Copertina
Autore Erlend Loe
Titolo Volvo
EdizioneIperborea, Milano, 2010, n. 185 , pag. 230, cop.fle., dim. 10x20x1,8 cm , Isbn 978-88-7091-185-5
OriginaleVolvo lastvagnar
EdizioneCappelens Forlag, Oslo, 2005
TraduttoreGiuliano D'Amico
LettoreGiorgia Pezzali, 2011
Classe narrativa norvegese
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Pagina 11

Maj Britt ha perso per sempre il diritto di possedere cocorite. Lo ha stabilito la corte con spietata chiarezza.

NON potrà più possedere né accudire cocorite fino alla fine dei suoi giorni. In altre parole, può scordarsi la deliziosa abitudine di svegliarsi al cinguettio compiaciuto di quelle bricconcelle nelle gabbie coperte che per anni hanno riempito il suo soggiorno, là nella sterminata foresta svedese.

NON potrà più tenere cocorite.

Né uccelli con becco simile. Stranamente gli altri uccelli non le interessano. Non capisce che cosa diavolo ci troviamo noi, in quelle insignificanti bestiole.

Se non posso tenere cocorite, non mi importa più di niente, ha pensato quando hanno pronunciato la sentenza.

Inoltre ha dovuto pagare una multa di seimila corone. Che non aveva. Ha ottenuto un pagamento rateale da quei minus habens della Skandinaviska Enskilda Banken. Ogni mese le trattenevano duecento corone dalla pensione, già di per sé decisamente modesta.

Nonostante il fattaccio risalga a parecchi anni fa, non passa praticamente ora senza che Maj Britt non ne senta ancora la ferita. Influenza tutto il suo modo di pensare. Non si è affatto lasciata l'umiliazione alle spalle. Anzi, la porta come un vessillo, alta e dritta. In un certo senso si potrebbe dire che quell'affronto l'ha risvegliata.

Fino all'episodio delle cocorite, Maj Britt era stata per tutta la vita una brava casalinga senza troppe pretese. Come molte altre donne della sua generazione parlava e pensava poco e si occupava esclusivamente dei figli, del bucato e di tutte le altre cose che restano invisibili al di fuori delle mura domestiche.

Dopo l'episodio delle cocorite tutt'a un tratto ha visto il mondo con occhi nuovi.

E si è accorta che c'era pane per i suoi denti.

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La Maj Britt con le cocorite era tutt'altra dalla Maj Britt senza cocorite.

La Maj Britt con le cocorite era felice in un modo quasi commovente. Aspettava paziente, canticchiando, che il marito Birger tornasse a casa il weekend dalla fabbrica di Göteborg (e poi dalla fabbrica di Umeå), mentre lei tirava su i ragazzi, cucinava, curava il campo di patate e osservava come le stagioni lasciassero il loro segno sul grande albero nel cortile, che tra parentesi era una quercia. E poi, quando i figli si erano trasferiti in grandi città per trovare la loro strada, aveva continuato a cambiare l'acqua alle cocorite, a riempire di semi la vaschetta del cibo e a infilare pezzetti di mela (del giardino) tra le sbarre di metallo delle gabbie, che teneva in perfetto ordine e pulizia, non c'è neanche bisogno di dirlo, ma ormai è stato esplicitamente detto e quindi sottolineato.

La Maj Britt senza cocorite invece è incavolata. È incavolata a livello locale, ma anche a livello globale.

È incavolata con il sistema giudiziario svedese. Per lo Stato non ha nessuna simpatia. Augura tutto il male possibile alla Skandinaviska Enskilda Banken. Accusa la Volvo Trucks di non avere mai riconosciuto il prezioso contributo dato da Birger all'evoluzione dei TIR, e ogni sera prega Dio affinché il tipo del negozio di animali di Karlstad, che le nega nuove cocorite ogni volta che ci prova, precipiti giù dalle scale della sua bottega e si infili la maniglia della porta nel setto nasale, o almeno nel palato.

Del resto è incavolata anche con Dio. Però non lo ha ancora eliminato del tutto. Gli lascia aperto uno spiraglio della porta. Se no con chi parla?

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Maj Britt in effetti aveva un po' esagerato. Su questo non ci sono dubbi. E lei ne è dolorosamente consapevole. Adesso ne è consapevole. E le dispiace. Sarebbe felicissima se quel che è successo non fosse successo. Ma quando Birger era morto, le si era fatto tutto buio dentro e dopo dieci anni di irreprensibile cura delle cocorite, le era venuto tutt'a un tratto in mente, come a chiunque un brutto giorno può venire in mente qualsiasi cosa, che la piccola protuberanza che avevano sul becco desse loro fastidio. Vedeva quei nasi, o qualsiasi cosa fossero, come un'aberrazione della natura, e li aveva asportati con un grosso tagliaunghie. Con una mano teneva ferme le cocorite e con l'altra tagliava.

Chiaro che non è cosa che si possa fare impunemente.

Ma invece di offrirle aiuto e assistenza psicologica, il sistema l'ha portata davanti alla corte di giustizia, l'ha umiliata e le ha tolto la possibilità di avere intorno le uniche creature che la capivano e che a lei importasse capire.

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Per novantadue anni Maj Britt era vissuta nella sua piccola fattoria. Era cresciuta lì con i genitori e con i suoi sette fratelli. E lei, unica della famiglia, aveva deciso di restare quando gli altri si erano trasferiti e i genitori erano invecchiati e morti. Poi era arrivato Birger e fortunatamente anche a lui piaceva vivere nel bosco. Andava spesso a caccia e a pesca. Il silenzio non gli dava nessun fastidio. Era felice e contento. Quando negli anni Quaranta aveva trovato lavoro alla Volvo Trucks di Göteborg, Maj Britt era entrata in agitazione, ma lui, capendo col tempo che lei a Göteborg non avrebbe avuto proprio niente da fare, era diventato pendolare. Per i primi vent'anni aveva fatto la spola tra il lavoro e casa ogni settimana, ma poi era stato trasferito, su sua richiesta, alla Volvo Trucks di Umeå, e allora stava via mesi interi. Ma quando le strade erano migliorate, aveva ricominciato a tornare ogni settimana anche da là. Erano più o meno sette-ottocento chilometri all'andata e altrettanti al ritorno. Ma avevano sentito tante storie di gente che doveva fare lunghi viaggi per andare al lavoro e che si era adattata a quella vita. Le persone non sono tutte uguali. C'è chi lavora a due passi da casa e c'è chi va lontano. Alla radio, poi, avevano addirittura sentito di un tizio che per tre volte la settimana si faceva trecentosessanta chilometri per andare alle prove della banda.

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Il comune di Eda non ne può più di Maj Britt, ormai da anni. Invecchiando è diventata un'autentica peste per gli impiegati. Non si regge bene sulle gambe, ma non va a farsi curare perché sospetta (a ragione) che vogliano convincerla ad abbandonare la fattoria e a trasferirsi in una casa di riposo dove possano più facilmente controllare e arginare i suoi ghiribizzi. Grazie a una sostanza comparsa nella sua vita (su cui torneremo), tiene a bada i suoi dolori e se ne va in giro appoggiandosi a un paio di vecchi bastoncini da sci di bambù. O meglio aggrappandosi. È uno spettacolo ben noto a Eda: una decrepita vecchietta quasi del tutto rinsecchita che arranca faticosamente con i suoi bastoncini da sci. A un osservatore profano potrebbe sembrare un'ennesima vittima – come tanti altri cinquantenni e sessantenni locali – della moda del nordic walking, ma nulla è più lontano dal vero. I bastoncini di bambù di Maj Britt non hanno niente a che vedere con il nordic walking. E se lei sapesse che cos'è il nordic walking, lo disprezzerebbe profondamente. Per lei i bastoncini sono semplicemente l'unico mezzo che ha per poter andare in giro. Stanno appoggiati al comodino le poche volte che dorme, per il resto del tempo li ha sempre con sé, ovunque vada o stia. I parquet di casa sono pieni di segni lasciati dalle loro punte di ferro, ma a Maj Britt non importa. Sono anni che non le importa più un fico secco dell'aspetto dei suoi pavimenti, come in realtà dell'aspetto di qualsiasi altra cosa.

Gli impiegati del comune non sanno più come comportarsi con lei. Da un lato sentono l'obbligo morale di trattare con rispetto la donna più vecchia del paese, dall'altro non hanno alcun dubbio che si tratti di un caso disperato. Sono arrivati alla conclusione che se le danno di tanto in tanto un contentino, come si fa con un cane, si risparmiano un po' di proteste e recriminazioni. Perché Maj Britt non molla mai. Telefona, va di persona, sta lì ad aspettare anche se le dicono che l'incaricato con cui deve parlare non è in ufficio. Non ha paura di nessuno. Ha capito di avere dei diritti ed è diventata l'incubo dei burocrati. Non la amano per niente e sono costretti ad aiutarla, e naturalmente Maj Britt approfitta fino in fondo dell'ambiguità della situazione. A volte è gentile e ragionevole, soprattutto al telefono, e allora ottiene facilmente quel che desidera. Ad esempio si è infiltrata in una serie di corsi organizzati dall'ufficio di collocamento locale – anche se in teoria sarebbero riservati a persone in età lavorativa che devono riqualificarsi o essere avviate a una professione. L'ultima volta, qualche mese fa, ha seguito un corso di internet di otto settimane, alla fine del quale è perfino riuscita, a dispetto dell'età, a ottenere un finanziamento per acquistare un computer. Che ora troneggia sul tavolo della cucina. Perché per Maj Britt è la cucina che conta. Non è grande, ma tutto ciò che le serve ce l'ha a portata di mano: stufa a legna, radio, caffettiera, foto di figli, nipoti e bisnipoti, oltre alla vista sulla quercia nel cortile e più in là sui terreni che ha affittato a un vicino di cui a tratti non ricorda il nome.

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Perché la storia possa continuare, c'è una cosa che va detta. Io (che scrivo) ho già preannunciato due volte che se ne sarebbe parlato, ma sono stato un po' riluttante. Avrei dovuto parlarne fin dall'inizio, ma non ce l'ho fatta, così su due piedi. È un po' troppo stravagante, in un certo senso. Preferisco sentire un certo realismo in quello che dico. Mi piace credere che alcuni di quelli che si divertono a leggere questo testo, lo trovino anche verosimile. Non vorrei proprio che il lettore pensasse che mi sto inventando di sana pianta un mucchio di sciocchezze. Anche se in effetti è così. Io invento. Tutto quanto. La mia consolazione è che la realtà, nonostante tutto, molte volte supera la fantasia. Delle cose che succedono nella realtà sono spesso talmente strane che non verrebbero mai accettate se utilizzate in un libro o in un film. Ma questo non dovrebbe impedire a gente come me di raccontare storie. Mica si può smettere di raccontare quello che ci sembra vero solo perché pare inverosimile.

Insomma, il fatto è che Maj Britt assume sostanze illegali. E lo fa ogni santo giorno. Fuma marijuana, per dirla fuori dai denti. O forse si chiama hashish. O forse sono solo io (che scrivo) che non so bene la differenza. Comunque. È dalla storia delle cocorite che va avanti. È cominciato che era molto giù di corda dopo il processo e ha preso il pullman per Karlstad per andarsi a comprare delle nuove cocorite. Ma il tipo del negozio era evidentemente all'erta e l'ha riconosciuta dagli articoli sul «caso cocorite» dei giornali locali. Le ha proibito di comprarne altre e dopo un po' le ha proibito anche di entrare nel suo negozio. Sosteneva che averla nello stesso locale di tutte le sue amate bestiole creasse un cattivo karma. In ogni caso Maj Britt ha continuato a fare la posta fuori dal negozio con i suoi bastoncini di bambù. Aspettava paziente il giorno in cui il proprietario si sarebbe ammalato e avrebbe dovuto chiamare un sostituto, magari tramite Manpower, se quest'agenzia esiste in Svezia, ma esiste di sicuro, la Svezia è un paese grande e molto più popoloso, per esempio, della Norvegia. Hanno quasi tutto in Svezia. Purtroppo però il negoziante ha una salute di ferro e non si ammala mai. Mangia sano. Fa moto tutti i giorni. Per di più prende vitamine. In realtà prende troppe vitamine inutili. Non sa che la maggior parte degli occidentali assumono già tutte le vitamine necessarie con la normale alimentazione. È caduto dritto filato nel grande raggiro dei salutisti, che sostengono che gli integratori sono assolutamente indispensabili per una vita pienamente vissuta, ma forse un giorno gli si rivolterà contro, forse chissà alla lunga gli si ritorcerà a boomerang in faccia, si può solo sperarlo, ma per ora è sano come un pesce e non si è ammalato neanche una volta. Maj Britt, comunque, dopo essere rimasta settimane e mesi fuori dal negozio delle cocorite, è stata abbordata da un'altra persona nettamente più giovane che bazzicava da quelle parti. Il tipo si era insospettito e si chiedeva se Maj Britt non fosse lì magari per i suoi stessi traffici, nel qual caso si sarebbe visto costretto a ingaggiare una lotta per il controllo della zona. Ma Maj Britt non capiva di cosa parlasse, e invece di diventare nemici, hanno fatto amicizia, in una certa misura. Lui è diventato il suo spacciatore, per dirla senza mezzi termini. Ed è arrivato proprio al momento giusto, perché Maj Britt era in caduta libera. Su questo non ci sono dubbi. I dolori alle anche erano insopportabili e la depressione stava per schiacciarla nell'angolo più buio del Värmland.

Questo tizio, chiamiamolo Orvar (più che altro perché ha la stessa attaccatura di capelli inquietantemente bassa di un conduttore televisivo svedese che si chiama così, ma anche un po' per altre ragioni), ha visto Maj Britt. Ha visto i suoi bisogni. A volte basta che un essere umano ti veda. Un unico essere umano tra tutti. È sufficiente. E così è stato per Maj Britt. Orvar l'ha vista e le ha dato un sacchetto di marijuana della migliore qualità e le ha spiegato come assumerla nel modo più funzionale allo scopo. E così si è salvata. I dolori fisici e psichici si sono affievoliti e le si è aperta davanti una nuova porta a un'età in cui di solito non solo è difficile che si aprano nuove porte, ma molti non sono neanche più tra noi. Maj Britt però è tra noi, e Orvar le ha offerto un'ancora di salvezza. Più o meno ogni due settimane torna a Karlstad a comprare qualche decina di grammi, solo per uso personale ovviamente, mettiamolo subito in chiaro prima che qualcuno delle Forze dell'Ordine lo legga e cominci a pensare a blitz epocali, onori e gloria. Lei non spaccia, ma quanto a uso personale è discretamente accanita.

Bene. L'ho detto. E non pensiate che io (che scrivo) sostenga i vizi di Maj Britt. In nessun modo. Al contrario, sconsiglio a chiunque di seguire il suo esempio, ma ho voluto raccontarlo comunque perché non raccontarlo avrebbe significato coprire delle informazioni piuttosto importanti su Maj Britt, e a questo mi ribello.

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In questo universo värmlandiano sta arrivando a piedi un uomo. È Doppler. Andreas Doppler. Un norvegese. Ha con sé il suo alce di un anno, Bongo. E il figlio Gregus. Lalce lo segue sul sentiero e il figlio dorme in una slitta tirata dall'alce. Anche se è tardi, nulla sembra denotare che Doppler abbia intenzione di fermarsi presto. Tra parentesi, è una bella serata. D'inizio estate, tiepida e luminosa.

Col tempo Doppler ha accumulato una certa esperienza su questo tipo di vagabondaggi.

Camminano da settimane. In lungo e in largo. Hanno attraversato strade statali e strade forestali, ma più che altro hanno seguito vecchie piste lasciate dagli animali del bosco.

È da parecchio che questo gruppetto è partito da Oslo. Esattamente da quando, Doppler non saprebbe dirlo, ha perso la cognizione del tempo. Nella foresta non ha molto senso contare i giorni. Tanto passano comunque. Di notte hanno dormito nei fienili e nei granai, qualche volta si sono infilati di soppiatto in una baita, hanno acceso il camino e hanno mangiato cibo liofilizzato. Con una piccola bussola hanno tenuto l'est, ma Doppler non ha ancora capito se sono arrivati in Svezia. Se ne fosse sicuro, rallenterebbe il ritmo e si sentirebbe di umore più leggero. Sa che lo Stato vicino è in quella direzione, ma in mezzo al bosco non c'è nessuna differenza tra Svezia e Norvegia. Non c'è nessun segno fisico che riveli che si è entrati in un altro paese. E Doppler è di quelli che devono sentire fisicamente le cose. È sempre stato così. Deve toccare con mano. Non gli interessa sapere che forse è in Svezia. Si fermerà solo quando ne sarà sicuro. Non prima. Non ha visto cartelli sull'ultima strada che ha attraversato e non ha incontrato anima viva, quindi per ora continua imperterrito.

Che cosa ci fa lì?

Mica facile a dirsi.

Forse si potrebbe dire che la Norvegia gli andava stretta, che aveva bisogno di guardarsi un po' intorno. Ha voluto lasciare la festa. Gli altri erano ancora a tavola a brindare. Tra poco avrebbero portato sigari e caffè, ma Doppler si è alzato e se n'è andato.

È in cerca di qualcosa. Di persone buone. Di segni di civiltà.

Staremo a vedere.

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Un'ora dopo Doppler è più in tono. Ha mangiato una decina di vaffel e sente che il suo umore sta salendo. Non si è accorto che Maj Britt ha mescolato un bel po' di quella roba illegale nella pasta dei vaffel, lavorandola bene, ma si rende conto che qualcosa di strano c'è.

Ride e piange.

Si apre come non ha mai più fatto dall'adolescenza. Parla di quanto finora sia sempre stato bravo e di quanto poco bravo voglia diventare.

"Allora siamo in due", dice Maj Britt dandogli una specie di abbraccio.

Doppler le racconta della morte del padre e della sua famiglia e del tempo che ha passato nel bosco di Oslo. Maj Britt ascolta e gli fa le domande che lo spingono a proseguire. È facile aprirsi con Maj Britt. Nonostante in un certo senso sia un po' in trip, a Doppler sembra una buona ascoltatrice.

Ogni tanto ballano un po'. Ecco, dice lei quando si avvicina il ritornello di una vecchia canzone di Bob Marley. Doppler ascolta. If you are a big tree, canta, we are a small axe, ready to cut you down, to cut you clown. Maj Britt gesticola al ritmo. If YOU are a big big tree, canta indicando Doppler con uno dei suoi bastoncini di bambù al «you», WE are a small axe, continua indicando se stessa al «we» con entrambe le mani, ready to CUT you DOWN, e poi di nuovo: to CUT you DOWN, e mima l'abbattimento di un albero a entrambe le ripetizioni di «cut» e «down».

Quando la canzone è finita, Maj Britt zoppica fino allo stereo e la rimette su. Doppler si lascia trasportare. Ormai cantano e gesticolano tutt'e due insieme. Al primo ritornello si indicano l'un l'altra al «you», poi si mettono fianco a fianco e indicano un invisibile terzo. Indicano tutti quei bastardi là fuori che pensano di capire tutto. Sono Maj Britt e Doppler contro il resto del mondo. Se credi di essere chissà chi e di poter dominare gli altri o la natura, aspetta che arrivano Maj Britt e Doppler a buttarti giù.

A buttarti giù.

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