Autore Clarice Lispector
Titolo Acqua viva
EdizioneAdelphi, Milano, 2017, Fabula 316 , pag. 98, cop.fle., dim. 14x22x0,8 cm , Isbn 978-88-459-3148-2
OriginaleÁgua viva [1973]
TraduttoreRoberto Francavilla
LettoreMargherita Cena, 2017
Classe narrativa brasiliana












 

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Pagina 9

È con un'allegria così profonda. È un tale alleluia. Alleluia, grido, alleluia che si fonde con il più oscuro ululato umano del dolore della separazione ma è un grido di felicità diabolica. Perché nessuno mi tiene più legata. Sono ancora capace di ragionare – in altri tempi ho studiato matematica che è la follia del ragionamento – ma ora voglio il plasma... voglio nutrirmi direttamente della placenta. Ho un po' di paura: paura di lasciarmi andare perché il prossimo istante è l'ignoto. Il prossimo istante lo creo io? O si crea da sé? Lo creiamo insieme con il respiro. E con una disinvoltura da torero nell'arena.

Te lo dico: sto provando a cogliere la quarta dimensione dell'istante-adesso che da quanto è fuggevole già non è più perché si è appena trasformato in un nuovo istante-adesso che neppure lui è più. Ogni cosa ha un istante in cui è. Voglio impossessarmi dell'è della cosa. Quegli istanti che passano nell'aria che respiro: fuochi d'artificio che esplodono muti nello spazio. Voglio possedere gli atomi del tempo. E voglio catturare il presente che per la sua stessa natura mi è interdetto: il presente mi sfugge, l'attimo svanisce, l'attimo sono io sempre nell'adesso. Solo nell'atto dell'amore – nella limpida astrazione siderale di ciò che si sente – si coglie l'incognita dell'istante che è duramente cristallina e vibrante nell'aria, e la vita è questo istante irraccontabile, più grande dell'avvenimento in sé: nell'amore l'istante di impersonale gioia riluce nell'aria, gloria strana di corpo, materia commossa dal brivido degli istanti... e ciò che si sente è allo stesso tempo immateriale e così oggettivo che è come se accadesse fuori del corpo, fa scintille in alto, allegria, l'allegria è materia di tempo ed è l'istante per eccellenza. E nell'istante si trova l'è dell'istante stesso. Voglio cogliere il mio è. E canto alleluia all'aria, come fanno gli uccelli. E il mio canto non appartiene a nessuno. Ma non c'è passione sofferta con dolore e amore a cui non segua un alleluia.

Il mio tema è l'istante? Il mio tema di vita. Cerco di stare al passo con lui, mi divido migliaia di volte, tante volte quanti sono gli istanti che passano, frammentaria io, e precari i momenti – mi dedico solo a una vita che nasca con il tempo e con lui cresca: soltanto nel tempo c'è spazio per me.

Ti scrivo tutta intera e c'è un sapore nell'essere e il sapore-di-te è astratto come l'istante. È anche con tutto il corpo che dipingo i miei quadri e sulla tela fisso l'incorporeo, io corpo a corpo con me stessa. Non si comprende la musica: la si sente. Sentimi dunque con il tuo corpo intero. Quando mi leggerai chiederai perché non mi limito alla pittura e alle mie mostre, dato che scrivo in modo grezzo e disordinato. È che adesso sento il bisogno di parole... e quello che scrivo è nuovo per me perché la mia vera parola è ancora intatta. La parola è la mia quarta dimensione.

Oggi ho terminato la tela di cui ti ho parlato: linee curve che si intersecano, tratti sottili e scuri, e tu, che hai l'abitudine di voler sapere perché – e il perché a me non interessa, la causa è materia del passato – chiederai perché i tratti sottili e scuri? È a causa dello stesso segreto che ora mi fa scrivere come se fosse a te, scrivo rotondo, intricato e tiepido, ma a volte gelido come gli istanti freschi, acqua di torrente che trema sempre. Ciò che ho dipinto su questa tela è suscettibile di essere messo in una frase di parole? Tanto quanto può essere implicita la parola muta nel suono della musica.

Mi accorgo che non ti ho mai detto come ascolto la musica... appoggio leggermente la mano sul giradischi e la mano vibra trasmettendo onde a tutto il corpo: così ascolto l'elettricità della vibrazione, sostrato ultimo nel dominio della realtà, e il mondo trema nelle mie mani.

Ed ecco che comprendo di volere per me il sostrato vibrante della parola ripetuta in canto gregoriano. Sono consapevole di non poter dire tutto ciò che so, mi riesce solo dipingendo o pronunciando sillabe cieche di senso. E se qui devo usarti parole, esse devono avere un senso quasi solo corporeo, e io sono in lotta con la vibrazione ultima. Per dirti il mio sostrato, eccoti una frase con parole fatte soltanto di istanti-adesso. Leggi dunque la mia frase inventata di pura vibrazione senza significato se non quello di ogni sillaba sibilante, leggi quello che ora segue: «con il passare dei secoli ho perduto il segreto dell'Egitto, quando mi muovevo in longitudine, latitudine e altitudine per l'azione energetica di elettroni, protoni, neutroni, nel fascino che è la parola e la sua ombra». La cosa che ti ho scritto è un disegno elettronico e non ha passato né futuro: è semplicemente adesso.

Devo scriverti anche perché il tuo campo è quello delle parole discorsive e non quello diretto della mia pittura. So che le mie frasi sono primarie, scrivo con troppo amore nei loro confronti e questo amore compensa i difetti, ma troppo amore nuoce al lavoro. Questo non è un libro perché non è così che si scrive. Ciò che scrivo è un solo culmine? I miei giorni sono un solo culmine: io vivo sull'orlo.

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Pagina 26

Ascolta: io lascio che tu sia, lasciami essere dunque.

Ma eternamente è una parola molto dura: ha una «t» granitica nel mezzo. Eternità: poiché tutto quello che è non è mai iniziato. Il mio piccolo cervello così limitato si inceppa al pensiero di qualcosa che non inizia e non finisce – perché così è l'eterno. Fortunatamente questo sentimento passa perché non sopporto che duri e se continuasse mi porterebbe al delirio. Ma il cervello mi si inceppa anche immaginando il contrario: una cosa che è iniziata – ma dove sarebbe iniziata?, e che finisse – ma cosa verrebbe dopo che fosse finita? Come vedi, mi è impossibile approfondire e impossessarmi della vita, è aerea, è il mio fiato leggero. Ma so bene cosa voglio qui: voglio l'inconcluso. Voglio il profondo disordine organico che lascia comunque intuire un ordine soggiacente. La grande potenza della potenzialità. Queste mie frasi balbettate nascono nel momento stesso in cui vengono scritte e crepitano da quanto sono nuove e ancora verdi. Esse sono l'adesso. Voglio l'esperienza di una mancanza di costruzione. Eppure questo mio testo è tutto attraversato da cima a fondo da un fragile filo conduttore... quale? Quello dell'immersione nella materia della parola? Quello della passione? Filo lussurioso, alito che scalda il fluire delle sillabe. La vita mi sfugge per un soffio anche se mi arriva la certezza che la vita è un'altra e che ha uno stile occulto.

[...]


Quando morirò allora non sarò mai nata né vissuta: la morte cancella le tracce di schiuma del mare sulla spiaggia.

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Pagina 35

Prima della comparsa dello specchio la gente non conosceva il proprio volto se non riflesso nelle acque di un lago. Dopo un certo tempo ciascuno è responsabile del viso che ha. Adesso guarderò il mio. È un volto nudo. E quando penso che al mondo non ne esiste uno uguale, mi coglie un allegro sgomento. E non ce ne sarà mai un altro. Mai è l'impossibile. Mi piace il mai. Mi piace anche il sempre. Cosa c'è fra il mai e il sempre che li unisce così indirettamente e intimamente?

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Pagina 67

Un mondo fantastico mi circonda e mi è. Sento il canto impazzito di un uccellino e schiaccio farfalle fra le dita. Sono un frutto rosicchiato da un verme. E attendo l'apocalisse orgasmica. Una quantità dissonante di insetti mi circonda, bagliore di lucina accesa quale sono. Allora mi esorbito per essere. Sono in trance. Penetro nell'aria che mi circonda. Che febbre: non riesco a smettere di vivere. In questa folta selva di parole che avvolgono fitte ciò che provo e penso e vivo e trasforma tutto ciò che sono in qualcosa di mio che però è completamente al di fuori di me. Mi assisto mentre penso. Ciò che mi chiedo è: chi, in me, è al di fuori perfino del pensare? Ti scrivo tutto questo perché è una sfida che sono obbligata ad accettare con umiltà. Sono spaventata dai miei fantasmi, da quello che è mitico e fantastico... la vita è soprannaturale. E io cammino sul filo del rasoio fino al limite del mio sogno. Le viscere torturate dalla voluttà mi guidano, furia degli impulsi. Prima di organizzarmi, devo disorganizzarmi internamente. Per sperimentare il primo e passeggero stadio primario di libertà. Della libertà di sbagliare, cadere e rialzarmi.

Ma se aspetto di aver capito per accettare le cose... non si realizzerà mai l'atto di abbandonarsi. Devo tuffarmi in un colpo solo, un tuffo che abbracci la comprensione e soprattutto l'incomprensione. E chi sono io per osare pensare? Devo solo abbandonarmi. Come si fa? So però che solo camminando si impara a camminare e – miracolo – si cammina.

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