Autore Leo Löwenthal
Titolo I roghi dei libri
EdizioneTreccani, Roma, 2019, Voci , pag. 54, cop.fle., dim. 12x17,4x0,5 cm , Isbn 978-88-12-00778-3
OriginaleCalibans Erbe
EdizioneSuhrkamp, Frankfurt am Main, 1984
PrefazioneGiuseppe Montesano
TraduttoreNicola Zippel
LettoreGiangiacomo Pisa, 2019
Classe libri , scrittura-lettura , storia criminale , storia: Europa , paesi: Germania









 

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Indice


  7  DA BRUCIARE?
     di Giuseppe Montesano


     I ROGHI DEI LIBRI

 29  ELIMINAZIONE DELLA STORIA

 37  L'AZIONE Dl PULIZIA IGIENICA

 41  LIQUIDAZIONE DEL SOGGETTO


 51  BIBLIOGRAFIA


 

 

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DA BRUCIARE?



«Tutti gli imbecilli del mio paese mi chiamavano eretico, e a un certo punto mi sono trasformato in eretico per meritarmi il nome con il quale mi rendevano onore»: così scriveva nella Cina imperiale del XVI secolo Li zhi, un filosofo e uno storico che aveva confessato di aver imbrogliato agli esami per diventare letterato perché convinto che nemmeno il suo maestro capisse ciò che insegnava, un filosofo e uno storico che solo tardi si era dedicato a studiare sul serio la filosofia che lui, al contrario dei confuciani, non riteneva una ripetizione dei classici ma un autentico "aprire gli occhi", un filosofo e uno storico che aveva difeso la legittimità del desiderio sessuale per la vita degli uomini in un tempo di ipocrisia familista, e un filosofo e uno storico che in vecchiaia era stato costretto a entrare in un convento buddhista per cercare di sottrarsi alla persecuzione. Avversato con asprezza dagli intellettuali confuciani che lui riteneva asserviti al potere governativo, Li zhi discuteva con gli intellettuali all'opposizione ma senza far parte del loro gruppo, convinto che si trattasse di una opposizione che era lo specchio rovesciato e ipocrita di quel potere a cui credeva di opporsi. Sosteneva che il pensiero di Confucio, su cui si fondava il dominio piramidale della società cinese nel XVI secolo, fosse solo un guscio vuoto che tutti lodavano per convenienza, e a sessantatré anni pubblicò un libro intitolato Fen shu, vale a dire Da bruciare, a cui fece seguire un libro che intitolò Cang shu, ovvero Da nascondere: ma era troppo tardi per nascondersi. Nel 1600 una massa di beoti aizzati dai letterati di governo bruciò la sua stanzetta nel monastero, Li zhi fuggì vagando dagli amici di casa in casa, finché non fu arrestato e rinchiuso in carcere a Pechino. Là si suicidò nel 1602, lo stesso anno in cui fu ordinato dai burocrati del governo del celeste Impero il rogo dei suoi libri. La profezia racchiusa nel titolo Da bruciare si era realizzata.


L'incendio dei libri di Li zhi potrebbe tranquillamente entrare nel racconto che Leo Löwenthal fa nel suo I roghi dei libri, ma la vicenda di Li zhi aggiunge qualcosa al discorso di Löwenthal e lo sposta forse più in avanti, fino al nostro presente. Nel caso di Li zhi non si trattò di un rogo che colpiva i libri in massa in quanto strumenti di cultura quasi per definizione "degenerata", come nel caso dell'Inquisizione cattolica o degli incendi nazisti, e non fu nemmeno, come per i roghi di libri scritti da ebrei, un attacco rivolto a un intero popolo e alla sua cultura, ma in un paese che aveva il culto del libro fu una distruzione rivolta a un ben preciso stile di pensiero: ciò che si voleva mettere al bando, prima con il carcere e poi con il rogo, era il pensiero critico con il quale Li zhi pretendeva di mettere in discussione il confucianesimo di regime, uno pseudo-pensiero che il potere usava come instrumentum regni affidandone l'insegnamento ai suoi sottoposti intellettuali, una cultura che veniva somministrata in maniera capillare attraverso la scuola e la burocrazia facendola diventare un pensiero unico.

Allo stesso modo, nello spettacolo già mediatico del 1933 e dopo, veniva umiliata la cultura in quanto pretesa di giudicare i "fatti", quei "fatti" che già il maestrino italiano di Hitler aveva eletto a sua guida contro le "parole" dei colti, e nel rogo dei libri il regime hitleriano metteva in scena la purificazione dalla malattia del pensiero critico: fornendo alle masse festose la cullante giustificazione del proprio stato di ignoranza e di passiva accettazione dello stato delle cose come solo "fatto" degno di essere studiato, pensato, diffuso.

[...]

Oggi il rogo della riflessione critica sui "fatti" non è più letterale, ma si è trasformato e dematerializzato: siamo entrati nell'era del rogo della lettura, un tempo in cui il rogo fisico dei libri non serve più ai poteri dominanti. Solo dei dittatori ignoranti e ingenui bruciano ancora i libri, e del resto già Hermann Göring sapeva che quello dei roghi era solo uno show che serviva a galvanizzare il pubblico, che interagiva con lo spettacolo come nell'arena romana o in uno studio televisivo o nell'orgia del punto di vista che domina la rete: il vero lavoro di distruzione bisognava farlo dentro la cultura stessa, trasformando il senso delle parole e poi adoperando la cultura new-new come forma pervasiva del dominio di un pensiero unico.

[...]

E, davvero, a cosa mai potrebbe servire il rogo letterale dei libri nell'era in cui tramonta l'atto stesso del leggere? Per "atto del leggere" si intende qui ciò che le neuroscienze chiamano la "lettura profonda", un genere di lettura che fa scontrare il sistema neuronale con difficoltà che lo fanno evolvere, e non la lettura superficiale che attiva soltanto una parte trascurabile del sistema neuronale: i neuroscienziati dicono che la lettura profonda è al tramonto.

[...]

Oggi i politici e i loro scherani intellettuali dichiarano l'inefficienza del sistema scolastico, sostenendo che bisogna migliorare la funzione dell'apprendimento scolastico a tutti i livelli, ma allo stesso tempo dichiarano che la cultura profonda, ovvero critica, non serve a niente per avere o fare un lavoro: e non si tratta per costoro dell'importanza di apprendere un lavoro in quanto mestiere, che è una cosa educativa di per sé se avviene secondo giustizia, ma di far diventare l'individuo la cosa stessa del proprio mestiere, trasformando gli analfabeti relativi in analfabeti funzionali. La lettura libera non è prevista dalle recenti riforme della scuola buona dei test e del fasullo avviamento al lavoro: si vada a leggere e si scoprirà, pochissimi rabbrividendo e moltissimi festosi per l'avvento della modernizzazione definitiva, che la lettura profonda non fa parte del percorso dello studente avviato all'analfabetismo funzionale. Il rogo dei libri, che è ormai il rogo della lettura critica, è oggi mediatizzato: passa attraverso una immoral suasion, un discorso nascosto che tende a degradare l'adoperabilità della lettura-cultura per la vita, spingendo affinché la mentalità collettiva o la cosiddetta opinione pubblica non si formi sui libri che richiedono la lettura profonda, ma si formi nel pulviscolo della nube mediatica integrata dai social. La lettura profonda è un medium concettuale, prevede una serie di operazioni mentali complesse, che funzionano per gradini e aggiunte e modifiche, mentre la lettura di superficie è primitiva e chiede accettazione o stupore o sorpresa, cioè assenso emotivo e non mediazione del pensiero, mediazione che passa solo attraverso un linguaggio ricco di memoria. E infatti la comunicazione new-new avviene attualmente in gran parte attraverso immagini-parole emotivizzate, che annullano la stratificazione connettiva di significati del linguaggio fatto di parole-concetti, in una comunicazione che comunica nient'altro che se stessa e la sua emotività.

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I ROGHI DEI LIBRI
(1984)



«Là dove si danno alle fiamme i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini.» La citazione da Heinrich Heine, che può servire da motto per questo colloquio, ha un predecessore in William Shakespeare. Nella seconda scena del terzo atto della Tempesta, quando Calibano, lo schiavo ottuso e irrazionale, spinge il cameriere ubriaco Trinculo e il buffone squattrinato Stefano a uccidere l'umanista Prospero, incalzando per ben tre volte i suoi congiurati a bruciare, prima dell'omicidio, la biblioteca di Prospero, che egli ha salvato nell'esilio.
        «Nel pomeriggio come ti dicevo,
        ama dormire: allora lo puoi uccidere:
        - ma, prima, cerca di levargli i libri -
        tu puoi schiacciargli il capo con un ceppo,
        oppure aprirgli il ventre con un palo,
        o tagliargli la gola col coltello.
        Prima, ricorda di levargli i libri:
        senza libri, è uno sciocco come me,
        e non ha un solo spirito al comando;
        [...] Ma brucia i suoi libri.»

Un terzo testimone, che possiamo coinvolgere nella questione, è Johann Wolfgang Goethe. Nel quarto libro della prima parte di Poesia e verità racconta di quando, da giovane, era stato costretto a essere «testimone di diverse esecuzioni» e così dice: «Merita ricordare che fui presente anche al rogo di un libro. [...] Vedere applicare una punizione a un oggetto inanimato aveva veramente in sé qualcosa di terribile». Al pari di Heine e Shakespeare, Goethe associa la distruzione di un libro a quella di un uomo. Si tratta spesso di qualcosa di più di una semplice metafora. Nelle guerre di religione fra cattolici e protestanti in Francia, nel 1559, viene bruciato un libraio: accanto a lui c'è una forca a cui sono appese la Bibbia e il Nuovo Testamento, che a loro volta verranno bruciate. Durante l' ancien régime sono frequenti i casi in cui il parlamento ordina che un libro messo all'indice venga bruciato pubblicamente da un boia, ovviamente in aggiunta all'esecuzione dell'autore stesso. Un'immagine particolarmente orrenda della simultanea distruzione di un libro e un uomo si trova in una procedura piuttosto diffusa al tempo delle guerre di religione, in cui le pagine di una Bibbia proibita sono spinte a forza dentro la bocca e le piaghe dei protestanti uccisi.

Il calendario di Calibano ha molte date. Il primo grande rogo di libri nel mondo occidentale risale probabilmente alla distruzione delle biblioteche ebraiche durante la rivolta dei Maccabei nel 168. I primi imperatori romani fanno bruciare gli scritti degli esponenti repubblicani insieme con tutti i libri degli oracoli e delle profezie, mentre Diocleziano e Costantino gareggiano nel rogo prima della letteratura cristiana e poi di quella pagana. L'orgia di roghi degli scritti ebraici durante il Medioevo non ha eguali. Il 13 maggio 1248, a Parigi, vengono bruciate venti carrettate di libri ebraici. Qualcosa deve essersi salvato, infatti, nel 1309, vengono bruciati altri tre carri pieni di libri. Il rituale del carro ricorda i trasporti in autocarro dei libri che nel 1933 furono raccolti e bruciati dagli studenti nazisti. Pensiamo di nuovo agli autodafé di libri sia protestanti sia cattolici del XVI e XVII secolo e al rogo delle opere più importanti della letteratura illuminista di Voltaire, Denis Diderot, Jean-Jacques Rousseau, Claude-Adrien Helvétius, Paul Henri Dietrich d'Holbach nel XVIII secolo. Sarebbe dovuta bruciare anche l' Enciclopedia ma, dal momento che era costata molti soldi, la Chiesa e il governo preferirono richiuderla negli armadi dei veleni. Neanche la Rivoluzione francese è libera da queste escursioni nella "pornografia del potere", come Peter Brown, uno dei miei colleghi a Berkeley; ha chiamato le distruzioni dei libri; il commissario dell'esercito del Basso Reno dispone, nel 1794, che tutti i libri ebraici vengano distrutti in un autodafé. Mi accontento di queste poche indicazioni.

Più a lungo mi sono occupato di questo fenomeno, maggiori sono stati gli esempi che ho incontrato. Essi non si limitano solamente al mondo europeo dei tempi antichi. Così, per esempio, il fondatore della dinastia cinese, Shi Huang Ti, nel III secolo a.C., dispone il rogo degli scritti confuciani e di altri testi storici e filosofici. Ogni volta che le cosiddette nazioni cristiane sono entrate in conflitto con le altre civiltà, la distruzione dei libri fu all'ordine del giorno. Nel XVI secolo, il primo vescovo del Messico brucia i libri degli aztechi, e una generazione più tardi un delegato di questo vescovo condanna al rogo i testi dei maya. Il cardinale Ximénes, l'antagonista del moro Almansor nella tragedia di Heine, da cui è tratta la citazione «là dove si danno alle fiamme i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini», intorno al 1500, dopo la sconfitta degli arabi, ordina il rogo di più di un milione di libri in una pubblica piazza di Vivarramba, nel processo di eliminazione della civiltà moresca. L'Inquisizione ha portato avanti periodicamente azioni simili.

A questo punto ci si dovrebbe aspettare che il rogo di libri, ossia il terrore organizzato e tollerato contro la vita dello spirito, costituisca un importante oggetto di ricerca della scienza politica e storica. Scopriamo, invece, con sorpresa, che le cose non stanno così e che mancano indagini storicamente diffuse riguardo a tale questione. Che sia all'opera un meccanismo psicologico di difesa?

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Pagina 31

La procedura millenaria del rogo è di particolare rilevanza. Concordo pienamente con George L. Mosse che, nel suo importante libro sulla nazionalizzazione delle masse, mette in relazione il rituale del rogo con la lotta contro i demoni. Non c'è alcun altro mezzo come il rogo per rendere totale una distruzione. I terremoti, come eventi naturali, o la distruzione di città, come fenomeno storico, lasciano dietro di sé delle rovine e dalle rovine si può ricostruire un passato. Dalla cenere non rinasce niente, se non la fenice del mito. Questo lo sapevano bene le élite al potere in tutti i tempi.

Ovviamente ci sono grandi differenze tra i meccanismi sociali, per esempio di un impero cinese o romano, che portano alla distruzione dei libri: da una parte un regime la cui autorità viene rafforzata e la cui classe elevata non ha bisogno né tollera azioni popolari, e dall'altra parte il nazismo al tempo della presa del potere. Il popolo come attore manipolato calca le scene della storia. Esso deve reprimere a tal punto la consapevolezza della propria esistenza soggiogata nella società da non giungere nemmeno ad avere coscienza della differenza tra sé e il potere. Il rituale distruttivo del nazismo esplicita chiaramente la perversa nuova creazione storica del Reich millenario: l'eliminazione del passato è il motivo portante del discorso di Joseph Goebbels durante l'autodafé di Berlino nel maggio 1933: «Per questo è bene, in quest'ora notturna, affidare alle fiamme lo spirito degenerato del passato. Questa è un'azione radicale, importante e simbolica [...], che deve essere documentata davanti a tutto il mondo: qui viene demolita la base spirituale della Repubblica di novembre [la Repubblica di Weimar], ma da queste macerie si alzerà vittoriosamente la fenice di un nuovo spirito». Come capite, si tratta di cenere di un passato totalmente cancellato, da cui deve nascere la fenice: creatio ex nihilo. Per ironia della sorte, è una cenere comunista ed ebraica, quella da cui deve rinascere la fenice nazista. Che invito per una interpretazione psicanalitica! Il presente diventa il passato. La storia inizia adesso, in questo momento, come Hanns Johst ha già formulato nel 1932: «Lo Stato e la civiltà nazionalsocialista sono identici». Non esiste una civiltà prima del nazionalsocialismo, così come però non ce n'è una dopo.

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Pagina 44

Nell'ultimo anno del regime nazista ho esposto in un articolo alcune considerazioni sul destino dell'individuo nell'epoca del terrore. Il moderno sistema del terrore mi sembrava dimostrare la riuscita atomizzazione dell'individuo. La de-umanizzazione messa in atto dal terrore consiste innanzitutto nel totale assorbimento della popolazione nella collettività, che impedisce qualsiasi comunicazione tra individui - malgrado o piuttosto come conseguenza proprio dell'enorme apparato comunicativo, a cui i singoli sono ora esposti. Oggi aggiungerei che, in questo processo psicologico di massa, il rogo dei libri deve aver rappresentato un importante meccanismo. Sotto le condizioni del terrore il singolo non è mai solo ed è sempre solo. Si pietrifica e diventa insensibile non solo in rapporto agli altri, ma anche verso se stesso. La paura gli inibisce di avere reazioni spontanee sia emotive sia intellettuali. Lo stesso atto del pensare diventa una sciocchezza: lo mette infatti in pericolo di vita. Sarebbe stupido non essere stupidi e, come conseguenza, un instupidimento generale colpisce la popolazione terrorizzata. Le persone cadono in uno stato di paralisi e stordimento, paragonabile a una sorta di coma morale. Di certo la trasformazione di un uomo da individuo, la cui essenza consiste nella condivisione di esperienze e ricordi, a un mero fascio di reazioni frammentate ha avuto conseguenze più profonde tra le vittime inermi prigioniere del terrore rispetto a chi viveva in popoli "liberi". La differenza, tuttavia, è in ultima istanza solo di grado. La vita di ognuno diventa una catena di shock attesi, evitati o subiti, e queste esperienze frammentate portano alla frammentazione dell'individuo. In una società terroristica, dove tutto è pianificato nel dettaglio, il progetto per gli individui consiste in questo: per loro non c'è né può esserci un progetto. L'uomo diventa un semplice oggetto, un fascio di riflessi condizionati, con cui impara a reagire a una serie illimitata di shock preparati e calcolati.

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