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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione Diluvi 15 I PARTE Definizioni 23 Capitolo 1 Le tecnologie hanno un impatto? 25 La metafora dell'impatto è inadeguata 25 "La tecnica' o "le tecniche'? 27 La tecnologia è determinante o condizionante? 29 L'accelerazione del mutamento tecnico e l'intelligenza collettiva 30 L'intelligenza collettiva, pharmakon della cybercultura 32 Capitolo 2 L'infrastruttura tecnica del virtuale 35 L'emergere del cyberspazio 35 Il trattamento 37 La memoria 38 La trasmissione 39 Le interfacce 41 La programmazione 44 I programmi 45 Dal computer al cyberspazio 46 Capitolo 3 Il digitale o la virtualizzazione dell'informazione 49 Del virtuale in genere 51 Il digitale 53 Trattamento automatico, preciso, rapido, su vasta scala 55 Smaterializzazione o virtualizzazione? 57 Iperdocumenti 58 Multimedia o unimedia? 63 Simulazioni 67 La scala dei mondi virtuali 70 Capitolo 4 L'inrerattività 77 L'interattività come problema 79 Capitolo 5 Il cyberspazio o la virtualizzazione dell'informazione 85 Navigazioni nel World Wide Web ovvero la caccia e la raccolta 85 Cos'è il cyberspazio? 91 Accesso a distanza e trasferimento di file 92 La posta elettronica 93 I newsgroup o conferenze elettroniche 97 Dal newsgroup al groupware 98 La comunicazione attraverso un mondo virtuale condiviso 101 Navigazioni 102 II PARTE Proposte 105 Capitolo 6 L'universale senza totalità, essenza della cybercultura 107 L'universalità sul piano tecnico 108 La scrittura e l'universale totalizzante 110 Mass media e totalità 112 Complessità dei modi di totalizzazione 113 La cybercultura o l'universale senza totalità 114 L'universale non è il planetario 115 Più è universale, meno è totalizzabile 116 Capitolo 7 Il movimento sociale della cybercultura 119 Tecnica e desiderio collettivo: l'esempio dell'automobile 119 L'infrastruttura non è il dispositivo: l'esempio della posta 120 Cyberspazio e movimento sociale 121 Il programma della cybercultura: l'interconnessione 123 Il programma della cybercultura: le comunità virtuali 124 Il programma della cybercultura: l'intelligenza collettiva 127 Un programma senza fine né contenuto 128 Capitolo 8 Il suono della cybercultura 131 Le arti del virtuale 131 La mondializzazione della musica 133 Musica orale, scritta, registrata 135 La musica techno 137 Capitolo 9 L'arte della cybercultura 141 L'adeguazione tra le forme estetiche della cybercultura e i suoi dispositivi tecnosociali 141 L'universale senza totalità: testo, musica e immagine 145 L'autore in questione 147 Il declino della registrazione 149 Capitolo 10 Il nuovo rapporto con il sapere 153 Educazione e cybercultura 153 L'articolazione di una molteplicità di punti di vista 155 Il secondo diluvio e l'inaccessibilità del tutto 156 Chi sa? La reincarnazione del sapere 158 La simulazione, una modalità di conoscenza propria della cybercultura 161 Dall'interconnessione caotica all'intelligenza collettiva 162 Capitolo 11 Le mutazioní dell'educazione e l'economia del sapere 165 L'apprendimento aperto e a distanza 165 L'apprendimento cooperativo e il nuovo ruolo degli insegnanti 167 Verso una regolazione pubblica dell'economia della conoscenza 168 Sapere-flusso e dissoluzione delle separazioni 169 Il riconoscimento dei dati acquisiti 170 Capitolo 12 Gli alberi di conoscenze, uno strumento per l'intelligenza collettiva nell'educazione e nella formazione 175 Nectar: un esempio di utilizzo internazionale degli alberi di conoscenze 178 Un sistema universale senza totalità 180 Capitolo 13 Il cyberspazio, la citta e la democrazia elettronica 183 Cybercittà e democrazia elettronica 183 L'analogia o la città digitale 185 La sostituzione 187 L'assimilazione, critica delle autostrade dell'informazione 189 L'articolazione 192 III PARTE Problemi 195 Capitolo 14 Conflitti d'interessi e diversità dei punti di vista 197 Apertura del divenire tecnologico 198 Il punto di vista mercantile e l'avvento del mercato assoluto 199 Il punto di vista dei media: come fare scalpore con la rete? 200 Il punto di vista degli stati: controllo dei flussi oltre frontiera, crittografia, difesa dell'industria e della cultura nazionale 202 Il punto di vista del "bene pubblico!: per l'intelligenza collettiva 205 Capitolo 15 Critica della sostituzione 209 Sostituzione o aumento della complessità? 210 Crescita parallela delle telecomunicazioni e del trasporto 211 Aumento degli universi di scelta: l'ascesa del virtuale porta con sé quella dell'attuale 213 Nuovi piani d'esistenza 215 Della perdita 216 Capitolo 16 Critica della dominazione 219 Impotenza dei soggetti "mediatici" 220 Bisogna temere il dominio di una nuova "classe virtuale'? 221 Dialettica dell'utopia e del business 224 Capitolo 17 Critica della Critica 227 Funzioni del pensiero critico 227 Critica del totalitarismo o timore della detotalizzazione? 228 La critica era progressista. Diventerà conservatrice? 230 Ambivalenza del potere 231 Capitolo 18 Risposte ad alcune domande poste di frequente 235 La cybercultura sarà fonte di esclusione? 236 La diversità delle lingue e delle culture è minacciata nel cyberspazio? 239 La cybercultura non è forse sinonimo di caos e confusione? 243 La cybercultura rompe con i valori fondanti della modernità europea? 245 Conclusione La cybercultura o la tradizione simultanea 247 L'autore 251 |
| << | < | > | >> |Pagina 15Introduzione| << | < | > | >> |Pagina 19Una delle principali ipotesi di questo libro è che la cybercultura esprima l'emergere di un nuovo universale, diverso dalle forme culturali che l'hanno preceduto per il fatto di costruirsi sull'indeterminatezza di un qualsiasi senso globale. In effetti, questa indeterminatezza si sostituisce alla prospettiva dei precedenti mutamenti comunicativi.Nelle società orali, i messaggi discorsivi erano sempre recepiti nel contesto medesimo in cui venivano prodotti. Ma, con l'avvento della scrittura, i testi si separano dal contesto vivente da cui sono nati. Si può leggere un messaggio scritto cinque secoli fa o redatto a cinquemila chilometri di distanza, cosa che pone spesso problemi di ricezione e d'interpretazione. Per superare queste difficoltà, alcuni tipi di messaggio saranno dunque specificamente concepiti per conservare il medesimo senso qualunque sia il contesto (il luogo, l'epoca) di ricezione: sono i messaggi "universali" (scienza, religioni del libro, diritti umani ecc.). Questa universalità, acquisita grazie alla scrittura "statica", è pertanto costruita a prezzo di una chiusura o fissità del senso: è un universale "totalizzante". La mia ipotesi è che la cybercultura restauri la compresenza dei messaggi col proprio contesto tipica delle società orali, ma su un'altra scala, in tutt'altro orizzonte. La nuova universalità non dipende più dall'autosufficienza dei testi, dalla stabilità e indipendenza dei significati. Si costruisce e si estende grazie all'interconnessione dei messaggi tra loro, al loro perenne riferirsi a comunità virtuali in divenire che vi infondono molteplici sensi in perpetuo rinnovamento. | << | < | > | >> |Pagina 21Questo rapporto, sollecitato dal Consiglio d'Europa, verte sulle implicazioni culturali dello sviluppo delle tecnologie digitali dell'informazione e della comunicazione. Sono esclusi dal campo circoscritto del presente studio le implicazioni economiche e industriali, i problemi legati all'impiego e le questioni giuridiche. L'accento è posto sull'atteggiamento generale di fronte al progresso delle nuove tecnologie, sulla virtualizzazione in corso nell'informazione e nella comunicazione e sul globale mutamento di civiltà che ne risulta. Sono state affrontate in particolare le nuove forme artistiche, le trasformazioni del rapporto col sapere, le implicazioni per l'educazione e la formazione, la città e la democrazia, il mantenimento delle diversità linguistiche e culturali, i problemi dell'esclusione e della disuguaglianza.Siccome utilizzo spesso i termini "cyberspazio" e "cybercultura", mi sembra opportuno darne fin dall'inizio una breve definizione. Il cyberspazio (che verrà chiamato anche "rete") è il nuovo ambiente di comunicazione emergente dall'interconnessione mondiale dei computer. Il termine non designa soltanto l'infrastruttura materiale della comunicazione digitale, ma anche l'oceanico universo di informazioni che ospita, insieme agli esseri umani che ci navigano e lo alimentano. Quanto al neologismo "cybercultura", esso designa l'insieme delle tecniche (materiali e intellettuali), delle pratiche, delle attitudini, delle modalità di pensiero e dei valori che si sviluppano in concomitanza con la crescita del cyberspazio. | << | < | > | >> |Pagina 29La tecnologia è determinante o condizionanle?Le tecniche determinano la società o la cultura? Se accettiamo la finzione di una relazione tra entità distinte, essa si rivela molto più complessa di un rapporto deterministico. L'emergere del cyberspazio accompagna, manifesta e favorisce un'evoiuzione generale della civiltà. Una certa tecnica viene prodotta all'interno di una determinata cultura e una data società è condizionata dalle proprie tecniche. Dico condizionata, non determinata: la differenza è capitale. L'invenzione della staffa ha consentito la messa a punto di un nuovo tipo di cavalleria pesante, a partire dalla quale si sono costituiti l'immaginario cavalleresco e le strutture politiche e sociali del feudalesimo. Eppure la staffa, in quanto dispositivo materiale, non è la "causa" del feudalesimo europeo. Non c'è "causa" identificabile di uno status quo sociale o culturale, c'è piuttosto un insieme infinitamente complesso e parzialmente indeterminato di processi interagenti che si rafforzano o si inibiscono a vicenda. [...] Monopolio dello stato in Cina, attività industriale che sfuggiva ai poteri politici in Europa, la stampa non ha avuto le stesse conseguenze in Oriente e in Occidente. Il torchio di Gutenberg non ha determinato la crisi della Riforma, lo sviluppo della scienza moderna e neppure il sorgere degli ideali illuministici e il peso crescente dell'opinione pubblica nel Diciottesimo secolo, li ha solo condizionati. Si è limitato a fornire una parte indispensabile del contesto globale da cui sono sorte queste forme culturali. Se, per una filosofia intransigentemente meccanicista, un effetto è determinato dalle sue cause e potrebbe pertanto esserne dedotto, il semplice buon senso suggerisce che i fenomeni culturali e sociali non obbediscono a uno schema del genere. La molteplicità dei fattori e dei soggetti coinvolti impedisce il benché minimo calcolo deterministico degli effetti. Inoltre, tutti i fattori "oggettivi" in fondo non sono altro che condizioni suscettibili di interpretazione da parte di individui o gruppi capaci d'invenzione radicale. Una tecnica non è né buona, né cattiva (dipende dai contesti, dagli usi e dai punti di vista) e neppure neutra (essendo condizionante o cogente, posto che qui apre e là chiude il ventaglio dei possibili). Non si tratta di valutame gli "impatti" ma di individuare le irreversibilità in cui uno dei suoi usi ci immette, le occasioni che può permetterci di cogliere, e di formulare progetti che sfruttino le virtualità di cui è portatrice, decidendo cosa farne in futuro. | << | < | > | >> |Pagina 32L'intelligenza collettiva, pharmakon della cyberculturaIl cyberspazio in quanto supporto dell'intelligenza collettiva è dunque una delle principali condizioni del suo sviluppo. Tutta la storia della cybercultura dimostra ampiamente questo processo di retroazione positiva, vale a dire di autoconservazione della rivoluzione delle reti digitali. E' un fenomeno complesso e ambivalente. Anzitutto, la crescita del cyberspazio non determina automaticamente lo sviluppo dell'intelligenza collettiva, le fornisce soltanto un ambiente propizio. In effetti, nell'ambito delle reti digitali interattive, si vedono sorgere anche nuove fonne... - di isolamento e superlavoro cognitivo (stress da comunicazione e da eccesso di permanenza allo schermo); - di dipendenza (dalla navigazione o dal gioco nei mondi virtuali); - di prevaricazione (rafforzamento dei centri decisionali) e di controllo (predominio quasi monopolistico dei colossi economici su importanti funzioni della rete ecc.); - di sfruttamento (in certi casi di telelavoro controllato o di trasferimento di attività produttive nel Terzo mondo); - e anche di stupidità collettiva (chiacchiera, rumore, conformismo della rete e delle comunità virtuali, accumulazione di dati privi di contenuto informativo, "televisione interattiva"). Inoltre, anche nel caso in cui determinati processi d'intelligenza collettiva si sviluppino effettivamente grazie al cyberspazio, essi hanno tuttavia come significativo effetto collaterale un'ulteriore accelerazione del ritmo di cambiamento tecnosociale, cosa che rende ancora più necessaria la partecipazione attiva alla cybercultura, se non si vuole essere messi da parte, e tende a escludere in maniera ancora più radicale chi non è entrato nel ciclo positivo del mutamento, della sua comprensione e della sua assimilazione attiva. Per il suo aspetto partecipativo, socializzante, emancipativo e di soppressione degli steccati, l'intelligenza collettiva aperta dalla cybercultura costituisce uno dei migliori rimedi al ritmo destabilizzante, e talvolta escludente, del mutamento tecnico. Ma, nel contempo, l'intelligenza collettiva lavora attivamente all'accelerazione di questo mutamento. In greco antico, la parola pharmakon (da cui deriva l'italiano farmacia) designa tanto il veleno quanto il rimedio, l'antidoto. Novello pharmakon, l'intelligenza collettiva che la cybercultura favorisce è al contempo veleno per chi non vi partecipa (e nessuno può parteciparvi completamente a causa della sua vastità e multiformità) e antidoto per chi si immerge nei suoi vortici e riesce a controllare la propria deriva all'interno delle sue correnti. | << | < | > | >> |Pagina 51Del virtuale in genereL'universalizzazione della cybercultura non fa che ampliare la compresenza e l'interazione di punti qualsiasi dello spazio fisico, sociale o informativo. In questo senso, è complementare a una seconda tendenza fondamentale, quella alla virtualizzazione. La parola "virtuale" può essere intesa in almeno tre sensi: in un senso tecnico legato all'informatica, in senso corrente e in filosofico. Il fascino esercitato dalla "realtà virtuale" deriva in larga misura dalla confusione tra i tre. Nell'accezione filosofica, è virtuale ciò che esiste solo in potenza e non in atto, un campo di forze o di problemi che tendono a risolversi in un'attualizzazione. Il virtuale sta a monte della concretizzazione effettiva o formale (l'albero è virtualmente presente nel seme). In senso filosofico, il virtuale è evidentemente una dimensione molto importante della realtà. Ma nell'uso corrente, la parola "virtuale" viene spesso impiegata per significare l'irreale o una "realtà" che richiede una realizzazione materiale o il conferirnento di una presenza tangibile. L'espressione "realtà virtuale" suona allora come un ossimoro, un oscuro gioco di parole. Generalmente si pensa che una cosa debba essere o reale o virtuale, e che dunque non possa possedere entrambe queste qualità insieme. Però, in termini rigorosamente filosofici, il virtuale non si oppone al reale ma all'attuale: la virtualitá e l'attualità sono due modalità diverse della realtà. Se appartiene all'essenza del seme produrre l'albero, la virtualità dell'albero in esso è reaie (senza essere ancora attuale). [...] Ripetiamo: malgrado non si possa fissarlo a nessuna coodinata spazio-temporale, il virtuale è comunque reale. Una parola è qualcosa che esiste. Il virtuale esiste senza essere qui. Aggiungiamo che le attualizzazioni della stessa entità virtuale possono essere molto diverse tra loro e che l'attuale non è mai completamente predeterminato dal virtuale. Così, da un punto di vista acustico come pure sul piano semantico, nessuna attualizzazione di una parola somiglia esattamente a un'altra e possono sempre apparire nuove pronunce (nascita di nuove voci) e nuovi sensi (invenzione di nuove frasi). Il virtuale è una fonte indefinita di attualizzazioni. | << | < | > | >> |Pagina 58Iperdocumenti[...] Se si prende la parola "testo' nel suo senso più ampio (che non esclude né suoni né immagini), gli iperdocumenti possono essere chiamati anche "ipertesti". L'approccio più semplice all'ipertesto è descriverlo, per opposizione rispetto a un testo lineare, come un testo strutturato in rete. L'ipertesto è costituito da nodi (elementi d'informazione, paragrafi, pagine, immagini, sequenze musicali ecc.) e da legami tra i nodi, riferimenti, note, pulsanti, "tasti" che indicano il passaggio da un nodo all'altro. Un romanzo, in linea di principio, si scorre dalla prima all'ultima riga, un film si vede dalla prima all'ultima immagine. Ma come si legge un'enciclopedia? Si può iniziare consultando l'indice o thesaurus, che ci rinvia a uno o più articoli. Alla fine di ogni articolo, sono citati altri articoli su argomenti connessi ecc. Ognuno entra in questa "navigazione" attraverso gli argomenti che gli interessano e si muove in modo originale nella totalità delle informazioni, utilizzando quegli strumenti di orientamento che sono i dizionari, i lessici, gli indici, il thesaurus, gli atlanti, le tabelle e gli indici degli argomenti che sono, a loro volta, piccoli ipertesti. Mantenendo questa definizione di "testo in rete" o di rete documentaria, anche una biblioteca può essere considerata un ipertesto. In questo caso, il legame tra i volumi è assicurato dai rimandi, dalle note a piè di pagina, dalle citazioni, dalle bibliografie. Schedari e cataloghi costituiscono gli strumenti di navigazione globale nella biblioteca. Tuttavia, il supporto digitale introduce una differenza cruciale rispetto agli ipertesti precedenti l'informatica: la ricerca negli indici, l'uso degli strumenti di orientamento, il passaggio da un nodo a un altro, grazie a esso avvengono con maggiore rapidità, nel giro di pochi secondi. Inoltre, la digitalizzazione permette di associare in uno stesso medium e di accostare in maniera raffinata e precisa suoni, immagini e testi. Secondo questo primo approccio, l'ipertesto digitale sarebbe definibile come informazione multimodale strutturata in rete e suscettibile di navigazione rapida e "intuitiva". Rispetto alle tecniche anteriori di supporto alla lettura, la digitalizzazione introduce una piccola rivoluzione copernicana: non è più il navigatore a seguire le indicazioni di lettura e a muoversi fisicamente nell'ipertesto, girando le pagine, spostando pesanti volumi, percorrendo la biblioteca avanti e indietro, ma ormai è un testo mobile, caleidoscopico, a presentare le sue varie facce, a scorrere e snodarsi a piacere di fronte al lettore. E' stata inventata una nuova arte editoriale e documentaria, che cerca di sfruttare al meglio la velocità di navigazione tra masse di informazioni condensate in "volumi" ogni giorno più minuscoli. Per un secondo approccio, complementare, la tendenza contemporanea all'ipertestualizzazione dei documenti può essere definita una tendenza all'indistinzione, grazie all'intreccio delle funzioni di lettura e scrittura. Consideriamo in primo luogo la cosa dal lato del lettore. Se si definisce l'ipertesto come uno spazio di possibili percorsi di lettura, il singolo testo appare come una lettura particolare di un ipertesto. Il navigatore partecipa dunque alla redazione del testo che legge. E' come se l'autore di un ipertesto creasse una matrice di testi potenziali, mentre il ruolo dei navigatori è quello di realizzare alcuni di questi testi attuando, ciascuno a modo suo, la combinazione tra i nodi. L'ipertesto produce una virtualizzazione del testo. | << | < | > | >> |Pagina 63Multimedia o unimedia?Il termine "multimedía" si presta a confusioni tali che mi pare necessario, prima di parlame, definire un certo numero di parole chiave dell'universo dell'informazione e della comunicazione. Il medium è il supporto o veicolo del messaggio. La stampa, la radio, la televisione, il cinema o Internet, per esempio, sono media. La ricezione di un messaggio può far entrare in gioco parecchie modalità percettive. La stampa coinvolge principalmente la vista e, secondariamente, il tatto. Dall'invenzione del sonoro, il cinema implica due sensi: la vista e l'udito. Le realtà virtuali possono coinvolgere la vista, l'udito, il tatto e la cinestesia (il senso interno dei movimenti del corpo). Una stessa modalità percettiva può consentire la ricezione di parecchi tipi di rappresentazioni. Per esempio, la stampa (che coinvolge solo la vista) contiene sia testi sia immagini. Il disco audio (che sollecita solo l'udito) permette di trasmettere parole e musica. La codifica, analogica o digitale, fa riferimento al sistema fondamentale di registrazione e trasmissione delle informazioni. Il disco di vinile codifica il suono in maniera analogica, mentre il cd audio lo codifica in maniera digitale. La raglio, la televisione, il cinema e la fotografia possono essere sia analogici sia digitali. Il dispositivo informativo definisce la struttura del messaggio o la modalità di interrelazione degli elementi dell'informazione. Il messaggio può essere lineare (come nel caso della musica, del romanzo o del cinema) o reticolare. Gli iperdocumenti codificati digitalmente non hanno inaugurato la struttura a rete perché, come si è visto, un dizionario (in cui ogni parola rimanda implicitamente ad altre, e che solitamente non viene letto dall'inizio alla fine), un'enciclopedia (col suo indice, il suo thesaurus e i suoi molteplici rimandi), una biblioteca (coi suoi schedari e i suoi rimandi incrociati da un libro all'altro) possiedono già una struttura reticolare. Il cyberspazio ha fatto sorgere due dispositivi informativi originali se paragonato ai media precedenti: il mondo virtuale e l'informazione in flusso. Il mondo virtuale dispone le informazioni in uno spazio continuo - non in rete - e ciò in funzione della posizione dell'esploratore o del suo rappresentante al proprio interno (principio di immersione). In questo senso, un videogioco è già un mondo virtuale. L' informazione in flusso designa i dati continuamente mutevoli dispersi nelle memorie e nei canali interconnessi che possono essere percorsi, filtrati e presentati al cybernauta a seconda delle sue istruzioni dal software, dai sistemi di cartografia dinamica dei dati o da altri supporti alla navigazione. Si noterà che il mondo virtuale e l'informazione in flusso tendono a riprodurre su vasta scala e tramite dispositivi tecnici sofisticati un rapporto "non mediatico" con l'informazione. La nozione di dispositivo informativo è, in linea di principio, indipendente dal medium, dalla modalità percettiva in gioco e dal tipo di rappresentazione veicolata dai messaggi. Infine, il dispositivo comunicativo designa la relazione tra quanti partecipano alla comunicazione. Si possono distinguere tre grandi categorie di dispositivo comunicativi: uno-tutti, uno-uno e tutti-tutti. La stampa, la radio e la televisione sono strutturati secondo il principio uno-tutti: un centro di emissione invia i suoi messaggi a un gran numero di ricettori periferici passivi e dispersi. La posta e il telefono intessono relazioni reciproche tra interlocutori, ma solo tramite contatti da individuo a individuo o da punto a punto. Il cyberspazio mette in atto un dispositivo comunicativo originale poiché permette a comunità di costituire progressivamente e in maniera cooperativa un contesto comune (dispositivo tutti-tutti). In un newsgroup, per esempio, gli individui coinvolti inviano messaggi che possono essere letti da tutti gli altri membri della comunità e ai quali ciascuno può rispondere. La comunicazione ininterrotta sedimenta una memoria collettiva a partire dagli scambi tra i partecipanti. I mondi virtuali a partecipazione multipla, i sistemi di apprendimento o di lavoro cooperativo, e anche, su scala gigante, il www, possono essere considerati sistemi di comunicazione tutti-tutti. Ancora una volta, il dispositivo comunicativo è indipendente dai sensi implicati dalla ricezione, o dal modo di rappresentazione dell'informazione. Insisto su questo punto perché sono i nuovi dispositivi informativi (mondi virtuali, informazione in flusso) e comunicativi (comunicazione tutti-tutti) a essere portatori dei principali mutamenti culturali e non il fatto che in essi si mescolino testo, immagine e suono, come sembra sottinteso dalla vaga nozione di "multimedia". | << | < | > | >> |Pagina 66Tabella 1Differenti dimensioni della comunicazione Definizione Esempi Media Supporto d'informazione e di comunicazione Stampa, cinema, radio, televisione, telefono, cd-rom, Internet (computer + telecomunicazioni) ecc. Modalità percettiva Senso coinvolto nella rice- zione dell'informazione Vista, udito, tatto, odorato, gusto, cinestesia Linguaggio Tipo di rappresentazione Idiomi, musiche, fotografie, disegni, immagini animate, simboli, danza ecc. Codifica Principio del sistema di re- gistrazione e di trasmissione delle informazioni Analogico, digitale Dispositivo informativo Relazione tra gli elementi dell'informazione Messaggi a struttura lineare (testi classici, musica, film) Messaggi a struttura retico- lare (dizionari, iperdocu- menti) / Mondi virtuali (l'informazione è lo spazio continuo; l'esploratore o il suo rappresentante sono im- mersi nello spazio) / Flusso d'informazioni Dispositivo comunicativo Relazione tra i partecipanti della comunicazione Dispositivo uno-tutti, a stel- la (stampa, radio, televisione) / Dispositivo uno-uno, in rete (posta, telefono) / Dispositi- vo tutti-tutti in spazio (news-group, sistemi di ap- prendimento o di lavoro coope- rativo, mondi virtuali multi- partecipanti, www) | << | < | > | >> |Pagina 75Tabella 2I diversi sensi del virtuale dal più debole al più forte Definizione Esempi Virtuale in senso comune Falso, illusorio, irreale, immaginario, possibile Virtuale in senso filosofico Esiste in potenza e non in atto, esiste senza essere qui L'albero nel seme (per opposi- zione all'attualità di un al- bero effettivamente cresciuto) Una parola nella lingua (per opposizione all'attualità di una occorrenza di pronuncia) Mondo virtuale nel senso della calcolabilità informatica Universo di possibili calcolabile a partire da un modello digitale e dagli input forniti da un utente Insieme dei messaggi che possono essere emessi rispettivamente da: - programmi per la scrittura, il disegno o la musica; - sistemi ipertestuali; - data-base; - sistemi esperti; - simulazioni interattive ecc. Mondo virtuale nel senso del dispositivo informativo Il messaggio è uno spazio di interazione per prossimità nel quale l'esploratore può controllare diret- tamente il suo rappresentante - carte dinamiche dei dati che presentano l'informa- zione in funzione del "punto di vista", della posizione o della storia dell'esploratore; - giochi di ruolo in rete; - videogiochi; - simulatori di volo; - realtà virtuali ecc. Mondo virtuale in senso tecnologico ristretto Illusione di interazione sensomoto- ria con un modello informatico Utilizzazione di occhiali ste- reoscopici, di guanti o di tute per visitare monumenti ricostruiti o per prepararsi a effettuare operazioni chirur- giche ecc. | << | < | > | >> |Pagina 83Tabella 3I vari tipi di interattività RAPPORTO COL MESSAGGIO / DISPOSITIVO DI COMUNICAZIONE Messaggio lineare non modificabile in tempo reale Interruzione e riorientamento del flusso informativo in tempo reale Coinvolgimento dei partecipanti nel messaggio Diffusione unilaterale Stampa Radio Televisione Cinema -Data-base multimodali -Iperdocumenti fissi -Simulazioni senza immersione né possibilità di modificare il modello Videogiochi individuali -Simulazioni con immersione (simulazione di volo) senza possibilità di modificare il modello Dialogo, reciprocità Corrispondenza postale tra due persone -Telefono -Videotelefono Dialogo tramite mondi virtuali, cybersex Multilogia -Rete di corrispondenza -Sistemi di pubblicazioni in una comunità di ricerca -Posta elettronica -Conferenze elettroniche -Teleconferenze o videoconferenze con molti partecipanti -Iperdocumenti aperti accessibili in rete, frutto della scrittura/ lettura di una comunità -Simulazioni (con possibilità di agire sul modello) come supporto ai dibattiti di una comunità -Giochi di ruolo multi-utenti nel cyberspazio -Videogiochi a più partecipanti in una "realtà virtuale" -Comunicazione tramite mondi virtuali, negoziazione continua dei partecipanti sulla propria immagine e sull'immagine della situazione comune | << | < | > | >> |Pagina 91Cos'è il cyberspazio?La parola "cyberspazio" è stata inventata e usata per la prima volta nel 1984 da William Gibson nel suo romanzo di fantascienza Neuromante. Il termine designa l'universo delle reti digitali da lui descritto come campo di battaglia tra multinazionali, come oggetto di conflitti mondiali e nuova frontiera economica e culturale. In Neuromante, l'esplorazione del cyberspazio mostra le fortezze di informazioni segrete, protette da spalti-software, isole lambite da oceani di dati che si tramutano e si scambiano ad altissima velocità tutt'intorno al pianeta. Alcuni eroi sono in grado di entrare "fisicamente" in questo spazio di dati per poi vivere ogni tipo di avventure. Il cyberspazio di Gibson rende sensibile la geografia mobile dell'informazione, normalmente invisibile. Il tertnine è stato immediatamente ripreso dagli utenti e dai progettisti di reti digitali. Oggi esiste nel mondo una grande molteplicità di correnti letterarie, musicali, artistiche, per non dire politiche, che si richiamano alla "cybercultura". Definisco il cyberspazio lo spazio di comunicazione aperto dall'interconnessione mondiale dei computer e delle memorie informatiche. Questa definizione comprende l'insieme dei sistemi di comunicazione elettronici (incluso l'insieme delle reti hertziane e telefoniche classiche) nella misura in cui convogliano informazioni provenienti da fonti digitali o in via di digitalizzazione. Insisto sulla codifica digitale perché essa condiziona il carattere plastico, fluido, calcolabile e raffinatamente modificabile in tempo reale, ipertestuale, interattivo e per concludere virtuale dell'infonnazione che è, mi pare, il tratto distintivo del cyberspazio. Questo nuovo ambiente ha come tendenza fondamentale quella di mettere in sinergia e interfacciare tutti i dispositivi di creazione, registrazione, comunicazione e simulazione dell'informazione. La prospettiva di una digitalizzazione generalizzata delle informazioni e dei messaggi farà probabilmente del cyberspazio il principale canale di comunicazione e il principale supporto mnemonico dell'umanità agli inizi dei prossimo secolo. | << | < | > | >> |Pagina 105II parteProposte 6 L'universale senza località, essenza della cybercultura In ogni momento, nuovi utenti si abbonano a Interet, nuovi computer si interconnettono, nuove informazioni vengono messe in rete. Più il cyberspazio si estende e diventa "universale", meno il mondo delle informazioni è totalizzabile. L'universale della cybercultura è anche sprovvisto di un centro oltre che di linee direttrici univoche. E' vuoto, senza contenuto specifico. O meglio accoglie in sé tutti i contenuti perché si limita a mettere in contatto un punto qualsiasi con un qualsiasi altro, qualunque sia il peso o il valore semantico delle entità messe in relazione. Con questo non voglio dire che l'universalità del cyberspazio sia "neutra" o priva di conseguenze, perché l'esistenza stessa di un processo di interconnessione generale ha già, e avrà ancora di più in futuro, enormi ripercussioni sulla vita economica, politica e culturale. Questo evento trasforma effettivamente le condizioni di vita in società. Eppure, si tratta di un universale indeterminato, e che tende a mantenere la propria indeterminatezza, perché ogni nuovo nodo della rete delle reti, in costante espansione, può farsi produttore o emittente di informazioni nuove, imprevedibili, e riorganizzare una parte della connettività globale intorno a sé. Il cyberspazio, che si erge a sistema dei sistemi, è, perciò stesso, anche il sistema del caos. Incarnazione massima della trasparenza tecnica, accoglie tuttavia, grazie al suo inarrestabile fermento, tutte le opacità del senso. Disegna e ridisegna la sagoma di un labirinto mobile, in espansione, universale e senza descrizione possibile, un labirinto che Dedalo in persona non sarebbe stato in grado di immaginare. Questa universalità sprovvista di un significato univoco, questo sistema del disordine, questa trasparenza labirintica, io la chiamo "universale senza totalità". Esso costituisce l'essenza paradossale della cybercultura. | << | < | > | >> |Pagina 110La scrittura e l'universale totalizzantePer ben comprendere il contemporaneo mutamento di civiltà, bisogna tornare a riflettere sulla prima grande trasformazione nell'ecologia dei media: il passaggio dalle culture orali alle culture scritte. L'emergere del cyberspazio, in effetti, avrà probabilmente - anzi ha già fìn d'ora sulla pragmatica delle comunicazioni, un effetto altrettanto radicale di quello avuto a suo tempo dall'invenzione della scrittura. Nelle società orali, i messaggi linguistici erano sempre ricevuti nel medesimo tempo e luogo in cui venivano emessi. Emittenti e riceventi condividevano la stessa situazione e, la maggior parte delle volte, un universo di significati affine. I protagonisti della comunicazione erano immersi e crescevano nello stesso amnio semantico, nello stesso contesto, nello stesso flusso vivente di interazioni. La scrittura ha aperto uno spazio di comunicazione sconosciuto alle società orali, nel quale diventava possibile prendere atto di messaggi prodotti da persone situate a migliaia di chilometri di distanza, o morte da secoli, oppure in grado di esprimere se stesse nonostante significative differenze culturali o sociali. Ormai, i protagonisti della comunicazione non condividevano più necessariamente la stessa situazione, non erano più in interazione diretta. Persistendo al di fuori delle loro condizioni di emissione e ricezione, i messaggi scritti si mantengono "fuori contesto". Questo "fuori contesto" - che all'inizio dipende soltanto dall'ecologia dei media e dalla pragmatica della comunicazione - è stato legittimato, sublimato, interiorizzato dalla cultura. Diventerà il nucleo di una certa razionalità e alla fine porterà alla nozione di universalità. E' tuttavia difficile comprendere un messaggio al di fuori del contesto vivente in cui è stato prodotto. E' per questo motivo che, dal lato della ricezione, si inventarono le arti dell'interpretazione, della traduzione e tutta una tecnologia linguistica (grammatiche, dizionari ecc.). Dal lato dell'emissione, ci si sforzò di comporre messaggi suscettibili di circolare ovunque, indipendenti dalle proprie condizioni di produzione e contenenti il più possibile al proprio interno le loro chiavi interpretative, o la loro "ragione". L'idea dell'universale corrisponde a questo sforzo pratico. In linea di principio, non c'è più bisogno di fare appello a una testimonianza viva, a un'autorità esterna, ad abitudini o a componenti di un particolare ambiente culturale per comprendere e accettare le proposizioni enunciate, per fare un esempio, negli Elementi di Euclide. [...] Riti, miti, credenze e modi di vivere bororo non sono "universali", ma contestuali, locali. Non si fondano in nessun modo su un rapporto con testi scritti. Questa constatazione non implica evidentemente alcun giudizio di valore etnocentrico: un mito bororo appartiene al patrimonio dell'umanità ed è virtualmente significativo per qualsiasi essere pensante. D'altronde, anche le religioni caratterizzate da un certo particolarismo hanno i loro testi: la scrittura non determina automaticamente l'universale, lo condizione soltanto (non può darsi universalità senza scrittura, ma non vale il reciproco). Come i testi scientifici o filosofici, che si presume rendano ragione di se stessi, contengano i propri fondamenti e portino in sé le proprie condizioni d'interpretazione, i grandi testi delle religioni universali contengono per definizione la fonte della loro autorità. In effetti, l'origine della verità religiosa è la rivelazione. Ora, la Torah, i Vangeli, il Corano, sono la rivelazíone stessa o il racconto autentico della rivelazione. Il discorso non si pone più nell'orma di una tradizione la cui autorità deriva dal passato, dagli antenati o dalle evidenze condivise da una cultura. E' unicamente il testo (la rivelazione) a fondare la verità, sfuggendo così a ogni contesto condizionante. Grazie al loro regime di verità fondato su un testo rivelato, le religioni del libro si liberano dalla dipendenza da un ambiente particolare e diventano universali. Notiamo di passaggio che l'autore (tipico delle culture scritte) è, all'origine, la fonte dell'autorità, mentre l'interprete (figura centrale delle tradizioni orali) non fa che attualizzare o esprimere un'autorità che viene da altrove. Grazie alla scrittura, gli autori, demiurghi, inventano l'autoposizione del vero. | << | < | > | >> |Pagina 112Mass media e totalitàI mass media - stampa, radio, cinema, televisione -, perlomeno nella loro configurazione classica, proseguono la linea culturale dell'universale totalizzante iniziata dalla scrittura. Siccome il messaggio mediatico sarà letto, ascoltato, guardato da migliaia o milioni di persone sparse per il mondo, viene strutturato in modo da incontrare il "comune denominatore" mentale dei destinatari. Colpisce i riceventi nella loro capacità interpretativa minimale. Non è questa la sede per sviluppare un discorso intorno a ciò che distingue gli effetti culturali dei media elettronici da quelli legati alla stampa. Voglio solo sottolineare un'analogia. Circolando in uno spazio privo d'interazioni, il messaggio mediatico non può sfruttare il contesto specifico in cui si vive e si muove il ricettore, trascura la sua singolarità, i suoi legami sociali, la sua microcultura, la sua situazione precisa in un momento preciso. E' questo dispositivo riduttivo, e insieme di conquista, a fabbricare il "pubblico" indifferenziato dei "mass" media. Per definizione, i media contemporanei, riducendosi al richiamo emotivo e cognitivo più "universale", "totalizzano". E' anche il caso, in termini molto più violenti, della propaganda dei partiti unici nei totalitarismi del Ventesimo secolo: fascismo, nazismo e stalinismo. | << | < | > | >> |Pagina 114La cybercultura e l'universale senza totalitàIn effetti, il principale evento culturale preconizzato dall'emergere del cyberspazio è la separazione di questi due operatori sociali o meccanismi astratte (più che concetti) che sono l'universalità e la totalizzazione. Il motivo è semplice: il cyberspazio dissolve la pragmatica della comunicazione che, dall'invenzione della scrittura, aveva riunito insieme l'universale e la totalità. Ci riporta, in effetti, a una situazione precedente alla scrittura - ma su un'altra scala e in un altro orizzonte - nella misura in cui l'interconnessíone e il dinamismo in tempo reale delle memorie on line fanno nuovamente condividere il medesimo contesto, il medesimo immenso ipertesto vivente, ai partner della comunicazione. Qualunque sia il messaggio che ci si trova di fronte, esso è connesso ad altri messaggi, a commenti, a glosse in costante evoluzione, a persone interessate al suo contenuto, a newsgroup in cui viene discusso qui e ora. Qualunque testo è il frammento, forse misconosciuto, dell'ipertesto mobile che lo avvolge, lo connette ad altri testi e funge da mediazione o da ambiente a una comunicazione reciproca, interattiva, ininterrotta. Nel regime classico della scrittura, il lettore è condannato a riattualizzare il contesto a sue spese, oppure ad affidarsi al lavoro delle chiese, delle istituzioni o delle scuole, che si accaniscono a risuscitare e a circoscrivere il senso. Oggi, tecnicamente, grazie all'imminente messa in rete di tutte le macchine del pianeta, non ci sono quasi più messaggi "fuori contesto", separati da una comunità attiva. Virtualmente, tutti i messaggi sono immersi in un amnio comunicativo pullulante di vita e che include gli stessi soggetti, di cui il cyberspazio appare progressivamente come il cuore. | << | < | > | >> |Pagina 128Un programma senza fine né contenutoLo si sarà compreso, il movimento sociale e culturale portatore del cyberspazio, un movimento potente e sempre più massiccio, non converge verso un contenuto particolare, ma verso una forma di comunicazione non mediatica, interattiva, comunitaria, trasversale, rizomatica. Né l'interconnessione generalizzata, né la voglia di comunità virtuali, né l'esaltazione dell'intelligenza collettiva costituiscono gli elementi di un programma politico o culturale nel senso classico del termine. E, tuttavia, tutte e tre sono forse segretamente animate da due "valori" essenziali: l'autonomia e l'apertura all'alterità. L'interconnessione è considerata un bene per l'interattività, quali che siano i terminali, gli individui, i luoghi e i momenti che mette in relazione. Le comunità virtuali sono ritenute un eccellente mezzo di socializzazione (tra centinaia di altri), che le loro finalità siano ludiche, economiche o intellettuali, che i loro centri d'interesse siano seri, frivoli o scandalosi. L'intelligenza collettiva, infine, sarebbe la modalità di realizzazione dell'umanità che la rete digitale universale favorisce, senza che si sappia a priori a quali risultati tendono gli organismi che mettono in sinergia le proprie risorse intellettuali. Insomma, il programma della cybercultura è l'universale senza totalità. Universale, perché l'interconnessione non dev'essere soltanto mondiale, ma vuole anche raggiungere la compatibilità e l'interazione generale. Universale perché, come limite ideale del programma della cybercultura, chiunque deve poter accedere da qualunque punto dello spazio alle diverse comunità vírtuali e ai loro prodotti. Universale, infine, perché il programma dell'intelligenza collettiva si applica tanto alle imprese, alle scuole e alle regioni geografiche, quanto alle associazioni internazionali. Il cyberspazío è lo strumento di organizzazione di comunità d'ogni genere e d'ogni dimensione in collettivi intelligenti, ma anche il mezzo che permette ai collettivi intelligenti di articolarsi tra loro. D'ora innanzi saranno gli stessi supporti software e hardware a sostenere la politica interna e la politica estera dell'intelligenza collettiva: Internet e Intranet. Interconnessione generale, comunità virtuali, intelligenza collettiva sono altrettante figure di un universale per contatto, un universale che cresce come una popolazione, i cui filamenti spuntano qua e là, un universale che si espande come l'edera. Ciascuna di queste tre figure forma la condizione necessaria della successiva: non c'è comunità virtuale senza interconnessione, non c'è intelligenza collettiva su vasta scala senza virtualizzazione e deterritorializzazione delle comunità nel cyberspazio. L'interconnessione condiziona la comunità virtuale, che è un'inttigenza collettiva in potenza. Ma queste forme sono a priori vuote, nessuna finalità esterna, nessun contenuto particolare vengono a chiudere o a totalizzare il programma della cybercultura che è tutto contenuto nel processo incompiuto d'interconnessione, di sviluppo delle comunità virtuali e d'intensificazione di un'intelligenza collettiva frattale, riproducibile a ogni livello e ovunque diversa. Il movimento continuo d'interconnessione in vista di una comunicazione interattiva di tutti con tutti è già di per sé un forte indizio che la totalizzazione non avrà luogo, che le fonti saranno sempre plu eterogenee, che i dispositivo mutageni e le linee di fuga si moltiplicheranno. | << | < | > | >> |Pagina 1419L'arte della cybercultura | << | < | > | >> |Pagina 158Chi sa? La reincarnazione del sapere[...] Benché i supporti d'informazione non determinino automaticamente tale o talaltro contenuto conoscitivo, essi contribuiscono tuttavia a strutturare fortemente l'"ecologia cognitiva" delle società. Noi pensiamo insieme, all'interno di gruppi e di istituzioni che tendono a riprodurre le proprie idiosincrasie impregnandoci della loro atmosfera emotiva e del loro funzionamento cognitivo. Le nostre facoltà cognitive operano con lingue, sistemi segnici e procedure intellettuale fornite da una cultura. Non si moltiplica nello stesso modo se per farlo si usano cordicelle con nodi, sassi, cifre romane, cifre arabe, pallottolieri, regoli o calcolatrici. Le vetrate delle cattedrali e gli schermi televisivi non ci offrono le stesse immagini del mondo, non suscitano lo stesso immaginario. Alcune rappresentazioni non possono sopravvivere a lungo in una società senza scrittura (cifre, quadri, liste) mentre si può archiviarle facilmente se si dispone di memorie artificiali. Per codificare i loro saperi, le società senza scrittura hanno sviluppato tecniche di memoria basate sul ritmo, il racconto, l'identificazione, la partecipazione corporea e l'emozione collettiva. In compenso, con l'avvento della scrittura, il sapere ha potuto staccarsi parzialtnente dalle identità personali o collettive, diventare più "critico", perseguire una certa obiettività e una portata teorica "universale". Non sono soltanto le modalità conoscitive a dipendere dai supporti d'informazione e dalle tecniche di comunicazione. Sono anche, attraverso le ecologie cognitive che condizionano, i valori e i criteri di giudizio delle società. Ora, sono proprio i criteri di valutazione del sapere (nel senso più ampio del termine) a essere messi in gioco dall'estensione della cybercultura, con il declino probabile, già osservabile, dei valori propri della civiltà strutturata intorno alla scrittura statica. Non che questi valori siano destinati a scomparire, piuttosto essi diventeranno secondari, perderanno il proprio potere imperativo. Cosa ancora più importante dei generi di conoscenza e dei criteri di valore che li polarizzano, ogni ecologia cognitiva favorisce certi soggetti, posti al centro dei processi di accumulazione e sfruttamento del sapere. Qui la questione non è più "come", né "secondo quali criteri", ma 'chi". Nelle società precedenti alla scrittura, il sapere pratico, mitico e rituale è incarnato dalla comunità vivente. Quando muore un vecchio, va in fumo una biblioteca. Con l'avvento della scrittura, il sapere è portato dal libro. Il libro, unico, indefinitamente interpretabile, trascendente, che si ritiene contenere tutto: la Bibbia, il Corano, i testi sacri, i classici, Confucio, Aristotele... Qui è l' interprete a dominare la conoscenza. Dall'invenzione della stampa, si fa strada un terzo tipo di conoscenza, incentrata sulla figura dell' erudito, dello scienziato. Qui, il sapere non è più portato dal libro, ma dalla biblioteca. L' Encyclopédie di Diderot e d'Alembert è più una biblioteca che un libro. Il sapere è strutturato da una rete di rimandi, forse già ossessionato dall'ipertesto. In questo caso, il concetto, l'astrazione o il sistema servono a condensare la memoria e a garantire un dominio intellettuale che l'inflazione delle conoscenze mette già in pericolo. La deterritorializzazione della biblioteca a cui assistiamo oggi forse non è altro che il preludio all'apparizione di un quarto tipo di rapporto con la conoscenza. Per una sorta di ritorno a spirale all'oralità delle origini, il sapere potrebbe essere nuovamente portato dalle collettività umane viventi piuttosto che da supporti separati al servizio di interpreti o eruditi. Solo che stavolta, contrariamente all'oralità arcaica, il portatore diretto del sapere non è più la comunità fisica e la sua memoria corporea, ma il cyberspazio, la regione dei mondi virtuali, tramite cui le comunità scoprono e costruiscono i proprio oggetti e si riconoscono come collettivi intelligenti. | << | < | > | >> |Pagina 17512Gli alberi di conoscenze, uno strumento per l'intelligenza collettiva nell'educazione e nella formazione Modi di apprendimento permanente e personalizzato via rete, orientamento dei "discenti" in uno spazio del sapere fluttuante e detotalizzato, apprendimenti cooperativi, intelligenza collettiva all'interno di comunita virtuali, deregulation parziale delle modalità di riconoscimento dei saperi, gestione dinamica delle competenze in tempo reale... tutti questi processi sociali mettono in atto il nuovo rapporto con il sapere. Michel Authier e io abbiamo immaginato un dispositivo informatico in rete che tenda ad accompagnare, a integrare e a mettere positivamente in sinergia questi diversi processi. Gli alberi di conoscenze sono un metodo informatizzato per la gestione globale delle competenze nelle scuole, nelle imprese, negli uffici di collocamento, nelle comunità locali e nelle associazioni. Esso è oggi sperimentato in vari campi in Europa, e in particolare in Francia, in alcune grandi imprese, come Electricité de France e PSA (Peugeot e Citroén), in alcune imprese di medie dimensioni, in università, in scuole commerciali, in comunità locali (comuni, regione del Poitou-Charente), in quartieri popolari ecc. Grazie a questo approccio, ogni membro di una comunità può far riconoscere le sue diverse competenze, anche quelle non convalidate dai sistemi scolastici e universitari classici. Poggiando sulle autodescrizioni degli individui, un albero di conoscenze rende visibile la molteplicità organizzata delle competenze disponibili in una comunità. Si tratta di una mappa dinamica, consultabile su schermo, che ha effettivamente l'aspetto di un albero, che ogni comunità fa crescere in una forma diversa. Intendo per competenze tanto le abilità comportamentali (saper essere) quanto le abilità pratiche o le conoscenze teoriche. Ogni competenza elementare è riconosciuta agli individui attraverso il rilascio di un "brevetto", in funzione di una procedura (test, cooptazione, prove documentate ecc.) esattamente specificata. Visibile su schermo, la mappa dinamica dei saperi pratici e teorici di un gruppo non risulta da una qualsiasi classificazione a priori dei saperi: prodotta automaticamente da un programma, essa è l'espressione, che si evolve in tempo reale, dei percorsi di apprendimento e delle esperienze dei membri della collettività. L'albero di una comunità cresce e si trasforma a seconda dell'evoluzione delle competenze della comunità stessa. | << | < | > | >> |Pagina 194Accesso a tutti, si! Ma non bisogna intenderlo come un "accesso all'hardware", la semplice connessione tecnica che, tra non molto, sarà d'altronde a buon mercato, neppure come un 'accesso al contenuto" (consumo di informazioni o di conoscenze diffuse da specialisti). Intendiamo piuttosto un accesso di tutti ai processi d'intelligenza collettiva, vale a dire al cyberspazio come sistema aperto di autocartografia dinamica del reale, di espressione delle singolarità, di elaborazione dei problemi, di tessitura del legame sociale tramite l'apprendimento reciproco e di libera navigazione nei saperi. La prospettiva tratteggiata qui non incita affatto ad abbandonare il territorio per perdersi nel "virtuale", né a che uno dei due "imiti" l'altro, quanto piuttosto a utilizzare il virtuale per abitare ancora meglio il territorio, per diventasse cittadini a pieno titolo.Noi "abitiamo" tutti gli ambienti con i quali siamo in interazione. Abitiamo (o abiteremo) dunque il cyberspazio allo stesso titolo della città geografica e come una parte fondamentale del nostro ambiente globale di vita. L'organizzazione del cyberspazio pertiene certo a una forma particolare di urbanistica o di architettura, non fisica, la cui importanza non farà che crescere. Tuttavia, l'architettura suprema pertiene al politico: essa concerne l'articolazione e i rispettivi ruoli dei differenti spazi. Mettere l'intelligenza collettiva al posto di comando significa scegliere ancora una volta la democrazia, riattualizzarla sfruttando le potenzialità più positive dei nuovi sistemi di comunicazione. | << | < | > | >> |Pagina 206Non esiste un approccio neutro o obiettivo alla cybercultura, e questo libro non sfugge alla regola. Qual è dunque il progetto sotteso alla mia descrizione? Il lettore conosce già la mia religione. Sono profondamente convinto che permettere agli esseri umani di coniugare le loro immaginazioni e le loro intelligenze al servizio dello sviluppo e dell'emancipazione delle persone sia il miglior uso possibile delle tecnologie digitali. Questo approccio ha numerose implicazioni, in particolare:- economiche (per l'avvento di una economia delle conoscenze e di uno sviluppo concepito come valorizzazione e ottimizzazíone delle qualità umane); - politiche (democrazia più diretta e più partecipata, approccio planetario e comunitario ai problemi); - culturali (creazione collettiva, assenza di separazione tra produzione, diffusione e interpretazione delle opere). Il progetto dell'intelligenza collettiva è, all'ingrosso, quello dei primi ideatori e propugnatori del cyberspazio. E' l'aspirazione più profonda del movimento della cybercultura. In un certo senso, questo progetto prosegue, superandolo, quello della filosofia dei Lumi. Non si tratta assolutamente di un'"utopia tecnologica", ma dell'approfondimento di un antico ideale di emancipazione ed esaltazione dell'umano che poggia sulle attuali risorse tecniche. Questo progetto è ragionevole perché si accompagna a tre proposizioni forti, che assumeremo come altrettanti punti fissi. In primo luogo, l'intelligenza collettiva e i dispositivi tecnici che la rendono possibile non possono essere decretati o imposti da nessun potere centrale, né tantomeno da amministratori o esperti separati. I beneficiari devono esseme anche i responsabili. E suo funzionamento non può essere che progressivo, integrante, inclusivo e partecipativo. Non ci sono consumatori o soggetti sottomessi nell'intelligenza collettiva, altrimenti non si tratta d'intelligenza collettiva. Di fatto, fin dalle sue origini, la crescita del cyberspazio è stata essenzialmente legata a una attività di base, spontanea, decentralizzata e partecipativa. Beninteso, i poteri scientifici, economici o politici possono aiutare, favorire o almeno non ostacolarne lo sviluppo. D'altronde è proprio ciò che ha permesso a Internet, come a varie altre reti d'impresa o associative, di acquisire lo slancio che oggi conosciamo. | << | < | > | >> |Pagina 216Lo sviluppo del cyberspazio non 'cambierà miracolosamente' la vita né risolverà i problemi economici e sociali del nostro tempo. Apre tuttavia nuovi piani di esistenza:- nei modi di relazione: comunicazione interattiva e comunitaria di tutti con tutti all'interno di spazi informativi collettivamente e continuamente ricostruiti; - nei modi di conoscenza, di apprendimento e di pensiero: simulazioni, navigazioni trasversali in spazi d'informazione aperti, intelligenza collettiva; - nei generi letterati e artistici: iperdocumenti, opere interattive, ambienti virtuali, creazione collettiva distribuita. Né i dispositivi di comunicazione, né le modalità di conoscenza, né i generi caratteristici della cybercultura andranno puramente e semplicernente a sostituirsi ai modi e ai generi anteriori. Andranno, piuttosto, da un lato a influenzarli e, dall'altro, a spingerli a trovare una loro specifica "nicchia" nella nuova ecologia cognitiva. Il risultato globale sarà (è già!) una riorganizzazione e un aumento di complessità dell'economia delle informazioni, delle conoscenze e delle opere. Certo, la cybercultura probabilmente diventerà il centro di gravità della galassia culturale del Ventunesimo secolo, ma l'interpretazione secondo cui il virtuale si sostituirà al reale, o che non si potrà più distinguere l'uno dall'altro, è solo un infelice gioco di parole, che fraintende quasi tutti i significati del concetto di virtualità. Se il virtuale comprende l'informazione e la comunicazione a supporto digitale, questa tesi è assurda: si continuerà a mangiare, a fare l'amore, a spostarsi per il mondo, a produrre e a consumare beni materiali ecc. Se il virtuale è inteso in senso filosofico, non può essere separato dall'attuale e dall'attualizzazione e coincide con una modalità particolarmente feconda della realtà. Si tratta del virtuale antropologico? Il linguaggio, prima realtà virtuale a trasportarci oltre il qui e l'ora, al di là delle sensazioni immediate, potenza di menzogna e di verità, ci ha fatto perdere la realtà o ci ha aperto nuovi piani di esistenza? | << | < | > | >> |Pagina 22717Critica della critica Funzioni del pensiero critico La cybercultura è sostenuta da un movimento sociale molto vasto che annuncia e dischiude un'evoluzione profonda della civiltà. Il ruolo del pensiero critico è di intervenire sul suo orientamento e sulle modalità della sua messa in atto. In particolare, la critica progressista può sforzarsi di individuare gli aspetti più positivi e originali delle evoluzioni in corso. Così, essa aiuterà a far si che la montagna del cyberspazio non partorisca un topolino, ovvero una riaffermazione del 'mediatico' su scala più vasta o il puro e semplice avvento del supermercato planetario on line. Ma molti dei discorsi che si presentano come critici sono semplicemente ciechi e conservatori. Misconoscendo le trasformazioní in corso, non producono concetti originali, adeguati alla specificità della cybercultura. Si critica "l'ideologia (o l'utopia) della comunicazione" senza distinguere tra televisione e Internet. Si alimenta il timore di una tecnica disumanizzante, quando tutto si gioca nella scelta tra varie tecnologie e tra i differenti usi delle stesse tecniche. Si deplora la crescente confusione tra reale e virtuale senza aver capito niente della virtualizzazione che è tutto fuorché un depotenziamento della realtà del mondo, anzi è un'estensione delle potenzialità dell'umano. L'assenza di una visione del futuro, l'abbandono delle funzioni immaginative e di anticipazione del pensiero hanno per effetto di scoraggiare i cittadini dall'intervenire, lasciando in fin dei conti il campo libero alla propaganda commerciale. E' urgente, anche per la critica, intraprendere la critica di un "genere critico" destabilizzato dalla nuova ecologia della comunicazione. Bisogna interrogare abitudini e riflessi mentali sempre meno adeguati ai compiti contemporanei. | << | < | > | >> |Pagina 232La nostra specie accresce di pari passo la propria estraneità verso se stessa e la propria potenza. Complicando e intensificando le proprie relazioni, trovando nuove forme di linguaggio e di comunicazione, moltiplicando i propri mezzi tecnici, essa diventa ancora più umana. Questa progressiva invenzione dell'essenza dell'uomo, in corso nel nostro tempo, non garantisce affatto, in modo unilaterale, un avvenire radioso o una crescita della felicità. Le tendenze universalizzanti e virtualizzanti si accompagnano a un aumento delle disuguaglianza tra poveri e benestanti, tra regioni centrali e zone di miseria periferiche, tra chi partecipa all'universale e chi ne è escluso. Esse interrompono o rendono marginali forme di trasmissione secolari, indeboliscono i modi di vita locali che appartengono al patrimonio più prezioso della nostra specie, destabilizzano gli immaginari che organizzavano le soggettività. Suscitano reazioni di riterritorializzazione, di ripiego sui particolarismi, di chiusura identitaria. In un certo senso, la guerra civile mondiale che va dalle rivolte dei ghetti alle insurrezioni fondamentaliste passando per l'affermazione delle mafie esprime la lacerazione di un'umanità che non riesce a riunificarsi se non a proprie spese.Eppure, il passaggio per il virtuale è una svolta, un accumulo in vista di attualizzazioni più ampie e più forti. Il timore di una "derealizzazione del mondo" è infondato. L'universale aperto, senza totalità, della cybercultura accoglie e valorizza le singolarità, e offre al maggior numero di persone un accesso all'espressione. La paura del controllo, del totalitarismo o dell'uniformità sceglie piuttosto male un bersaglio, che dovrebbe essere cercato piuttosto dalla parte dei media classici e delle forme sociali autoritarie e gerarchiche. Ma le potenzialità positive della cybercultura, se aprono nuove potenzialità dell'umano, non garantiscono per nulla la pace o la felicità. Il fatto di diventare più umani deve a buon diritto suscitare una certa vigilanza, perché l'uomo solo è inumano, e questo giustamente a misura della sua umanità. | << | < | > | >> |Pagina 245La cybercultura rompe con i valori fondanti della modernità europea?In contrasto con l'idea postmodema del declino delle idee illuministe, sostengo che la cybercultura può essere considerata l'erede legittima (benché lontana) del progetto progressista dei filosofi del Diciottesimo secolo. In effetti, essa valorizza la partecipazione a comunità di dibattito e di discussione. Nel solco delle morali dell'uguaglianza, incoraggia una reciprocità essenziale delle relazioni umane. Essa si è sviluppata a partire da una pratica assidua di scambi d'informazioni e conoscenze, che i filosofi dei Lumi consideravano come il motore principale del progresso. E dunque, se mai siamo stati moderni, la cybercultura non sarà postmoderna ma assolutamente in linea con gli ideali rivoluzionari e repubblicani di libertà, uguaglianza e fraternità. Solo che, nella cybercultura, questi "valori" si incarnano in dispositivi tecnici concreti. Nell'era dei media elettronici, l' uguaglianza si realizza come possibilità per ciascuno di emettere per tutti; la libertà si concretizza in software utili alla crittazione e in un accesso al di là delle frontiere a molteplici comunità vírtuali; la fraternità, infine, traspare nell'interconnessione mondiale. Così, lungi dall'essere risolutamente postmoderno, il cyberspazio può apparire come una sorta di materíalizzazione tecnica dagli ideali moderni. In particolare, l'evoluzione contemporanea dell'informatica costituisce una stupefacente realizzazione dell'obiettivo marxiano di appropriazione dei mezzi di produzione da parte dei produttori stessi. Oggi, la "produzione" consiste essenzialmente nel simulare, nel trattare informazioni, nel creare e diffondere messaggi, nell'acquisire e trasmettere conoscenze, nel coordinarsi in tempo reale. | << | < | > | >> |Pagina 247ConclusioneLa cybercultura o la tradizione simultanea Lungi dall'essere una sottocultura per fanatici della rete, la cybercultura esprime una fondamentale trasformazione dell'essenza stessa della cultura. Secondo la tesi sviluppata nel presente rapporto, la chiave della cultura del futuro è il concetto di universale senza totalità. In questa affermazione, l"universale" significa la presenza virtuale dell'umanità a se stessa. L'universale ospita il 'qui e ora' della specie, il suo punto d'incontro, un 'qui e ora' paradossale, senza né tempo né luogo chiaramente assegnabili. Si ritiene, per esempio, che una religione universale si rivolga a tutti gli uomini e li riunisca virtualmente nella propria rivelazione, nella propria escatologia, nei propri valori. Allo stesso modo, si ritiene che la scienza esprima (e abbia valore per) il progresso intellettuale degli esseri umani nel loro complesso, senza esclusioni. Gli scienziati sono i delegati della specie e i successi della conoscenza esatta sono quelli dell'umanità nel suo complesso. Allo stesso modo, l'orizzonte di un cyberspazio, che noi riteniamo universale e universalizzante, è interconnettere tutti i bipedi parlanti e farli partecipare all'intelligenza collettiva della specie in un ambiente ubiquitario. In maniera completamente diversa, la scienza e le religioni universali aprono luoghi virtuali in cui l'umanità incontra se stessa. [...] Cos'è, invece, la totalità? Nel mio linguaggio, essa è l'unità stabilizzata del senso di una diversità. Che questa unità e questa identità siano organiche, dialettiche o complesse, piuttosto che semplici o meccaniche, non cambia niente: si tratta sempre di totalità, vale a dire di una chiusura semantica inglobante. Ora, la cybercultura inventa un'altra maniera di rendere virtualmente presente l'umano a se stesso rispetto all'imposizione di un'unità del senso. E' questa la principale tesi qui difesa. Riguardo alle categorie da me esposte, si possono distinguere tre grandi tappe nella storia: - quella delle piccole società chiuse, con cultura orale, che vivono una totalità senza universale; - quella delle società "civilizzate", imperiali, che utilizzano la scrittura e hanno fatto sorgere un universale totalizzante; - infine quella della cybercultura, che corrisponde alla mondializzazione concreta delle società e crea un universale senza totalità. Sottolineiamo che la seconda e la terza tappa non fanno sparire le precedenti: le relativizzano aggiungendovi dimensioni supplementari. [...] Lungi dal dislocare il motivo della "tradizione", la cybercultura lo inclina di quarantacinque gradi per disporlo nell'ideale sincronia del cyberspazio. La cybercultura incarna la forma orizzontale, simultanea, puramente spaziale della trasmissione. Essa ricollega nel tempo solo in seconda istanza. La sua principale operazione è connettere nello spazio, costruire ed estendere i rizomi del senso.
Ecco il cyberspazio, il pullulare di comunità, la
crescita congiunta delle opere, come se tutta la memoria
degli uomini si dispiegasse in un istante: un immenso atto
d'intelligenza collettiva sincronica, convergente verso il
presente, lampo silenzioso, divergente, esplosivo come
le sinapsi dei neuroni.
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