Copertina
Autore Aurelio Lepre
Titolo Storia della prima Repubblica
SottotitoloL'Italia dal 1942 al 1994
Edizioneil Mulino, Bologna, 1995 [1993], Biblioteca storica , pag. 380, dim. 150x215x23 mm , Isbn 978-88-15-04062-6
LettoreGiulia di Stefano, 1996
Classe storia contemporanea d'Italia , paesi: Italia
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


I.    Le premesse                        p.   7

II.   La Repubblica                          41

III.  Il 1948                                81

IV.   La guerra civile fredda               119

V.    La crescita economica                 157

VI.   Il centro-sinistra                    195

VII.  Il Sessantotto                        223

VIII. Gli anni della solidarietà democratica251

IX.   La crisi dell'egemonia della DC       289

X.    Il tramonto della prima Repubblica    315
                                            361
Bibliografia                                361

Indice dei nomi                             375


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 333

7. La crisi dei partiti

Essa aveva cause ideologiche, politiche ed economiche insieme. La costruzione di partiti di massa, nel dopoguerra, era stata una necessità. Ma essi avevano continuato a conservare le stesse, costose strutture organizzative, indispensabili nei primi decenni di vita della repubblica per mantenere una forte presenza sull'intero territorio nazionale, necessaria non solo a fare politica ma anche a fare conoscere programmi e posizioni, ma che avevano perso una parte rilevante della loro funzione originaria, ora che il dibattito politico avveniva anche, e spesso soprattutto, attraverso la televisione e che esisteva perciò la possibilità della trasformazione dei partiti di massa in partriti di opinione.

Negli ultimi due decenni erano avvenute altre importanti trasformazioni. In passato, il traguardo da raggiungere, per i politici non inseriti nell'attività di governo e anche per molti che lo erano, era stato esclusivamente di prestigio. Il tramonto delle ideologie e la sua sostituzione con un sistema di valori fondato essenzialmente sul denaro (sicché il prestigio doveva trasformarsi in denaro, per essere considerato tale) portò a un profondo e vasto inquinamento che colpì soprattutto i partiti di governo. In passato, la selezione al loro interno era avvenuta soprattutto sul fondamento di una cultura politica, che può essere anche considerata troppo partitica, ma che rappresentava comunque un vaglio efficace. Era sul suo fondamento che si effettuava la scelta dei gruppi dirigenti e dei funzionari: a essa si potevano muovere molte critiche, ma non si poteva negare che era, comunque, uno strumento utile per una selezione che avvenisse sulla base di capacità intellettuali. A partire daqli anni Ottanta, la cultura partitica tradizionale, come mezzo di affermazione, fu in gran parte sostituita dalla capacità di portare consensi o finanziamenti, nei casi peggiori senza badare al modo come essi erano ottenuti, e nei casi migliori senza badare se la ricerca del successo elettorale era coerente con i valori affermati in passato. All'interno dei partiti di opposizione la selezione continuava a essere effettuata sul fondamento della cultura partitica, che però si era venuta sempre più burocratizzando, con la trasformazione dell'attività politica da militanza in una professione, a cui sempre piu spesso si dedicava chi trovava difficile emergere in altri campi. Anche i partiti di opposizione apparivano a molti come canali di mobilità sociale che offrivano ampie possibilità di affermazione, soprattutto alla piccola borghesia intellettuale.

A questo sistema nel suo complesso si andò contrapponendo la cultura pre-politica delle leghe, in cui veniva celebrata la possibilità che l'uomo comune si trasformasse da governato in governante, senza, per questo, diventare un «politico». Il modello era rappresentato dallo stesso Umberto Bossi, il segretario della Lega Nord, così come amava raffigurarsi lui stesso: «uomo medio» tipico, con i difetti e le virtù dell'uomo medio. Il successo delle leghe era dovuto a molti fattori, interni e anche internazionali. In primo luogo, il voto per esse appariva come il solo utile per chi voleva protestare contro i partiti e contro i tentativi di riformarli solo in superficie, a opera degli stessi dirigenti che li avevano guidati fino ad allora. Ma il voto alle Leghe non era solo di protesta, per il disgusto di scoprire una corruzione che solo che vi era molto addentro poteva immaginare così vasta e diffusa.

C'erano, a sostenerlo, interessi economici che, fino a quel momento, erano passati in secondo piano di fronte a più urgenti interessi politici. Il sistema politico italiano si era retto su una serie di delicati equilibri, che per lungo tempo avevano trovato i loro contrappesi nella situazione internazionale. Il crollo dell'Est e l'arrivo del processo di unificazione europea a una svota decisiva sconvolsero questi equilibri. Venute meno le ragioni che avevano tenuto insieme il blocco di potere, le forze sociali ed economiche che lo avevano costituito ripresero la loro libertà di movimento. Non c'era più, a fondamento della loro alleanza, l'interesse comune di fronteggiare il pericolo rappresentato da un partito comunista che fino al 1989 aveva ottenuto i voti di oltre un quarto dell'elettorato. Una parte della borghesia del Nord cominciava a non scorgere più rilevanti vantaggi politici nell'alleanza con i politici del Sud e a vederne soprattutto gli svantaggi economici. L'assistenzialismo, che era stato una necessaria valvola di sfogo per evitare l'esplosione delle tensioni sociali e anche un mezzo per procurare voti al blocco dominante, appariva ora solo come un impedimento a un maggiore sviluppo economico. L'unione tra Nord e Sud cominciava a essere vista come un ostacolo a un più veloce ingresso in Europa. Le leghe davano voce anche alla protesta degli strati meno agiati, alla preoccupazione della minaccia al posto di lavoro che poteva essere portata dagli immigrati, alla volontà di mantenere le risorse nelle provincie e nelle regioni dove venivano prodotte.

 

| << |  <  |  >  | >> |

Riferimenti


Bibliografia

    Le più complete storie della prima repubblica sono
L'Italia contemporanea di Giuseppe Mammarella (Bologna, Il
Mulino, 1990), la Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi di
Paul Ginsborg (Torino, Einaudi, 1989), La repubblica dei
partiti di Pietro Scoppola (Bologna, Il Mulino, 1991) e la
Storia dell'Italia repubblicana di Silvio Lanaro (Venezia,
Marsilio, 1992).  Si tratta di opere molto diverse.
Mammarella predilige la narrazione delle vicende politiche e
istituzionali e il tempo della sua storia è scandito da
esse.  Ginsborg, invece, dà un forte rilievo alla storia
sociale.  Scoppola sottolinea soprattutto gli aspetti
ideologici e culturali.  Lanaro presta molta attenzione ai
mutamenti degli atteggiamenti mentali e di costume, così
come sono testimoniati soprattutto dal cinema e dalla
letteratura.  Beninteso, Scoppola non trascura gli aspetti
politici così come Ginsborg e Lanaro non sottovalutano
quelli economici e politici e Mammarella quelli economici:
la caratterizzazione che si è rilevata indica l'attenzione
prevalente, ma certamente non esclusiva, degli autori ad
alcuni aspetti della storia degli ultimi cinquant'anni.
È iniziata la pubblicazione di una monumentale Storia
dell'Italia repubblicana, a cura di F. Barbagallo, di cui è
apparso il primo volume: La costruzione della democrazia,
Torino, Einaudi, 1994. (Nei seguenti paragrafi si indicano
solo le opere da cui sono tratte citazioni, giudizi e dati
utilizzati nel testo.)

[...]
 

| << |  <  |