Autore Vincenzo Levizzani
Titolo Il libro delle nuvole
SottotitoloManuale pratico e teorico per leggere il cielo
Edizioneil Saggiatore, Milano, 2021, La Cultura 1474 , pag. 276, ill. 148 fig., cop.fle., dim. 14,4x21,6x2 cm , Isbn 978-88-428-2682-8
LettoreGiorgio Crepe, 2021
Classe fisica , natura , scienze naturali , scienze tecniche












 

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Indice


   Introduzione. L'uomo e le nuvole                    11

1. Nuvole e nubi                                       19

2. Non c'è una nube uguale all'altra                   31

3. Come si forma una nube                              73

   Le nubi e i fronti                                  76
   Le nubi, i laghi, i mari e le montagne              78
   Amarcord: la nebbia                                 82
   Sua maestà, la regina dei temporali                 86
   I temporali grandi, molto grandi                    94
   Mai provato a stare sotto un ciclone tropicale?     97
   «Uragani» nel Mediterraneo                         106
   Cicloni un po' più «normali»                       109
   Nubi quasi sconosciute ai più                      112

4. Viaggio tra le idrometeore                         115

   Le idrometeore                                     116
   L'aerosol e la condensazione                       117
   Le goccioline                                      124
   La temperatura si abbassa, ma quanto?              127
   I cristalli di ghiaccio, capolavori della natura   131
   Lo zoo del ghiaccio atmosferico                    135
   Grandina!                                          138

5. Piove... ma il governo non c'entra                 143

   Nubi calde: hanno acceso il termosifone?           144
   Brr, le nubi fredde                                146
   Non c'è solo la pioggia lassù                      152
   Ghiaccio, ancora ghiaccio, ma molto pericoloso     154
   La crescita della grandine                         156
   Da una nube piove e da un'altra no                 158
   Flash!                                             160
   C'è qualcosa di molto strano lassù                 164

6. Dentro le nubi                                     167

7. Meteorologia e nubi                                225

8. Clima che cambia, nubi che cambiano?               239

   Epilogo. Misurare il cielo                         255


   Piccolo glossario per cacciatori di nuvole         259
   Bibliografia                                       269
   Siti web                                           273
   Ringraziamenti                                     275


 

 

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Pagina 11

Introduzione

L'uomo e le nuvole


                                   I mattini trascorrono chiari e deserti
                                   sulle rive del fiume, che all'alba s'annebbia
                                   e incupisce il suo verde, in attesa del sole.
                                   [...] Le nuvole sparse
                                   hanno polpe mature.
                                                                  CESARE PAVESE,
                                     «Grappa a settembre», Lavorare stanca, 1943



Ci siamo mai accorti di vivere sotto una coltre di nuvole per buona parte della nostra vita? A volte ci facciamo caso e a volte no. Siamo infatti distratti da così tante cose che di rado la nostra attenzione è richiamata dalla pioggia o dalla neve che cadono sulle nostre teste o dalle forme e dai colori di certi cieli temporaleschi - a meno che questi non diventino un ostacolo ai nostri impegni, come spesso accade. Le nuvole, però, anche se non ci badiamo, sono sempre lì da qualche parte, ed è molto raro che il cielo sia completamente sereno. Chi vive sulla cima di una collina o di una montagna sa benissimo che questo è vero perché ha un osservatorio privilegiato, così come chi lavora in campagna è abituato a considerare le nuvole come compagne di vita. Forse la ragione per cui l'uomo moderno presta poca attenzione al cielo nuvoloso sta nel fatto che l'orizzonte è spesso troppo occupato da costruzioni ingombranti oppure trafitto dal continuo trillo dello smartphone che fa volgere inevitabilmente lo sguardo verso il basso. Le nuvole, però, sono sempre lì. Il loro spettacolo va costantemente in scena e il più delle volte è assai più interessante della banalità degli eventi che occupano costantemente gli schermi della nostra era iperconnessa.

Le nuvole sono una componente costante del cielo in tutte le stagioni, ma non devono essere considerate solo elementi scenografici, sono molto più di questo. Sono vere e proprie compagne di viaggio della nostra vita e la influenzano moltissimo con le loro manifestazioni. Un cielo grigio plumbeo, per esempio, è precursore di pioggia in arrivo, mentre nuvole bianche e che sembrano batuffoli di cotone idrofilo ci dicono che il tempo sarà bello e possiamo uscire in bicicletta. Le nuvole, insomma, non sono affatto estranee alla nostra esperienza quotidiana, e possono dirci molto su quello che succederà a breve.

È sorprendente come l'uomo della nostra civiltà moderna abbia perso interesse a guardare il cielo. Basterebbe alzare un attimo lo sguardo, invece ci ritroviamo a stupirci di quanto il nostro sia un pianeta nuvoloso solo quando guardiamo le foto che gli astronauti ci inviano dallo spazio o che i satelliti ci mettono a disposizione quotidianamente. Strano, vero?

Ciò che faremo in queste pagine sarà provare a recuperare una prossimità all'universo nuvoloso che abbiamo in parte perso nella nostra frenetica vita quotidiana, e la prima domanda che dobbiamo porci, alzando finalmente lo sguardo, è forse quella più scontata e che più ci interessa da vicino e condiziona la nostra vita, millenni fa come ora: dalle nuvole, dalla loro forma, dal loro colore, dalla loro organizzazione in cielo, dal fatto che siano più o meno trasparenti, alte, basse, spesse o sottili, insomma dalla loro struttura e dalle dimensioni possiamo ricavare informazioni di prima mano su come sarà il tempo a breve o addirittura a medio termine? La risposta a questa domanda è molto difficile da dare, ma non impossibile. I proverbi «meteorologici» hanno un loro fondamento che deriva dai millenni che l'uomo ha trascorso col naso all'insù cercando di ricavare previsioni del tempo dall'aspetto del cielo e dalle nuvole in particolare. Non sempre ci è riuscito perché alcuni proverbi peccano un po' di ingenuità, mentre altri risentono troppo di una realtà locale su cui influiscono la geografia e le credenze più o meno fondate. Comunque, i nostri padri e nonni avevano in buona parte ragione e sapevano il fatto loro quando guardavano il cielo.

Per quello che ci riguarda da vicino, sono rari i giorni della nostra vita in cui contempliamo un cielo senza una nuvola. Naturalmente la presenza di questa o quella nuvola dipende da dove viviamo, dalla stagione e anche dal nostro punto di osservazione. Comunque sia, con l'avvento dei satelliti, che tengono continuamente la Terra sotto osservazione dallo spazio, abbiamo scoperto che in ogni singolo istante l'atmosfera terrestre è coperta per un buon 70 per cento da formazioni nuvolose (Figura 1).

La Terra, che è normalmente definita il «pianeta blu» perché coperta per la maggior parte di oceani, può a buon diritto essere anche definita il «pianeta nuvoloso». Altri pianeti del Sistema solare presentano formazioni che possiamo definire «nuvolose», ma le nuvole di Giove, per esempio, sono costituite da idrogeno molecolare ed elio con tracce di metano, ammoniaca, acido solfidrico e altri elementi, una miscela tutt'altro che favorevole alla vita come la conosciamo sulla Terra. Le nuvole terrestri, invece, sono parte integrante del ciclo dell'acqua e sono quindi essenziali per la vita sul nostro pianeta, che è unico nel suo genere allo stato attuale delle nostre conoscenze.

La scienza ha sviluppato nel tempo uno sguardo sempre più raffinato sulle nubi e la loro struttura. La «fisica delle nubi» è parte integrante della fisica dell'atmosfera e della meteorologia in particolare. Essere un professionista che studia le nubi non significa, però, essere un poeta o un osservatore distratto del cielo, ma un attento osservatore di ogni più piccolo mutamento nell'aspetto del cielo per ricavarne una descrizione del tempo e capire le ragioni del suo cambiamento, lento o velocissimo che sia. Non c'è nulla di esoterico nel guardare le nubi con l'occhio di chi le ha studiate una vita intera, anzi. Paradossalmente, il fisico delle nubi è una persona con i piedi ben piantati per terra che cerca di rendersi conto con precisione di ciò che vede. Osservare le nuvole per spiegarne i segreti richiede infatti conoscenze di fisica, chimica e anche, a volte, di biologia perché le nuvole sono fenomeni compositi e incredibilmente complicati, difficilmente riproducibili in laboratorio e quindi, in buona sostanza, sfuggenti e impalpabili anche per uno scienziato. Non vi chiederò, ovviamente, di apprendere tutte queste conoscenze in una volta sola; vi fornirò invece d'ora in avanti tutti quegli strumenti di base che vi permetteranno, giorno dopo giorno, di riuscire finalmente a leggere il cielo. O almeno di provare a farlo; vi assicuro che varrebbe comunque la pena.

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Le nuvole e la necessità di prevedere il tempo sono, quindi, strettamente legate e il numero di proverbi della tradizione contadina sulle nuvole testimonia proprio questo desiderio di ricavare dall'aspetto del cielo una previsione sul futuro meteorologico.


    Rosso di sera, bel tempo si spera.

    Cielo a pecorelle, pioggia a catinelle.

    Arcobaleno porta il sereno.

    Nuvola di montagna non bagna la campagna.

    Stellato cielo, mattinata di gelo.

    Se tuona e tira vento, serra l'uscio e resta dentro.



Sono alcuni esempi delle decine di detti popolari che ci sono stati tramandati dalle nostre nonne e che vengono da una saggezza contadina molto attaccata alla necessità di comprendere l'influenza del cielo sulle colture, sui viaggi e, a volte, sulla sopravvivenza stessa delle famiglie. Talvolta poi le nuvole sono utilizzate come metafora di ciò che ci succede nella vita. Un esempio è il classico detto anglosassone storm in a teacup che tradotto in italiano suona come «tempesta in un bicchier d'acqua» e sta a significare «tanto rumore per nulla».

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2. Non c'è una nube uguale all'altra


                                    In principio tutto era vivo. Anche i più
                                    piccoli oggetti erano dotati di un cuore
                                    pulsante, e perfino le nuvole avevano un
                                    nome.

                                           PAUL AUSTER, Notizie dall'interno



La prima cosa da fare, per iniziare a interrogare le nubi, è provare a classificarle. Classificare le nubi. Non suona anche a voi un po' bizzarro? Come è possibile riconoscere una nube il cui aspetto muta in continuazione a seconda dei capricci del vento e dell'illuminazione solare? È difficile, in effetti, ma non impossibile. Partiamo dalle basi.

Classificare significa «dividere in classi, assegnare (piante, animali, minerali, libri ecc.) a una determinata classe». Questo significato etimologico ci riporta alle classificazioni di Carl Nilsson Linnaeus (più comunemente Linneo), medico, botanico, naturalista e accademico svedese, che fu l'iniziatore della moderna classificazione scientifica dei componenti del sistema naturale. Linneo introdusse nel 1735 la nomenclatura binomiale basata su genere prossimo e differenza specifica per piante, animali e minerali (Figura 6).

[...]

Inoltre, dobbiamo considerare, come vedremo più avanti in questo libro, che le nubi sono soggette a un'evoluzione temporale in genere molto rapida e, di conseguenza, cambiano aspetto in modo anche molto netto. Quindi, come è possibile classificarle tenendo conto dei continui mutamenti a cui sono sottoposte?

La prima risposta a questa domanda arrivò circa settant'anni dopo la classificazione di Linneo, in Inghilterra, per opera del chimico, farmacista e meteorologo quacchero Luke Howard , che viene considerato il padre della nefologia, cioè dello studio delle nubi. Howard era un naturalista nel senso linneano del termine, un osservatore attento della natura con l'obiettivo di sistematizzarla in un insieme di regole e principi che permettessero di descriverla e capirne l'intimo funzionamento. Le osservazioni di Howard diedero origine al saggio Essay on the Modification of Clouds presentato nel 1802 alla Askesian Society e poi pubblicato come saggio nel 1803.

Le novità fondamentali apportate da Howard con la sua classificazione furono due: l'introduzione della nomenclatura latina «alla Linneo», per assicurare una comprensione dei concetti più diffusa possibile nel mondo, e l'approccio cartesiano dello studio. Questo approccio riconosce alle nubi per la prima volta una specifica natura fisica di soggetti naturali che devono obbedire alle stesse leggi fisiche che regolano qualsiasi elemento della natura. A noi che viviamo due secoli più tardi tutto ciò sembra assolutamente ovvio, ma non lo era affatto ai tempi di Howard, quando le nubi erano ancora viste come romantiche forme eteree nel cielo, slegate dalla fisica e dalla chimica. Naturalmente Howard si basò sul lavoro fatto da molti altri osservatori della natura a lui precedenti, quali il granduca di Toscana Ferdinando II de' Medici, entusiasta sperimentatore nella Firenze di Galileo, e Carl Philipp Theodor duca di Baviera, fondatore nel Settecento della Societas Meteorologica Palatina, considerata la prima società meteorologica internazionale e collegata all'Accademia delle Scienze di Mannheim.

La classificazione di Howard prevedeva tre «modificazioni» di base delle nubi:

- semplici - Cirrus, Cumulus, Stratus;

- intermedie - Cirro-cumulus, Cirro-stratus;

- complesse - Cumulo-stratus, Cumulo-cirro-stratus (Nimbus).

Su queste tipologie base Howard innestò poi una descrizione delle forme più complesse originate dalla loro unione. Il saggio del 1802 è corredato da una nutrita serie di disegni e acquerelli secondo il gusto romantico dell'epoca. Quei dipinti, però, facevano un passo avanti rispetto alle classiche raffigurazioni del cielo e delle nubi, perché ne mostravano anche il processo di formazione e gli stadi di evoluzione, il tutto accompagnato da didascalie sullo stato del vento e della temperatura.

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Facciamo ora un piccolo passo indietro. Prima di occuparci in maniera specifica della classificazione delle nubi, è necessario avere un'idea precisa del posto che occupano nell'atmosfera terrestre. In generale si pensa che esse siano fenomeni che occupano buona parte dell'atmosfera fino ai suoi strati più alti. Invece le nubi di interesse meteorologico sono tutte confinate in un sottile strato che si trova al di sotto dei 20 km di quota (Figura 7); sono queste le nubi che vediamo ogni giorno e che caratterizzano i nostri cieli a tutte le latitudini. Consideriamo, quindi, che tutte le nubi che osserviamo normalmente sono nubi relativamente «basse» se le rapportiamo allo spessore totale dell'atmosfera della Terra, che è di circa 300 km. Al di sopra dei 20 km di quota, però, il cielo non è privo di nubi: a queste altezze si formano le nubi stratosferiche e mesosferiche polari che non appartengono al ciclo dell'acqua e di cui parleremo più avanti. Le avete mai viste? Immagino di no, a meno che non abbiate fatto viaggi a latitudini abbastanza alte, diciamo nei paesi scandinavi o comunque ben più a nord del centro Europa.

Lo strato di atmosfera più vicino alla superficie terrestre in cui troviamo le nubi è denominato troposfera (dal greco tropos, «mutazione», «cambiamento») e contiene il 75 per cento di tutta la massa gassosa dell'atmosfera terrestre, come è testimoniato dalla rapida diminuzione della pressione con la quota nei primi strati. Inoltre, quasi tutto il vapore acqueo è confinato proprio in questo strato e ben poco al di sopra di esso. Il ciclo dell'acqua a cui le nubi appartengono e tutti i principali processi fisici e chimici che permettono l'esistenza della vita sulla Terra avvengono quindi in un sottile strato protetto dalle perniciose radiazioni provenienti dal cosmo da tutta l'atmosfera sovrastante, in particolare dallo strato di molecole di ozono che ci proteggono dai raggi ultravioletti di origine solare. La struttura termica dell'atmosfera è poi caratterizzata da diminuzioni e aumenti molto sensibili di temperatura (inversioni), che la suddividono in strati sempre meno densi man mano che ci allontaniamo dalla superficie terrestre.

La classificazione moderna continua a basarsi sui nomi latini riferiti a genere e specie, a cui si aggiungono di volta in volta varietà e caratteristiche supplementari e accessorie (Tabella 1). Di solito le nubi vengono riconosciute soprattutto per il loro genere e raramente la specie viene utilizzata nella prassi meteorologica, mentre più usati sono i nomi delle caratteristiche supplementari e accessorie, perché identificano tipologie particolari assai peculiari.

Le nubi sono classificate secondo due caratteristiche principali che ne definiscono l'aspetto generale: la quota a cui si trovano e il loro spessore e formazione. In Figura 8 sono mostrati i generi delle nubi, cioè i gruppi principali a cui appartengono tutte le nubi osservate situate alla loro quota di riferimento. Come si vede, le nubi si trovano a quote diverse, hanno aspetto, forma e spessore assai diversi e possono essere precipitanti o no.

Passiamo in rassegna questi generi di nubi che possiamo tutti vedere in qualche momento della nostra vita, specialmente se prestiamo attenzione e se abbiamo cura di scegliere un opportuno punto di osservazione in cui la vista non sia impedita dai palazzi delle nostre città o da colline e montagne che nascondono soprattutto le nubi più basse. Le osserveremo come le guarderebbe un pittore paesaggista seduto di fronte a un cavalletto intento a catturarne i minimi dettagli su una tela con i colori a olio. Cercheremo di rappresentare forma, colore, altezza, trasparenza, sviluppo verticale e orizzontale delle nubi - insomma, il loro aspetto quando le guardiamo.

Anzitutto, al di là della classificazione ufficiale Wmo di cui parleremo di seguito, le nubi si possono suddividere in due tipologie principali:

- stratiformi, nubi di aspetto stratificato per cui prevale la distribuzione orizzontale rispetto a quella verticale; si formano in generale per salita dell'aria calda su grandi distanze e in maniera relativamente lenta.

- convettive, nubi per le quali prevale la dimensione verticale rispetto a quella orizzontale e che sono in generale prodotte dalla salita dell'aria calda per moti convettivi dovuti al riscaldamento solare.

La Figura 9 mostra i generi delle nubi secondo la classificazione in vigore della Wmo, cioè le dieci tipologie principali con i rispettivi codici di due lettere che vengono utilizzati dai meteorologi per disegnare le carte del tempo. Può sembrare che sia un modo molto freddo e asettico di descrivere le nubi, così variabili ed eteree, ma non è così. La classificazione permette infatti di riconoscerle in tutte le loro manifestazioni che variano parecchio a seconda della luce, del tempo meteorologico e della località in cui ci troviamo a compiere le nostre osservazioni. In base a questo primo livello di classificazione è possibile identificare tutte le nubi che vediamo. La prima cosa che notiamo nell'attribuzione dei nomi alle nubi (Tabella 1) è la radice del nome. Ecco il significato di ogni radice:

- Cirro- dal latino «ricciolo» (detto dei capelli in particolare), nubi alte;

- Alto- nubi a quota media;

- Strato- nubi stratificate, nubi medio-basse;

- Nimbo- nome latino della nube temporalesca, nube bassa associata a precipitazione;

- Cumulo- nube a sviluppo cumuliforme verticale, nube di bassa quota.

La quota a cui si trovano in generale le varie nubi (Figura 8) è fondamentale per la loro identificazione in specie, e per farlo si utilizzano tre diversi intervalli di quota: alta, media e bassa.

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Abbandoniamo per il momento le nubi precipitanti per occuparci di una caratteristica che venne proposta nel 2009, ma che è stata introdotta solo nel 2017 nel Wmo International Cloud Atlas. Stiamo parlando di nubi molto scenografiche e di grande impatto visuale, le Asperitas. Con questo nome indichiamo un aspetto particolare che la parte inferiore della nube assume a causa di onde atmosferiche sovrapposte alla nube stessa: può essere sia liscio sia marezzato da strutture più piccole - sembra di osservare la superficie del mare da sotto il pelo dell'acqua. Queste particolari strutture caratterizzano soprattutto le nubi di genere Stratocumulus e Altocumulus. Un esempio di queste ultime è mostrato in Figura 15.

Se poi siamo a caccia di formazioni nuvolose veramente peculiari e all'apparenza inusuali, eccoci a esplorare il cielo per trovarvi le strutture fluctus (Figura 16). Si tratta di formazioni provocate da onde atmosferiche dalla vita in generale breve che compaiono di solito alla sommità di alcune nubi (Cirrus, Altocumulus, Stratocumulus, Stratus e Cumulus) sotto forma di riccioli o onde che si frangono. Non vi preoccupate: sono solo le cosiddette onde di Kelvin-Helmholtz, dai nomi dei due fisici dell'Ottocento che per primi le studiarono, William Thomson Lord Kelvin e Hermann L.F. von Helmholtz. Sono nubi perfettamente naturali il cui aspetto «riccioluto» è provocato dallo scorrimento uno sull'altro di due strati atmosferici a diversa densità.

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Avete mai visto una nube con un buco nel mezzo? No, non sono impazzito, ma sto parlando di un'altra caratteristica supplementare che fa gridare di paura qualcuno pensando a un atterraggio di un disco volante. Si tratta della struttura cavum che si può presentare nelle nubi Altocumulus e Cirrocumulus. La si vede come un vero e proprio «buco» di forma in genere circolare in uno strato di goccioline sovraraffreddate, cioè che si trovano allo stato liquido anche se a temperature sottozero (vedremo più avanti come ciò sia possibile). Sono accompagnate da virga di cristalli di ghiaccio che cadono dalla parte centrale della cavità, la quale diventa sempre più ampia col trascorrere del tempo. La loro causa è in generale il passaggio di un aereo attraverso lo strato nuvoloso che induce il ghiacciamento istantaneo delle goccioline in sospensione provocandone la caduta. Ciò succede spesso nelle fasi di decollo e atterraggio, ed è per questo che le nubi con cavum si osservano con più frequenza in prossimità degli aeroporti. Due esempi sono mostrati in Figura 18.

[...]

La natura, si sa, gioca poi veri e propri scherzi. Esistono nubi che si sviluppano verso il basso. Assurdo? Non proprio. Ecco le mamma che sono, come indicato dal nome latino che significa letteralmente «mammelle», protuberanze alla base soprattutto delle nubi Cumulonimbus, ma anche Cirrus, Cirrocumulus, Altocumulus, Altostratus e Stratocumulus. Sono dovute alla presenza nelle nubi di cristalli di ghiaccio di grandi dimensioni che cadono dalla nube trascinati dal proprio peso. Questi cristalli incontrano aria molto secca al di sotto della nube che induce l'evaporazione dei cristalli (sublimazione, cioè passaggio dell'acqua dallo stato solido a quello di vapore senza passare per lo stato liquido). L'aria secca circonda ogni singola protuberanza e la sublimazione avviene in maniera omogenea sulla superficie esterna delle mamma dando loro un aspetto tondeggiante. La Figura 20 mostra alcuni esempi di mamma che si osservano spesso alla luce radente del tramonto, dando vita a scenografie che nessun artista riuscirebbe a riprodurre. Nel caso delle nubi temporalesche, le mamma sono un chiaro indice di temporale ormai in fase di dissolvimento perché «pendono» al di sotto dell' incus che compare appunto nella fase finale del temporale.

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Abbandoniamo ora le nubi come le conosciamo tutti, e cioè gli agglomerati di goccioline, cristalli, fiocchi di neve, chicchi di grandine e così via. Le nubi infatti non sono sempre composte di acqua: quelle presenti nella troposfera terrestre, cioè quelle che si sviluppano a quote al di sotto dei 20 km, lo sono certamente, ma esistono due tipologie di nubi non acquose che si formano ad alta e altissima quota.

Le nubi stratosferiche polari (Psc, polar stratospheric cloud), la prima tipologia, si dividono in due varianti principali. Le nubi di ghiaccio che si formano a temperature al di sotto di -85 °C tra 15 e 25 km di quota sono chiamate anche nacreous cloud o mother of pearl cloud dal caratteristico aspetto perlaceo.

I colori iridescenti molto brillanti (Figura 36) sono dovuti alla diffrazione e all'interferenza della luce e suggeriscono che queste nubi sono formate da cristalli di ghiaccio sferici del diametro di circa 10 micron (1 micron corrisponde a 1 milionesimo di metro). Purtroppo non possiamo ammirarle in Italia perché queste nubi sono per lo più comuni in Antartide, Scozia, Scandinavia, Alaska, Canada e nel Nord della Federazione Russa. Una variante di Psc sono le nubi formate da acqua e acido nitrico che si formano a temperature al di sotto di circa -78 °C; si originano a latitudini elevate e in inverno o in prossimità di esso. Si vedono preferibilmente prima del sorgere del sole o appena dopo il tramonto, al crepuscolo, quando il sole si trova circa tra 1° e 6° al di sotto dell'orizzonte.

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5. Piove... ma il governo non c'entra


                                Odore buono del cielo
                                sull'erbe,
                                pioggia di prima sera.

                                                            SALVATORE QUASIMODO,
                                «Preghiera alla pioggia», Ed è subito sera, 1942



Piove, nevica, grandina: molta acqua liquida e solida esce dalle nubi e ci cade sulla testa. Si va dalla pioggerellina leggera, anzi le minutissime goccioline che ti bagnano appena la faccia (drizzie o mist), agli acquazzoni che non si curano dell'ombrello che tentiamo di usare come un'arma spuntata. Gli anglosassoni dicono «it rains cats and dogs» per significare che piove oltre ogni limite, mentre noi diciamo nella tradizione popolare «piove come Dio la manda». Insomma, tutte le nubi producono pioggia o precipitazione in generale? Da quello che abbiamo visto sembra proprio di no, ma allora quali nubi producono pioggia, quali neve e quali grandine? Proviamo ad applicare quanto abbiamo imparato nel capitolo precedente all'esplorazione da vicino delle nubi precipitanti. Scopriremo che le precipitazioni si formano in modo diverso ai Tropici rispetto alle medie latitudini, che ci sono grosse differenze tra le precipitazioni invernali e quelle estive, che i temporali seguono regole tutte loro e tante altre cose che spesso fanno parte della nostra esperienza quotidiana, ma sulle quali forse non ci siamo mai fatti le domande giuste.

Quando piove è chiaro che la nube sopra di noi ha sviluppato idrometeore sufficientemente grandi e pesanti per essere precipitanti - la precipitazione in una parola. Ciò significa che non bastano le goccioline e i cristalli di ghiaccio che abbiamo conosciuto finora. Servono delle gocce molto più grandi oppure idrometeore ghiacciate che abbiano dimensioni sufficienti per cadere al suolo sotto forma della precipitazione che conosciamo. I processi di formazione delle idrometeore precipitanti sono sostanzialmente due e si riferiscono a nubi calde da una parte e a nubi fredde o miste dall'altra. Ricordate il capitolo precedente? Nubi calde e nubi fredde, che concetto strano. Lo è se lo prendiamo nel significato che normalmente attribuiamo a caldo e freddo, ma nelle nubi il significato è alquanto diverso. Nube calda è una nube che si trova quasi interamente a una quota inferiore al livello dello zero termico ed è quindi costituita prevalentemente da acqua liquida. Una nube fredda, invece, ha già superato il livello dello zero termico e contiene in prevalenza ghiaccio, ma può anche contenere acqua liquida (sopraffusa) e allora si identifica come nube mista. Queste sono per il momento solo parole e definizioni, ma ora vediamo cosa significano nella produzione della precipitazione che ci cade sulla testa.

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Da una nube piove e da un'altra no


Sappiamo a questo punto quali tipi di precipitazione ci possiamo attendere, ma non abbiamo ancora detto quali sono le nubi che in generale la producono. La prima cosa da sapere è che la maggior parte della precipitazione viene da due generi di nubi: i Nimbostratus e i Cumulonimbus. Il prefisso o il suffisso nimbus, infatti, sta a indicare la propensione di queste nubi a produrre precipitazione. Il loro aspetto è generalmente quello di nubi scure e torreggianti nel caso dei Cumulonimbus temporaleschi, mentre i Nimbostratus hanno un aspetto compatto e incombente che copre tutto il cielo. Tuttavia anche altre nubi possono generare precipitazione in maniera occasionale. Uno specchietto riassuntivo con le indicazioni generali delle nubi precipitanti è mostrato in Tabella 2.

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Flash!


Non possiamo non concludere questa carrellata su ciò che esce dalle nubi senza includere un aspetto fondamentale delle nubi temporalesche, quello che forse ci spaventa di più, ma che è anche assolutamente necessario: il fulmine. Innanzitutto cominciamo col chiarire che la distinzione fatta normalmente tra «fulmine» e «lampo» è artificiosa, perché sono esattamente la stessa cosa. Il lampo è semplicemente il fulmine che non colpisce il suolo, ma un'altra nube nelle vicinanze. Vediamo soltanto la manifestazione luminosa, ma non ne subiamo le conseguenze, tutto qua. In linguaggio scientifico parliamo quindi di cloud-to-ground (Ctg) e di intra-cloud (Ic) lightning.

I fulmini sono una manifestazione molto frequente dei temporali e sono cruciali per ristabilire l'equilibrio della carica elettrica nell'atmosfera terrestre. Si, proprio così. Infatti, l'atmosfera terrestre è oggetto di un continuo afflusso di cariche positive che provengono dallo spazio e che annullerebbero la carica mediamente negativa della superficie terrestre riducendo il sistema a carica zero nel giro di 5-6 minuti. Il sistema-Terra sarebbe quindi un sistema senza carica elettrica e ciò comporterebbe effetti tutt'altro che positivi: per esempio le comunicazioni sarebbero impossibili perché le onde radio non verrebbero riflesse dalla ionosfera e sarebbe impossibile farle viaggiare per lunghe distanze. Il fulmine trasporta invece moltissima carica elettrica e il sistema viene riequilibrato rapidamente. Consideriamo che cadono mediamente circa 250 fulmini al secondo su tutta la superficie terrestre, di cui il 20 per cento (50) sono Ctg. Questo continuo input di fulmini permette di mantenere in equilibrio il sistema.

Cosa succede in una nube per indurre la scarica del fulmine? Deve esistere un meccanismo che carichi la nube fino a che essa raggiunga il cosiddetto potenziale ionizzante, cioè il potenziale elettrostatico che consente la ionizzazione dell'aria circostante e la partenza della scarica.

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C'è qualcosa di molto strano lassù


Esistono poi alcuni fenomeni di natura elettromagnetica che si sviluppano in atmosfera e che noi non possiamo vedere dal suolo. Se pensiamo che i fulmini siano fenomeni spaventosi, allora non abbiamo visto ancora nulla. Stiamo parlando di fenomeni di portata incredibile che raggiungono quote elevatissime (Figura 96).

I blue jet si originano nel momento in cui un raggio cosmico collide con le molecole d'aria al di sopra di un temporale. La collisione produce una pioggia di elettroni veloci; il campo elettrostatico che punta verso l'alto al di sopra della nube può ulteriormente accelerare gli elettroni fino a energie alle quali si ottiene emissione di luce blu. I jet normalmente si vedono sotto forma di stretti coni di luce della durata da 100 microsecondi (1 microsecondo corrisponde a 1 milionesimo di secondo) a 1 millisecondo al di sotto dei 40 km di quota, ma possono raggiungere anche altezza molto maggiori (gigantic blue jet).

I red sprite hanno probabilmente luogo quando una scarica di potenza inusitata di un fulmine sottrae tutta la carica negativa dalla sommità di una nube temporalesca. Un intenso campo elettrostatico viene creato tra la sommità della nube e la ionosfera. A causa della bassissima densità dell'atmosfera a queste quote, gli elettroni vengono accelerati e raggiungono la velocità necessaria per trasferire la loro energia alle molecole che passano a uno stato eccitato e rilasciano energia sotto forma di emissione nel rosso. La loro altezza è tra 50 e 90 km e la durata varia da 1 a 10 millisecondi. A volte si palesa un alone al di sopra dello sprite del diametro di 50 km, spesso circa 10 km e centrato intorno a 70 km di quota. Altro fenomeno associato agli sprite sono i troll che appaiono quando i tentacoli di un vigoroso sprite si estendono fin verso la sommità della nube.

A jet e sprite si accompagnano gli elfi, che appaiono ad altissima quota (intorno ai 100 km) come anelli luminosi che si espandono fino a 400 km di diametro, della durata di circa 1 millisecondo e che sono generati dall'eccitazione delle molecole di azoto da parte di elettroni veloci.

Terminiamo questo «bestiario» con i terrestrial gamma ray flash (Tgf) che sono esplosioni di raggi gamma ad alta energia tra 20 e 50 km di quota, provocate dai potenti campi elettrici generati da grandi temporali in cui gli elettroni viaggiano a velocità molto vicina a quella della luce con produzione di antimateria nella forma di positroni molto energetici.

Insomma, al di là dei dettagli, l'atmosfera è uno zoo elettromagnetico di cui ancora non conosciamo tutte le specie. Altro che i buoni vecchi fulmini e saette!

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Siamo giunti alla fine del nostro viaggio all'interno delle nubi e abbiamo visto cosa l'uomo si è inventato nel tempo per capire i meccanismi fisici e chimici che stanno alla base della loro formazione ed evoluzione. In realtà, il sistema è assai più complesso e per brevità descrittiva non abbiamo parlato di molti altri sistemi osservativi che operano a fianco di quelli che abbiamo esaminato. La Figura 135 ci dà un'idea della fitta rete osservativa che va dai satelliti geostazionari che volano a 36000 km di quota fino ai telefoni cellulari dei volontari (citizen science) che partecipano allo sforzo coordinato globale di misura. Queste osservazioni sono cruciali per fornire dati in ingresso ai modelli di previsione meteorologica e ai modelli del clima per meglio capire il tempo e i cambiamenti climatici che verranno. Sarà ciò di cui ci occuperemo nei prossimi due capitoli.

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Finora, però, abbiamo parlato di inseminare le nubi e queste procedure hanno a che fare con la modifica del tempo, ma non con l'adozione di misure contro i cambiamenti climatici. Naturalmente l'uomo ha pensato anche a questa esigenza di più lungo termine e largo respiro, e ha dato avvio a una nuova avventura tecnologica, quella della geoingegneria. Le idee sono tante e di svariatissima natura, come per esempio creare colture che riflettano la luce o resistano alla siccità, dipingere di bianco terreni e edifici o lanciare trilioni di specchi nello spazio per riflettere la luce del sole, aggiungere ferro o azoto agli oceani per promuovere lo stoccaggio del carbonio da parte del fitoplancton. È facile comprendere come alcune di queste idee siano di difficile attuazione pratica, sia per ragioni tecniche sia per una questione di costi. Per quanto riguarda la geoingegneria che coinvolge le nubi, la proposta forse più suggestiva è quella di Stephen H. Salter, un professore emerito dell'Università di Edimburgo che facendo tutt'altra cosa negli anni settanta notò che le scie lasciate dai comignoli delle navi erano parecchio persistenti e in generale più brillanti delle nubi circostanti (Figura 146). Le particelle inquinanti di aerosol emesse dalle navi introducono nuclei di condensazione di dimensioni ridotte.

Questi ultimi producono gocciolii di piccole dimensioni che più sono piccole più sono riflettenti. Nel 1990 il fisico John Latharn dell'Università di Manchester propose di utilizzare particelle naturali come il sale marino per fare la stessa cosa, cioè «sbiancare» le nubi. Quindi contattò Salter perché gli serviva un ingegnere per progettare il meccanismo di vaporizzazione, e Salter, dopo avere considerato parecchi aspetti di grande difficoltà, progettò un aliscafo senza pilota controllato da un computer e alimentato dal vento (Figura 147), che pompa direttamente nelle nubi una nebbiolina ultrafine di sale marino ricavato dall'acqua di mare sottostante.

Salter calcolò che vaporizzare acqua di mare al ritmo di 10 m^3 al secondo potrebbe contrastare tutto il riscaldamento globale verificatosi fino a ora, a un costo che si aggira tra i 100 e i 200 milioni di dollari all'anno. Con una flotta di 300 aliscafi di questo genere il progettista calcolò che si potrebbe ridurre la temperatura globale di 1,5 °C. Salter, inoltre, sostiene che flotte più piccole potrebbero essere varate per contrastare eventi meteorologici molto intensi a livello locale. Il progetto, inutile dirlo, è assai controverso, ma non privo delle necessarie caratteristiche di plausibilità scientifica e attuabilità tecnologica. Un aspetto positivo è che non impatterebbe più di tanto sull'ambiente perché userebbe soltanto sale marino. La sua implementazione richiederebbe probabilmente un tempo dell'ordine del decennio, ma non se ne è ancora fatto nulla a causa del dibattito in corso soprattutto sulle quantità di particelle da utilizzare in rapporto ai gradi di temperatura da abbassare.

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Epilogo

Misurare il cielo


                                                 Ma cosa faranno mai le formiche
                                                 nei giorni di pioggia?

                                                                HARUKI MURAKAMI,
                                                                  Norwegian wood



Mentre le formiche di Haruki Murakami hanno ben poche alternative allo stare rintanate attendendo che passi la pioggia, l'uomo ne ha molte. Quella più importante e, a volte, anche la più sottovalutata è fare ciò che fa l'uomo che misura le nuvole dell'opera di Jan Fabre (Figura 148). La scultura dell'originale artista belga sembra una provocazione, se si considera il sottotitolo dell'opera, cioè «Monumento alla misura del non misurabile», ma non è così, pensandoci bene.

Dall'alba della storia l'uomo ha cercato di capire le nubi che si affollano nel cielo per subire sempre meno le conseguenze del tempo perturbato o, almeno, per prevederlo in modo da ripararsi. Per fare ciò, però, ha dovuto prima di tutto capire come si formano le nubi e sta continuando a farlo. Occorre alzare gli occhi al cielo o guardare le nubi dallo spazio per capirne l'evoluzione e le loro manifestazioni meteo-climatiche che ancora non abbiamo del tutto afferrato. Ancora più importante è l'interpretazione dei segnali di cambiamento che le nubi ci stanno lanciando, ma che noi non comprendiamo del tutto.

Sembrerebbe un compito di enorme difficoltà visto il carattere evanescente, mutevole e sfuggente delle nubi. È difficile, infatti, trovare in natura qualcosa di più complesso da schematizzare, ma capirne sempre meglio i processi di formazione, evoluzione e dissipazione è essenziale per il nostro futuro di esseri umani su questo pianeta nuvoloso e per proteggere tutti gli esseri viventi da cambiamenti che potrebbero rivelarsi devastanti. Se vogliamo mantenere integra questa nostra casa comune, dobbiamo capire anche come funzionano le nubi.

Spero che questo libro abbia solleticato interesse al riguardo, e che ora possiate guardare le nubi come fedeli compagne di viaggio e di vita di tutti i giorni, anche quando il cielo è libero dalla loro presenza. Aspettate e vedrete, fra poco tornano...

In ogni caso potrete sempre dire, se presterete attenzione ai cambiamenti del più comune cielo, che «il mio paese è là dove passano le nuvole più belle» (Jules Renard, Journal, 1887-1919).

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Piccolo glossario per cacciatori di nuvole


                                        Alcune persone sentono la pioggia mentre
                                        altre semplicemente si bagnano.

                                                                 ROGER D. MILLER



acqua sopraffusa Acqua che si trova in nube allo stato liquido a temperature inferiori a O °C. Molto frequente nei temporali, ne è stata documentata l'esistenza fino a -38,5 °C.

aerosol atmosferico Particelle o corpuscoli in sospensione in atmosfera di origine naturale o antropica.

aggregato Insieme di cristalli di ghiaccio che si uniscono a seguito di collisione e che formano un fiocco di neve.

blue jet Fenomeno elettrico-luminoso di brevissima durata caratterizzato da una forma a cono rovesciato di colore blu. Si verifica nella stratosfera tra 20 e 50 km al di sopra dei temporali.

blue starter Detto anche blue streamer. Fenomeno luminoso in moto verso l'alto e collegato ai blue jet, ma più breve e più luminoso di questi ultimi e che raggiunge una quota di 20 km.

breakup Rottura delle grandi gocce per effetto dell'instabilità meccanica.

ciclone Vortice atmosferico, ovvero regione atmosferica in cui la pressione è più bassa di quella nelle zone circostanti alla stessa altitudine (bassa pressione). È tipicamente associato a tempo perturbato e ai fronti meteorologici.

[...]

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