Copertina
Autore Chiara Libero
Titolo Londra
EdizioneWhite Star, Vercelli, 2006 [1997], I luoghi e la storia , pag. 136, ill., cop.ril.sov., dim. 247x307x13 mm , Isbn 978-88-540-0418-4
LettoreLuca Vita, 2006
Classe citta': Londra
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Indice


La città infinita                      8

Venti secoli di storia                20

Segni dell'impero                     56

Per le strade di Londra              112

Indice                               132


 

 

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Pagina 8

La città infinita


Esiste ancora il cockney? Per chi non lo sapesse, è con questo termine che si definisce chi è nato nell'area coperta dal suono delle campane di St. Mary-le-Bow nella City, le Bow Bells. Come a dire i londinesi-che-più-londinesi-non-si-può, l'essenza distillata della città, uomini e donne che considerano questa capitale congestionata, piovosa, allegra e formale il posto migliore del mondo e che, probabilmente, si farebbero tagliare una mano piuttosto che rinunciare alla loro birra chiara e tiepida, allo shepherd's pie e al fish and chips. Che parlano uno slang incomprensibile non solo per gli stranieri, ma per gli stessi inglesi, una lingua in continua evoluzione fatta di assonanze e accostamenti audaci (chi scrive ricorda un apprezzamento molto personale a una parte anatomica, nascosto sotto una frase che parlava di una "sordomuta" - deaf and dumb uguale bum). Uno slang che non ha nulla a che vedere con i dialetti come li possiamo intendere noi: a Londra non capiterà mai di sentire un lord parlare cockney nel modo in cui i nostri nobili romani parlano lo stesso romanesco del verduraio di Trastevere. Altra caratteristica tipica, la solidarietà. I cockney sono più che pronti ad abbindolare chiunque non riconoscano come facente parte del gruppo, ma all'interno del clan regna la più assoluta onestà, unita al senso dell'umorismo, al piacere di una bella bevuta e di un coro in compagnia, sempre nel solito pub, con i soliti amici.

Fino a qualche anno fa i cockney erano rigorosamente bianchi e anglosassoni. E oggi? Oggi può capitare che si trovino più cockney nei sobborghi che nella City: l'aumento degli affitti li ha spinti lontano dalle Bow Bells. Può capitare che a parlare nel loro slang sia un indiano o un pakistano e che nei mercati sia un giamaicano a imbrogliare i bianchi anglosassoni. Chi si accontenta di vedere la città degli inclusive tours - tutto in tre giorni, serata in un pub "tipico" compresa - non avrà mai l'opportunità di accorgersi che Londra, immensa e multicolore, è sempre meno abitata da bombette e ombrelli e sempre più da sari e turbanti. Ormai la popolazione non bianca e non anglosassone della città supera il 30-37 per cento e non si tratta, come molti credono, di un fenomeno recente, ma di un'immigrazione iniziata fin dal XVI secolo, quando cominciò la grande espansione dell'Impero, che portò la corona britannica a esercitare il proprio dominio su terre lontanissime, dall'India ai Caraibi. Quando l'Impero si sfaldò, l'immigrazione raggiunse livelli mai visti: accadde quel che sta succedendo in questi anni con gli "inglesi di Hong Kong" dagli occhi a mandorla, che possono a pieno diritto, passaporto blu e oro in mano, reclamare l'ingresso nella madrepatria. E costituire comunità integrate, ma distinte, con caratteri propri.

Il cockney, così come il più scialbo londinese, tartine al cetriolo e tè lungo, ha dovuto imparare a convivere con i costumi colorati, le feste carnevalesche, i mercati olezzanti di duram. Le spezie orientali erano già entrate nella cucina domestica (ne La fiera della vanità, di Thackeray, il pavido Jos offre alla piccola e sfrontata Becky Sharp un chili facendola avvampare, in ogni senso), insieme al tè, assurto a emblema della Gran Bretagna. E Londra oggi ha forse più ristoranti esotici che locali dove gustare il roast beef.

Questo non significa che la città sia diventata un mercato giamaicano; ma è indicativo di come un luogo, che l'immaginario collettivo vede formale e compassato, sappia accettare e sfruttare i cambiamenti. Una volta perduti l'Impero e il ruolo di arbitro dello scacchiere mondiale - le armi sono state cedute, non senza rimpianto, a Washington e a New York -, Londra ha vissuto, insieme al resto della Gran Bretagna, lunghi e difficili momenti di crisi, economica e sociale.

L'ha salvata, in parte, la lingua: che non è affatto la stessa che si parla al di là dell'Atlantico, ma viene insegnata in modo egregio. Il business delle scuole d'inglese è enorme e porta con sé un indotto ancora più immenso. Basti pensare alle centinaia di migliaia di studenti che ogni anno, da tutta Europa, ma anche dall'Asia e dall'Africa, arrivano qui, cercano un alloggio, mangiano nei fast food e spendono fior di sterline nelle scuole per stranieri. I più diligenti trascorrono i sabati e le domeniche nei musei, i più nottambuli frequentano le discoteche e tutti, o quasi, tornano a casa con l'idea che Londra sia - potenzialmente - la città migliore del mondo.

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