Copertina
Autore Geert Lovink
Titolo Internet non è il paradiso
SottotitoloReti sociali e critica della cibercultura
EdizioneApogeo, Milano, 2004, Cultura digitale , pag. 328, cop.fle., dim. 135x210x20 mm , Isbn 978-88-503-2273-2
OriginaleMy first Recession [2003]
TraduttoreMarco Deseriis
LettoreRiccardo Terzi, 2005
Classe informatica: reti , comunicazione , sociologia , copyright-copyleft
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Indice

Prefazione                                       ix

Introduzione:
Correnti della cultura critica di Internet        1

    Dopo l'11 settembre                           1
    I luoghi della teoria                         6
    Metodologia                                  26
    La ricerca sulle mailing list                28
    Che cos'è la cultura critica di Internet?    31
    Sintesi dei capitoli ed elementi biografici  33

Capitolo 1
Teorie della Rete post-speculative               39

    Dalla visione alla ricerca                   39
    Il realismo romantico di Hubert L. Dreyfus   41
    Manuel Castells, un pragmatico della rete    51
    L'attivismo legale di Lawrence Lessig        56

Capitolo 2
Anatomia della febbre da dotcom                  63

    Introduzione: no-profit contro dotcom?       63
    Arrivaci per primo                           66
    La nuova economia di Castells                73
    Dot.Bomb e Boo Hoo                           78
    Le epopee del futuro di Michael Lewis        88
    Purple Moon di Brenda Laurel                 95

Capitolo 3
L'Europa Profonda e il conflitto del Kossovo    101

    Introduzione                                101
    La formazione del network                   103
    Le relazioni Est-Ovest                      104
    La Profonda Europa                          107
    Syndicate come network                      109
    I bombardamenti NATO e
    le esplosioni della lista                   110
    L'attivismo di Rete in tempo di guerra      116
    Disperazione online                         122
    Incontri e azioni                           127
    Obiettivi civili e militari                 129
    Un network danneggiato                      131
    The Future State of Balkania e
    altri sviluppi                              133
    L'Ascii Art e la rivoluzione serba          135
    La parola alle macchine                     138
    Dirottare liste                             142
    La morte di una comunità                    145
    Dopo l'innocenza                            149

Capitolo 4
I principi della trasmissione sovrana in Rete   153

    Introduzione                                153
    L'inizio della trasmissione in Rete         155
    Principi dello streaming                    158
    Webcasting, non broadcasting                161
    Incontri e Webcast                          166
    Giocare coi loop                            168
    Trasmissione limitata e archivi             169
    Localizzazione                              171
    Il network non è l'organizzazione           175
    Lo streaming open source                    178
    Xchange e Riga                              180
    Oltre la rimediazione                       182
    Media minori                                185
    Basta con il pubblico                       189
    Verso una teoria dei network umili          191
    Futuri di streaming                         193

Capitolo 5
La battaglia sulla formazione alla new media art195

    La Bauhaus: il riferimento e il modello     195
    La pedagogia "neoscene'"                    203
    Insegnare agli insegnanti                   210
    Il posto della teoria                       215
    L'eterno ritorno del nuovo                  223
    Disciplina o interdisciplinarità?           226
    Modelli che ispirano                        227

Capitolo 6
Oekonux e il modello del Free Software          235

    Linux come modello di una Nuova Società     235
    Le conferenze Wizard of OS                  240
    La cultura tedesca del dibattito            242
    I due Stefan                                244
    I germi del post-capitalismo                248
    Donne e altri argomenti                     254
    "Auto-schiudersi"                           258
    I progetti oltre il software libero         262
    Strategie aperte                            269

Capitolo 7
Definizioni di open publishing                  277

    Insoddisfazione nella cultura delle liste   277
    L'ABC dei blog                              280
    La cultura delle liste in Australia         285
    Allegorie di una cultura democratica
    dei network                                 287
    Conflitti sui blog: il caso Indymedia       294
    Un confronto fra liste e blog               298
    La questione della proprietà                303
    Dalla teoria alla Discordia                 304

Conclusioni
I confini della cultura critica di Internet     309

    La diversificazione degli strumenti
    per l'accesso a Internet                    310
    I contenuti: trionfo o tragedia?            311
    Da Internet al capitalismo globale          313
    Sovraccarico informativo e filtri           315
    Lo smantellamento dell'infrastruttura
    indipendente                                317
    Dal consolidamento all'isolamento?          318
    La democratizzazione di Internet            319

Bibliografia                                    323

 

 

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Pagina 1

Introduzione

Correnti della cultura critica di Internet


                "Sei sicuro di vivere nel mondo d'oggi?"
                                                – Marshall McLuhan



Dopo l'11 settembre

All'inizio del 2003, l'euforia da Internet era ormai completamente svanita. Dopo il crollo delle dotcom, i media mainstream iniziavano a parlare di "morte della Rete". Dopo l'11 settembre, sia gli attivisti per i diritti civili che i pionieri della Rete esprimevano pubblicamente le proprie preoccupazioni per l'aumento della sorveglianza, le leggi più restrittive e la conseguente "chiusura" di Internet. Circolavano voci su presunti complotti della IBM e della Microsoft per mettere le mani sulla Rete. Persino un settimanale neo-liberista come The Economist lamentava: "Internet vende la sua anima" (in riferimento all'introduzione di servizi a pagamento su molti siti dopo il fallimento dei servizi gratuiti durante il periodo delle dotcom).

L'approccio puramente commerciale aveva lasciato il segno. Sempre più spesso agli utenti veniva chiesto di pagare per informazioni e servizi, mentre la pubblicità si faceva sempre più invadente. In un arco di tempo di circa sette anni, si erano verificati cambiamenti enormi.

Internet si era dimostrata incapace di "aggirare" la crescita costante del controllo statale e delle multinazionali. La "guerra al terrorismo" seguita all'11 settembre richiedeva che le preoccupazioni dei legislatori oscillassero drammaticamente verso una maggiore sorveglianza e controllo. I valori libertari anti-statuali potevano facilmente essere liquidati come "anti-patriottici". L'attacco portato alle libertà civili dalle leggi anti-terrorismo del governo viene presentato con una retorica che pretende di salvaguardare i cosiddetti "valori fondamentali delle società liberali". Ma ciò che in realtà il "Total Information Awareness" sta imponendo è un regime dei detentori dei diritti di proprietà intellettuale voluto dall'industria dell'intrattenimento. Gli alloggi degli studenti vengono perquisiti e le loro connessioni Internet chiuse, con gli utenti sospettati di "scambiarsi musica e film protetti da copyright". Orrin Hatch, presidente della Commissione Giustizia del Senato degli Stati Uniti, si è spinto addirittura a ipotizzare che chi scarica materiali protetti da copyright dalla Rete dovrebbe vedersi distrutto il computer automaticamente.

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Pagina 4

Alcuni mettono in discussione l'assetto proprietario poco trasparente di Internet e chiedono una governance globale. Michael Geist, scrivendo per il Toronto Star, afferma: "Negli ultimi anni, il mondo si è trovato a misurarsi con regolamenti di Internet che vengono scritti in una sola giurisdizione (di solito, ma soltanto, gli Stati Uniti), ma applicati globalmente. Lo squilibrio nella stesura delle regole ha reso molti paesi sospettosi verso l'egemonia straniera su Internet". Sempre più spesso, i conflitti sui nomi di dominio, il copyright, le leggi sulla privacy e la libertà d'espressione si scontrano con regolamenti (statunitensi) contraddittori e unilaterali in cui le regole globali si applicano solo "al resto del mondo". Allo stesso tempo, i tribunali accampano diritti di giurisdizione sui paesi stranieri. Geist cita il caso di un tribunale statunitense che aveva ordinato la cancellazione di un dominio registrato da un cittadino coreano — nonostante l'ordinanza di un tribunale coreano l'avesse proibita. La corte statunitense aveva stabilito semplicemente che la sua deliberazione esautorava quella della corte coreana, suggerendo che la legge degli Stati Uniti potrebbe godere di un controllo maggiore sulle dispute sui nomi di dominio in altri paesi rispetto alle leggi locali. Perché il Pentagono dovrebbe avere il potere di sconnettere interi paesi da Internet? La risposta cinica — perché governa il mondo — potrebbe non soddisfare tutti. D'altro canto, "i tribunali in Francia e in Australia hanno affermato la loro giurisdizione su editori come Yahoo! e Dow Jones, i quali hanno risposto che i documenti contestati sarebbero protetti dalla legge degli Stati Uniti". Michael Geist afferma anche che "gli Internet Service Provider in Canada e in Australia ricevono regolarmente notifiche e ingiunzioni di chiusura [di alcuni siti, NdT] da compagnie statunitensi nonostante la legge degli Stati Uniti non si applichi in quei paesi". Voi obbedireste?

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Pagina 9

A causa della velocità degli eventi, c'è il pericolo reale che un fenomeno online scompaia ancora prima che un discorso critico che vi riflette sopra abbia avuto il tempo di maturare e sedimentarsi come una conoscenza riconosciuta istituzionalmente. La ricerca su Internet, la critica della Rete, gli studi tecno-culturali e la filosofia dei media sono ancora nella loro fase infantile. Spesso l'oggetto di studio è già volatilizzato ancora prima che lo studio dello stesso sia finito. Ma ciò non rende questi problemi meno rilevanti. La ricerca critica su Internet deve prendere le distanze dai progetti aleatori e accettare l'umile ruolo di analizzare il passato molto recente. Il ricercatore David Silver ha distinto tre stadi. Durante il primo stadio, che chiama della "cibercultura popolare", la ricerca su Internet è segnata dalle sue origini giornalistiche. Al secondo stadio, "gli studi delle ciberculture," si concentrano in gran parte sulle comunità virtuali e le identità online.

Nella terza fase, "gli studi critici della cibercultura" la ricerca si estende alle "interazioni online, i discorsi digitali, la negazione o l'accesso a Internet e la progettazione delle interfacce del cyberspazio". Questo studio rientra nella terza fase. In particolare, riesamina la nozione di comunità virtuali come reti sociali reali e il modo in cui entrambi riflettono la società e anticipano (e incarnano) le nuove forme di interazione sociale.

La critica della Rete, per come la concepisco io, non è orientata primariamente contro i valori libertari dei pionieri dell'epoca pre-dotcom. Rimane essenziale e utile difendere la decentralizzazione, gli standard aperti, la crittografia, l'anonimato, il diritto a possedere le tue parole, la condivisione delle risorse, dei codici e dei contenuti online. Sono tutte cose che ho cercato di chiarire nel mio Dark Fiber. Semmai, la critica della Rete prende posizione contro i giornalisti cinici e populisti dell'information technology e contro i consulenti delle agenzie di pubbliche relazioni che vendevano Internet come uno spettacolo mercificato e adesso stanno facendo lo stesso con alcune storie "scandalose" delle dotcom. È questa classe di mediatori che ha sistematicamente rifiutato di studiare e di analizzare le strutture di potere all'interno di questo medium globale emergente. Questa pessima abitudine, o forse trascuratezza, continua oggi, molto dopo il crollo delle dotcom. Praticamente nessun giornalista d'inchiesta ha anticipato il crollo delle dotcom o l'ascesa dei weblog e delle reti wireless.

I media sono incapaci di cogliere i fatti reali e sono spesso complici nell'alimentare la macchina delle tendenze e delle mode fino all'ultimo minuto, quando un'altra telecom o un'altra compagnia tecnologica falliscono.

La critica della Rete è un invito all'impegno intellettuale critico. Non è una critica dell'informazione o della tecnologia in generale. Il critico-come-organizzatore deve navigare tra l'hype economico delle "industrie culturali" e la futilità reale dell'arte e della cultura rispetto ai giganti tecnologici e scientifici. Dal mio punto di vista, i nuovi media meritano il meglio delle risorse culturali, quelle che possono pensare e operare al di là delle fluttuazioni della cultura popolare e della moda. Il riconoscimento dell'utente come "macchina imperfetta" è incombente.

In The Future of Ideas (Il futuro delle idee), Lawrence Lessig ha lanciato un appello drammatico a difendere i valori originari di Internet per difendere il capitalismo dai suoi stessi monopoli (vedi il primo capitolo). In ogni caso, c'è una disillusione crescente sul fatto che "il mercato" possa essere il partner appropriato per difendere, e definire, la libertà di Internet.

La posizione di Lessig, basata specificamente sul senso comune statunitense, ci lascia con la domanda su come potrebbe essere l'economia di un "commons digitale". Una cosa è sicura: Internet non è solo un mondo parallelo là fuori da qualche parte, ma è parte integrante della società. I network sociali descritti qui non sono isolati ma andrebbero descritti come interfacce osmotiche tra l'interno e l'esterno.

La parola "critica", per me, non si riferisce automaticamente alla cosiddetta teoria critica della Scuola di Francoforte di Adorno, Horkheimer, Marcuse e altri, non importa quanto possa essere attraente inquadrare la critica della Rete all'interno di quella particolare tradizione teoretica. La crisi della teoria critica continentale in quanto oscura nicchia accademica ha pagato il suo pedaggio. Non esiste una teoria delle reti neo-marxista che sappia leggere criticamente la cultura dei nuovi media e potremmo attendere invano che la generazione del 1968 invecchi perché comprenda la Rete e la prenda seriamente come un oggetto teorico.

"Critica", in questo contesto, si riferisce al bisogno urgente di riflettere e pensare, combinato con l'azione, sentita da molti negli anni Novanta come indispensabile per contrastare un tipo d'informazione enfatica e ossessionata da slogan e parole d'ordine. Ciò di cui c'era bisogno era un discorso informato che potesse trascendere gli slogan del giorno e combinare la spinta diffusa a favore del pubblico, del free software e degli standard aperti con una visione (auto)critica dell'economia e del ruolo della cultura nella formazione della "società delle reti". La critica della Rete per me non è solo un invito a fondare una disciplina accademica e neanche un appello alle scienze esistenti a prendere nota gentilmente dell'esistenza di Internet.

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Pagina 16

Negli ultimi decenni, il ruolo del critico si è sminuito ulteriormente. Prendiamone atto: gli intellettuali riconosciuti non sono custodi del ciberspazio. La maggior parte di loro guarda con disprezzo a tutto ciò che è "nuovo". Questo atteggiamento non ci deve preoccupare. Ciò che i critici e i teorici possono fare è contestualizzare i lavori che analizzano e imprimere una svolta discorsiva alla realtà interdisciplinare dei media. Frye affermava che la critica letteraria è una forma d'arte; non è mia intenzione fare lo stesso con la critica della Rete. La quale può fare solo dichiarazioni di modestia, visto il declino complessivo dell'intellettuale nella società. Secondo Frye, la nozione che solo il poeta è, o potrebbe essere, l'interprete di se stesso o se stessa o della teoria della letteratura "appartiene alla concezione del critico come parassita o sciacallo" (p. 6). C'è in realtà una tendenza all'interno della cultura dei nuovi media di guardare con un certo disprezzo gli intellettuali che si attagliano alle vecchie regole della galassia Gutenberg, in cui un gruppo selezionato di redattori all'interno delle case editrici e dei giornali stabiliva cosa era e cosa non era teoria.

Le discipline umanistiche si sono preoccupate soprattutto dell'impatto della tecnologia da una prospettiva di quasi outsider, dando per scontato che la tecnologia e la società possono essere ancora separate. Ciò vale anche per alcuni testi chiave di teoria dei media che sono spesso non disponibili in inglese o non sono online perché protetti da copyright. Il trasferimento di conoscenze e di attività critiche nelle reti deve ancora avvenire, e il processo potrebbe richiedere decenni, se non generazioni, spinto da un numero crescente di "cittadini della Rete" che rischiano di ignorare i contratti degli editori, i sistemi di formazione del prestigio legati ai vecchi media e i requisiti delle pubblicazioni accademiche. Ma non disperiamo: la "napsterizzazione" del testo è a portata di mano.

Un elemento importante del progetto di una critica della Rete è stata la definizione e lo scambio di testi di riferimento chiave. In via di sviluppo vi sono delle camere di compensazione per la libera diffusione di contenuti, basate su principi di scambio simili al peer-to-peer, per garantire che letture essenziali non rimangano blindate dietro ai firewall. Ma non ci siamo ancora arrivati. Analizzerò nel dettaglio questo argomento nel primo capitolo, in cui discuto il lavoro di Lawrence Lessig. Come spiega Lessig, la tendenza generale è nella direzione opposta. I database di immagini inaccessibili, riempiti con un'eredità culturale che una volta apparteneva al pubblico generale, limiteranno se non soffocheranno il più ampio uso della Rete. L'accresciuta consapevolezza delle potenzialità delle "tecnologie della libertà" (Ithiel De Sola Pool) va di pari passo con una crescita del controllo sempre più veloce, alimentato com'è dall'incertezza e dalla paura degli utenti. Un compito importante del progetto di una critica della Rete è quindi di stare dentro al network, scrivendo e-mail, testi online, link e database. È precisamente questo stare dentro che è necessario alla riflessione, in opposizione alla divisione tra tecnologia e società propria della critica tradizionale.

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Pagina 24

Il "progetto democratico", come lo chiama Mouffle, cui mi riferisco in questo lavoro è differente dalla dimensione scalare dello stato-nazione liberale e dai suoi modelli di democrazia rappresentativa. L'invito alla "democratizzazione" della cultura (critica) di Internet non ha bisogno di concludersi con un dibattito sulla regolamentazione. Mouffle preferisce il termine "il politico" rispetto a "la politica", poiché il primo, come terreno di relazioni sociali, è sostenuto dalle potenzialità dell'antagonismo, costituisce la possibilità della politica.

"Il politico" in questo contesto è incorporato nel software. Per la critica della Rete, il software è un terreno di relazioni sociali che costituisce la possibilità del discorso online. Per molti studiosi delle scienze politiche, la democrazia è ancora una forma legale di potere, esercitata all'interno dei confini dello stato-nazione. La cultura di Internet, invece, è un medium globale in cui le reti di relazioni sociali sono plasmate da una combinazione di regole implicite, network informali, conoscenze collettive, convenzioni e rituali. Sarebbe folle ridurre Internet a un insieme di procedure tecnico-legali e presumere, per esempio, che le "idee regolatrici" impediranno alla guerra dell'informazione o allo spam di diffondersi ulteriormente. Piuttosto, sfrutterei al meglio le possibilità offerte di far progredire le procedure sociali all'interno delle architetture dei software e delle reti in modo da sperimentare con una forma di egemonia "post-tecnofila" agonistica e pluriforme.

In "Contro l'eresia digitale", il primo capitolo di On Belief, Slavoj Zizek enuclea quelle che potrebbero essere le basi del progetto per una critica della Rete. Per Zizek, il superamento del "mito" non corrisponde semplicemente a un allontanamento dal mitico ma a una lotta costante con e all'interno di esso. "Il mito è il Reale del logos: l'intruso straniero, di cui è impossibile liberarsi e in cui è impossibile rimanere totalmente".

Riprendendo l'analisi di Adorno e Horkheimer di La dialettica dell'Illuminismo, l'illuminismo stesso di Zizek è mitico. "La società postindustriale dinamica e senza radici genera direttamente il suo mito", e Internet ne rappresenta uno particolarmente forte e seducente. Zizek non analizza Internet direttamente ma fa riferimento alla natura mitologica della cultura degli scienziati del computer.

Il riduzionismo tecnologico dei partigiani cognitivisti dell'Intelligenza Artificiale e l'immaginario pagano mitico della stregoneria, dei poteri magici misteriosi e via dicendo, sono due facce strettamente connesse dello stesso fenomeno: la sconfitta della modernità al massimo livello.

Trasferendo queste riflessioni alla critica della Rete, potremmo affermare che l'idea di una comunicazione globale pura, sostenuta dagli algoritmi dei software e dalle architetture di Rete decentrate è essa stessa un costrutto mitologico, caricato di ideologia.

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Pagina 26

Metodologia

Il mio obiettivo è scrivere una forma contemporanea di archeologia dei media in cui mappo gli usi sociali e culturali di Internet. In questa occasione, continuo nel raccontare una serie di storie di un gruppo selezionato di reti tecno-culturali.

La metodologia usata in questi case studies consiste nell'analisi dei contenuti di una serie di archivi Web di liste e siti. Ho vagliato migliaia di messaggi, individuando degli elementi ricorrenti e delle citazioni significative.

Dagli archivi delle liste ho selezionato un certo numero di discussioni significative e quindi ho letto accuratamente dei dibattiti particolari. La selezione è dipesa da istanze in cui i limiti discorsivi del dibattito online si manifestavano nell'articolazione delle diverse dimensioni, sociali, politiche, economiche e culturali, all'interno dello spazio-tempo della mailing list stessa. "Filtrare" le e-mail e selezionare criticamente dei link a siti Web è un fattore essenziale se si vuole evitare di essere sopraffatti dall'immensa quantità di informazioni online.

Questa problematica viene trattata nel corso di tutto questo studio. Durante il processo di selezione, ho cercato degli schemi e dei cambiamenti discorsivi generali ricorrenti nello scambio di messaggi e quindi ho selezionato un numero ristretto di post. Ho combinato un'analisi dettagliata degli archivi Web con la mia conoscenza personale come partecipante a ciascuno di questi network. Non importa quanto possa essere urgente o attraente, ma non è mia intenzione produrre un'analisi discorsiva dell'agenda dominante tecno-libertaria di Internet, con il suo anti-statalismo e la sua attenzione alle metafore biologiche. Il mio obiettivo è limitato. Intendo mappare i diversi spazi che costituiscono la cultura critica di Internet.

Quella che presento qui è una "comunicologia" (Vilém Flusser) o grammatica (Marshall McLuhan) della Rete. Considererò le dinamiche interne ai gruppi che non hanno seguito il mainstream commerciale e hanno cercato di sviluppare una cultura critica di Internet.

Nei case studies che offro, descrivo le modalità con cui questi network sono stati fondati e i modi in cui sono cresciuti, hanno definito i loro argomenti e scoperto i loro limiti. Una delle domande fondamentali che pongo è: quali sono le forze che producono cambiamento nelle culture delle mailing list su Internet? Come vengono affrontate le questioni della proprietà e della democrazia interna al di là delle buone intenzioni sulla non censura e l'open publishing?

Indagherò sul modo in cui le relazioni sociali vengono incorporate nel software. Gli inizi sono arbitrari in questi casi. Per alcuni attori di questo teatro didattico l'inizio potrebbe essere il 1993; per altri, il 1995.

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Pagina 32

[...] Il soggetto della cultura critica di Internet è l'utente in quanto produttore. L'obiettivo non è la scelta del consumatore. Sebbene le questioni legate all'accesso siano rilevanti, le richieste vanno oltre la disseminazione paritetica della tecnologia nella società. Sono l'architettura delle reti e il codice che le governa che la società dovrebbe mettere in discussione, e cambiare. Questa è la ragion per cui una comprensione critica degli standard e degli assetti proprietari ha un ruolo così essenziale in questo contesto. Lo scopo della cultura critica di Internet è di plasmare e anticipare (almeno quanto rifletterci sopra) i prodotti attuali dell'IT e le loro relazioni sociali immanenti.

La tecnologia non è solo uno strumento neutrale, e questo naturalmente è vero anche per Internet. La sua struttura è il risultato di configurazioni storiche particolari. Ma, soprattutto, la cultura nel suo insieme ha un ruolo determinante nella formazione dei nuovi media, anche se la maggior parte dei tecnofili lo negano. La cultura critica di Internet non riguarda quindi solo gli artisti che lavorano con la tecnologia. Non esiste più il sogno avanguardistico dell'artista come primo utente che guiderà la società verso un futuro estetico. Invece, esiste una discussione continua sui parametri della cultura tecnologica. Quali sono le proprietà del "nuovo" e quali sono i suoi agenti? L'aspetto critico è legato all'urgenza di riflettere sui discorsi dominanti posizionando allo stesso tempo il proprio contributo. La cultura critica di Internet è animata dal desiderio di occuparsi di questioni che influenzeranno in ultima istanza centinaia di milioni di utenti, ed è perfettamente consapevole della posizione marginale e limitata delle culture no profit.

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Secondo Merten, il software libero è un'anomalia, una contraddizione interna al capitalismo. Non è una merce, opera al di fuori del regno dell'accumulazione e quindi, per sua natura, non rientra nel modo di produzione capitalistico. Seguendo Merten, il software libero elimina il valore di scambio astratto e feticistico, per istituire un'economia fondata sul valore (d'uso) pratico dei beni e dei servizi. Il capitalismo non è in grado di sviluppare un metodo di produzione basato sull'auto-espressione. Altri hanno criticato queste affermazioni osservando che il capitalismo è capace di appropriarsi praticamente di tutto. Invece di presentare il software libero come una contraddizione in termini, i critici insistono che la sua produzione è presa come una provocazione creativa che, alla fine, verrà neutralizzata e integrata nella prossima ondata modernizzante. A partire da questa posizione, Christian Fuchs ha accusato Oekonux di essere un circolo tecnologico elitario che non riconosce il suo ruolo "oggettivo" nel processo di riforma del capitalismo. Gli hacker non operano al di fuori dell'economia capitalista. Il loro "tempo libero" da dedicare al free software è reso possibile da altre entità. Ma questo non sposta il dibattito molto più in là. Le teorie sull'appropriazione cinica da parte del capitale sono valide, ma noiose perché hanno sempre ragione. Chiudono anziché aprire le discussioni sulla strategia e sviluppano di rado nuove pratiche. Merten ha risposto a Fuchs che il "nuovo" non si può sviluppare nel vuoto ed è impossibile separarlo dalle "vecchie" strutture. La programmazione è fertile, non futile. Secondo me, è compito della tecno-intelligenza critica scovare "i germi del nuovo" entro i sistemi complessi esistenti e smetterla di lamentarsi del potere illimitato della bestia capitalista che alla fine recupererà tutto il dissenso. La generazione post-1989 cerca di lasciarsi sinceramente il XX secolo alle spalle e aggirare la "stanca" alternativa tra riforme e rivoluzione.

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L'auto-sviluppo, o piuttosto l'auto-schiudersi, self-unfolding, (per usare la brutta traduzione diretta del termine tedesco Selbstentfaltung), è un altro concetto (profondamente protestante). Secondo il vocabolario di Oekonux, "la Selbstentfaltung individuale e collettivo è la fonte principale della produttività sociale, che può quindi potenzialmente abolire la forma di economia corrente basata sul lavoro retribuito, i soldi e lo scambio". La formula di Oekonux è: software libero = auto-schiudersi + Internet. Il disaccordo sulla corretta traduzione in inglese del termine rimane. Il fiorire, lo schiudersi della persona è qualcosa di più dell'autorealizzazione, un concetto che si concentra troppo sui singoli individui e non ha niente a che fare con l'altruismo: "L'auto-schiudersi concepisce gli esseri umani come persone formate da relazioni. L'auto-schiudersi della singola persona è una precondizione dello sviluppo di tutti, e viceversa". Alcuni preferiscono l'espressione "schiudersi dell'uomo", o semplicemente "schiudersi".

Non faccio qualcosa – così Merten spiega perché preferisce il prefisso "auto" – esplicitamente per gli altri (altruisticamente), ma per me. In ogni caso, questo "farlo per me" non pesa sugli altri. Il concetto dell' auto-schiudersi parte dal "sé", da me, non da qualcosa che è fuori di me, come una conoscenza più alta, la spiritualità o cose simili.

Il concetto dell'auto-schiudersi viene discusso all'interno di Oekonux nel tentativo di superare l'imperativo del lavoro. L'auto-schiudersi è l'opposto del lavoro alienato in un'economia basata sul comando. Come in altri dibattiti tedeschi sull'economia e sul denaro, qui alcuni iscritti a Oekonux non cercano alternative all'interno della categoria del lavoro ma respingono del tutto il concetto. Per lo meno, alcuni lo fanno; altri mettono in discussione l'utilità di negazioni così radicali e cercano soluzioni più pragmatiche. Sulla lista Oekonux in inglese, Graham Seaman ha ripreso il concetto di Ivan Illich di "lavoro vernacolare": attività non pagate che forniscono e migliorano il sostentamento, ma refrattarie a ogni analisi che utilizza concetti sviluppati nell'economia formale. La "natura" della produzione di software libero è importante, perché non viene fatta né per egoismo né per altruismo nel senso classico di lavoro caritatevole. La Selbstentfaltung ha due effetti: creo qualcosa che può essere utile a molti, e formo me stesso. Entrambe le cose sono nell'interesse di tutti. L'importanza della prima può variare: il grado di utilità per gli altri può approssimarsi a zero. Ma il secondo elemento è sempre presente. I concetti di Foucault più sofisticati come "tecniche dell'io", "sovranità", "governamentalità" e la "riflessività" di Christopher Lasch non vengono discussi in questo contesto, ma potrebbero essere di un qualche interesse.

Oekonux non è né un'avanguardia, nonostante il suo interesse esplicito per le utopie, né va visto come il dipartimento tecnologico di un partito verde o comunista. La mia opinione è che sia un laboratorio critico-ermeneutico (leggermente protestante, onesto a sufficienza) imperniato sullo sviluppo e la valutazione di idee. Il suo marxismo fuori tempo può essere criticato facilmente ma può anche essere accettato come la condizione culturale di questa particolare tribù online. Secondo il canone di Oekonux, scopo dell'impegno a costruire una società GPL non è tanto rovesciare il capitalismo, quanto liberarsi dei suoi principi sottostanti. I soldi vengono visti di solito come la forma tangibile dell'apparizione del valore. Poiché il capitalismo viene identificato con l'economia monetaria in quanto tale, non si può sviluppare un'efficace "contro-economia" che diffonda il software libero sulla base degli stessi principi economici. Questa idea è ampiamente condivisa ed è diventata la pietra angolare della filosofia di Oekonux perché i suoi membri lavorano gratuitamente (ma lavorano tutti i giorni e vengono pagati).

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La ricerca dei fondamenti filosofici del software libero può diventare un compito scoraggiante. Si potrebbero sintetizzare così le tre posizioni. Richard Stallman: voglio una società libera dove tutti possono usare il software liberamente. Eric Raymond: voglio il software libero perché è un software migliore. Linus Torvalds: voglio una birra gratis. Si dice che gli eschimesi abbiano venti termini diversi per la neve e questa è la direzione in cui dovremmo andare per la parola "libertà". Molti hanno notato le deficienze della lingua inglese con la sua incapacità di distinguere "free", in quanto gratuito e "free" in quanto libero. E giunto il momento per la comunità del free software di appropriarsi e sperimentare le idee post-kantiane di libertà, che dimostrano che non può più essere limitata da imperativi razionali e categorie universali cattoliche. Il legame della libertà a categorie essenzialiste va quantomeno messo in discussione. Dato il retroterra marxista di Oekonux, non sorprenderà se termini come "libero" e "libertà", definiti da diversi pensatori come John Stewart Mill, Max Stirner, Hannah Arendt, Friedrich Hayek e Isaiah Berlin, non siano stati opportunamente esplorati. Non è realistico e forse neanche politicamente corretto chiedere alla Germania l'elaborazione di una Kritik der Freiheit (critica della libertà). Ma la storia non può essere una scusa. Invece di decostruire terminologie iper- inflazionate, sarebbe meglio inventarne di nuove. Il referente di "free" ha fino a oggi causato solo confusione. Analogamente, sarebbe necessario esplorare il termine "open", per come viene usato in open source e open cultures.

È ugualmente significativo che in quasi tutti i dibattiti il carattere legale della GPL non sia oggetto di discussione. La società GPL verrà potenzialmente gestita da "osservatori" professionali che vigileranno su un possibile uso sbagliato delle licenze e attiveranno potenti avvocati per portare in tribunale chi continuerà a violare la GPL. Come osserva Manuel De Landa, la GPL non è stata ancora testata in tribunale.

È un pezzo di una macchina legale che ha dimostrato il suo potere nella pratica ma che un giorno potrebbe essere sfidato e dimostrare di non aver ridotto i costi d'applicazione delle leggi, dopotutto. Credo che un compito importante per gli esperti legali di oggi sia di immaginare degli scenari in cui questa sfida potrebbe avvenire e progettare nuove licenze che potrebbero evitare risultati negativi.

Non basta dire che una società utopica non avrà più bisogno di licenze perché il copyright sarà stato abolito. Forse il mancato chiarimento della questione legale nel dibattito non era nelle intenzioni dei pionieri, ma presenta un pericolo considerevole per la comunità di sviluppatori di codice. Gli avvocati potrebbero dirottare il movimento e fare un sacco di soldi in tribunale. Questo è il rischio che corre una società basata sulle licenze. O la società GPL presume forse che anche la natura umana cambierà e l'arbitrato potrà avvenire fuori dei tribunali? Uno studio attento dell'"economia libidinale" dei produttori di codice avrebbe un valore incalcolabile, poiché la cultura tecnologica rimane la forza trainante dietro al software libero. I problemi legali potrebbero facilmente disturbare o anche danneggiare fatalmente la preziosa ecologia dei tecno-desideri tribali. Questo approccio potrebbe iniziare con l'invito a condurre una "vita appassionata", rivoltoci da Pekka Himanen in L'etica hacker e lo spirito dell'età dell'informazione. Himanen sintetizza bene la filosofia di Oekonux quando scrive:

Dal punto di vista di una vita piena di senso, la dualità lavoro/piacere deve essere abbandonata. Finché stiamo vivendo il nostro lavoro o il nostro piacere, non stiamo davvero vivendo. Il significato non si può trovare nel lavoro o nel piacere ma deve nascere dalla natura dell'attività stessa. Dalla passione. Dai valori sociali. Dalla creatività.

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