|
|
| << | < | > | >> |IndicePREFAZIONE VII DIVENTARE MEDIEVISTA 3 Medioevo oscuro, Medioevo chiaro: luoghi comuni 7 Una rivoluzione: il libro. Un problema: le fonti 17 UN LUNGO MEDIOEVO 33 Il concetto di «Rinascimento» 36 Un millennio e i suoi periodi 43 1215: IV Concilio Lateranense, un passaggio decisivo 51 MERCANTI, BANCHIERI E INTELLETTUALI 63 L'invenzione dell'economia 69 Un altro spazio: il pensiero 75 Francesco d'Assisi. Mendicanti nella città 81 UNA CIVILTÀ PRENDE CORPO 89 La discesa del Cielo sulla Terra 91 Inferno, purgatorio, paradiso 103 Europa o Occidente? 110 La feudalità 117 Il prestigio del diritto 120 COSÌ IN TERRA COME IN CIELO 127 L'umanesimo medievale 132 Eretici, ebrei, esclusi... 140 Angeli e demoni 146 Quando Maria protegge. La «buona morte» 153 EPILOGO 161 BIBLIOGRAFIA DELLE OPERE DI JACQUES LE GOFF 169 |
| << | < | > | >> |Pagina 33Ogni medievista si interroga per forza di cose sul suo periodo. Io non sono stato un'eccezione. Agli inizi degli anni '50 la periodizzazione tradizionale era ancora un riferimento obbligato: il Medioevo - implicitamente concepito come occidentale - inizia nel 476 e finisce nel 1492. Nel 476 Odoacre, re degli Eruli, depone il giovane Romolo Augustolo, «imperatore» puramente nominale d'Occidente, che allora aveva una quindicina d'anni. Gli Eruli, lontani discendenti delle popolazioni scandinave, vivevano sulle rive del Mar Nero. In effetti, l'affare del 476 sembra un episodio marginale. Innanzitutto il vero imperatore è quello di Bisanzio, Zenone. In quanto tale, è colui che influenza gli intrighi regionali, ovvero tutto ciò che resta della politica romana. Questo per quanto riguarda l'evento fondatore. Passiamo all'anno 1492. Cristoforo Colombo scopre l'America. La Spagna cristiana prende Granada ai musulmani e così porta a termine la sua reconquista. Come ha detto Alphonse Allais: l'uomo del 1492, addormentandosi il 31 dicembre nella sera del Medioevo, sapeva che si sarebbe risvegliato l'indomani, il primo gennaio 1493, al mattino del Rinascimento? Ho già detto che, a mio avviso, un fatto storico è sempre costruito dallo storico. Anche i periodi sono costruiti allo stesso modo, anzi di più. Nulla segnala che si stia entrando in un'epoca, né che se ne stia uscendo. In quanto storico eredito una periodizzazione, modellata dal passato, ma mi devo anche interrogare su questi artificiosi ritagli del tempo, talvolta nocivi a una corretta percezione dei fenomeni. Quando, sotto Carlomagno, assistiamo alla generalizzazione del codice e della minuscola carolina, siamo definitivamente fuori dall'antichità. Ciò non toglie che alcuni tratti dell'antichità possano persistere altrove, in altri campi della stessa civiltà. D'altra parte, alcuni tratti che consideriamo medievali affiorano invece già durante la tarda antichità, che gli storici da qualche tempo hanno prolungato, a mio avviso giustamente, come aveva già proposto Henri-Irénée Marrou. Questa precisazione: tarda antichità, mi sembra essenziale. Ormai non si parla più di Basso Impero (sottinteso: decadente). Ciò presupporrebbe un Alto Impero che si pretenderebbe più «evoluto», esteso da Augusto fino a Costantino, il che vorrebbe dire che l'impero sarebbe stato «alto» prima della sua cristianizzazione ad opera di Costantino, poi «basso» da quando il paganesimo - il non cristianesimo - tende a scomparire. In realtà tutto sembra indicare che da Costantino (inizio IV secolo) a Giustiniano (VI secolo), cioè per almeno 300 anni, si sia in presenza di una potenza all'apogeo... Lo dico fin d'ora: preferisco la coppia continuità/svolta al concetto di rottura. La storia si svolge in un continuum. Una serie di cambiamenti - che spesso non sono simultanei - segnano delle evoluzioni. Quando un certo numero di cambiamenti riguardano campi così diversi come l'economia, i costumi, la politica o le scienze; quando questi cambiamenti finiscono con l'interagire tra loro fino a costituire un sistema, o comunque un nuovo paesaggio, allora possiamo veramente parlare di un cambiamento di periodo. In ogni caso, nessun cambiamento può essere ricondotto ad un'unica data, un unico fatto, un unico luogo, un unico campo dell'attività umana. Per noi francesi, la seconda guerra mondiale comincia nel 1939. Per gli americani e i russi nel 1941, ma per i cechi inizia piuttosto nel 1938. Analogamente, facciamo sparire l' Ancien Régime politico nel 1789. Ideologicamente, per così dire, era già morto da circa un secolo, con la scottante disputa sul giansenismo. Culturalmente invece persiste in vaste aree del XIX secolo, non foss'altro che nell'impresa napoleonica. François Furet ha mostrato chiaramente che la Rivoluzione francese prosegue per una buona parte dell'Ottocento. | << | < | > | >> |Pagina 38Ma non abusiamo delle parole. Il «Medioevo» non esiste prima della fine del XVII secolo e il «Rinascimento» si costruisce appieno solo nel XIX secolo... Nel 1676 Christoph Cellarius (latinizzazione di Keller) pubblica a Jena una storia medievale. Al posto di medium tempus, usa l'espressione medium aevum, come era ormai abitudine. La sfumatura ha una sua importanza: aevum, «epoca», sostituisce tempus, «tempo». Qualche anno dopo, nel 1688, Charles du Cange nel suo Glossarium riprende una terminologia simile. Tutto ciò si radicalizza nel Settecento, secolo che si autoproclama dei Lumi, relegando il Medioevo nell'oscurità. Analogamente gli inglesi diranno Dark Ages, «età oscure».A partire dal XVIII secolo, il Medioevo non è più il periodo incolore in cui credevano di vivere gli uomini medievali ma un periodo cupo, stretto tra il passato splendente dell'antichità e il futuro luminoso dei philosophes. È un periodo vuoto, caratterizzato dall'assenza della Ragione e del gusto. Il termine gotico - prima della riabilitazione fattane da Walter Scott e Chateaubriand - diventa sinonimo di bruttezza, di bizzarria, di malagrazia... Questa svalutazione prendeva ovviamente di mira la Chiesa. Voltaire lo dice chiaramente nel suo Essai sur les moeurs (1756): oscurantismo clericale e Medioevo sono una cosa sola. Prima di lui, anche Leibniz lo aveva detto. | << | < | > | >> |Pagina 40Non contesto la statura intellettuale di Burckhardt, né la sua erudizione, né le sue qualità metodologiche. Tuttavia reputo il suo successo una catastrofe. Non solo conferma l'idea di un Medioevo «nero», ma attribuisce un valore esemplare a una sola regione: l'Italia, sicuramente brillante, certamente spesso all'avanguardia in campo culturale, ma in ritardo rispetto all'evoluzione politica. Così facendo oscura la percezione europea del Medioevo che, invece, sarebbe sempre necessario tenere in considerazione. Molti esempi contrari si oppongono alla sua tesi. Nondimeno persiste l'idea che esistano zone «avanzate» e zone «arretrate», che esista un equilibrio compiuto, un ideale insuperabile, ecc.La visione della storia alla Burckhardt, ovviamente, corrisponde alle attese della cultura germanica dell'Ottocento: la Grecia divisa ma geniale, l'Italia frammentata ma geniale, annunciavano una Germania geniale che, dalla Prussia all'Austria, supera le sue divisioni, novella Roma e novella Atene. Non dimentichiamo che il Sacro Romano Impero scompare solo nel 1806, appena mezzo secolo prima dell'impresa di Burckhardt. Burckhardt spinge la Germania e l'Europa verso sud, istillandole una nostalgia (Sehnsucht nach Süden) carica di squilibri. Diciamolo subito: Burckhardt, genialmente, si limitava a trasformare in sistema un movimento generale, quello della ricerca appassionata delle origini, della passione per la storia quale fondamento del nazionalismo. Le borghesie nazionali europee si allontanano dall'antichità da cui erano state affascinate per lungo tempo, relegano in secondo piano il culto effimero di un Medioevo immaginario proposto dal Romanticismo, e trovano nella storia il racconto fondatore della nazione e la legittimazione della sua eventuale preminenza. Infine, molti fissano al Rinascimento l'anno zero: Lutero in Germania, la Riforma in Inghilterra... | << | < | > | >> |Pagina 55L'accezione attuale del termine risale al XVI secolo. E l'emergere del concetto di religione segna una vera rottura, giacché invita a potersi pensare eventualmente fuori dalla religione, considerata come fenomeno se non relativo, perlomeno distanziabile. Si può «scegliere».In quanto «visione del mondo», al contrario, il Medioevo persiste in entrambi i campi. Si disfa solo con lo sviluppo del pensiero scientifico, a partire da Copernico (1473-1543) fino a Newton (1642-1727). Se, infine, consideriamo la tecnologia e la vita sociale, il Medioevo dura fino al Settecento. Allora cede progressivamente il passo alla Rivoluzione industriale, quando si accentua la rottura con l'economia rurale. L'emergere del concetto di mercato, la presa di coscienza di fenomeni specificamente economici, annunciano un vero ribaltamento. Fino ad allora l'economia rispondeva principalmente a questioni morali: come pensare la ricchezza e la povertà? Nel XVIII secolo trova invece la propria autonomia, diventa uno strumento che vuole trasformarsi in causa e finalità. Resta un ultimo problema: quello dell'Italia. Come abbiamo visto, tradizionalmente, a partire da Burckhardt, il Rinascimento fa quasi tutt'uno con l'Italia. Questo non mi trova concorde. Certo, l'Italia è un luogo in cui ogni periodo del Medioevo si realizza al massimo grado. Ma è anche il luogo che rompe costantemente con questa civiltà, producendo eccezioni straordinarie. Eccellenza nel Medioevo: il successo dello sviluppo urbano, il dinamismo del movimento religioso, la fioritura di giganti come Dante (1265-1321) o Giotto (1266 ca-1337)... Eccezioni rispetto al Medioevo: assenza di monarchia, assenza di una vera arte gotica; e, soprattutto, il frazionamento in città, la particolare struttura delle guerre intestine. C'è qualcosa di anacronistico nello studiare una Italia medievale. È un concetto astratto, fabbricato a posteriori. In realtà, si tratta delle Italie, al plurale. Gli stessi dubbi gravano sul Rinascimento italiano. Nella penisola il Quattrocento sembra spesso atipico: citerò solo il caso di Machiavelli (1469-1527). Per molti versi, il pensatore fiorentino è medievale; quasi più degli italiani del suo tempo. Per altri, invece, scavalca la sua epoca e si immerge già nella questione politica del «principe» e dell'assolutismo così come si pone nel XVII secolo. Dopo che l'Italia è stata posta al cuore del Medioevo, quindi del Rinascimento, sarebbe assurdo escluderla. Voglio solo ricordare quanto sia difficile trasformare in modello il caso italiano e misurare sulla sua scala l'insieme dell'Europa. | << | < | > | >> |Pagina 83Con i mercanti e gli intellettuali, dunque, la città diventa la culla di una civiltà.Lo prova una personalità immensa: Francesco d'Assisi, Francesco di Bernardone (1181 o 1182-1266), figlio di un mercante di panni, nato nel momento in cui le città diventano poli di potere. Un conflitto ricorrente segna la sua giovinezza: la lotta di Assisi, sua città natale, con Perugia. Nel 1198 partecipa come cavaliere alla guerra tra i due Comuni. Viene fatto prigioniero. Nel 1205 vuole nuovamente andare a combattere contro i partigiani dell'Impero. Si ammala. Subito dopo rompe clamorosamente con suo padre e con il suo ambiente. Nel 1209 fonda con qualche compagno un ordine mendicante, dunque mobile, radicalmente distinto dai monaci che per definizione sono sedentari. In tal modo Francesco reagisce alla comparsa dei «nuovi poveri», i miserabili delle città. E, logicamente, ritroviamo in lui la problematica centrale dell'universo mercantile da cui proviene: quella del denaro. «Si giunge prima al cielo da una capanna che da un palazzo», diceva insediandosi su un fazzoletto di terra accanto all'umile cappella della Porziuncola. Preferisce le strade, le piazze, le piccole dimore. Quando, dopo rapporti difficili con la curia pontificia, scrive la sua Regola del 1221 (che poi la curia gli impose di rifare) Francesco mostra la sua volontà di vivere come un frate «minore», cioè umile, piccolo. Porta il Vangelo a «tutti bambini e neonati, poveri e ricchi, re e principi, lavoratori e agricoltori, servi e signori; a tutte le vergini, continenti e maritate, ai laici, uomini e donne, a tutti i bambini, adolescenti, giovani e vecchi, sani e malati, a tutti gli umili e ai grandi, e a tutti i popoli, famiglie, tribù e lingue, a tutte le nazioni e a tutti gli uomini, ovunque sulla terra». Con quello che diventerà il «Terzo ordine», inventa una forma inedita, duttile e nuova, di vita religiosa nel secolo, nella città. Il Terzo ordine (lo stesso avverrà presso i domenicani e gli altri ordini mendicanti) accoglie infatti persone intenzionate a seguire la spiritualità francescana senza per questo vivere in comunità, senza rompere con la loro vita familiare o professionale. Francesco rende popolare una vita religiosa non clericale, laica. È vero, Francesco non è portatore di una dottrina economica. Tuttavia ha coscienza dell'economia. Rompendo con la sua famiglia e i mercanti di panni, intende applicare alla lettera il capitolo 10 del Vangelo secondo Matteo: «Ciò che avete avuto gratuitamente, datelo gratuitamente. Non portate né oro né argento nelle vostre cinture, né sacchi per via, né due tuniche, né calzari, né bastone (...) In qualsiasi città o villaggio entrerete, informatevi su chi è degno di ricevervi e dimorate presso di lui fino alla vostra partenza. Entrando in quella casa, salutate dicendo: "Pace a questa dimora!"». Francesco si erge contro quello che qualcuno recentemente ha chiamato l'«orrore economico». Lo fa con un'intelligenza e un rigore di cui non vedo eguali presso gli attuali avversari della globalizzazione. Giacché non si limita a rifiutare: si interroga. Ha scelto la povertà ma non mette in causa la sincerità, la buona fede reale dei mercanti. Rispetto al denaro si attiene al principio che adotterà in tutti i campi: impone la sua regola solo a se stesso e ai suoi confratelli, non la estende all'intero corpo sociale. Va fino in fondo alla sua vocazione, lasciando liberi gli altri di ascoltarlo e di trarne le loro conseguenze. Così si spiega il prestigio dei Frati minori e la loro popolarità tra gli ordini mendicanti. Frequentano il ricco e il povero, il potente e il debole, ma stanno nel mondo senza essere del mondo, aspettando che in chi li ascolta si compia dall'interno il cambiamento, la conversione. A Francesco ripugna l'esercizio del potere, al punto che ha molto esitato a fondare il proprio ordine. Non propone altro programma che la beata povertà, la lode e lo stupore davanti alla Creazione. In lui non vi è utopia, nessuna attesa millenaristica di un grande crepuscolo o di una società perfetta. I francescani, secondo Francesco, non hanno la vocazione al governo. Sono lievito nella crescita del benessere, testimonianza costante di un'inquietudine che deve richiamare ricchi e potenti ai loro doveri. | << | < | > | >> |Pagina 88Ascoltandola, sembra che la rinascenza dei secoli XII e XIII sia caratterizzata da un cristianesimo diffuso capillarmente sul territorio.Schematizziamo. Fino al XII secolo, Dio resta innanzi tutto Padre. Dopo, la figura del Figlio prende il sopravvento: il Cielo si incarna, scende sulla Terra. I valori si incarnano. Attraverso i mercanti-banchieri e gli intellettuali credo di aver tracciato il quadro essenziale della mia riflessione sul Medioevo. La comparsa di queste due nuove categorie sociali «segna» la civiltà medievale. La loro eredità resta pregnante: strutture economiche, istituzionali, mentali e religiose. Il Medioevo raggiunge allora l'equilibrio tra ragione e fede, tra forme di ragione e forme di fede. Così si concretizza ciò che noi possiamo chiamare Occidente. Oggi tale equilibrio è la vera posta in gioco, anche per un agnostico come me. Le grandi menti del Medioevo dominano il nostro pensiero, anche se le scienze moderne hanno provocato una vera rivoluzione. Mi sento nato da qualche parte tra Bologna e Parigi, Santiago de Compostela e Roma tra il 1150 e il 1250. | << | < | > | >> |Pagina 137Rimane un paradosso. L'umanesimo si sviluppa, l'«urbanità» si accresce. Ma è anche l'epoca delle crociate, in Terrasanta o contro gli Albigesi...Temo che abbiamo a che fare con un fenomeno comune a tutte le civiltà: possiedono anche il rovescio delle loro qualità. Che cosa rappresenta il XX secolo se non il secolo delle gioventù, dell'espansione, dei progressi? Ma come contrappeso ecco guerre, totalitarismi, violenze e ingiustizie di una gravità proporzionale all'accrescimento delle nostre capacità. Non voglio con questo sminuire le ombre del Medioevo, tra cui le crociate certamente sono una delle più condannabili. La lunga durata storica oggi rivela il ruolo negativo delle crociate, così come i musulmani, spero, si renderanno conto del lato negativo del gihad e delle sue derive ingiustificate. Tuttavia, in parte le crociate si spiegano - senza giustificarle - con lo sforzo costante della Chiesa dalla fine dell'XI secolo... in favore della pace! Quando papa Urbano II riunisce il concilio di Clermont (1095) lo dice chiaramente: i cristiani di Occidente devono cessare le loro continue guerre interne. Mentre si andava costruendo il sistema delle signorie e dei feudi, mentre lo sviluppo del commercio amplificava il progresso demografico, un surplus di gioventù metteva a repentaglio l'equilibrio della cristianità. In una società regolata dal diritto di primogenitura, che fare di tutti questi cavalieri cadetti, privati delle terre dai loro fratelli maggiori e privati anche di mogli? Piuttosto che dare l'avvio a contese in Europa, si promette loro un patrimonio nella culla della cristianità. La loro vitalità, la loro violenza viene deviata contro l'abominevole musulmano, contro l'Infedele. Allora la Chiesa ultima la sua riflessione sulla «guerra giusta». Ecco un altro paradosso. Sviluppando una dottrina formulata da sant'Agostino, i teologi hanno in effetti tentato di pensare la guerra e di temperarla, in alcuni casi addirittura di giustificarla. La pace resta l'ideale cristiano. La guerra è una delle numerose conseguenze del peccato originale. Si giustifica, è «giusta», solo se viene dichiarata da una persona a cui Dio ha conferito l' auctoritas (l'autorità) e la potestas (il potere). Agostino precisava che l'«autorità» spettava al principe che deteneva il potere e non a un qualsiasi capoclan. La Chiesa dunque condanna tutte le forme di guerra che non sono decise e condotte da quelli che designeremmo come Stati, poteri pubblici. La Chiesa si riserva anche il diritto di legittimarli o condannarli, giacché è l' auctoritas suprema. Quando le monarchie si rafforzeranno, si rifaranno alla potestas per impedire le guerre tra signorie. In particolare san Luigi sarà intransigente con le guerre private. E durante la guerra dei Cent'anni i re di Francia non mancheranno di fare appello alla Chiesa affinché condanni i re d'Inghilterra, in nome della sua auctoritas. Il papato d'altra parte, pur proponendo il proprio arbitrato, rifiuta di pronunciarsi sulla questione del torto dei francesi o degli inglesi, partendo dal principio che ogni guerra non ufficializzata da Roma è sempre ingiusta, soprattutto quando vede contrapposti dei cristiani. In ultima analisi, il vero problema rimane quello dei criteri di cui dispone l' auctoritas. Come utilizzare l' auctoritas per decretare una guerra giusta? Sant'Agostino fornisce una risposta. Una guerra è giusta quando non è ispirata dalla voglia di nuocere, dalla crudeltà nella vendetta, dallo spirito implacabile, dal desiderio di dominio e altri atteggiamenti analoghi. Insomma, la Chiesa esclude la guerra di conquista, mentre ammette la guerra di difesa. Trattandosi delle crociate, bastava sostenere che l'aggressore era l'islam. La cristianità non pretendeva di conquistare la Terrasanta ma di riprendere un territorio di cui era stata spogliata. Le guerre giuste vendicano le ingiustizie, diceva sempre Agostino. L'attualità mostra che, su questo punto, la difficoltà è sempre la stessa: tutti coloro che vanno in guerra lo fanno in nome della loro concezione della giustizia. | << | < | > | >> |Pagina 140Volendo mantenere l'ordine e la purezza all'interno della cristianità, varie volte la Chiesa ha ribaltato le acquisizioni del suo umanesimo. Per estendere la pace all'interno ha portato la guerra all'esterno. Per arginare gli straripamenti ha identificato anticonformisti e stranieri da emarginare o escludere. Così prende forma un movimento di persecuzione (ben identificato da Robert Moore), intento a preservare da qualsiasi contaminazione una cristianità che si ritiene debba diventare ideale, perfetta, monda da ogni contaminazione.In questa prospettiva, nei secoli XV e XVI la Spagna proporrà la teoria della «purezza del sangue» che precorre ciò che nel XIX secolo diventerà il razzismo. Parallelamente, un movimento di conversioni forzate (ebrei, eretici) prepara gli eccessi missionari che dal XVI secolo accompagneranno il colonialismo. Abbiamo già visto come stessero le cose per gli eretici. Si potrebbe citare un comportamento sempre più aggressivo nei confronti degli omosessuali maschi, a cui viene riservata la qualifica infamante di sodomiti, colpevoli di un crimine contro natura. Ancora una volta si tratta di una logica paradossale. Infatti l'umanesimo medievale promuove una visione positiva della natura e della collocazione spettante all'uomo nella natura. Ma allo stesso tempo esclude tutto ciò che, nella sua prospettiva, sarebbe «antinaturale». I crimini «contro natura» entrano allora nella categoria dell'eresia, con conseguenze che sono ben note.
Da questo punto di vista è impossibile non menzionare l'atteggiamento verso
gli ebrei, anch'esso legato alla spinta delle crociate.
|