Copertina
Autore Aldo Lo Curto
Titolo Se fossi indio
SottotitoloLeggende dell'Amazzonia
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2005, Margini 62 , pag. 80, ill., cop.fle., dim. 105x168x8 mm , Isbn 978-88-7226-885-8
CuratoreAldo Lo Curto
LettoreGiorgia Pezzali, 2005
Classe leggende , paesi: Brasile
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Indice

Prefazione                                       5

...E l'Indio venne sulla terra                   9
Perché il cielo è lassù?                        13
...E venne la pioggia                           15
La conquista del fuoco                          17
L'origine della notte                           23
Come nacque la luna                             27
La collera del sole                             31
La leggenda dei Muiraquità                      35
Come nacque la ninfea                           39
Come nacquero i pesci                           43
Il canto dell'uirapurù                          49
I due pappagalli                                53
La leggenda dei colibrì                         59
Come nacquero gli insetti                       63
Il vecchio che salvò gli animali della foresta  65
Yara                                            69
...E il Grande Spirito creò l'uomo              73

Bibliografia                                    75

 

 

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Pagina 5

PREFAZIONE


Questa documentazione sulle leggende degli ultimi Indios è nata dalla incontenibile voglia di raccontare, se non tutto, almeno in parte, alcuni aspetti di questa straordinaria vicenda che mi vede vivere con loro e tra loro, nel cuore della foresta amazzonica, per lunghi periodi di tempo.

Non è stato facile trattare l'argomento, perché sono un medico e non un antropologo, figura questa ben più qualificata per una trattazione del genere. È per questo che mi scuso con i lettori piú esigenti per le inevitabili omissioni e imperfezioni che potranno emergere.

Ma la maggiore difficoltà nel selezionare i miti è derivata dal fatto che, essendo gli Indios dei popoli senza scrittura, il testo di quasi tutte le leggende è estremamente ripetitivo, per far sì che il bambino possa imprimere nella memoria i particolari di ogni vicenda e passarli a sua volta ai propri figli e questi alle generazioni successive. Ne risulta purtroppo un testo esageratamente esteso che rischia di annoiare quei lettori che, appartenendo ai popoli con la scrittura, non sono avvezzi a ripetizioni eccessive dello stesso concetto.

La tentazione più immediata era quella di fare una sintesi del mito, adattando, cioè, il racconto, alla mentalità dell'uomo bianco, senza alterare il tessuto narrativo della leggenda. Tuttavia non ho avuto il coraggio di fare tagli cosí impegnativi e rimaneggianti di testi millenari. Mi è sembrato piú sensato continuare a scavare in modo piú meticoloso tra le memorie di oltre 140 tribù per approdare a leggende più brevi o di piú immediata comprensione, così che, alla fine, dopo molti mesi, ne ho selezionate diciassette. Ma le difficoltà non sono finite qui: in che ordine metterle? Dividerle per tribù oppure secondo un filo conduttore? Questa seconda ipotesi mi è sembrata la migliore; così, esaminando i titoli delle leggende, mi è parsa buona idea partire dai quattro elementi, cioè la terra ("... E l'indio venne sulla terra"), l'aria ("Perché il cielo è lassù?"), l'acqua ("... E venne la piogga") e il fuoco ("... La conquista del fuoco"), per poi proseguire via via nella scala degli esseri viventi fino al regno vegetale e animale, in una successione che introducesse il lettore alla spiritualità dell'Indio. La sequenza di leggende non doveva essere totalmente staccata dalla tragica realtà che vivono gli uomini della foresta. Mi è sembrato così importante e necessario chiudere con i racconti di "Yara" e "Il Grande Spirito creò l'uomo", per introdurre la cattiveria e il cinismo dell'uomo bianco, dissolvendo cosí la dimensione magico-onirica e riportare la mente alla tragedia dell'estinzione degli Indios dell'Amazzonia.

È per questa ragione che ho inserito i visi dipinti dagli ultimi Indios Yanomami, disegnati in Amazzonia nelle notti di luna piena, quando ero libero dall'inquinamento luminoso.

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Pagina 9

... E L'INDIO VENNE SULLA TERRA


LEGGENDA KAYAPÒ

Anticamente gli Indios abitavano nel Cielo e nessuno di essi conosceva la Terra.

Un giorno, un cacciatore si imbatté in un armadillo e cominciò a inseguirlo, avvicinandosi sempre piú alla preda. Vistosi quasi raggiunto, l'animale cercò di guadagnare la tana e, riuscitovi, vi si infilò fino a raggiungere il fondo. L'Indio non si perse d'animo e cominciò a scavare con decisione. Scavò giorno e notte finché non riuscí ad agguantare l'armadillo; ma proprio mentre stava per cantar vittoria, il fondo del cunicolo si aprì e solo per miracolo l'Indio riuscì ad aggrapparsi con tutte le sue forze al ciglio della voragine che si era aperta sotto di lui.

Così rimase a dondolare nel vuoto per qualche tempo, paralizzato dalla paura prima, sbalordito dalla visione sottostante subito dopo. Ai suoi occhi meravigliati si presentò uno spettacolo di indescrivibile bellezza: uno sconfinato arcobaleno, fatto di tante sfumature di verde, di cui non si riusciva a vedere né l'inizio, né la fine. Allora, riavutosi dalla sorpresa, corse subito a chiamare i compagni che lo seguirono incuriositi e restarono attoniti a osservare sul bordo della voragine. Dall'arcobaleno verde si sprigionava un calore che giungeva fino a loro, impregnato di mille odori nuovi, mentre l'aria era attraversata dal canto di una miriade di uccelli che continuavano a richiamarsi l'un l'altro da ogni angolo di questo sconfinato verde, mentre le farfalle svolazzavano tranquillamente posandosi sui fiori colorati. Capirono allora che l'arcobaleno era la grande foresta. I fiumi chiari si alternavano a quelli scuri: quando le loro acque si mescolavano, il colore acquistava sfumature di incomparabile bellezza. I pesci erano cosí numerosi da non trovare quasi posto in acqua, così che ogni tanto si vedevano saltare qua e là. Gli alberi erano ricurvi, malgrado non soffiasse alito di vento: capirono che a curvare i rami era il peso della frutta profumata, raccoltasi in modo abbondante. Pensarono che, se tanta era la frutta, altrettanto ricca doveva essere la selvaggina.

Gli Indios si guardarono tra loro sbigottiti e, senza esitare, si mostrarono subito desiderosi di dare maggiore serenità al loro futuro.

Decisero cosí di lasciare la loro dimora, il Cielo, per scendere e abitare sulla Terra: ma come fare?

Il Consiglio degli anziani si riuní e decise di fare una fune, unendo tra loro tutti i bracciali e le collane della tribú: ne risultò un filo robusto che, con l'aiuto di tutti, arrivò a una lunghezza sufficiente per raggiungere la Terra. Fu così che pian piano gli Indios cominciarono a scendere, aggrappati alla fune. La maggior parte raggiunse la Terra e si sparpagliò nella foresta per popolarla. Qualcuno, invece, non convinto della visione, e presagendo che la vita su questa Terra non sarebbe stata cosí bella come appariva, decise di restare lassú.

Quando quasi tutti i guerrieri furono scesi sul pianeta, un bambino dispettoso passò vicino alla fune e, con un coltellino, tagliò il filo, di modo che a nessuno fu più possibile scendere sulla Terra.

Cosí, nel cielo rimasero alcuni Indios e i loro fuochi si notano ancora oggi nella notte: sono le stelle...

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Pagina 27

COME NACQUE LA LUNA


LEGGENDA TUPÍ

C'era una volta un guerriero che ardeva d'amore per una misteriosa fanciulla India che appariva solo di notte, in riva al fiume.

Ogni notte era cosí: la misteriosa donna sbucava dalla foresta all'improvviso e, in modo aggraziato, si adagiava sulla sponda del fiume aspettando il suo innamorato.

Il giovane ardeva d'amore, ma era molto triste e inquieto perché ogni volta, alle prime luci dell'alba, nel silenzio, la ragazza si dileguava e cosí era impossibile sapere chi fosse e riconoscerla, quindi, di giorno, tra le donne dei villaggio. Fu cosí che l'Indio escogitò uno stratagemma: una notte, incontratosi di nuovo con la fanciulla, le accarezzò la fronte con le mani intinte di jenipapo, un inchiostro vegetale nero, convinto così che il giorno dopo l'avrebbe riconosciuta. Alle prime luci del sole, il giovane guerriero si nascose dietro a un cespuglio e cominciò, con grande batticuore a osservare ad una ad una le donne che, dopo essersi bagnate nel fiume, facevano ritorno al villaggio.

Ad un tratto, ecco le ragazze prendersi gioco e schernire una loro giovane compagna che aveva delle strane macchie scure sulla fronte...

AI colmo della curiosità, il guerriero la guardò e, quale non fu la sua sorpresa quando si accorse che la fanciulla, cosí tanto amata, era la... sorella minore!

Distrutto dal dolore, il giovane si fece incontro alla sorella e la informò dell'orribile situazione.

La notizia trafisse il cuore della donna, che, per la disperazione, decise di fuggire in cielo. Fu cosí che si impossessò di un arco e di una faretra piena di frecce: lo brandi con decisione e dopo averlo teso con tutte le sue forze, scagliò il primo dardo verso l'alto. La freccia si fissò cosí alla volta celeste, mentre le altre si conficcarono l'una dietro l'altra, così che, pian piano, si formò una specie di liana che collegava il cielo con la terra. Fu un attimo: la giovane, in preda alla disperazione, si avventò sul filo, cominciò ad arrampicarsi agilmente e, arrivata in cima, si fissò tra le stelle.

Ancora oggi vive sospesa alla volta celeste e si chiama Luna.

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Pagina 65

IL VECCHIO CHE SALVÒ GLI ANIMALI DELLA FORESTA


LEGGENDA KAYAPÒ

Un tempo gli Indios cacciavano con una facilità estrema: non era necessario avventurarsi, come si fa oggi, per giorni e giorni nella foresta, correndo numerosi pericoli; era sufficiente fare pochi passi nel folto della vegetazione, gridare o percuotere tra loro due pezzi di legno, che qualunque animale rispondesse al richiamo, chiedendo innocentemente: "Che c'è?".

Sí, in quel tempo, ogni animale parlava la lingua degli Indios, i quali, naturalmente, ne approfittavano chiedendo subito dopo alla povera creatura dove si trovasse in quel momento. Questa, del tutto ignara della sorte che stava per toccarle, rispondeva candidamente: "Eccomi, sono qui, dietro questo cespuglio!", decretando cosí la sua fine.

Per questo motivo, la caccia era molto facile e gli Indios facevano delle vere e proprie stragi di animali.

C'era, nel villaggio, un vecchio che osservava, giorno dopo giorno, con preoccupazione, il continuo sterminio delle creature della foresta. Egli meditò a lungo e concluse che, se gli Indios avessero continuato ad uccidere ogni giorno cosí tanti animali, ben presto questi sarebbero scomparsi e la foresta sarebbe stata avvolta da un lugubre silenzio di morte.

Si recò, allora, in modo deciso nella foresta e cominciò a chiamare i rappresentanti di ogni specie animale che, come sempre, si avvicinarono senza timore.

In men che non si dica, il buon vecchio fu circondato da una moltitudine di esseri: una tartaruga, una scimmia, un tapiro, un formichiere, un cervo e così via.

Egli si sedette tranquillamente sulla terra e, fumando la sua pipa, raccontò a tutti dello sterminio che stava succedendo e del rischio di estinzione che ogni specie correva.

Per risolvere il problema c'era un'unica soluzione: tutti gli animali dovevano dimenticare la lingua degli Indios e imparare a fuggire al primo comparire dell'uomo.

Fu in quel momento che gli animali capirono ciò che stava succedendo e, seguendo il consiglio del buon vecchio, dimenticarono presto la lingua indigena e cominciarono a esprimersi con versi incomprensibili per l'uomo.

Impararono inoltre a nascondersi e a fuggire appena sentito il suo inconfondibile odore.

Riuscirono cosí a sopravvivere e a riprodursi per generazioni e generazioni, tramandandosi, fino ai nostri giorni, in modo riconoscente, il ricordo del buon vecchio.

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