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| << | < | > | >> |IndiceUNO. L'uomo sulla spiaggia 7 DUE. Impronte sulla sabbia 14 TRE. La salamandra 22 QUATTRO. Il relitto 28 CINQUE. Nove stanze 34 SEI. Ospiti indesiderati 43 SETTE. Due uomini in barca 48 OTTO. Senza farsi vedere 54 NOVE. Un ospite inatteso 58 DIECI. Vietato entrare 64 [...] |
| << | < | > | >> |Pagina 7Cecilia Gaathe non aveva mai visto un cadavere. Prima d'ora. Quando era morta la madre, l'anno prima, non gliel'avevano lasciata vedere. Era stato il Vecchio Tim a trovarla tra le pietre della battigia nei pressi di Ålodden. Lei l'aveva sentito mentre raccontava agli altri, alla pensione, che non era stato un bello spettacolo. Che le anguille avevano infierito su di lei. Adesso l'uomo che aveva davanti era disteso a pancia in giù con la testa sepolta nella sabbia. Le alghe gli si erano attorcigliate intorno al corpo. Aveva i piedi ancora in acqua, come se fosse strisciato sulla terraferma e si fosse poi accasciato sulla sabbia. Al vederlo Cecilia si sentì il cuore in gola e fece fatica a respirare. Il suo corpo cominciò a tremare, come se qualcuno la stesse scuotendo. Se lo sentiva nelle braccia e nelle gambe, e persino in bocca. Indietreggiò di un paio di passi, chiuse gli occhi e voltò la faccia dall'altra parte. «È morto?» chiese qualcuno alle sue spalle. Si girò. C'era un ragazzo. Aveva la pelle scura, in una mano stringeva un paio di auricolari mentre teneva l'altra alla fronte per ripararsi dalla forte luce del mattino. Cecilia non vedeva bene i suoi occhi; era un po' più alto di lei, avrà avuto tredici anni. Lei deglutì a fondo e sospirò. «A te cosa sembra?» Le tremava la voce e le parole non le uscirono decise come avrebbe voluto. Il ragazzo fece qualche passo avanti e le si fermò accanto. Inclinò la testa inducendo Cecilia a voltarsi di nuovo verso il cadavere. Aveva le braccia distese lungo i lati del corpo. Una manica era scivolata in su lasciando intravedere una lucertola tatuata. «Scusa» disse il ragazzo avvolgendo il cavo delle auricolari. «Era una domanda stupida». Prese un iPhone dalla tasca dei pantaloncini. «Hai avvertito qualcuno?» le chiese. Cecilia scosse la testa. Il ragazzo alzò lo smartphone, ma invece di telefonare scattò una foto. Poi avanzò di un paio di passi e ne fece un'altra. «Non vuoi...?» attaccò Cecilia. «Sì, sì» fece lui e iniziò a premere dei tasti. «Chi chiami?» «Mia mamma» spiegò lui mentre recuperava un numero. «È il capo della pensione» aggiunse indicando l'entroterra con un cenno della testa. Di colpo Cecilia capì chi era quel ragazzo sconosciuto e si morse le labbra. Era stata sua mamma la responsabile della pensione e dopo la sua morte, l'anno prima, suo padre aveva provato a gestirla da solo. Era andata bene durante l'autunno e l'inverno, quando non c'erano tanti ospiti, ma prima dell'estate si era visto costretto ad assumere qualcuno per occuparsi di quello che solitamente faceva lei. Il ragazzo si chiamava Leo e sua madre Rebekka. Leo e Rebekka Bast. Dovevano arrivare proprio quel giorno e avrebbero abitato negli alloggi privati della pensione. Cecilia sentì Leo raccontare al telefono del cadavere. La sua voce sembrava ferma e tranquilla. Poi riattaccò senza aggiungere altro. Le onde colpivano miti la spiaggia bianca e poi si ritiravano piano, lambendo i calzoni dell'uomo che giaceva immobile. Cecilia cercava di non guardarlo. Fece scorrere lo sguardo sugli scogli tondi e levigati che si allungavano sui due lati della baia. Alcuni gabbiani volavano in ampi cerchi pigri. Al largo un peschereccio stava tornando a riva. C'era stata una tempesta la sera e la notte prima, ma ora il mare era così placido che le rocce e i massi nei pressi del faro si specchiavano nell'acqua. In realtà Cecilia aveva deciso di non parlare con il ragazzo nuovo o con sua madre, che era venuta per occuparsi della pensione. Quell'uomo morto, però, aveva cambiato tutto. «Cosa credi che sia successo?» gli chiese. Leo si strinse nelle spalle. L'indomabile frangia scura dondolava avanti e indietro. «Dev'essere annegato» rispose. «Non è la prima volta che succede da queste parti». Cecilia non replicò. Sapeva fin troppo bene che era vero. «Ma come è finito qui?» si affrettò a chiedere prima che Leo aggiungesse altro. «Chi è? E da dove viene?» Leo le puntò gli occhi addosso. Erano luminosi e verdi, vide adesso Cecilia. Con dei sottili filamenti castani che si irradiavano dalle piccole pupille.
«Come faccio a saperlo?» ribatté lui.
Il padre di Cecilia fu il primo ad arrivare alla spiaggia. Aveva il fiatone per la corsa. Si passò le dita tra i folti capelli grigi che gli ricadevano sulla fronte e si raddrizzò gli occhiali. La targhetta che aveva appuntata al petto era tutta storta. 'Alan W. Gaathe, direttore' c'era scritto. Dietro di lui arrivò una donna con la gonna alle ginocchia, un maglione aderente e corti capelli biondi. I tacchi alti le avevano impedito di correre altrettanto velocemente. Il padre rimase fermo a sfregarsi la nuca. La madre di Leo si parò davanti ai ragazzi e fissò per un attimo il cadavere prima di girarsi verso di loro. «Voi andatevene» intimò allargando le braccia per rendere più difficile guardare oltre. Il padre di Cecilia era d'accordo. «Vai a prendere un lenzuolo dal ripostiglio della biancheria» disse a Cecilia. «Dopo potete sedervi lì» propose indicando il terrapieno sopra la spiaggia. «Ma l'ho trovato io» provò a protestare Cecilia. Suo padre la abbracciò. «Lo so» disse. «Però non possiamo lasciarlo così». Lei annuì e corse via. Nel giro di mezz'ora la spiaggia si era riempita di persone. Cecilia e Leo godevano di una buona visuale dal punto in cui li aveva spediti il padre. Il sole scintillava sull'acqua e Cecilia doveva strizzare gli occhi per non restare abbagliata. Un'auto della polizia si era fermata sulla verde erba estiva della prateria che sovrastava la spiaggia, e due agenti in uniforme stavano in piedi ai due lati del lenzuolo bianco che aveva portato Cecilia. Uno dei due parlava con un giornalista che aveva una macchina fotografica appesa alla spalla. Erano arrivati anche diversi ospiti della pensione, che si erano riuniti in gruppetti. C'era pure il custode con sua moglie, così come Edgar della cucina. Christian Lasson, che abitava nella Casa sulla spiaggia, era arrivato nel suo camice macchiato. Il Vecchio Tim osservava la scena un po' in disparte, appoggiandosi con entrambe le mani al suo bastone. Cecilia si alzò. Dalla spiaggia arrivarono Une e suo padre, che raggiunsero gli altri. Une tirava a sé il guinzaglio di Egon. Il cane abbaiò brevemente e tutti si girarono. «Cosa fai?» chiese Leo. «Scendo da Une». Leo si alzò e la seguì. Une aveva dodici anni. Aveva le lentiggini e i capelli ricci e castani; aveva un fratello maggiore e uno minore. Abitavano a Skutebukta da sempre. La loro casa si trovava sul lato orientale della baia, sopra il molo. Il padre di Une era pescatore. Si chiamava Widar e indossava una resistente giacca impermeabile, un maglione a dolcevita, pantaloni da pesca e dei grossi stivali di gomma. «Il relitto è sulla parte esterna di Steinholmen» spiegò ai presenti indicando l'isoletta al largo della baia. «Se avesse indossato il giubbotto di salvataggio se la sarebbe cavata, e invece è ancora là fuori insieme ai resti della barca». Un poliziotto gli si avvicinò. «Dev'essersi incagliato questa notte con il buio e la tempesta» proseguì il padre di Une. «Dio solo sa cosa aveva in mente di fare».
Cecilia sbirciò verso Steinholmen. Un incidente,
pensò. Era stato un incidente. Eppure c'era qualcosa
che non le tornava. Le impronte. Adesso tutti i curiosi le avevano calpestate,
ma lei le aveva viste. Le impronte sulla sabbia di qualcuno che si era
avvicinato al cadavere prima di lei.
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