno si conosce. Perciò il saggio conosce senza viaggiare comprende senza guardare compie senza agire. | << | < | |