Copertina
Autore Louis Lavelle
Titolo La parola e la scrittura
EdizioneMarsilio, Venezia, 2004, Ricerche , pag. 142, cop.fle., dim. 153x210x11 mm , Isbn 978-88-317-8485-6
OriginaleLa parole er l'écriture [1942]
CuratorePier Paolo Ottonello
LettoreRiccardo Terzi, 2005
Classe scrittura-lettura , libri , filosofia
PrimaPagina


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Indice

  7 Prefazione
    di Pier Paolo Ottonello

    INTRODUZIONE

 23 I pericoli odierni della parola e della scrittura

    PARTE PRIMA. IL LINGUAGGIO

 29 I. Dare i nomi alle cose
 35 II. Lo scarto fra il pensiero e il linguaggio
 42 III. Dal grido all'idea

    PARTE SECONDA. LA VOCE

 53 I. Il respiro
 58 II. Il balbettare del bambino
 63 III. Paragone tra udito e vista

    PARTE TERZA. LA PAROLA

 69 I. Le potenze della parola
 73 II. Il Verbo
 77 III. Il dialogo

    PARTE QUARTA. IL SILENZIO

 87 I. L'atmosfera del silenzio
 91 II. Le specie di silenzio
 94 III. Il silenzio religioso

    PARTE QUINTA. LA SCRITTURA

101 I. L'eterno nel temporale
107 II. Confronto fra la parola e la scrittura
112 III. L'io dello scrittore

    PARTE SESTA. LA LETTURA

119 I. Leggere e scrivere
123 II. Una solitudine riempita
128 III. Regole per la lettura
135 Conclusione sulla disciplina dell'ispirazione

 

 

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Pagina 23

I PERICOLI ODIERNI
DELLA PAROLA E DELLA SCRITTURA



1. Nel momento in cui il mondo subisce sconvolgimenti tanto grandi, le nazioni cambiano configurazione, le società cercano equilibri nuovi, ciascun individuo e l'umanità intera si interrogano sul proprio destino, può sembrare che si volga a un oggetto minimo lo spirito che cerchi di definire l'essenza della parola e della scrittura. Si tratta forse solo di una diversione che ci consenta di dimenticare le nostre preoccupazioni? Di una sorta di fuga da parte della riflessione, la quale, anziché affrontare con coraggio i propri compiti più pressanti e gravi, scelga il tema più frivolo che non possa affatto perturbare i compiacimenti del suo gioco?

Ma la parola e la scrittura sono gli strumenti mediante i quali gli uomini comunicano i propri pensieri: per la loro azione reciproca un'idea, un desiderio, scaturiti nel segreto di una coscienza, che in essa resterebbero solo timide possibilità, istantaneamente erompono e acquisiscono una certa sottile realtà che penetra in altre coscienze, producendovi una misteriosa dinamica che coinvolge anche i corpi. Proprio nei periodi più inquieti e violenti la loro azione è più potente e rischia, per gli abusi che se ne fanno, di lasciarci nella dimenticanza della loro destinazione prima e della loro origine divina. È allora proprio delle anime più ferme, libere da ogni passione, ritrovarne l'uso più puro. Mediante la parola e la scritturasi riescono a captare tutti i bagliori segreti che attraversano ciascuna coscienza, generando un'atmosfera luminosa comune a tutte. Grazie ad esse si dissigilla ogni solitudine e si attraversa il fossato che separa le diverse solitudini. Danno corpo all'invisibile e svelano il mistero dell'essere spirituale, senza peraltro alterarne la natura: che non si identifica né con il suono né con la lettera, bensì con il senso che il suono e la lettera contengono, ma senza liberarlo.


2. La corruzione della parola e della scrittura è il contrassegno di ogni altra corruzione: ne è insieme l'effetto e la causa. Né ci si può illudere di purificare l'una o l'altra senza purificarne l'anima stessa. Il periodo in cui viviamo a questo riguardo è pieno di pericoli: è necessario vigilare per scongiurarli.

I progressi della scienza hanno consentito di moltiplicare e diffondere la parola al di là della cerchia familiare alla quale naturalmente si rivolge: di qui una sorta di sproporzione fra il suono che essa dà e l'eco che produce, una cesura che continuamente si accentua fra chi la proferisce e chi l'ascolta. Ciascuno di noi si trova involto in avvenimenti che lo oltrepassano, ma che hanno risonanze sulla sua vita: ne parla come fosse in grado di giudicarli o di padroneggiarli, ponendo in atto tutta la passione per coprire al tempo stesso la sua ignoranza e la sua impotenza. Tutte le voci che gli pervengono non sono che un massivo rumore nel quale non si riconosce più il timbro vivente di un'anima individuale. Troppo di frequente noi stessi imitiamo questo linguaggio primitivo e informe che, se non siamo vigili, ben presto diverrà la nostra conversazione.

Ci accontentiamo di ripetere e non abbiamo più il gusto di scoprire: perdiamo poco a poco l'incomparabile delicatezza dell'espressione che crea tra gli esseri una sorta di comunicazione ininterrotta, sempre diversa e sempre in pericolo, che assomiglia insieme a una genesi e a una rivelazione. Non abbiamo più l'esperienza della solitudine, nella quale il pensiero prova se stesso trasformandosi poco a poco in parole, il cui effetto è al tempo stesso di intervallarlo e di renderlo più grande.


3. È propizio il tempo per considerare nuovamente il punto in cui il pensiero nascente si dispiega e comincia a realizzarsi nel linguaggio prima di configurarsi nel mondo e di formarlo a propria immagine. La disciplina del linguaggio è la medesima rispetto alla disciplina del silenzio: c'è un silenzio del pensiero che le parole più belle devono tradurre senza interrompere.

Ma la parola appartiene all'istante: deve essere rara se non vuole testimoniare un vuoto del pensiero credendo di testimoniarne l'abbondanza. Deve essere in rapporto con le circostanze e gli avvenimenti: manca il proprio oggetto se manca di opportunità. Invece il pericolo della scrittura è assomigliare troppo alla parola e assumerne la caducità. Niente che non superi l'istante in cui si è prodotto merita di esserle affidato. Non compie il ruolo che le è proprio se non conserva soltanto quei pensieri dai quali i casi della nostra esistenza ci separano ad ogni momento ma che vorremmo poter ritrovare sempre. Rischia di avvilirsi se la si destina solo a trasmettere novità, a produrre un movimento d'opinione.

La scrittura non è nulla senza lo stile, che la parola non consegue se non con certi esiti: il disprezzo dello stile, oggi tanto comune, è segno di bassezza d'animo. Niente dura se non mediante lo stile, che è il marchio stesso della persona, in quanto essa apprende il reale mediante un percorso unico, il cui valore è dunque eterno. Ma la perfezione dello stile è una perfezione tutta interiore, che rende trasparente il pensiero, anziché consistere, come si crede, in una certa bellezza del suono o in una certa eleganza di movimento capaci di essere sufficienti a se stessi. Vi è una purezza dello stile che è una purezza propriamente morale: si ritrova in tutte le specie dell'espressione e non solo nel linguaggio; libera da ogni tentativo della volontà e da ogni compiacenza dell'amor proprio; non si può ottenere se non attraverso un severo spogliamento che, strappato ogni velo fra spirito e realtà, ci liberi la verità di noi stessi e del mondo in una coincidenza miracolosa. Un simile incontro della vita nascosta e della vita manifestata è sempre per lo spirito insieme una grazia e una resurrezione.

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3. Se la creazione del linguaggio assomiglia alla creazione del mondo, rispetto ad essa ha il privilegio di dipendere da noi, in quanto occorre continuamente riprodurla anziché accontentarsi di subirla. Inoltre in rapporto all'altra conserva una sorta di libertà, in quanto la assume senza confondersi con essa. Lo si vede già nell'esposizione del segno, che si distingue dall'oggetto, ma consentendomi di riconoscerlo: questo riconoscimento a sua volta è un atto dello spirito, il solo di cui sia capace in presenza delle cose che gli sono offerte e che non ha creato.

Il linguaggio è perciò un sigillo di possesso che lo spirito imprime sulle cose, ma che sempre fino a un certo punto resta un marchio libero che deve corrispondere ad esse, senza riuscirvi sempre, e deve produrre una comunicazione con gli altri uomini, ma finisce col mancarla.

Del linguaggio si può dunque dire che se è un altro mondo creato dal pensiero, ma che non coincide mai del tutto con il mondo reale, è precisamente per consentirci di comprenderlo e modificarlo; sicché lo si vede seguire nel mondo reale tutti i percorsi dell'attenzione e del desiderio.

È in questo scarto fra il linguaggio e la realtà che lo spirito ci discopre l'indipendenza del suo gioco. Infatti i nomi che dà alle cose, che possono variare secondo i suoi bisogni o capricci, imprigionano le cose anziché lasciarsene imprigionare. Rappresentano il loro significato, ossia insieme la loro essenza e la loro affinità con noi; entrano in relazione reciproca per designare non propriamente le relazioni delle cose fra loro, bensì l'uso che possiamo farne e in ogni caso un ordine logico o pratico che sostituiamo all'ordine reale. Così le parole non si limitano a porsi sulle cose come segnali che le indicano alla nostra attenzione, ma si insinuano fra le cose: le avvolgono in una rete di maglie fini quanto vogliamo e che incessantemente disfacciamo e ritessiamo affinché niente possa sfuggire al nostro pensiero e alla nostra azione. Il linguaggio ci conferisce una sorta di signoria del mondo creato, ma a condizione di restargli fedele, cosicché quando sembra di oltrepassarlo è solo per dar corpo a un mondo di chimere o per penetrare fino al suo invisibile segreto. É proprio del linguaggio stabilire fra il mondo e l'uomo un'alleanza vivente mescolandoli incessantemente. Da tutti gli oggetti non trae che la proprietà di servire come veicolo ai nostri sentimenti e pensieri, e il legame che unisce fra di loro gli oggetti è sempre annodato e intrecciato con ciò che unisce gli uomini fra loro.

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Pagina 87

I.
L'ATMOSFERA DEL SILENZIO



1. Il silenzio è l'atmosfera del nostro spirito. La luce dissolve la notte, ma il suono attraversa il silenzio che lo sopporta senza eliminarlo. È come l'aria dove vola la freccia, come il mare che la nave fende. La parola non lascia nel silenzio maggiore traccia della freccia nell'aria o della nave sul mare. Soltanto lo spirito che l'ha generata riesce a captarla nei fili silenziosi della memoria e temendo il suo venir meno si serve della silenziosa scrittura per ricondurvela.

Talvolta il silenzio è tanto ricco di significato da abolire la parola, non solo perché la rende inutile ma anche perché la parola dissiperebbe, dividendola e riversandola all'esterno, l'essenza troppo fine che ha in sé, senza consentirci per così dire di toccarla. Il silenzio è un omaggio che la parola rende allo spirito. Perciò la Parola di Dio, alla quale nulla manca e che è una rivelazione totale, non si distingue dal perfetto silenzio.

Tutte le parole sono avvolte in questa atmosfera di silenzio che bisogna creare anziché infrangere e nella quale si ascolta il segreto dell'anima senza bisogno della mediazione delle parole. Tutto ciò che appartiene al puro spirito, l'ultima parola dell'intimità e il nome stesso di Dio, si devono considerare ineffabili. Ma accade anche che l'oggetto sia tanto estraneo al pensiero che questo non riesce ad impossessarsene allora propriamente è oggetto non nominabile, quale è nei casi in cui lo spirito non riesca a posarsi su di esso senza macchiarsi. Si può dunque dire che è proprio del linguaggio oscillare interamente fra l'ineffabile e l'innominabile, rischiando di continuo il sacrilegio e l'infamia.

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Pagina 119

I.
LEGGERE E SCRIVERE



1. È proprio della scrittura richiedere d'esser letta. Ma, come il mondo che abbiamo sotto gli occhi, il libro stesso offre allo sguardo un'infinità di prospettive possibili, che variano secondo la direzione della nostra attenzione, dei nostri interessi e gusti, della profondità e delicatezza della nostra anima.

Il miracolo della scrittura è dunque riuscire a captare la vita stessa del pensiero nel momento in cui sfugge, ma in modo tale che possa incominciare un percorso sempre nuovo, come accade anche alla musica, di cui si può dire che non si esaurisce mai e che, per rivivere, occorre che, da parte di chi la suona e di chi la ascolta, riceva un'interpretazione sempre diversa, che non sempre coincide con quella del suo autore e che indefinitamente vi si aggiunge. Il che è vero anche per l'autore stesso quando si pone in presenza di un'opera che ha fatto una volta per tutte e che non cessa mai di scoprire.

Quando si dice: bisogna leggere questo libro, a torto si pensa che si tratti della medesima operazione alla quale tutti possono essere invitati e che per un istante li rende eguali. Infatti non si legge mai il medesimo libro, né con il medesimo sguardo, così come non si vedono mai le stesse cose, non si traggono gli stessi insegnamenti, non si usa lo stesso linguaggio. Alcuni vi cercano determinati fatti, altri determinate idee e altri ancora semplici emozioni. Soltanto pochissimi incontrano il pensiero di un altro. La maggior parte vi scopre, come in uno specchio, un'immagine del loro, che vale meno o più, e che al tempo stesso misura la sua debolezza e la sua forza.


2. La scrittura cerca di conservare la presenza dell'ispirazione e la lettura di supplire alla sua assenza. La scrittura è un movimento che va dall'interno all'esterno: al contrario la lettura. Lo scrittore cerca segni per il pensiero, il lettore trae il pensiero dai segni: il primo crea un mondo, il secondo lo decifra.

Il ruolo della scrittura è fissare tutti gli incontri con il puro spirito, mentre il ruolo della lettura è imprimerli in noi mediante un altro. Dunque la scrittura implica un contatto immediato e primo dell'anima con il reale: basta che ci consenta di ritrovarlo, ma l'anima gli resta sempre distante. Il lettore ha con il reale il contatto indiretto che l'autore gli ha suggerito: con lui misura le proprie forze e può anche superarlo.

Nessuno scrive se non per trovare se stesso; nessuno mai scrive solo per chi lo legga, sebbene il suo amor proprio possa provare vanità per l'esistenza che può acquisire per un altro. Tuttavia sa bene che il lettore non deve guardare a lui ma solo alla sua opera, che si è subito distaccata da lui che l'ha dimenticata o non vi si riconosce più. In ogni libro che leggo è sempre me stesso che cerco, il risveglio delle mie qualità, così come cerco di porle in atto nel libro che scrivo. Ma c'è una pigrizia della lettura che spesso non è che compiacenza con il gioco delle nostre qualità inespresse: la scrittura le attua invece in modo più diretto e forte.

La lettura è una rivelazione di cui la materia è già data; perciò ci sfugge se ce la prendiamo con l'autore, mentre spesso dovremmo prendercela con noi stessi.

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4. Coloro che scrivono di più non sono coloro che leggono di più. I primi infatti attingono direttamente da una verità sempre presente e che non cessa di alimentarli; gli altri hanno bisogno di una guida che la mostri loro. Per i primi i pensieri più belli che non abbiano lasciato in fondo a se stessi sono come estranei. Gli altri hanno maggiore diffidenza di sé ed hanno bisogno di un incontro che insieme li risvegli e rassicuri e senza il quale non saprebbero scoprire il proprio bene.

Non sono dunque i medesimi coloro che son fatti per leggere libri e per scriverli. Accade che i primi scrivano impacciati e i secondi leggano annoiati. Né potrebbe essere altrimenti, dal momento che gli uni trovano un contatto con il reale solo attraverso un altro spirito, e gli altri solo attraverso il reale cercano un contatto con un altro spirito. I critici poi formano una sorta di mondo intermedio: non scrivono se non su ciò che leggono e da se stessi non trarrebbero nulla senza che un libro glielo riveli.

Scrittura e lettura sono due metodi intellettuali opposti, che debbono essere congiunti, sebbene non sempre lo siano: se si scrive solo per la vanità d'essere letti, chi scrive spesso si distoglie dalla lettura; e se non si pensa che a ricevere bene dalla mano altrui, chi legge ha poco gusto a scrivere. Certamente occorre dare preminenza alla scrittura, che mi costringe a ritrovare la fonte stessa della verità per coglierne le acque, mentre la lettura s'accontenta di affidarsi agli altri e di consentire che ne bevano. Entrambe esprimono la legge fondamentale della coscienza che è quella di essere un dialogo interiore, ed un triplice dialogo,con sé, con Dio e con gli altri: ma gli interlocutori non parlano nello stesso ordine. Quando scrivo è Dio che sollecito o invoco, e sono io ad ascoltarlo prima che gli altri a loro volta ascoltino me. Nella lettura è l'altro che parla per primo e ascoltandolo è Dio che cerco di intendere.

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Pagina 123

II.
UNA SOLITUDINE RIEMPITA



1. Per conoscere il mondo in cui ci troviamo a vivere sembra che basti guardarci attorno, imparando a conoscere la natura e gli altri uomini. Ma sia la lettura che la scrittura hanno un rapporto essenziale con l'assenza, non con la presenza. Perciò ci disvelano le parti lontane dell'universo con le quali non abbiamo contatti, o prospettive sugli oggetti più familiari differenti da quelle nelle quali ci troviamo: in modo privilegiato la scrittura conserva le tracce dell'intero passato dell'umanità affinché possiamo farle rivivere in noi spiritualmente. La lettura è il mezzo di cui disponiamo per farci presenti, mediante il pensiero, a tutti i punti dello spazio e del tempo, dove altri sono stati. È anzitutto storica e geografica, è un viaggio nel tempo e nello spazio prima di esserlo nel puro pensiero.

Ma la funzione di un libro non deve essere solo quella di accrescere le mie conoscenze ed esperienze, vantaggio che tuttavia non può essere disprezzato da chi è impegnato nel tempo, in quanto arricchisce indefinitamente la mia vita di tutti i giorni. Ben di più io chiedo a un libro: di elevarmi al di sopra di tutte le cose particolari e di essere una sorta di rivelazione del mio spirito a se stesso, dandogli una presenza attenta a tutto ciò che esiste. Così la lettura, nella sua forma più perfetta, mi conferma la certezza della mia vocazione spirituale. Altrimenti per me potrebbe essere soltanto una delusione, o peggio il segno della mia disperazione, se vi cercassi solo un divertimento.

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Pagina 127

7. Tutti sappiamo che la lettura la vince sulla conversazione, perché si esercita nella solitudine, in modo che non siamo più trattenuti né dagli interessi per le cose né dalla simpatia per le persone o dal desiderio di prevalere nelle dispute: spiritualizza il nostro rapporto sia con il mondo, sia con noi stessi, sia con gli altri.

Si può dunque pensare che la lettura sia il nutrimento del solitario, che però vi ricerca la società spirituale con gli altri. E, leggendo, la vera solitudine alcuni la trovano, altri la perdono. Gli uni ascoltano nei libri i molteplici echi del proprio pensiero; gli altri discutono continuamente con l'autore come con il prossimo, senza perciò cambiare il loro abituale atteggiamento: infatti costoro non riescono mai ad essere soli. Quando si allontanano dai libri ritrovano in se stessi le medesime discussioni, restando incapaci tanto di conseguire la pace quanto di gioire della luce e di lasciare al loro spirito il suo libero movimento. I primi cercano uno stimolo per il proprio pensiero e gli altri una vittoria del loro amor proprio. Per cui i primi abitano naturalmente in una solitudine per così dire infrangibile, nella quale le idee formano la società più ricca e viva e mobile, che è l'immagine stessa della società umana; mentre gli altri, cercando il proprio successo in mezzo al mondo, non ne ricevono che colpi e ferite, che li rigettano sempre più nell'infelice isolamento.

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III.
REGOLE PER LA LETTURA



1. Occorre che nella lettura tutto venga dal di dentro, non dal di fuori, da un grande pensiero di cui perseguo lo sviluppo e che per così dire fa nascere sul mio percorso tutte le occasioni per nutrirlo. Per leggere bene è dunque necessario avere lo spirito perfettamente libero, senza che niente ne ostacoli l'apertura, né che divida la sua attività, che deve restare al tempo stesso un'attesa perfettamente pura e un'attenzione interamente disponibile.

Deve essere proprio del libro sollecitare l'attività del pensiero piuttosto che dispensarne, proporre la ricerca e non l'acquisizione: esso pone una questione alla quale solo la meditazione interiore potrà rispondere. Bisogna leggere per sempre più accrescere e affinare e approfondire l'esperienza che abbiamo del mondo e di noi stessi. Non bisogna leggere per evadere dalla vita, ma per prender coscienza delle forze che nasconde e che ciascuno di noi porta in fondo a se stesso, per imparare ad esercitarle e a regolarne l'uso.

Nella lettura, così come in ogni lavoro dello spirito e delle mani, occorre certo vincere le resistenze della materia, che è inscindibile da ogni atto che compiamo. Si tratta solo di scuotere il nostro spirito, di consentire al libro di darci il movimento che spetta a noi continuare e nel quale presto ritroviamo il nostro. Allora possiamo lasciarlo da parte.

La lettura ora ci assopisce ora ci vincola: in entrambi i casi bisogna smetterla. Non è fruttuosa se non entra nel nostro gioco: se non ci evoca idee che appartengono a noi piuttosto che all'autore, e alle quali, per una sorta di paradosso, sembra che sia lui a rispondere in un modo per noi inatteso e tuttavia familiare.

Ma ci sono letture infeconde nelle quali l'attenzione si lega ad un oggetto che resta loro estraneo. Lo spirito deve lottare con la sua pigrizia ma non con il suo gusto: quando è vinta la pigrizia è infatti il gusto che deve condurlo; non esclude lo sforzo ma lo comanda, e mai lo sforzo deve comandare il gusto: ossia non bisogna prolungare la lettura oltre il momento in cui cessa di toccarci.

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Pagina 131

Non c'è regola migliore per la lettura di quella che si trova in un bel passaggio di Pascal: non bisogna leggere né troppo rapidamente né troppo lentamente, perché in entrambi i casi non si capisce nulla. Si può aggiungere che se leggo passivamente e solo per ritenere ciò che leggo, mi annoio e la lettura mi è inutile, il che certo spesso accade nell'ambito dell'erudizione. Se invece in quello che leggo cerco soltanto di dare movimento ai miei pensieri, non c'è lettura che non mi prenda e non mi nutra.

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Pagina 133

Bisogna anche avere l'avvertenza di non leggere sempre gli stessi libri, sebbene ognuno di noi vi sia naturalmente portato. Anche Spinoza sosteneva che bisogna usare nutrimenti più variati affinché la nostra anima possa arricchirsi in complessità e delicatezza. Certo possiamo pretendere di chiedere sempre le stesse cose agli autori più diversi, ma è bene che non abbiano per noi un volto troppo familiare, perché allora rischiano di cullare e addormentare il nostro pensiero: gli danno troppa sicurezza. Quando ci si presentano in una lingua che non abbiamo ancora compreso risvegliano invece la nostra attenzione, che è un atto sempre giovane e fragile che ha continuamente bisogno di essere ravvivato.


7. Il mondo è composto di uomini che, non avendo nessun gusto per le cose dello spirito, non leggono niente, e di uomini che, avendone il gusto, non trovano soddisfazione che nei libri; a tal punto che finiscono col non amare che i libri distraendosi dalla realtà circostante, nella quale lo spirito mette alla prova la sua vera forza. Sembra ci sia un momento nella vita in cui bisogna smettere di leggere per agire: ma la lettura è ancora necessaria ai più forti, ai quali dà luce e orizzonte maggiori.

La lettura è cosa della giovinezza che cerca di imparare e della vecchiaia che cerca di ricordare. Ma la maturità deve compiere tutte le azioni che la lettura racconta sia alla giovinezza sia alla vecchiaia. Tuttavia queste non aspirano che a passare oltre, tanto è impaziente l'una di agire l'altra incline all'autosufficienza.

La lettura presuppone sempre un piano della volontà per cui si apre un libro e lo si legge. Accade che l'occasione provveda, e bisogna saperla cogliere senza cedervi sempre. C'è nelle letture una sorta di fortuna e di caso, ai quali talvolta è bene abbandonarsi: bisogna non sceglierle con eccessiva attenzione e saper accettare tutte quelle che ci vengono offerte o suggerite.

C'è chi ama leggere e tuttavia dovrebbe smettere e chi invece trae i frutti migliori dalla lettura. Si comprende perciò chi dice: non ricordo ciò che ho letto; non mi interesso della storia; non cerco né di conservare né di comporre né di classificare ricordi. Di ciò che leggo considero non ciò che è del momento ma ciò che è di sempre e lo ritrovo solo in me stesso, in un incontro e non dal di fuori, per scelta. Al libro non chiedo che di esercitare il mio spirito dandogli nell'istante il suo libero gioco.

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