Copertina
Autore Ursula K. Le Guin
Titolo La mano sinistra delle tenebre
EdizioneNord, Milano, 1984, Cosmo 65 , pag. 272, dim. 125x193x23 mm
OriginaleThe left hand of darkness [1969]
TraduttoreUgo Malaguti
LettoreRenato di Stefano, 1986
Classe fantascienza
PrimaPagina


al sito dell'editore








 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Introduzione di Carlo Pagetti      Pag. I

    I Una parata a Erhenrang            1
   II Il luogo nella tormenta          19
  III Il re pazzo                      23
   IV Il diciannovesimo giorno         37
    V L'addomesticamento del presagio  41
   VI Una srada per Orgoreyn           63
  VII La questione del sesso           79
 VIII Un'altra strada per Orgoreyn     87
   IX Estraven il traditore           109
    X Conversazioni a Mishnory        115
   XI Soliliqui a Mishnory            131
  XII Del tempo e delle tenebre       143
 XIII Caduta nella fattoria           147
  XIV La fuga                         163
   XV Verso il ghiaccio               177
  XVI Tra Drumner e Dremegole         197
 XVII Un mito orgota della creazione  211
XVIII Sul ghiaccio                    213
  XIX Ritorno a casa                  233
   XX Una inutile impresa             253

Appendice: Calendario e ora Gethen    267

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 1

CAPITOLO PRIMO
UNA PARATA A ERHENRANG
     Dagli Archivi di Hain.  Trascrizione di
     Documento Ansible, 01-01101-934-2-Gethen:
     Allo Stabile di Ollul: Rapporto di
     Genly Ai, Primo Mobile su Gethen/Inverno,
     Ciclo Hainiano 93, Anno Ecumenico 1490/97.
Farò il mio rapporto come se narrassi una storia, perché mi è stato insegnato, sul mio mondo natale, quand'ero bambino, che la Verità è una questione d'immaginazione. Il più solido dei fatti può soccombere o prevalere, a seconda dello stile in cui è esposto: come quel bizzarro gioiello organico dei nostri mari, che si fa più brillante quando una donna lo indossa e, indossato da un'altra, sbiadisce, si fa opaco e diventa polvere. I fatti non sono più solidi, coerenti e rotondi, e reali, di quanto non lo siano le perle. Entrambi, però, sono sensibili.

La storia non è completamente mia, né sarò io solo a narrarla. In realtà, neppure sono sicuro di chi sia questa storia; voi potrete essere giudici migliori. Ma è tutt'una, e se in certi momenti i fatti parranno cambiare, con una voce cambiata, ebbene, allora voi potrete scegliere il fatto che più vi piace; eppure, nessuno di essi è falso, e si tratta di una sola storia.

Essa comincia nel quarantaquattresimo diurno dell'Anno 1491, che sul pianeta Inverno nella nazione Karhide era Odharhahad Tuwa, o il ventiduesimo giorno dei terzo mese di primavera dell'Anno Uno. Qui è sempre l'Anno Uno. Solo la datazione di ogni anno passato e futuro cambia, a ogni Giorno dell'Anno Nuovo, nel modo di contare indietro o avanti, rispetto all'unitario Ora. Così era primavera nell'Anno Uno a Erhenrang, capitale di Karhide, e la mia vita era in pericolo, e io non lo sapevo.

Mi trovavo in una parata. Camminavo subito dietro i gossiwor, e subito davanti al re. Pioveva.

Nubi gravide di pioggia sopra le torri nere, pioggia che cade nelle strade profonde, una nera città battuta dalla tempesta, una città di pietra attraverso la quale una vena d'oro si snoda lentamente. Primi vengono i mercanti, i potentati, e gli artigiani della Città di Erhenrang, fila dopo fila, stupendamente vestiti, e avanzano attraverso la pioggia a loro agio, come pesci nel mare. I loro volti sono intenti e calmi. Non marciano al passo. Questa è una parata senza soldati, neppure imitazioni di soldati.

Poi vengono i lord e i sindaci e i rappresentanti, una persona, o cinque, o quarantacinque, o quattrocento, da ciascun Dominio e Condominio di Karhide, una vasta processione ornata che si muove alla musica di corni di metallo e ceppi cavi d'osso e legno e alla melodia secca, pura dei flauti elettrici. Le diverse bandiere dei grandi Dominii si mescolano in una confusione di colori battuti dalla pioggia con le gialle bandiere che adornano la strada, e le diverse musiche di ciascun gruppo cozzano tra loro e si mescolano e s'intrecciano in molti ritmi echeggianti nella profonda strada di pietra.

Dopo questi, un corpo di giocolieri con lucide, levigate sfere d'oro che lanciano in alto in voli veloci, e prendono al volo, e lanciano di nuovo, da sole o in numero di cinque o sei, facendole ruotare intorno come fontane dorate di lucida abilità di giocolieri. E d'un tratto, come se esse avessero afferrato e trattenuto, letteralmente, la luce, le sfere d'oro risplendono vivide come cristallo: il sole fa capolino tra le nubi.

Dopo i giocolieri, quaranta uomini in giallo, suonatori di gossiwor. Il gossiwor, suonato solo alla presenza dei re, produce un ruggito oltraggioso, sconsolato. Quaranta gossiwor suonati insieme scuotono la ragione di chiunque, scuotono le torri di Erhenrang, scuotono le nubi ventose e fanno cadere un ultimo zampillo di pioggia. Se è questa la Musica Reale, non c'è da meravigliarsi se i re di Karhide sono tutti pazzi.

Dopo i gossiwor, la compagnia reale, guardie e funzionari e dignitari della città e della corte, deputati, senatori, cancellieri, ambasciatori, lord e pari del Regno, nessuno di loro al passo o in fila, ma tutti intenti a camminare con grande dignità; e tra loro c'è Re Argaven XV, tunica e camicia e pantaloni bianchi, con gambali di cuoio color zafferano e un copricapo giallo, a punta. Un anello d'oro al dito è il suo ornamento, e l'unico segno della sua carica. Dopo questo gruppo otto individui massicci portano la portantina reale, tempestata di zaffiri gialli, nella quale nessun re è più salito da secoli, un residuo cerimoniale del Passato Lontano. Ai lati della portantina marciano otto guardie armate di «fucili d'assalto», anch'essi residui di un passato più barbaro, ma non vuoti, essendo carichi di pallottole di ferro mortale. La morte cammina dietro il re. Dietro la morte vengono gli studenti delle Scuole Artigiane, dei Collegi, delle Professioni, e i Focolari del Re, lunghe file di bambini e di giovani in bianco e rosso e giallo e verde; e infine un certo numero di auto, quiete, lente, nere, che chiudono la parata.

La compagnia reale, dove sono anch'io, si raduna su una piattaforma di tronchi freschi, accanto all'incompiuto Arco della Porta del Fiume. L'occasione della parata è data dal completamento di quest'arcata, che completa la nuova Strada e Porto Fluviale di Erhenrang, una grandiosa opera di dragaggio e di costruzione e di viabilità che ha occupato cinque anni, e distinguerà il regno di Argaven XV negli annali di Karhide. Siamo passati, stretti e pigiati, sulla piattaforma, nei nostri abiti vistosi, pesanti e umidi. La pioggia è cessata, il sole brilla su di noi, lo splendido, radiante, traditore sole di Inverno. Osservo, rivolgendomi alla persona che si trova alla mia sinistra:

- Fa caldo. Fa davvero caldo.

La persona alla mia sinistra... un karhidiano tarchiato, bruno, dai capelli lunghi e diritti, che indossa un soprabito pesante, camicia bianca, e pantaloni pesanti, e una catena, al collo, di grossi anelli d'argento, ampi un palmo ciascuno... questa persona, sudando copiosamente, mi dice:

- Proprio così.

Tutt'intorno a noi, che stiamo pigiati sulla nostra piattaforma, si stendono i volti del popolo della città, volti rivolti all'insù, come un fondale di sassi bruni, rotondi, scintillanti di mica per i mille occhi curiosi.

E ora il re sale su una passerella di legno che conduce dalla piattaforma fin sopra la cima dell'arcata, i cui pilastri non ancora uniti torreggiano sopra folla e moli e fiume. Mentre egli sale, la folla si muove e dice in un grande mormorio: «Argaven». Il re non risponde e non reagisce. Nessuno si aspetta una risposta. I gossiwor lanciano una potente, tonante scarica di suono discordante, e poi tacciono. Silenzio. Il sole brilla su città, fiume, folla e re. I muratori, di sotto, hanno messo in funzione un argano elettrico, e mentre il re sale ancora la chiave di volta dell'arcata sale, accanto a lui, nella sua cinghia, è sollevata, sistemata, e adattata quasi senza rumore, benché sia un blocco pesante una tonnellata, nello spazio vuoto tra i due pilastri, facendone una cosa sola, una cosa unica, un'arcata. Un muratore con secchiello e cazzuola aspetta il sovrano, in cima all'impalcatura; tutti gli altri operai discendono per le scale di corda, come uno sciame di pulci. Il re e il muratore s'inginocchiano, in alto, tra il fiume e il sole, sulla loro porzione d'impalcatura. Prendendo la cazzuola, il re comincia a fissare con la calcina le lunghe giunture della chiave di volta. Non fa solo un gesto simbolico, per restituire subito la cazzuola al muratore, ma si mette al lavoro metodicamente. Il cemento che egli usa è di un colore rosato diverso dal resto della muratura, e dopo aver osservato per cinque o dieci minuti il lavoro dell'industrioso monarca io chiedo alla persona alla mia sinistra:

- Le vostre chiavi di volta sono sempre murate con cemento rosso? - Perché lo stesso colore appare intorno alle chiavi di volta di ciascuna arcata del Vecchio Ponte, che si protende orgoglioso e slanciato sul fiume, a monte rispetto alla nuova arcata.

Asciugandosi il sudore dalla fronte scura l'uomo... uomo, devo dire, avendo già detto lui ed egli... l'uomo risponde:

- Molto tempo fa una chiave di volta veniva sempre fissata con una calcina di ossa tritate miste a sangue. Ossa umane, sangue umano. Senza il vincolo del sangue l'arcata crollerebbe, vedete. Ai nostri giorni, usiamo il sangue degli animali.

Così lui parla spesso, franco eppure prudente, ironico, come se si rendesse conto in ogni momento che io vedo e giudico da alieno: una consapevolezza bizzarra in un membro di una razza così isolata, e un membro di così alto rango. Egli è uno di quegli uomini più potenti del paese; non sono sicuro dell'esatto equivalente storico della sua posizione, visir o primo ministro o consigliere; la parola Karhidi che lo definisce significa «l'Orecchio del Re». Egli è Lord di un Dominio e Lord del Regno, un uomo che muove grandi eventi. Il suo nome è Therem Harth rem ir Estraven.

Il re sembra aver concluso il suo lavoro di muratura, e io mi rallegro; ma attraversando la volta dell'arcata, sulla precaria tela di ragno dell'impalcatura, egli comincia a lavorare sull'altro lato della chiave di volta, che in fondo ha pur sempre due lati. Non serve a nulla essere impazienti, in Karhide. Non si tratta certo di un popolo flemmatico, però i karhidiani sono ostinati, sono pertinaci, finiscono di intonacare le giunzioni. Le folle sul Lungo Sess sono felici di osservare il lavoro del monarca, ma io mi annoio, e ho caldo. Prima d'ora non ho mai avuto caldo, su Inverno; non mi capiterà più, certo; eppure non riesco ad apprezzare l'evento. Sono abbigliato per l'Era Glaciale, e non per il pieno sole, indosso strati e strati di vestiti, fibre vegetali intrecciate, fibre artificiali, pelliccia, pelle, cuoio, un'armatura massiccia contro il freddo, dentro la quale ora sto cuocendo come un ravanello. Per distrarmi guardo le folle e gli altri componenti della parata raccolti intorno alla piattaforma, con le bandiere del loro Dominio e del loro Clan pendenti ímmobili e vivaci nella luce del sole, e pigramente domando a Estraven qual è quella bandiera e quell'altra e l'altra ancora. Lui conosce tutte le bandiere che gli indico, benché siano a centinaia, alcune di remoti dominii, focolari e tribù della frontiera delle Bufere di Pering e Kermlandia.

- Io sono di Kermlandia - mi dice, quando io esprimo ammirazione per il suo sapere. - Comunque, è il mio lavoro conoscere i Dominii. Essi sono Karhide. Governare questa terra è governare i suoi Lords. Non che questo sia mai stato fatto. Voi conoscete il detto, Karhide non è una nazione, ma una lite di famiglia?

Non lo conosco, e sospetto che sia stato Estraven a coniarlo; ha la sua impronta.

| << |  <  |