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| << | < | > | >> |IndicePresentazione dell'edizione italiana 9 (L. Veronelli) Presentazione dell'edizione francese 11 (J.B.S.) Il vero tesoro della filibusta 17 di Michel Le Bris 1. LE SALSE AL PEPERONCINO 29 Salsa al peperoncino dei bucanieri 40 Ti' Malice 42 Rougail di papaia acerba 44 Rougail di pomodoro 47 Salsa chien 49 Soffritto 51 Ajilimojili 54 Shadow Bennie Sauce 54 Mamba 57 Scotch Bonnet Pepper Sauce 59 Pepper rum 61 2. ENTRÉES 63 Frittelle di merluzzo 68 Frittelle di titiris 71 Delizie al peperoncino 74 Chiquetaille di merluzzo 76 Féroce di merluzzo 77 Buljol 79 Salmigondis 80 Marinata di tazard al latte di cocco 82 Insalata di cuori di palma 84 Patties 87 3. CARNI ALLA BRACE, SPEZZATINI E FRICASSEE 91 Maiale alla brace di padre Labat 97 Jerk 108 Pepperpot 109 Calalou 112 Stufato di tartaruga verde 124 Pollo alla brace marinato nel limone verde 128 Stufato di colombacci al rum 131 Congri 134 Chicken pelau 136 Jambalaya 146 Griots di maiale 148 Stufato di maiale affumicato 151 Stufato di manzo al brandy 153 Stufato di manzo alle spezie 154 Capretto massalé 4. PESCI, CROSTACEI E FRUTTI DI MARE 159 Granchi ripieni 169 Granchio matoutou 171 Shark and Bake 173 Fricassea di strombo 177 Pesce cofano ripieno 179 Vivaneau alla griglia con salsa chien 182 Blaff 183 Bistecche di pesce spada marinate 185 Stufato amerindiano di frutti di mare 186 Frittura di pesci volanti 191 Aragosta arrostita 193 Ackee & Saltfish 195 Bisque di gamberi 197 5. TUBERI E ALTRI ORTAGGI 201 Purea di banane all'amerindiana 212 Daube di banane 213 Banane schiacciate 216 Purea di frutto dell'albero del pane 217 Migan di frutto dell'albero del pane 218 Migan di tuberi 220 Mischiatutto 222 Patate dolci 224 Curry di fagioli 226 Cornmeal coo-coo 227 6. DESSERT, MARMELLATE E ALTRE DOLCEZZE DELLE ISOLE 231 Macedonia di frutta 236 Dolci alla banana 238 Chandeau 240 Bianco-mangiare 242 Torta di patate dolci 244 Sugar Cake 250 Black Cake 252 Toolum 254 Tamarind Balls 256 Marmellata di albicocche delle isole 258 7. VINI, RUM, PUNCH E ALTRI MODI DI GUADAGNARSI IL PARADISO 261 Sangaree 266 Vino d'ananas 268 Vino di banana 271 Ginger Beer 275 Ti' Punch 284 Punch planteur 285 Punch al latte 287 Grog 290 Shrubb 291 Cocktail del bucaniere Morgan 293 Assenzio ghiacciato 295 Caffè brulotto diabolico 300 Cioccolata all'antillana 301 La dimenticanza di Stevenson 307 Bibliografia 309 Ringraziamenti 319 |
| << | < | > | >> |Pagina 17«Cenammo molto allegramente e con appetito. Avevo fatto portare vino e acquavite, ma il mio negro aveva dimenticato il pane. Non mi sono preoccupato più di tanto. Mangiai come loro [come i bucanieri del cayo di Saint-Louis] banane arrosto o bollite con la carne insieme al grasso e al magro del maiale, a guisa di pane, accompagnando il tutto con salse al peperoncino. Sia che l'aria, la strada e la novità mi avessero dato più appetito del solito, sia che la carne fosse più tenera e più appetitosa, credo che ne mangiai quasi quattro libbre. Dormimmo a meraviglia. Ci svegliò la fame più che la luce del giorno». Che uomo! Le allegre pagine del suo Viaggio alle Antille sarebbero tutte da citare. Padre Labat non era proprio portato per le estasi metafisiche, mentre per le cose della vita - e prima di tutto, questo è certo, per la cucina - nutriva un formidabile, iperbolico appetito. «Ma non soffrimmo a lungo di quell'incomodo», prosegue ricordando la fame che lo aveva colto l'indomani al risveglio da quei banchetti... Dopo essersi adeguatamente nutrito, si accorse che il capo di Doña María era orlato di un bosco di albicocchi e così cominciò a raccogliere tanti frutti «quanti ne potevano portare i nostri sei uomini». Poi, per buona misura, si procacciò altra carne e banane. Dopo aver bevuto un ultimo bicchiere e prima di far vela verso il cayo Saint-Louis e nuove avventure: «'Su, Padre,' disse il nostro capitano, 'diciamo una preghiera veloce e beviamo altri tre bicchieri.' Detto e fatto; io dissi la preghiera e si recitò il Confiteor, diedi l'assoluzione con qualche parola di incoraggiamento, fu portato il vino, l'acquavite e tutti, ventre a terra, lasciarono che l'Inglese spillasse». Bisognerebbe citare tutto, ve l'ho detto: la testimonianza che ci ha lasciato delle isole ai tempi della filibusta è assolutamente insostituibile per le scoperte che ci consente di fare su quel cratere in eruzione in cui tutto un mondo nasce, nel tumulto di passioni scatenate, le migliori come le peggiori, quando si direbbe che la vita pulsa frenetica, al massimo della velocità, dove i colori, i sapori gustati sono più intensi che in ogni altro luogo. Insostituibile perché in tal modo ci mostra, per non dire che ci fa assaporare, la nascita della cucina caraibica che, ai suoi esordi, era la cucina della filibusta. Filibustieri? Li immaginiamo più mentre, imbronciati, rosicchiano insetti come le calandre o mentre lappano dell'acqua putrida sulle loro bagnarole sperdute nell'immensità del Caribe, durante l'interminabile attesa dei galeoni d'oro; oppure li pensiamo mentre si abbrutiscono di liquori adulterati nelle bettole della Tortuga, del Petit Goave, o di Kingston, in Giamaica, intenti in devastazioni, orge, saccheggi più che nelle raffinatezze della cucina. Quale errore! Padre Labat, per esempio, inviato dai domenicani nei Caraibi nel 1694 (sono gli anni dell'apoteosi e, al tempo stesso, della fine della filibusta), si trasforma di volta in volta in architetto, giardiniere, orticoltore, medico, soldato, naturalista, agronomo, ingegnere militare, inventore dei «mulini da zucchero» (che prenderanno il nome da lui), e apprezza le bellezze della natura soltanto nella misura in cui può trarne, o mangiarne, qualcosa. Verrebbe da pensare che le sue personali Sacre Scritture siano un Libro di Ricette: buongustaio e, nel contempo, di bocca buona, non è mai l'ultimo ad alzare il bicchiere o a sparare con il suo trombone contro gli inglesi in compagnia dei suoi amici filibustieri, con cui condivide volentieri la vita e, non meno volentieri, il bottino, per non parlare dei festini. Prendete William Dampier, filibustiere tra i più feroci, ma anche idrografo geniale (la sua carta dei venti e delle correnti dell'emisfero meridionale continua a essere oggetto di ammirazione da parte degli studiosi), botanico che ha dato il proprio nome a numerose piante, geologo esperto ed etnologo ante litteram che, deposta la sciabola, trova ancora la forza e il piacere di studiare le popolazioni indigene o di annotare le sue osservazioni sulla flora e la fauna, di cui faceva portare a bordo qualche esemplare. Corrispondente stimato di numerose società scientifiche, l' abbé Prévost ne avrebbe fatto il simbolo dell'«avventuriero errante». Si direbbe che non un animale, non una pianta sfugga alla sua curiosità mentre conduce la stessa vita dei bucanieri della baia di Campeche, osservando le loro abitudini, i loro costumi, le maniere di stare a tavola, le ricette, come quelle dei loro vicini indiani o dei neri fuggiaschi. | << | < | > | >> |Pagina 33I primi che osarono credettero di perdere la ragione insieme alle papille. Dovevano venire dritti dall'inferno quei feroci indiani caribi per masticare il fuoco con tanta noncuranza! Queste isole dell'America, sotto le loro dolcezze e la loro luce paridisiaca nascondono numerose trappole: opera di Dio o astuzia del diavolo? Ma forse era la vita nel Vecchio Mondo che si era come inavvertitamente smorzata, forse erano i suoi sapori che erano andati scemando, non c'erano più nerbo nè personalità, e forse era proprio lì che si trovava la giovinezza del mondo, con tutta la sua folle energia... Il fuoco stesso della creazione, prima della stasi, la lava ancora ribollente nel cratere del mondo che nasce. E, passato lo choc del primo incontro, la rivelazione di un mucchio di sapori! Chi ha assaggiato il fuoco delle salse al peperoncino, ben presto non potrà più farne a meno. Da quel momento in poi al peperoncino vengono attribuite mille virtù, come quella di ridare vigore e nerbo, ardore nel piacere e conforto, ma anche di prevenire febbri e infezioni: fuoco contro fuoco insomma. E non si tratta soltanto dell'arte di preparare pietanze, di esaltare un sapore, ma della vita stessa, della sua vivacità, del suo gusto, della vita che vi porta via in un galoppo furioso nell'ebbrezza dell'esaltazione dei sensi, nella gloria della lotta, nel darsigenerosamente... | << | < | > | >> |Pagina 161Appena gettate in acqua, le reti si riempivano di creature dai colori squillanti e dalle forme più diverse. In lontananza i pesci dispiegavano le loro ali e prendevano il volo nell'aria. Gironzolando su una spiaggia, bastava raschiare negligentemente la sabbia per scoprire telline e vongole a profusione, mentre a pochi metri da riva, in acque pure come il cristallo, pullulavano aragoste, gamberetti, ricci, strombi dalle dimensioni improbabili. Per non parlare dei granchi che ogni sera, come un sol uomo, scendevano in mare a fare il bagno. Pesce luna, sogliola, aguglia, polinemidi, orata, carango, tonno... tutti, per di più, dotati di carni delicatissime; padre Labat era quasi disperato da tanta abbondanza: mai avrebbe potuto trovare il tempo di assaggiare tutto! Come hanno potuto i coloni lasciarsi morire di fame di fronte a simili squisitezze? Colti da una tempesta mentre stavano raggiungendo la Guadalupa, Labat e i suoi compagni filibustieri sbarcarono sull'isola di Aves: «Se volessi descrivere nel dettaglio tutti i pesci che ho visto in quest'isola deserta, non la finirei più» osserva. «Per morirci di fame, bisognerebbe essere privi di mani e di piedi». Anche se ci si dovesse accontentare di qualche mollusco delle secche, aggiunge, e si sente già venire l'acquolina in bocca, «a me andrebbe benissimo». Per quanto riguarda il modo di prepararli, probabilmente gli costa un poco ammettere di non aver mai mangiato pesce migliore di quello cucinato dagli indiani caribi.
Nel leggere quanto scrivono tutti i testimoni dell'epoca, si direbbe che un
fascino misterioso ne ammalia i sensi non appena si avvicinano al mare. E
all'improvviso niente sembra impossibile, ed ecco che anche le persone più
ragionevoli architettano le teorie più folli.
Il pesce ventosa che fermava le navi in piena corsa
«Su questo squalo così prodigioso, di cui ho parlato in occasione del mio
primo viaggio alle Antille, vi erano quattro o cinque remore così tenacemente
attaccate che abbandonarono la presa soltanto dopo morte e, anche allora, si
faticò non poco per toglierle». Alcuni autori, forse trascinati dal loro impeto,
affermano imperturbabili che questo pesce ventosa «ferma di botto una nave che
procede a vele spiegate in alto mare». Padre Du Tertre ammette però la propria
perplessità perché «mai in più di un secolo in cui queste isole sono frequentate
è stato segnalato che una sola nave sia stata fermata». Propone invece una
spiegazione più razionale: si tratterebbe del fascino o dell'incantesimo
compiuto da queste isole misteriose.
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