Copertina
Autore Pierre Loti
Titolo Il deserto
SottotitoloUn viaggio attraverso il Sinai
EdizioneEditori Riuniti, Roma, 2002 [1993] , pag. 180, dim. 140x210x13 mm , Isbn 978-88-359-5135-3
OriginaleLe désert [1895]
PrefazioneDante Bovo
TraduttoreDante Bovo
LettoreCorrado Leonardo, 2002
Classe viaggi
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Pagina 3

Oasi di Mosè, 22 febbraio 1894

"QUESTO SCRITTO PROVIENE dall'umile, dinnanzi alla misericordia del suo Dio altissimo, il seid Omar, figlio di Edriss, a favore del suo amico Pierre Loti, per raccomandarlo ai capi di tutte le tribù d'Arabia, con l'effetto di avere per lui attenzioni e aiuti durante il suo viaggio nei paesi dell'Arabia, perché egli venera l'islamismo ed è animato dai migliori sentimenti verso la nostra religione. Ed io ne sarò soddisfatto da tutti coloro che l'avranno così rispettato e assistito, come lo merita.

Scritto da noi, il 10 Chaban 1311, Omar, figlio di Edriss, El Senussi El Hosni".


Sotto la tenda, dove abito da un'ora, alla soglia del deserto, rileggo questa lettera che deve essere il mio salvacondotto attraverso le tribù ostili. A piè di pagina, in caratteri misteriosi, è scritta la segretissima invocazione divina della setta dei Senussi, che ha il suo focolare laggiù, nel Moghreb, e della quale il seid è il rappresentante per l'Arabia orientale.

Ai pericoli del viaggio, è vero, non ci credo affatto. E la loro attrazione chimerica non è quella che mi conduce qui. Ma per tentare di vedere, ancora sotto l'invasione degli uomini e delle cose di questo secolo senza fede, la santa Gerusalemme, ho voluto venirci lungo le vecchie strade abbandonate e prepararmi lo spirito durante lunghi raccoglimenti nella solitudine.

Me n'erano state offerte parecchie di quelle strade di sabbia. La prima, la più facile e la più corta, è quella denominata del Piccolo Deserto, attraverso El Arich e i confini del golfo egiziano: già banalizzata, questa, e seguita ogni anno da molti inglesi e americani oziosi, confortevole e sotto la protezione delle speciali agenzie.

Un'altra, quindi, meno frequentata, attraverso il Sinai e Nackel.

Infine, la più lunga di tutte, attraverso il Sinai, Akabah e il deserto di Petra. Ho scelto questa, perché le guide mi consigliavano di non prenderla. Meno facile da sempre quest'ultima, in Egitto è considerata impraticabile in questo momento, dopo la ribellione delle tribù dell'Idumea. E sono dieci anni che nessun europeo ha tentato di percorrerla. Lo sceicco di Petra, in particolare, mi è stato presentato come un pericoloso spione delle carovane e, attualmente, non sottomesso a tutti i governi regolari. La sua persona, più che il suo paese, mi attira laggiù. D'altronde, come quasi tutti i capi dell'Idumea e dello Hedjaz, egli è affiliato alla setta senussita; soltanto presso di lui dovrò servirmi della lettera del seid Omar, che ha tanta grandezza e che si confà cosí male con i beduini della mia scorta, addomesticati e servili, prima delusione del mio viaggio.

Il deserto, però, non è deludente, qui, a questa soglia, ove non fa che iniziare ad apparire. La sua immensità primeggia su tutto, ingrandisce tutto e, davanti a lui, si dimenticano le meschinità delle persone.

Talmente brusca è stata la sua presa su di noi, e così immediato il suo avvolgimento di silenzio e di solitudine!...

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Pagina 17

Lunedì, 26 febbraio

OGNI MATTINA È UGUALE: SVEGLIARSI in un luogo diverso del vasto deserto; uscire dalla propria tenda e trovarsi nello splendore vergine del mattino; stendere le braccia, stiracchiarsi mezzo nudo nell'aria fredda e pura; poi sulla sabbia, arrotolare il proprio turbante e rivestirsi con i veli di lana bianca; inebriarsi di luce e di spazio; conoscere, al risveglio, la spensierata ebbrezza soltanto di respirare, soltanto di vivere.

E poi, partire, seduto molto in alto sul dromedario eternamente in cammino, che va a passo uguale sino a sera. Camminare sognando, camminare, camminare sempre, e davanti a sé, la testa pelosa abbellita da conchiglie e il lungo collo della bestia, che fende l'aria con oscillazioni di prua di nave. Vedere solitudini dopo solitudini, porgere ascolto al silenzio e non sentire nulla, né un canto d'uccello, né un ronzio di mosca, perché non c'è nulla di vivo in nessun luogo.

Dopo l'alba fredda, appena sale, il sole brucia. Le quattro ore di strada del mattino, andando verso levante con la luce in faccia, sono le più splendide del giorno. Poi, in un luogo qualunque, scelto dalla nostra fantasia, sotto una tenda leggera e rapidamente montata, c'è la sosta di mezzogiorno, durante la quale la carovana, più numerosa e più lenta dei nostri beduini e dei cammelli portatori, ci raggiunge, passa con gridi di festosità selvaggia e sparisce nell'ignoto che ha dinnanzi. Poi, dopo le quattro ore, ancora una tappa per la sera; finalmente il buon arrivo nel luogo sempre imprevisto per il riposo notturno, la gioia semplicemente fisica di ritrovare la propria tenda, davanti alla quale il docile dromedario, inginocchiandosi, vi depone.


Stamane, iniziamo la giornata nelle valli calde, tra montagne opprimenti. Il sole è triste, triste come un grande abbaglio triste che cada dal cielo. Sulla sabbia che luccica, gli occhi stanchi seguono le ombre dei cammelli in cammino e, come sempre, quando li si rivolge verso le lontane montagne, esse sembrano nere a confronto con lo splendore delle sabbie vicine.

Verso mezzogiorno, siamo molto in alto, in quelle solitudini della quasi isola sinaitica. Allora, da ogni lato si scoprono nuovi spazi e l'impressione di deserto diventa ancor più angosciante, a causa dell'affermazione visibile della sua immensità.

Ed è una magnificenza quasi spaventosa. In lontananze così limpide che si direbbero più profonde delle abituali lontananze terrestri, catene di montagne si affacciano e si sovrappongono con forme regolari che, dall'inizio del mondo, sono indenni da ogni intervento dell'uomo, con contorni nitidi e duri che nessuna vegetazione ha mai attenuato. Nei primi piani, esse sono di un bruno quasi rosso; poi, nella loro fuga verso l'orizzonte, trascolorano in meravigliosi violetti che s'azzurrano sempre più sino all'indaco puro delle estreme lontananze. E tutto questo è vuoto, silenzio e morte. È lo splendore delle zone invariabili, ove sono assenti quelle lusinghe effimere, le foreste, le verdure, gli erbaggi. È lo splendore della materia quasi eterna, non toccata da tutto ciò che è instabile della vita, lo splendore geologico di prima delle creazioni.


Alla sera, da un'altura più lontana, scopriamo una pianura senza contorni visibili, tutta sabbia e pietra, macchiata da gracili ginestre rosse. È inondata di luce, bruciata dai raggi. Il nostro accampamento è già eretto laggiù, le nostre infinitamente piccole tende bianche paiono abitazioni di pigmei in mezzo a quel deserto splendente.


Oh! che tramonto questa volta! Mai avevamo visto tanto oro versato per noi soli, intorno al nostro accampamento solitario. I cammelli, che fanno la loro passeggiata errante della sera, stranamente ingranditi come sempre nel vuoto orizzonte, hanno l'oro sulle loro teste, sulle zampe, sui lunghi colli: sono tutti orlati d'oro. La piana intera è d'oro, le ginestre sono cespugli tutti d'oro.

Poi, viene la notte, una limpida notte con il suo silenzio. A questo punto, si ha l'impressione di uno spavento quasi religioso di allontanarsi dall'accampamento e di perderlo di vista, anche di separarsi da quel piccolo pugno di esseri viventi, smarritisi in mezzo a spazi morti, per essere più soli in assoluto nel nulla notturno. Meno lontane, meno inaccessibili che altrove, le stelle brillano in fondo agli abissi cosmici e, in quel deserto immutabile e senza tempo, donde le si guarda, si sente più vicino il concepire il loro inconcepibile infinito. Si ha quasi l'illusione di partecipare, proprio noi stessi, alle impassibilità e alle durate sideree.

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Pagina 67

Mercoledì, 7 marzo

IL SOLE È SEMPRE PIÙ ARDENTE e il vento sempre meno freddo, man mano che ci allontaniamo dagli altopiani del deserto del Sinai per scendere verso il golfo di Akabah.

Per tutto il mattino, camminiamo come ieri, tra rovine titaniche di muri, di templi e di palazzi. Durante millenni e millenni, le piogge, i crolli, gli sbriciolamenti hanno dovuto lavorare, là, con infinite lentezze, mettendo a nudo i filoni più duri, distruggendo le vene più tenere, scavando, scolpendo, sgretolando con intenzioni d'arte e di simmetria, per creare quel simulacro di città terribile e sovrumana, nella quale abbiamo già fatto venti leghe senza prevederne la fine.

Verso la metà del giorno, il deserto diviene nerastro, a perdita d'occhio e dappertutto: nerastre le sue montagne, nerastre le sue sabbie cosparse di sassi neri. Anche le più pallide piante sono sparite: è la desolazione in assoluto, il grande e incontrastato trionfo della morte. E sopra vi cade un così grave, un così malinconico sole, che sembrerebbe fatto soltanto per inaridire e uccidere. Non avevamo ancora visto nulla di così sinistro: si soffoca nel bruciato e nel buio, in cui sembra infiltrarsi per annullarsi tutta la luce dall'alto. Si è là come nei mondi finiti, spopolati dal fuoco e che nessuna rugiada feconderà mai più. E, allora, la vaga inquietudine del giorno precedente si fa quasi angoscia e orrore.


Verso sera, arriviamo alla "Vallata della fontana" (l'Oued-el-Ain), dove dobbiamo accamparci. È la prima oasi, da quando camminiamo nel deserto. Ci pare un luogo incantato, quando si apre improvvisamente, come uno scenario che cambia, tra due alte quinte di montagna. È chiusa, murata splendidamente dai graniti, che sono riapparsi, qui, simili a quelli del Sinai, ma ancora più rossi. Nel fondo e in mezzo, c'è una sorta di tempio, come una pagoda indù; s'innalza una strana fantasia geologica, una gigantesca piramide regolare, fiancheggiata quasi simmetricamente da pinnacoli e torrette. La base è di un colore così intenso che si direbbe strofinata di sangue, mentre la punta, senza dubbio di un granito speciale, impallidisce e volge al giallo dello zolfo.

Sull'arrossamento cupo di tutte quelle grandi rocce, si distinguono dei mazzi di palme d'un verde troppo intenso e quasi blu, alcune in ciuffi spessi a terra, altre che si innalzano su lunghi steli curvi. E tamarindi e canne, e acqua corrente che rumoreggia sulle pietre! I nostri cammelli assetati gridano verso l'acqua fresca, corrono a immergervi avidamente le loro teste accaldate. E noi, dopo quei giorni di visioni funeree, inebriati improvvisamente da quello splendido eden nascosto, ci accampiamo con gioia in quel triplice cerchio di rocce sanguinanti, tra le belle verdure blu.

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