Copertina
Autore Anna Maria Lombardi
Titolo Keplero
SottotitoloUna biografia scientifica
EdizioneCodice, Torino, 2008 , pag. 224, ill., cop.fle., dim. 14x21,5x1,5 cm , Isbn 978-88-7578-092-0
LettoreCorrado Leonardo, 2008
Classe biografie , storia della scienza , astronomia , musica
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Indice


  ix Introduzione

xiii Prefazione

     Capitolo 1
   3 Per aspera ad astra, una strada verso le stelle

     Capitolo 2
  15 Forma e armonia, la geometria del Mysterium

     Capitolo 3
  41 Una astronomia nuova

     Capitolo 4
  83 L'ottica

     Capitolo 5
 107 La terza legge e l'armonia celeste

     Capitolo 6
 135 Canto di un astronomo errante

     Capitolo 7
 163 L'immagine della scienza

     Conclusioni
 195 Armonia del mondo e fisica dei cieli

 197 Note

 215 Bibliografia


 

 

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Pagina ix

Introduzione


«Come svegliandomi da un sogno...». Queste sono le parole utilizzate da Keplero per descrivere le proprie intuizioni scientifiche, quei lampi di luce che consentirono alle innumerevoli tessere raccolte in anni di duro lavoro di incastrarsi perfettamente, e di mutare profondamente la concezione del cosmo. Così, difatti, Keplero immaginava l'operazione del conoscere: come un riappropriarsi di idee che già si possiedono inconsciamente. Il sapere scientifico, scriveva, è connaturato nell'uomo, come il numero dei petali in un fiore. Ma il risveglio non avviene per caso, e Keplero in ogni sua opera ci fa toccare con mano la tenacia, la fatica, i momenti di sconforto che tanto spesso caratterizzano il lavoro di uno scienziato. La scoperta delle tre leggi che descrivono il moto dei pianeti non ha niente a che vedere con una fortunata boutade.

Davvero non si può dire che Keplero sia stato un uomo fortunato. La sua vita fu segnata dalla miseria e dalle violenze seminate dalla guerra dei Trent'anni, e più volte subì l'umiliazione e il disagio dell'esilio. Fisicamente segnato da malattie di ogni tipo, gracile e debole di vista, la sua condizione fu pesantemente aggravata da un forte pessimismo. Eppure seppe essere felice, ogni volta che gli sembrava di cogliere l'armonia delle diverse parti del mondo, di una gioia che sgorga limpida dalle pagine dei suoi libri.

Keplero, che aveva compiuto gli studi alla prestigiosa facoltà di teologia di Tubinga, concepiva il cosmo come un'unità coerente, e ogni suo elemento come un'impronta del Creatore. Il mistico Ernesto Cardenal scriveva che «tutta la natura è fatta di simboli che ci parlano di Dio. Tutto il creato non è che pura calligrafia e non c'è un solo segno che non abbia senso. E quelli che si estasiano nel contemplare questi segni senza decifrarli sono come la ragazza di campagna che si diverte a contemplare la bella scrittura di un manoscritto che è giunto nelle sue mani, ma senza saper leggere e senza sapere che questi segni sono una lettera d'amore che l'imperatore scrisse per lei». Keplero dedicò l'intera vita a cercare di cogliere il significato delle relazioni tra i segni della natura, a imparare a leggere quello che anche lui, come Galilei, chiamava il «libro della natura», e che anche per lui era scritto nel linguaggio della geometria. Fu la profonda fiducia nell'esistenza di una armonia universale a spingerlo alla ricerca di leggi con cui descrivere i fenomeni naturali.

Questo libro vuole consegnare un nuovo ritratto di Giovanni Keplero, quale emerge dalla lettura delle opere originali. Non pretende di raccontare ogni dettaglio biografico, né di trattare in maniera esauriente la sua immensa produzione scientifica. Si prefigge piuttosto di smentire l'immagine di un personaggio poco moderno, imbrigliato nel misticismo di un'epoca precedente, ma che, nonostante ciò, fu capace di formulare tre leggi notevoli per la storia della scienza. Keplero, pur di modeste origini, fu un uomo di grande cultura, e il secolare patrimonio filosofico, logico e scientifico cui egli aveva potuto attingere nel corso dei suoi studi non costituì certo un impedimento alla sua libertà di ricerca. Keplero respirò le esigenze della scienza a lui contemporanea, e cercò costantemente il confronto con i più importanti scienziati europei. Razionale e rigoroso, egli seppe coraggiosamente superare gli schemi concettuali che lo ostacolavano, sempre guardando con sincera ammirazione a chi in passato li aveva introdotti. Keplero dedicò molte pagine alla riflessione sulla scienza, sul progresso, sulla comunicazione scientifica, e l'ultimo Capitolo del libro è rivolto a questo aspetto poco noto dei suoi studi. Senz'altro Keplero fu un uomo spigoloso, testardo, ai nostri occhi eccessivamente colorito nel linguaggio. A volte si può sorriderne, come quando rivela di voler scegliere una moglie annusandone il fiato. Ma, anche in questo, non si può che leggere la schietta concretezza di un figlio del XVI secolo.

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Pagina 41

Capitolo 3

Una astronomia nuova


Nel gennaio del 1600 Keplero giunge a Benatek, alla periferia di Praga, per lavorare presso il grande astronomo danese Tycho Brahe, matematico imperiale di Rodolfo II. I due astronomi si sono studiati per alcuni mesi, prima di «avventurarsi» in una collaborazione da cui entrambi si aspettano una svolta decisiva: Keplero è spinto dalla brama di ottenere nuove misure, assai più precise di quelle da lui possedute in precedenza, con cui mettere alla prova le proporzioni del modello cosmologico del Mysterium, mentre Tycho intravede nel genio e nella tenacia di Keplero gli strumenti per avvalorare la propria immagine del cosmo. L'incontro di due personalità tanto forti e caparbie si rivela una miscela esplosiva sotto il punto di vista umano, ma estremamente proficua sotto quello scientifico. I preziosi dati osservativi custoditi da Tycho, uniti alla volontà di Keplero di arrivare a una nuova astronomia, consentono la disintegrazione di alcuni punti di riferimento che perdurano da secoli, dando origine a un vero capolavoro: l' Astronomia nova.

Il libro, la cui stesura richiede più di cinque anni, è celebre perché contiene le prime due leggi di Keplero. Si tratta di un testo voluminoso, costruito come un diario di viaggio, o meglio come il racconto del lungo combattimento tra Keplero e il pianeta Marte, che da sempre sfidava gli astronomi con l'imprevedibilità della propria orbita. Le caratteristiche principali dell'opera sono suggerite dallo stesso titolo, Astronomia nova AITIOΛOΓHCOΣ, seu physica coelestis, tradita commentariis de motibus stellae Marti, ex observationibus Tychonis Brahe, ovvero Nuova astronomia dalle cause, o fisica dei cieli, tratta dall'esame dei moti della stella Marte, a partire dalle osservazioni di Tycho Brahe. Una astronomia che è nuova non soltanto perché si fonda sul recente sistema di Copernico. L'originalità di cui Keplero va fiero consiste piuttosto nel non accontentarsi di elaborare algoritmi che prevedono la posizione degli astri, mirando invece alla comprensione delle cause fisiche dei fenomeni celesti, anche se ciò comporta una rinuncia degli assiomi aristotelici del moto circolare e della velocità uniforme. Proprio a partire dai presupposti «fisici», come li chiama Keplero, viene selezionata l'astronomia di Copernico, che emerge come l'unica in grado, con gli opportuni adeguamenti, di soddisfare le esigenze di una fisica dei cieli. Per sottolineare i propri intenti in maniera esplicita, Keplero appone una pagina a completamento del titolo. In essa riporta un lungo passaggio tratto dalle Scholae mathematicae di Petrus Ramus, in cui il francese, oltre a condannare Copernico per non aver sostenuto la «verità» del proprio modello, sfida i propri contemporanei a costruire un'astronomia priva di ipotesi, mettendo in palio la propria cattedra a Parigi. Keplero, dopo aver difeso Copernico denunciando per la prima volta nella storia la vera paternità dell'Introduzione al De revolutionibus, dichiara che Ramus è stato fortunato, poiché è morto prima di poter mantenere la propria promessa: difatti, con l' Astronomia nova Keplero ritiene di aver vinto la sfida lanciata dal francese.

Al di là delle novità metafisiche, l'opera risulta rivoluzionaria anche dal punto di vista scientifico. Keplero, infatti, oltre ad abolire quei vincoli dell'astronomia aristotelica che per secoli avevano guidato gli astronomi, introduce un nuovo «centro del mondo», che costituisce il punto di riferimento unico per le orbite di tutti i pianeti e attribuisce al Sole la capacità, grazie all'emanazione di una forza, di muovere i corpi del sistema solare. Infine, propone una propria idea di gravità, coerente con la rinuncia alla cosmologia aristotelica.

Si è detto che l'opera nasce a seguito dell'incontro con Tycho Brahe, a cui Keplero fu senz'altro debitore, non soltanto per i preziosi dati osservativi a cui ebbe accesso a Benatek, ma anche per gli stimoli intellettuali offertigli nel nuovo incarico. Tycho, difatti, che fin dall'inizio aveva compreso di poter sfruttare un vero talento, catturò la curiosità scientifica di Keplero assegnandogli lo studio dell'orbita di Marte: un pianeta da sempre ritenuto imprevedibile, fino a quel momento croce di Christian Severino Longomontano, un altro aiutante di Brahe al quale era ora affidato lo studio della Luna. Keplero, ingenuamente, aveva creduto di poter risolvere il problema in pochi giorni ma, come si è già accennato, vi rimase incastrato per almeno cinque anni. Quando Keplero iniziò a lavorare per Brahe, allo studio del pianeta rosso erano associati due problemi particolari. Il primo riguardava il fatto che Marte a un certo punto sembra retrocedere, ovvero si osserva nell'orbita una specie di cappio, caratteristico del moto retrogrado. Questo fenomeno si può spiegare come un movimento apparente, a patto di ammettere con Copernico che la Terra, da cui si osserva l'orbita di Marte, non è ferma, ma si muove a sua volta. Al problema del moto retrogrado si aggiungeva però un'irregolarità nel tempo che intercorre tra un cappio e il successivo, di cui non si riusciva a dare spiegazione. Per Keplero questo rompicapo si rivelò una vera e propria fortuna. Marte, infatti, è il pianeta più eccentrico, nel senso che la sua orbita, più di quella degli altri pianeti, si differenzia da una perfetta circonferenza. Quindi, da un lato, è quello che dà errori più rilevanti se si assume un moto perfettamente circolare; nello stesso tempo, però, è l'oggetto che permette di cogliere meglio la reale forma, ellittica, dell'orbita. La sua posizione è poi particolarmente fortunata: Marte si trova abbastanza vicino al Sole da avere un periodo non eccessivamente lungo, e tuttavia ne è sufficientemente lontano da permettere osservazioni agevoli.

Le soluzioni ricavate per risolvere i problemi di Marte assunsero subito, agli occhi di chi stava cercando principi primi e meccanismi unici, il valore di leggi universali. Keplero comprese che Marte era un'ottima chiave per rileggere tutta la struttura del cosmo, e il trattato che era nato come Racconto di Marte divenne la Nuova astronomia.

Più letture sono state proposte dell' Astronomia nova, che per alcuni studiosi resta il fedele diario di una lunga e faticosa esplorazione di terre nuove, compiuto quasi alla cieca da un tenace ricercatore, mentre per altri cela invece un capolavoro finemente cesellato, in cui le strade senza uscita sono descritte in maniera esaustiva solo perché, a giudizio di Keplero, didatticamente utili.

Gli studiosi per cui il libro non è un testo redatto in corso d'opera fanno riferimento, per esempio, alla tavola sinottica che Keplero premette alla trattazione astronomica. La simmetria interna a questa tavola non rispecchia, in effetti, la tesi di un'opera in fieri.

Tuttavia è ampiamente testimoniato, dalle epistole e dai manoscritti, che all'inizio della stesura del trattato Keplero non aveva ancora conquistato le conoscenze sulla legge delle aree e sull'orbita ellittica. La versione preliminare inviata all'imperatore, per esempio, non contiene ancora alcun accenno alle orbite ellittiche. Si consideri quanto ciò renda ancor più coraggiosa la decisione di abbandonare una astronomia puramente geometrica, in cui quelle che Keplero chiama qui «ipotesi» (gli epicicli e gli equanti) non sono in grado di giustificare posizioni e moti degli oggetti celesti, ma soltanto di descriverli. La riscrittura totale o parziale di alcuni capitoli è stata oggetto di più ricerche, le quali testimoniano come nuove intuizioni abbiano costretto l'autore a rimaneggiare continuamente quanto scritto mesi o anni addietro.

In sostanza, è possibile individuare nel progetto dell' Astronomia nova alcuni cardini, che sostengono l'opera sin dalla sua prima stesura e che si possono individuare nel tentativo di giustificare con teorie fisiche l'ordine del cosmo. Da tali fondamenta scaturiscono, quasi come «effetti collaterali», alcuni risultati che oggi ci appaiono come l'essenza stessa del volume: le prime due leggi di Keplero. Esse sono senz'altro fondamentali, se vogliamo stabilire il contributo di Keplero alla realizzazione della meccanica newtoniana, ma, agli occhi del loro scopritore, non sono altro che due strumenti moderni, che vanno a sostituirsi alle «ipotesi» classiche nello studio della fisica dei cieli.

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Pagina 107

Capitolo 5

La terza legge e l'armonia celeste


Keplero ritiene compito fondamentale della ragione umana rintracciare nel mondo delle forme ordinate, gli archetipi. Questa convinzione riprende l'antica teoria dei segni, sorta nel Medioevo e sviluppata, in tempi più vicini a Keplero, da Agrippa von Nettesheim e da Paracelso. Nella dottrina dei segni, esiste un profondo legame tra microcosmo e macrocosmo, e ogni cosa cela un significato secondario, che si esprime, in maniera simbolica, attraverso la sua forma esteriore. Così, per esempio, un oggetto sferico rimanda in maniera subliminale all'essenza stessa della Trinità che, come si è visto prima nel Capitolo 2, era rappresentata appunto come una sfera tridimensionale. Gli archetipi sono come impronte, impresse nella creazione da parte di un Dio che, nella concezione di Keplero, si esprime con il linguaggio della geometria. «La geometria è l'archetipo della bellezza del mondo», ripete più volte Keplero. O ancora: «La geometria è coeterna alla mente divina sin da prima della creazione. E Dio stesso (infatti, cosa c'è in Dio che non sia Dio stesso?), e ha dato a Dio i modelli per la creazione dell'universo». Anche nella ricerca di un modello musicale, Keplero privilegia il linguaggio geometrico. La scelta di uno stesso linguaggio, sia in ambito astronomico, sia in ambito musicale, risulta essenziale, perché consente a Keplero di costruire un progetto cosmologico in cui vengono contemporaneamente trattati tanto i moti dei pianeti quanto l'armonia delle sfere celesti.

Esiste uno stretto legame tra la ricerca degli archetipi e quella di una armonia universale: «L'armonia, musicale o di qualunque altro genere, consiste nella scoperta e classificazione da parte della mente di certe proporzioni tra due o più quantità continue attraverso il paragone con le figure geometriche archetipe». L'idea di un mondo che manifesti armonia in ogni sua parte è uno dei cardini del pensiero di Keplero, e ricorre costantemente in ogni sua opera. La fiducia nella possibilità di mettere in luce queste regolarità è il segreto della tenacia di Keplero nella ricerca di leggi di natura.


Che cosa si intende con armonia?

Il termine «armonia» compare ancora oggi nel linguaggio comune, con un significato piuttosto sfumato: ai nostri occhi è caratterizzato da armonia un ente ben proporzionato, esteticamente gradevole. All'inizio del Seicento, invece, il vocabolo era ancora strettamente legato alla propria etimologia, piuttosto tecnica e legata ai diversi tipi di proporzioni matematiche. Nonostante il significato fosse più preciso, sotto l'egida del concetto di armonia interagivano tra loro i campi più diversi del sapere.

Vale la pena fermarsi a riflettere sul valore che tale parola aveva per Keplero e, più in generale, per un uomo di cultura del XVII secolo. L'armonia era l'oggetto di studio della scienza degli armonici, disciplina su cui erano strutturati diversi corsi di laurea delle più antiche università europee e che comprendeva in sé materie oggi considerate settori della matematica, dell'ingegneria, della fisica, dell'acustica, della fisiologia acustica, della teoria e composizione musicale, della cosmologia ecc.

La seguente definizione di musico, redatta da William Brouncker nella sua traduzione del Compendium musicae di Cartesio (1653), ci offre una valida immagine di quanto fosse ricca in quegli anni la concezione delle discipline musicali.

Al musico completo [...] si richiede più di una conoscenza superficiale di tutti i generi del sapere umano. Infatti, egli deve essere un fisiologo, per dimostrare la creazione, la natura, le proprietà e gli effetti di un suono naturale. Un filologo, per indagare sulla sua prima invenzione, istituzione e successiva propagazione di un suono artificiale, o musicale. Un aritmetico, per essere in grado di spiegare le cause dei moti armonici coi numeri, e svelare i misteri della nuova musica algebrica. Un geometra: per dedurre, nella loro gran varietà, l'originale degli intervalli consonanti - dissonanti attraverso la divisione geometrica, algebrica e meccanica di un monocordo. Un poeta: per conformare i suoi pensieri e le parole alle leggi dei numeri precisi, e distinguere l'eufonia delle vocali e delle sillabe. Un meccanico per conoscere la struttura squisita e la fabbrica di tutti gli strumenti musicali [...]. Un metallista: per esplorare le differenti contemperazioni del baritono e dell'ossitono, ossia dei metalli intonati al grave o all'acuto in relazione alla fusione di campane intonate per i rintocchi ecc. Un anatomista: per convincere circa il modo e gli organi dell'udito. Un melotetico, per progettare un metodo dimostrativo di composizione, o disposizione di tutti i toni e le arie. E, da ultimo, egli deve essere a tal punto un mago da eccitare lo stupore trasformando nella pratica i taumaturgici, meravigliosi segreti della musica: penso alle simpatie ed antipatie tra i suoni consonanti e dissonanti [...] e infine, la musica criptologica, attraverso cui le segrete idee della mente possano essere comunicate, col linguaggio di suoni inarticolati, a un amico a grande distanza.

Questa commistione di scienze esatte e musica appare oggi poco coerente, ma in realtà aveva consolidate e secolari fondamenta; si pensi solo al fatto che la musica era compresa tra le quattro scienze del quadrivio - al fianco di aritmetica, geometria e astronomia - in quella suddivisione classica delle discipline che contrapponeva le materie scientifiche a quelle umanistiche del trivio - retorica, dialettica e grammatica. Ignorare il ruolo della musica come catalizzatore di una proficua interazione tra astronomia, acustica, ottica e fisiologia determina una rilevante lacuna nella storia della Rivoluzione scientifica. Infatti, scienziati quali Keplero, Mersenne, Galileo, Stevino, Cartesio, Hooke, Huygens, Newton, e ancora Eulero, erano profondamente coinvolti nelle discussioni legate ai problemi che venivano classificati come musicali, ma che andavano poi a intrecciarsi con quelle ricerche che, da un punto di vista moderno, sembrano più direttamente collegate allo sviluppo scientifico.

Trascurare l'evoluzione della scienza degli armonici e della musica può perciò farci smarrire alcune delle chiavi che ci consentono di comprendere i passaggi logici che i protagonisti della Rivoluzione scientifica seguirono per elaborare le proprie teorie. Come avverte lo storico della scienza Stillman Drake: «Le radici della fisica di Galilei [...] vanno cercate non nella filosofia del passato, ma nella pratica dei musicisti del suo tempo, proprio come le radici della cosmologia di Keplero devono essere cercate nella teoria musicale».

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Pagina 121

Musica del cielo e armonia del mondo, l'Harmonice mundi

Presentazione dell'opera

L'Harmonice mundi libri V (I cinque libri della scienza dell'armonia del mondo) viene dato alle stampe nel 1618. E l'opera che racchiude la terza legge di Keplero, per la quale il rapporto tra il cubo del semiasse maggiore dell'orbita di un pianeta e il quadrato della sua distanza dal Sole è costante.

Come si è visto, le prime due leggi erano state esposte all'interno dell' Astronomia nova, un libro che può risultare complesso, ma che non esitiamo a catalogare tra i classici dell'astronomia. L' Harmonice è invece l'espressione di un progetto universale, con il quale Keplero intende mostrare come le leggi dell' armonia si possano scorgere in ogni aspetto del creato. Lungo lo svolgersi dei cinque Libri che lo compongono si ritrovano, infatti, le stesse relazioni armoniche, applicate di volta in volta alla geometria, alla politica, alla musica, all'astronomia o all'astrologia. Per poter comprendere il piano generale dell'opera, è dunque necessario abbattere qualsiasi stereotipo intellettuale che tenti di separare le singole discipline. In caso contrario, si avrebbe la sensazione di un discorso continuamente interrotto, perché nell' Harmonice le riflessioni sul miglior modo di governare uno Stato, o sulla regolamentazione delle sanzioni, fanno seguito alla classificazione dei poliedri regolari e precedono i Capitoli dedicati agli influssi dei pianeti.

Dover giustificare, in un contesto così variegato, una legge razionale, crea nel lettore moderno un certo sconcerto. Secondo alcuni storici, tra i quali spicca per scetticismo Eduard Dijksterhuis, è addirittura da escludere che l' Harmonice mundi rivesta un effettivo interesse scientifico. Secondo altri, Keplero scoprì quasi casualmente la terza legge, e la inserì poi in questo libro «dedicato alla musica», in modo da poterla dare al più presto alle stampe. Molti contemporanei di Keplero, che pure erano più abituati a trattazioni in cui la scienza era profondamente impregnata di filosofia, politica, teologia e studi astrologici, non si accorsero affatto della presenza della terza legge in questo testo. Lo storico Gerald Holton scrive che persino Newton ne sottovalutò l'importanza «introducendo la terza legge anonimamente come il fenomeno dell'esponente 3/2».

In realtà, l' Harmonice mundi è un'opera compatta, il cui disegno si delinea in maniera esplicita, capitolo dopo capitolo. Se si è disposti ad ascoltare un linguaggio ibrido, che sfrutta strumenti e metodologie presi in prestito da ambiti diversi, si riesce a seguire il lungo percorso che portò Keplero dalla ricerca di una trama armonica dell'universo sino alla formulazione della sua terza legge. Si coglierà allora l'importanza che ebbe agli occhi di Keplero il fatto che lo «strano esponente frazionario», che caratterizza la relazione tra semiassi e periodi di rivoluzione, coincida con lo stesso rapporto su cui era costruita la scala musicale pitagorica. Si potrà infine partecipare al suo entusiasmo per il rinvenimento non di una legge qualunque, ma di quella che egli considerava proprio l'anello di congiunzione tra l'armonia del mondo e la musica del cielo. Così, non apparirà fuori luogo la poco umile esclamazione di Keplero, posta nell'introduzione al Libro V: «Posso ben aspettare cento anni un lettore che comprenda ciò che ho scoperto, se Dio ha aspettato seimila anni qualcuno che sapesse meditare la sua creazione!».

Il programma di ricerca, volto a ritrovare proporzioni armoniche nei moti celesti, è esposto già nel Proemio, mentre alla terza legge è dedicato tutto il Libro V. Il titolo, Sull'armonia perfettissima dei moti celesti e come della stessa si ricavino eccentricità, semidiametri e tempi periodici, annuncia, se non il sicuro ritrovamento della legge, una ben determinata volontà di ricerca.

Più in generale, l' Harmonice mundi è fondato sulla convinzione che l'intero creato, dal sistema solare alle relazioni umane, sia governato da leggi di armonia. La novità apportata da Keplero, rispetto alla tradizione classica, consiste nel non decidere a priori in quale modo questa armonia si esprima. Sino ad allora, l'impronta di Dio si era dovuta scorgere esclusivamente nella perfezione del moto circolare uniforme; non era quindi importante quanto complesso fosse il sistema di epicicli da utilizzare per ottenere una descrizione corrispondente alle osservazioni. Keplero, nell' Astronomia nova, aveva posto come condizioni imprescindibili sia l'esattezza che questa descrizione doveva manifestare, in quanto riflesso di un atto divino di creazione, sia la possibilità di ricondurla a cause fisiche. Per queste ragioni di fondo, nel momento in cui le orbite ottenute per sovrapposizione di cerchi si erano dimostrate delle approssimazioni insoddisfacenti, era stato pronto a intraprendere strade inesplorate.

Anche nell' Harmonice mundi assistiamo a un processo di questo tipo. Esistevano già diversi tentativi di individuare particolari relazioni tra le distanze dei pianeti, così da spiegare perché si trovassero proprio in quelle posizioni. Larga diffusione aveva avuto in quegli anni il modello proposto da Robert Fludd nell' Utriusque cosmi del 1617, che immaginava il sistema solare come un gigantesco monocordo, accordato da una mano divina, sul quale le distanze dei pianeti dal Sole erano in proporzione con la lunghezza delle corde necessarie a produrre determinate note. Sin dall'Antichità si era ipotizzato un legame tra distanze planetarie e note musicali, il quale permetteva, in una situazione carente sia sotto l'aspetto teorico, sia sperimentale, di attribuire un valore quantitativo a un parametro astronomico. Per Keplero la situazione era però differente: da un lato era in possesso dei dati estremamente precisi di Tycho, dall'altro, poiché aveva abbracciato l'ipotesi copernicana, era in grado, anche dal punto di vista teorico, di determinare una misura delle distanze dei pianeti dal Sole. Per la prima volta, l'antichissima idea delle sfere celesti poteva essere testata, mettendo in luce come le proporzioni teorizzate non fossero che semplici approssimazioni, ben lontane da quella «esattezza» di cui Keplero sentiva l'esigenza. In questo caso Keplero si proponeva di verificare, e questo lo avrebbe portato alla scoperta della terza legge, che forse non esistevano delle semplici relazioni di armonia tra le distanze, ma che si potevano rintracciare leggi che legavano tra loro più parametri, quali distanza, eccentricità, periodo.

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Pagina 162

Capitolo 7

L'immagine della scienza


A partire dall'analisi di alcune opere minori, questo Capitolo ricostruisce l'idea che della scienza aveva Keplero. La riflessione sul ruolo dello scienziato, sul realismo delle teorie scientifiche, sull'oggetto della scienza e sulla possibilità di comunicarla anche a chi non ha una formazione specifica, è tutt'altro che sporadica ed estemporanea nella produzione kepleriana. Le opere scelte in queste pagine, l' Apologia contra Ursum, il De stella nova e il Somnium, esprimono tuttavia in maniera più diretta e organica una sensibilità e una attenzione che per altro traspare in ogni altro scritto di Keplero.

In particolare, l' Apologia è un manifesto del realismo scientifico, che afferma la capacità della scienza di elaborare affermazioni oggettive, ovvero corrispondenti alla realtà, sulla natura dell'universo e delle sue parti. Il mezzo che Keplero sceglie per affermare questa convinzione è quello di una accurata storia dell'astronomia, considerata quindi non come una sterile o retorica introduzione al testo, ma come un utile strumento del pensiero. Keplero lascia emergere lo stretto legame tra il realismo delle ipotesi scientifiche e l'idea di progresso, che egli definisce come un continuo approfondimento della conoscenza del mondo. Senza dubbio una simile riflessione è cruciale nel contesto in cui Keplero è immerso, in cui il concetto di «progresso scientifico» si sta appunto affacciando alla scena. Keplero è conscio del fatto che l'avanzamento dell'astronomia è stato tutt'altro che lineare, e tra le cause di tale andamento indica l'isolamento in cui lavorarono i grandi scienziati dell'Antichità. Eppure, egli dichiara di credere in una costruzione progressiva della conoscenza e identifica nell'avvicendarsi delle teorie scientifiche, di volta in volta dichiarate migliori delle precedenti, la prova di una profonda convinzione: pur se in maniera approssimata, esse contengono una qualche immagine oggettiva del mondo esterno.

Nel De stella nova, invece, Keplero riflette sulla definizione di ciò che deve essere oggetto di analisi scientifica, soffermandosi sui concetti di causa e di caso, e rifiutando ogni tipo di estremismo ideologico. Difatti, da un lato, ricercare interconnessioni causali per qualunque aggregato di eventi può portare l'uomo alla creazione di pseudoscienze, tra le quali Keplero cita l'astrologia; ma dall'altro, concepire ogni successione di avvenimenti come un puro accadimento casuale, tra infinite possibilità ugualmente probabili, equivale a rinunciare alla possibilità di fare scienza.

Nel Somnium, infine, Keplero si propone, grazie a una originale intuizione, di scardinare nel lettore le consuete sicurezze sulla corrispondenza tra quanto si avverte con i propri sensi e la reale essenza della natura. Una volta «destrutturato», privato del cosiddetto senso comune, chi legge può finalmente apprezzare la nuova astronomia copernicana. Il semplice testo, una breve favola fantascientifica, ha una rivoluzionaria capacità comunicativa, e proprio per questo venne immediatamente colto dai contemporanei di Keplero come un'arma potente di diffusione delle idee, tanto efficace quanto pericolosa. Keplero non si azzardò a pubblicare il Somnium in vita, ma nonostante ciò, come si è visto, la sua sola circolazione informale era costata all'autore e alla sua famiglia una lunga serie di disavventure.

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