Copertina
Autore Antonella Lia
Titolo Abitare la menzogna
SottotitoloInfanzia infelice
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2013, Eretica speciale , pag. 216, cop.fle., dim. 15x21x1,2 cm , Isbn 978-88-6222-339-3
LettoreAngela Razzini, 2014
Classe bambini , psicologia , psicanalisi , pedagogia
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Indice

Prefazione di Armida Filippelli                       3

Introduzione                                          7

Il bambino                                           11

Il "bambino della notte"                             11
La nascita                                           16
L'indifeso                                           22
Una mamma è un albero grande                         25
Psicologia Funzionale del Sé                         29
La genitorialità positiva                            32

Quando si semina vento                               36

La violenza educativa                                36
I danni delle percosse                               44
Violenza, odio e perversione                         46
La pediatria è politica                              50
La peste emozionale                                  52
Il figlio 'ingestibile'                              55

Segreti e bugie                                      59

I 'fantasmi' nella stanza dei bambini                59
L'omertà del familismo                               63
Una tattica perversa: divide et impera               69
Festen, festa in famiglia                            72
Segreti di famiglia                                  77

Il ricatto morale                                    81

Il figlio come bisogno                               81
I 'sacrifici' dei genitori                           84
Il senso di colpa del bambino                        88
Liberarsi dai ricatti                                91

Abusi e crudeltà sui bambini                         93

Padre padrone                                        93
In Italia la violenza è domestica                    98
Il possesso del figlio                              101

Annientare col disamore                             106

Madri e matrigne                                    106
La pedagogia nera                                   112
L''ideologia' del disamore                          116
Il bambino bersaglio                                122
Approccio funzionale al bambino maltrattato         125
La fuga nelle fantasie                              127

Sacrifici umani                                     129

Il figlio sacrificale                               129
Lina: bambina o punching ball?                      133
Analisi delle tematiche                             142
La colpa del bambino                                144

Onda di ritorno                                     147

Il narcisismo                                       147
Rimozione o vendetta                                151
L'esplosione                                        154
Padre, padrone o sovrano?                           159
Piccoli sacrifici                                   162
L'infanzia umiliata del killer                      165

Conclusioni                                         170


Appendice                                           173

I vostri figli                                      175
I segnali della violenza                            176
Scheda n° 1 Incuria                                 177
Scheda n° 2 Maltrattamento                          178
Scheda n° 3 Abuso sessuale                          180
Scheda n° 4 Rilevazione delle emozioni del genitore 182

Bibliografia                                        184
Siti internet                                       211
Filmografia                                         213

 

 

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Pagina 7

Introduzione




Di fuori, il palazzo della Mammadraga era bellissimo; dentro però una spelonca, con le pareti e le vòlte tutte affumicate, e un puzzo di carne bruciacchiata che ammorbava. Luigi Capuana




Cosa hanno in comune un pedofilo, uno spietato e cinico affarista, un masochista, uno psicopatico, un marito violento, uno schizofrenico, un perdente e un sadico seviziatore di animali?

Apparentemente nulla. Si tratta di personalità molto diverse.

Tuttavia la lista potrebbe includere anche un parricida, un maniaco, un tossicodipendente, un narcisista, una moglie perseguitata e un serial killer.

E l'elenco potrebbe ulteriormente allungarsi.

Queste persone, in apparenza così lontane tra di loro, hanno in comune un terribile passato, un'infanzia maltrattata.

Molti genitori ritengono che la violenza sia la maniera più giusta di allevare un figlio. Per loro non c'è nulla di sbagliato nel picchiare un bambino, mortificarlo, renderlo insicuro, umiliarlo nella sua umanità e nella sua individualità. Le 'botte' che ancora oggi prendono i nostri bambini, e non solo quelli che vivono in ambienti emarginati, sono un abuso molto diffuso e troppo spesso sottovalutato. I genitori non si rendono conto del dolore fisico né della sofferenza emotiva che arrecano. Anche loro da bambini "le hanno prese"; ma, se a loro volta le somministrano, quasi certamente ne hanno dimenticato i patimenti.

La violenza del genitore è considerata legittima; pochi ne paventano le conseguenze drammatiche.

Inaspettata, la tragedia familiare sconvolge tutti. Di sicuro non c'erano intenzioni omicidiarie: si è solo usata la "maniera forte"; la mamma si è lasciata prendere la mano, come quando da piccola giocava con la bambola e, nell'irruenza infantile, il giocattolo si è rotto. Ma allora a "prendere la mano" era la foga del gioco, adesso è un'emozione di cui lei non è pienamente consapevole...

Con troppa frequenza i bambini sono vittime di delitti familiari. Raccontati dai quotidiani o dalla televisione con particolari raccapriccianti e al limite del morboso, tali crimini fanno orrore e spettacolo, avendo sostituito nell'immaginario le tragedie greche. Ma, trascorso il tempo per 'consumare' il dettaglio macabro, l'emozione popolare cade, il Coro tace e sulla scena cala l'oblio. L'iniziale orrore e il successivo disinteresse sono due facce della stessa medaglia, ovvero l'incapacità di riconoscere la barbarie di una pratica universalmente accettata: punire fisicamente i bambini.

L'opinione pubblica attribuisce le tragedie domestiche a un raptus, alla follia o magari al demonio. In preda alla rabbia distruttiva, il genitore appare posseduto da dèmoni: il detonatore del maltrattamento è costituito proprio dalla rabbia repressa quando, incontrollata, diventa esplosiva.

La violenza della "mamma assassina" talvolta non è diversa da quella di altri padri e madri furenti. Si tratta solo di una differenza quantitativa, un crinale che viene oltrepassato: questa madre sventurata si è lasciata trasportare "un po' troppo" da un'emozione che non governa poiché non ne è consapevole, una rabbia che le è sfuggita di mano mentre riteneva di adempiere alle sue funzioni educative: punire fisicamente il bambino.

Non sempre chi alleva un bambino è in contatto con le proprie emozioni, con il rischio che possano erompere violente tra le mura di casa. "Avverte il bisogno di colpire gli altri soltanto chi non riesca a comprendere la propria rabbia, dato che non gli è stato consentito, quand'era bambino, di acquisire familiarità con tale sentimento che egli non ha potuto vivere come una parte di sé, visto che nell'ambiente che lo circondava ciò era assolutamente impensabile".


Questo lavoro è un'opera sulla menzogna, quella che si traveste da educazione intridendo di ideologia la retorica della famiglia.

La Mammadraga, in esergo al presente paragrafo, è la metafora di chi, protetto dalla normalità, si fa carnefice del figlio: i genitori maltrattanti, quelli che in preda alla rabbia appaiono invasati, possono celarsi nel quotidiano tra la gente stimata e degna di fiducia, persone 'normali' che adoperano modalità persecutorie non sempre manifeste e pertanto più subdole.

In tutti i settori dell'umana esistenza, più elevata è la classe sociale, maggiori sono le capacità e gli strumenti di occultamento dei misfatti. Non sempre coloro che diventano genitori sono cresciuti in modo armonico, mantenendo integre le Funzioni del proprio Sé. Così come non tutti hanno potuto conseguire nel corso della propria infanzia le Esperienze di Base indispensabili per poter allevare in modo sereno a loro volta un figlio. I loro sistemi funzionali sono troppo spesso carenti o inquinati. Paradossalmente accade anche che tali genitori maltrattanti – incuranti della paura e della disperazione che provocano nei figli – siano quelli che manifestano più platealmente orrore di fronte a storie di cronaca nera riguardanti minori. Le sofferenze provate nell'infanzia continuano a causare danni nell'intera esistenza: il bambino crescendo sovente dimentica, ma il malessere, il disagio e una confusa sensazione di "non contare niente" possono durare tutta la vita.

Questo mio lavoro è un debito: troppe tenere esistenze, maltrattate nell'indifferenza tra le pareti delle loro case, ho potuto, inerme, solo intuire, chiamata ad affrontare le più varie tematiche del disagio infantile e adolescenziale nelle scuole di Napoli.

Ed è anche un grido! È il mio invito a considerare – al di là di casi limite come pedofilia o infanticidio – la violenza quotidiana, psicologica ma soprattutto fisica, di cui sono vittime i bambini.

Mi rendo conto di sfidare un tabù millenario, l'indiscusso amore dei genitori per i loro figli, così come so di muovermi su un terreno minato, la violenza verso un bambino perpetrata da coloro che dovrebbero proteggerlo.

Tali genitori sono preda di una ideologia perversa: le loro percosse sarebbero un "atto d'amore". Al bambino punito viene fatto credere che ciò accade soltanto "per il suo bene".

Ho cercato di evidenziare, attraverso il racconto di alcune storie, gli effetti nefasti della "violenza educativa" a livello della vita dei singoli e del sociale.

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Pagina 39

Alice Miller, psicoanalista austriaca e saggista, ha avuto modo di rilevare dall'analisi dei suoi pazienti gli effetti nefasti che i maltrattamenti subiti da bambini all'interno della propria famiglia comportano nella crescita e nell'età adulta. Dopo anni di osservazione su pazienti maltrattati da piccoli, la Miller ha evidenziato che il metodo educativo più diffuso nel mondo – il ricorso alle punizioni corporali utilizzate da sempre in tutti i continenti – è la causa principale di gran parte delle violenze commesse in seguito dagli stessi bambini, una volta divenuti adulti, nella vita familiare o nella collettività. Questo dato, sotto gli occhi di tutti, è sottovalutato a causa di un meccanismo crudele ma banale: il bambino che subisce la violenza educativa viene persuaso dai genitori che lui è colpevole e che loro, dovendolo educare, hanno tutte le ragioni per punirlo. Trasmesso al bambino per anni, il messaggio perverso si fissa nella sua mente che vi si sottomette, modellandosi su tale convinzione. Basta questo a giustificare ai suoi occhi – e alla sua pelle martoriata – la violenza educativa subita e a indurlo, una volta cresciuto, a riprodurla. Se non incontrerà qualcuno che l'aiuti nella comprensione di tali dinamiche mortifere, gli sarà impossibile riconoscere di essere stato maltrattato: è difficile risalire alle cause profonde del suo malessere, se chi gli ha avvelenato la vita ha agito in nome dell''amore', dietro la maschera del genitore perfetto.

Questa forma di educazione violenta, sostiene la Miller, discende dal quarto comandamento nelle Tavole della legge divina, il rispetto dovuto ai genitori. Non si fa alcun cenno, tuttavia, nelle suddette tavole al rispetto dovuto al bambino.

Al contrario, il bambino è considerato una creatura nata nel peccato e quindi da redimere. Colpevolizzati in tal modo i bambini e beatificati i genitori, la violenza educativa si è ancorata alla dimensione del 'sacro'. Confinata per millenni in un angolo morto della visuale umana, un punto cieco della rètina dello spirito, la sofferenza dei bambini è stata resa legittima. Di fronte alla malvagità umana si è data ogni sorta di spiegazione, ma quasi a nessuno viene in mente con chiarezza che gli iniziatori dei bambini alla violenza sono i loro stessi genitori.

L'indifferenza verso l'infanzia e le sue sofferenze è stata motivata in passato dall'alto tasso di mortalità: la compassione verso i bambini sarebbe stata 'anestetizzata' dalla considerazione che morivano come mosche. Ma forse, come suggerisce Elisabeth Badinter a proposito delle madri del XVIII secolo, occorre capovolgere la proposizione per poter comprendere: "Non è perché i bambini morivano come mosche che le madri si interessavano poco a loro. Ma è in gran parte perché esse non si interessavano ai bambini che questi morivano in così gran numero". Basti pensare a come in ogni tempo i più grandi spiriti siano stati capaci di farci commuovere sui tormenti e le passioni dell'animo umano degli adulti ma non abbiano mai descritto la sofferenza dei bambini che è, ed è sempre stata, sotto gli occhi di tutti. Tale cecità dipendeva dall'indifferenza di fronte alle sofferenze infantili: le brutalità subite nei primi anni di vita erano in passato considerate normali, come oggi lo sembrano gli schiaffi e le sculacciate. Ci sono voluti romanzi e racconti autobiografici perché si cominciasse a parlare delle crudeltà subite nei collegi, a scuola e in seno alla stessa famiglia. Ma non era ancora che una piccola conquista. La violenza educativa rinnova continuamente le sue difese: ogni generazione di bambini percossi diventa una falange di strenui difensori delle punizioni corporali.

La frase più volte ascoltata "Le botte che mi ha dato mio padre mi hanno fatto molto bene", testimonia in chi la pronuncia l'effetto di quella stessa violenza educativa. Il progresso umano è fondato su alcuni princìpi, tra i quali l'imposizione di non picchiare un indifeso. Questa norma civile è disattesa ogni volta che a un genitore è concesso di picchiare il figlio. Molte persone non serbano alcun ricordo delle botte, le hanno 'cancellate', perché ne provano umiliazione e senso di colpa, al punto che si sente colpevole più la vittima del carnefice. Quando dopo anni vengono evocate, le percosse subite suscitano vergogna e sorrisi imbarazzati che contribuiscono a sminuirle.

Paradossalmente, si additano all'opinione pubblica i seviziatori di bambini ma la gente che ne inorridisce non si fa il minimo scrupolo di adoperare nei confronti dei figli punizioni corporali appena meno brutali delle sevizie che tanto orrore suscitano. Non si presta alcuna attenzione alla violenza educativa ordinaria. "Freud era partito molto bene quando scoprì gli abusi sessuali subiti dalle isteriche, inventando la nozione di trauma. Ma ha virato di bordo per non dover accusare suo padre. E, mettendo soprattutto l'accento sulle pulsioni del bambino, metamorfosi della nozione di peccato originale, ha contribuito a nascondere gli effetti della violenza educativa. Oggi è nella corporazione degli psicanalisti che si recluta la maggior parte degli specialisti dell'infanzia, sostenitori della sberla o della sculacciata".

Il concetto di resilienza, che in metallurgia indica la capacità di un metallo di resistere, formulato in campo psicologico, rafforza la convinzione che i traumi subiti nell'infanzia abbiano poca influenza sul resto della vita.

Fino a quando non verranno vietate le punizioni corporali, la violenza educativa è destinata impunemente a riprodursi.

È significativo che i Paesi europei dove è stata arginata la violenza in famiglia, ricerchino soluzioni non violente ai conflitti. Dove invece l'educazione è rimasta patriarcale e tirannica, rimangono focolai di ferocia e di terrorismo.

Molte istituzioni internazionali fanno pressione affinché tutti i Paesi bandiscano le punizioni corporali. L'art. 19 della Convenzione sui diritti dei bambini invita gli Stati a difendere i bambini "contro ogni forma di violenza" e il Comitato dei diritti dei bambini delle Nazioni Unite chiede agli Stati di vietare ogni violenza educativa.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel suo rapporto di novembre 2002 sulla violenza, ha presentato la consuetudine alle punizioni corporali in famiglia come una delle cause importanti dell'aggressività degli adolescenti e degli adulti.

Analogamente, il Consiglio d'Europa ha invitato gli Stati europei a votare delle leggi che vietino la violenza educativa.

Il Consiglio Ecumenico delle Chiese Protestanti sul suo sito africano invita i genitori a rinunciare alle punizioni corporali interpretandole come causa di violenza diffusa. In maniera analoga, la Chiesa Metodista Unita degli Stati Uniti ha sollecitato i suoi fedeli a rinunciarvi.

Ma la Chiesa Cattolica resta muta...

Sono sorte nel mondo interessanti iniziative locali come l'associazione EMIDA in Camerun, che ha avviato, con l'aiuto dell'UNICEF, una vasta ricerca su 2.004 bambini, 1.002 genitori e 105 insegnanti: il 90% dei bambini venivano picchiati a casa e il 97,6% degli allievi in classe. Le conseguenze delle percosse hanno indotto le seguenti considerazioni: "Il bambino diventa sottomesso, passivo, senza fiducia in sé; si sente colpevole, ha poca iniziativa, diventa bugiardo. Sviluppa poco il senso di responsabilità, difficilmente pensa agli altri poiché la violenza lo rende più egoista. Costituita totalmente di individui formati da questa educazione, la società manca di dinamismo, è poco creativa. La sottomissione, la passività e la violenza favoriscono largamente le guerre tribali. L'irresponsabilità e l'egoismo portano alla corruzione a tutti i livelli. La sottomissione e l'irresponsabilità non permettono la vera democrazia".

Le punizioni corporali non solo producono un'inutile sofferenza, ma si rivelano controproducenti per la personalità infantile.

Inoltre il bambino che ne è fatto oggetto, se non dimentica, desidererà 'vendicarsi' di tutto il dolore patito come ingiustizia.

L'azione di EMIDA che ha intrapreso una strategia di formazione esponenziale dei genitori, evidenzia che si può interrompere la catena della violenza educativa anche in quei luoghi del pianeta ove è ancora intensa e distruttiva. Ma per "liberarci da un male" bisogna, come dice Alice Miller, "averlo chiamato e giudicato come un male".

L'intera società continuerà a pagare un prezzo altissimo per la sua sicurezza finché non emergerà che tanti mali del mondo dipendono dal dolore, dall'umiliazione e dalle sofferenze provate da intere generazioni nell'infanzia.

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Pagina 81

Il ricatto morale


Il figlio come bisogno




La forma più sublime dell'egoismo si chiama amore materno. Heinrich Wolfgang Seidel




Perché si mette al mondo un figlio?

Non per amore nei suoi confronti: prima del concepimento il figlio non c'è ancora. Nemmeno l'amore verso il partner può esserne la ragione: la coppia innamorata è una monade e addirittura un figlio può comprometterne l'equilibrio.

Un figlio nasce quando c'è un genitore che ne ha bisogno: per obbedire a un istinto; perché lo desidera nella propria pancia, della propria carne, del proprio sangue; per colmare un vuoto o sentirsi più completo; perché dopo la morte rimanga qualcosa di sé; per proiettare su di lui aspirazioni frustrate ("Mio figlio avrà quello che non ho avuto io"); per appoggiarsi a lui, che diventa il "bastone della vecchiaia"; per convenzione; per aderire a un'immagine culturale, oppure solo per la gioia di averlo.

Esistono anche motivazioni aberranti: figli concepiti come terapia per depressione o per obesità materne, oppure venuti al mondo per donare, loro malgrado, a un fratello gravemente malato una o più parti del proprio corpo. O anche un figlio venuto al mondo per sostituire un fratello morto, come fosse un bene 'fungibile'.

Nei Paesi meno industrializzati i figli sono considerati ancora oggi braccia da lavoro, un fenomeno in passato diffuso anche nel mondo occidentale.

Il figlio nasce sempre per un bisogno del genitore!

"Essere mamma non è un mestiere. Non è nemmeno un dovere. È solo un diritto fra tanti diritti". Non sono stati papà e mamma a donare la vita: è la vita stessa che passa da persona a persona, da cellula a cellula, e nessuno ha fatto troppo sacrificio a trasmetterla! Tuttavia i genitori, almeno alcuni, pretendono eterna riconoscenza per aver elargito la vita come dono. Se il figlio 'indegno' non risponde ai requisiti desiderati, la madre può fargli sentire pesantemente la sua delusione. E oltre a rinfacciargli tutti i sacrifici fatti per lui, può anche accadere che arrivi, in momenti di rabbia, a minacciarlo esplicitamente: "Io ti ho fatto e io ti distruggo!".

Considerato un'estensione materna, il bambino non appartiene a se stesso: la madre gli ha dato la vita e quindi, a livello profondo, può sentire il diritto di togliergliela.

Il figlio sviluppa allora uno scarso senso di identità personale e diviene insicuro in tutte le scelte importanti. Inoltre, se non risponde alle esplicite richieste del genitore, aderendo alle sue aspettative e prendendosene cura fino alla morte, può divenire preda di devastanti sensi di colpa.

Quando il genitore – di solito la madre – non riconosce il bambino come essere differenziato, possono emergere conflitti nel suo processo di separazione-individuazione. Gli scenari che si aprono sono diversi. Il bambino può adattarsi al ruolo predestinatogli dal genitore apparentemente senza problemi; gravi turbe esploderanno più avanti nel tempo. Può accadere anche che, una volta cresciuto e in grado di esprimere se stesso, reclami di essere riconosciuto come persona, non come "ombra dei genitori e dei loro oggetti interni", provocando scompenso nel genitore. Secondo Giuliano Cannata, l'evoluzione umana non si è fondata sull'amore materno bensì sulla sua retorica, enfatizzata dal maschio ai fini della conservazione della specie.

La donna ha potuto esercitare solo il 'potere' di procreazione e dunque di produzione, in quanto fornitrice di braccia da lavoro.

Dalla notte dei tempi procreare è stato rispondere, nell'ottica della cultura patriarcale, a un paradigma maschile di valori: dare significato alla trasformazione del mondo e della specie.

La possibilità di scelta offerta dalla contraccezione cambia lo scenario, offrendo alla maternità un valore diverso: l'amore della madre può estrinsecarsi come amore materno, non più come la sua retorica.

Claudio Foti sottolinea l'enorme discrepanza tra l'immagine ideale del genitore oblativo, cioè colui che dona senza chiedere nulla in cambio, e l'impulso distruttivo presente invece nel suo inconscio. "Il valore della tutela del bambino rappresenta certamente una grande conquista culturale e morale della storia umana, ma la tendenza ad assolutizzare tale valore rischia di accompagnarsi alla negazione del nostro odio profondo verso i più piccoli, odio che palesemente ha albergato nel nostro passato e che continua ad albergare nel nostro presente. L'illusione etica circa la nostra benevolenza nei confronti dell'infanzia impedisce l'assunzione di consapevolezza e di responsabilità circa gli impulsi, non facilmente eliminabili nella mente dell'adulto, all'appropriazione aggressiva e all'incorporazione avida della generazione emergente da parte della generazione adulta. (...) Esistono per esempio infiniti modi per divorare i figli dal punto di vista psicologico, per appropriarsi dell'amore, della sensibilità, delle risorse, della vita dei bambini, per ridurli a oggetti passivi di cui approfittare".

Un modo molto diffuso, specie in Italia, di divorare i figli è di imbrigliarli in ricatti affettivi.

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Pagina 112

La pedagogia nera




In particolare non trascuravano mai di ricordarmi che era mio dovere obbedire immediatamente ai desideri e agli ordini dei genitori, dei maestri, dei preti ecc., insomma di tutti gli adulti (...) e che non mi era lecito rifiutare. (...) Questi fondamenti pedagogici sono diventati una parte di me stesso. Rudolf Höss, comandante ad Auschwitz


Che fortuna per i governanti che gli uomini non sappiano pensare. Adolf Hitler




Michael Haneke, ne Il nastro bianco, film ambientato in un villaggio agricolo del Nord della Germania alla vigilia della Prima guerra mondiale, racconta le vicende di alcuni bambini di un coro, delle loro famiglie e dei loro educatori. Il nastro bianco del titolo, annodato ai capelli o al braccio di alcuni bambini, è l'emblema di un'umiliazione pubblica per la pretesa degli adulti di un 'candore' infantile perduto nel peccato. Accadono in paese fatti inquietanti e, nel segreto delle case, orrendi rituali punitivi. La sceneggiatura sembra attingere da alcuni passi della pedagogia nera citati dalla Miller: il terrorismo psicologico subito da un bambino sospettato di essersi masturbato, oppure le percosse da somministrare a distanza a un piccolo penitente, per la voglia sadica di amplificarne la sofferenza morale mediante l'angoscia dell'attesa. "(...) all'esecuzione del castigo io premetto una lunga preparazione che renda il ragazzo più ricettivo di quanto non ottengano le percosse medesime. Non lo picchio nel momento in cui ha meritato il castigo, ma rimando fino al dì seguente o al terzo dì. Da ciò traggo due tipi di vantaggi: in primo luogo mi sbolliscono nel frattempo le ire e trovo la tranquillità di riflettere a mio agio su come possa affrontare la questione con accortezza; secondariamente il piccolo delinquente patisce almeno dieci volte il suo castigo, non solo sentendoselo sulle spalle, ma anche ritornandoci continuamente con il pensiero". Tali forme di sopraffazione violenta del bambino possono avere nel tempo due tipi di effetti, entrambi nefasti: il soggetto maltrattato impara a ubbidire senza pensare e, crescendo, prova un desiderio di rivalsa che può portarlo alla violenza e al sadismo.

Natalia Aspesi a commento de Il nastro bianco, evidenzia: "(...) in quel microcosmo in un quieto angolo della Germania, quegli adolescenti impenetrabili, cinici, sprezzanti, vent'anni dopo saranno adulti; e la loro abitudine a ubbidire in silenzio a un potere autoritario, a trasformare la violenza subita in ferocia sui più deboli e i diversi, la diffidenza, la brutalità, l'ignoranza, l'invidia, che allora li legavano e separavano, avranno uno sbocco politico entusiasta e tragico. (...)". È a causa della violenza di tale trattamento educativo – sostiene la Miller riprendendo la Schwarze Pädagogik, così denominata da Katharina Rutschky – che i totalitarismi dell'Europa del XX secolo hanno raccolto largo consenso popolare: la repressione della libertà di pensiero e di espressione subita da intere generazioni ha preparato un terreno molto fertile all'avvento delle dittature.

La convinzione che sia indispensabile l'uso delle punizioni fisiche come metodo educativo, purtroppo è dura a morire anche oggi. È una visione pedagogica che considera come tendenze perverse la spontaneità, la vitalità e la gioia di vivere naturali nel bambino. Di qui la necessità da parte del genitore o dell'educatore di reprimere con le punizioni i comportamenti infantili ritenuti viziosi, autolesionisti, antimorali e antisociali. Tutte le espressioni della naturale esuberanza del bambino vanno represse con la forza e con i divieti, in quanto interpretate come manifestazioni di cattiva educazione, egoismo e addirittura odio. La punizione assume, in una visione comportamentista, il ruolo di strumento educativo e di insegnamento: il genitore, senza ingenerare nel bambino confusioni dovute alla sua scarsa capacità di comprensione, attraverso la punizione fisica e la violenza psicologica ottiene il risultato di trasmettergli in modo chiaro il messaggio che obbedire alle regole è necessario e che la trasgressione comporta sanzioni e sofferenze. Tale approccio educativo impone l'amore come senso del dovere, attraverso l'uso ideologico di concetti come il bene e il male, l' amore e l' odio. La morale, in questa visione ipocrita e poco etica, anziché scaturire da una crescita armoniosa e dall'empatia, viene imposta al bambino come auto-sacrificio e, se necessario, con le punizioni. La pedagogia nera impone i suoi mortiferi assiomi: "1) L'amore può nascere per senso del dovere; 2) l'odio può essere eliminato a forza di divieti".

La valenza negativa della pedagogia nera come metodo educativo, è stata ampiamente confermata: diverse ricerche di impostazione psicologica ne hanno rilevato la nocività. Le punizioni corporali, secondo la Miller, producono nel bambino una sofferenza irriducibile che con la crescita può essere rimossa ma che continua per tutta la vita a segnarne in modo traumatico e quasi irreparabile — attraverso meccanismi di reazione come la depressione e l'autoritarismo — il successivo sviluppo nella fase adulta.

"Chiunque sia stato genitore e non viva in uno stato di perfetto auto-inganno sa per esperienza come possa riuscire difficile tollerare certi aspetti del carattere del proprio figlio. Accorgersi di questo è particolarmente doloroso, se vogliamo bene al bambino, desideriamo realmente rispettarne l'individualità e tuttavia non ci riusciamo. Magnanimità e tolleranza non si possono raggiungere con l'aiuto di conoscenze intellettuali. Se non abbiamo avuto la possibilità di vivere e rielaborare in modo cosciente il disprezzo di cui siamo stati vittime nella nostra infanzia, continueremo a riprodurlo e a trasmetterlo ai nostri figli. La conoscenza puramente intellettuale delle leggi dello sviluppo infantile non ci impedisce di provare irritazione o rabbia se il comportamento di nostro figlio non corrisponde alle nostre idee, se non è in sintonia con i nostri bisogni o se — peggio ancora — minaccia i nostri meccanismi di difesa". È indispensabile che il genitore sia sempre consapevole delle proprie emozioni, anche e soprattutto quelle negative, affinché esse non divengano distruttive. "Chiunque riesca a comprendere e ad integrare la propria collera come parte di sé non sarà mai violento. Avverte il bisogno di colpire gli altri soltanto chi non riesca a comprendere la propria rabbia, dato che non gli è stato consentito, quand'era bambino, di acquisire familiarità con tale sentimento che egli non ha potuto vivere come una parte di sé, visto che nell'ambiente che lo circondava ciò era assolutamente impensabile".

La legittimità della violenza educativa è talmente radicata nella mente di generazioni e generazioni, che i bambini stessi che l'hanno subita, divenuti genitori, non esitano a loro volta ad applicarla in nome dell'amore per il proprio figlio. È nel circolo vizioso della violenza, prima patita e poi rimessa in atto in età adulta, la radice del male. "Spesso i genitori non fanno altro che riprodurre il tipo di trattamento che forse a loro volta hanno ricevuto nell'infanzia". L'abuso infantile "è come una metastasi che passa da una famiglia all'altra, da una generazione all'altra".

Nel punire fisicamente i figli, i genitori sono mossi da motivazioni diverse. Prima però di introdurre i gruppi di padri e madri in oggetto, desidero evidenziare che tale caratterizzazione prende in esame degli idealtipi, ovvero costruzioni di pensiero adoperate ai fini di semplificare l'analisi: non è raro infatti che un genitore rigido utilizzi la punizione corporale anche per scaricare la propria rabbia sul figlio e via dicendo. Un primo gruppo può sostenere che le percosse siano legittime in quanto tradizionalmente adoperate come mezzo di correzione. Si tratta di persone che generalmente puniscono "a freddo", caratterizzate da uno stile cognitivo rigido e da atteggiamenti anaffettivi nei riguardi della prole: quasi certamente costoro sono fautori inconsapevoli della pedagogia nera. Un'altra categoria di genitori maneschi è composta da coloro che perdono le staffe e puniscono il figlio non per intenti correttivi, ma per scaricargli addosso la collera. È frequente che queste persone, sprovviste di Funzioni genitoriali, tendano anche a viziare i propri figli, perché incapaci di fissare i limiti e di dar loro delle regole, salvo poi esplodere quando la misura è colma. In genere, sbollita l'ira, costoro si pentono delle percosse somministrate. Esiste, purtroppo, un'altra categoria che abusa del metodo punitivo: è il caso del genitore in preda al disamore.

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La colpa del bambino




Ci sono dei malvagi che sarebbero meno pericolosi se fossero assolutamente privi di bontà. François de La Rochefoucauld




Traduco liberamente le parole di Bernard Lempert: "Qual è il processo che porta alla violenza sistematica nei confronti di alcuni bambini? Quali sono gli ingranaggi? Di quale meccanismo si tratta e qual è la sua logica interna? Da dove viene questa modalità distruttiva che agisce in alcune famiglie al punto da funestare le loro case? Inizialmente c'è la presunzione della colpa. Arriva quando un bambino nasce e viene subito considerato colpevole. Di tutto e di niente. È accusato di piangere indiscriminatamente di notte e di svegliare tutto il vicinato, di aver fame ogni giorno e più volte al giorno, di sporcare con le feci; di avere gli occhi che ha, di non avere i capelli che non ha; di essere goffo, impacciato e di non sapere farsi comprendere....Più tardi, lo si accuserà del bicchiere che rovescia, dello sporco che produce, del disordine della sua stanza, dei suoi voti, dei suoi gusti musicali, delle sue frequentazioni... Tanto varrebbe dire che ci si dispiace della sua esistenza. Può anche succedere che sia rimproverato ancor prima di nascere, quando non aveva fatto ancora soffrire sua madre nel parto, né aveva arrecato alcun torto a suo padre ostacolando le sue abitudini. Si dice che questo bambino è la causa delle preoccupazioni che si hanno, che solleva continui problemi, che causa dei guai. Vuole esistere ed essere se stesso: se la sua colpa è limitata a ciò che non si sopporta di lui, allora questa colpa è la sua stessa esistenza. Non ha bisogno di commettere un errore particolare perché lo si chiami cattivo, egli impersona la colpa attribuitagli, porta intimamente il marchio indelebile della sua malvagità, e dovrà a sua volta subire un'ostilità considerata legittima. Che sia stato – consapevolmente – voluto o meno, il bambino dichiarato colpevole non ha diritto all'esistenza come qualcosa che gli sarebbe stata donata. La vita non gli è stata donata. Gli è stata concessa. A malincuore. Controvoglia. Si ritiene che sia entrato in famiglia in prova, e che prima dovrà pagare per l'impudenza. Viene trattato più come un ladro che come un bambino. Appena possibile, lo si sottoporrà a un conteggio, in modo che non possa continuare impunemente a rubare ciò che consuma. Egli è portatore di una colpa non commessa e sottoposto a un debito che non ha contratto. La colpa immaginaria non ha contorno. Senza contorno non ha limiti. Per una colpa senza limitazioni, il debito dovrà essere qualcosa di proporzioni immense. Si potrebbe ancora valutare in termini di valore coinvolto. Si tratta dell'esistenza che, come tutti sanno, non ha prezzo. Poiché la vita non ha prezzo, il debito di vita sarà perpetuo. Seguirà il corso del tempo come un'ombra, evocando senza sosta il ricordo di colui che vi è legato, ricordando in modo ossessivo al bambino in questione che deve la vita ai suoi genitori – nel senso più pieno e più letterale del termine. Dal momento che deve loro, dovrà pagare. Da una colpa immaginaria, al debito perpetuo; e dal debito perpetuo al risarcimento senza fine. Il figlio che non ha ricevuto la sua vita come un dono, e su cui pesa enormemente l'immensità di un debito schiacciante, cerca un modo per liberarsi del suo peso. Lui sa bene di essere insolvente, che non è che un bambino senza mezzi e senza risorse – che non ha credito. Allora si propone di cambiare la sua posizione e tenta una prima soluzione per risolvere il problema di origine. Dal momento che è considerato cattivo e poiché non trova il favore di coloro che sono stati così generosi da dargli la luce, poiché non merita di essere annoverato nella condizione umana, poiché non ha sufficiente valore agli occhi del mondo per ricevere senza contropartita i privilegi concessi ai vivi – non deve far altro che lasciare ad altri il posto di bambino di cui non è degno, e accontentarsi di una posizione di servo, la sola che gli permetterà di adempiere al suo debito. Egli stesso conferma questo primo spostamento, questa migrazione praticamente invisibile che gli si impone. Non essendo stato accettato come bambino, va ad occupare come può il posto di servo, quello che di volta in volta gli si lascia e gli viene assegnato. Egli immagina di trarne alcuni benefici affettivi residuali. Crede di poter strappare un avanzo o una parvenza di amore se assolve adeguatamente i suoi compiti. Se è stato un bambino cattivo che non dà che preoccupazioni, potrà forse diventare un buon piccolo servitore in grado di dare soddisfazione? Non sa ancora che non sarà mai abbastanza un buon servitore, che non soddisferà mai i genitori, che non si rallegrerà, che è inutile aspettarsi i segni di un amore negato. Non sa che le pratiche familiari del ricatto continueranno subdolamente con il pretesto di nuovi rimproveri circa i compiti da eseguire. Non solo il bambino che non piace è relegato in una posizione di servizio, ma il servizio sarà ancora la permanenza nell'incomprensione. Il bambino crede che la sua condizione di servo gli possa procurare bene o male un po' di affetto; è lento a capire che, al contrario, dà luogo alla realizzazione di ulteriori crudeltà: quello che fa non è fatto mai abbastanza bene. Tutto quello che gli si rimproverava riguardava la sua esistenza, lo si rimprovera ora per quello che fa. Uno a cui è stato detto che non era buono, che cosa poteva fare bene? Il bambino dichiarato 'buono a niente' non sarà altro che un servo deludente. Potrebbe procurarsi un male da cane, l'insoddisfazione dei genitori persisterà e segnerà, facendogli credere che la sua incapacità è stata l'unica causa di ciò che non va. Gli sforzi di cui dà prova, non saranno in grado di pareggiare il debito originario. Il deficit non si colmerà mai".

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I segnali della violenza




Tutti i grandi sono stati bambini una volta (ma pochi di essi se ne ricordano). Antoine de Saint-Exupéry




Come ho argomentato nel corso del libro, il termine abuso, che nella lingua italiana significa letteralmente "uso eccessivo di qualcosa", in genere, quando è riferito all'infanzia, è relegato alla sfera sessuale. Il bambino abusato è 'solo' quello sessualmente violato: il maltrattamento fisico in Italia non è considerato abuso.

Il linguaggio è lo specchio del pensiero.

In realtà, l'abuso sui bambini, oltre alla violazione sessuale, include l'incuria e la violenza fisica.

Ritengo quindi utile indicare al lettore una serie di segnali da osservare nel bambino, la cui presenza contraddistingue in modo specifico i vari tipi di abuso.

Nella postura, nel modo di respirare, nei movimenti e in lesioni tipiche, un bambino può 'raccontare' senza parlare i suoi vissuti di abbandono, di sfiducia, di inadeguatezza o di devastante paura. Sono questi gli atteggiamenti che le prime tre schede allegate intendono mettere in evidenza, per individuare in un bambino la presenza di incuria, maltrattamento, o abuso sessuale.

La quarta scheda rivolta al genitore, richiamando il suo passato infantile, può evidenziare eventuali vissuti di sofferenza, per aiutarlo a non presentarne il conto al figlio. Poiché è rischioso quando ambivalenza e/o ostilità nei confronti di un figlio sono inconsapevoli, la scheda intende aiutare il genitore a prendere coscienza dell'eventuale presenza di tali sentimenti, per elaborarli.


SCHEDE DI RILEVAZIONE DEGLI ABUSI SUI MINORI
    SCHEDA N°1   INCURIA

    SEGNALI FISICI

    cattivo stato generale
    ritardo di crescita
    malnutrizione
    scarsa igiene
    vestiario inadeguato

    SEGNALI EMOTIVI

    inibizione affettiva
    insicurezza
    disturbi depressivi
    passività
    compromissione del senso di identità

    SEGNALI COMPORTAMENTALI

    difficoltà di attenzione
    mancata esecuzione dei compiti
    insuccesso scolastico
    sviluppo ritardato di competenze sociali
    isolamento sociale
    ritardo nel linguaggio


    SCHEDA N°2   MALTRATTAMENTO

    [...]

    SCHEDA N°3   ABUSO SESSUALE

    [...]

    SCHEDA N°4   RILEVAZIONE DELLE EMOZIONI DEL GENITORE

    [...]

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