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| << | < | > | >> |Pagina 71. A cena con l'agente segreto— Chi stai guardando, non è entrato nessuno... — disse Morpurgo. — Sto guardando il mare — rispose Fiora Listri, la direttrice dell'Istituto italiano di Cultura. — Ah, il mare. Vedrai che ti stancherai presto anche di questo. L'hotel Adriatiku, isolato dalla città di Durazzo, era frequentato da stranieri e dirigenti di partito. Un bianco parallelepipedo poggiato sulla sabbia nel buio della notte, maestoso. Quella sera pochissimi tavoli erano occupati e le voci rimbombavano negli immensi spazi bianchi, scalinate, colonne, soffitti fuori misura. In questo luogo vasto di per sé, ma opprimente per eccesso, c'era tuttavia un fuori: il mare, con il suo proprio rumore incessante e la spuma bianca delle onde aveva sopra di sé le stelle a risplendere illimitate. Nessun dittatore poteva mettere la sordina alla potenza del mare. Morpurgo teneva le labbra tirate sui denti come per una rabbia contenuta a fatica, una rivolta mai esplosa contro una qualche potenza. Che non era il mare. Pensava che solo un imbecille potesse non rendersi conto di quanto quella potenza malefica fosse invincibile. Dunque di quanto ogni lotta fosse inutile. Lui non era un imbecille. Si ricordò che era lì con lei per cercare di portarsela a letto. La prima sera che uscivano soli. Forse era il caso di condurre la conversazione in un modo meno deprimente. Ma ormai lei era partita e non lo stava a sentire. — Stancarmi del mare? Laggiù c'è Itaca, Ulisse che ritorna a casa. Lui teneva gli occhi sul piatto, annoiato. — Non ti piace l'Odissea? Lo sguardo di Morpurgo brillò d'odio puro. — Dobbiamo parlare per forza di libri? Non sono un intellettuale... a casa io ci ritornerò per andare in pensione. Siamo qui per l'assegno di sede, come tutti. Che c'entra l'avventura? Ulisse era un privilegiato. — Stirò le grosse labbra sui denti, seducente come un pescecane. — Capisco... ma pure tu sarai stato piccolo, avrai letto Salgari... — Mio padre era un operaio, non c'erano libri a casa mia. Il mare dal Piemonte non si vede e neppure si intuisce... — Come nella canzone di Paolo Conte... — E chi è? Fiora si pentì di aver troppo insistito con i punti interrogativi. Sapeva che si trovavano lì perché era lui a dover fare domande a lei. Aveva deciso in anticipo di stare al gioco. Finora Morpurgo l'aveva ignorata. Evidentemente l'aveva classificata come elemento non a rischio. Un poco s'era dispiaciuta di non essere entrata nel suo elenco di sospetti. La patente di innocuità confinava con quella di imbecillità, a Tirana. Eppure, nessuno si fidava di lei, né l'ambasciatore che non le rivelava mai alcun particolare del contesto politico, né gli albanesi che la consideravano una spia. Possibile che solo Morpurgo si fidasse? Le domande che le aveva fatto appena arrivata erano state precise. Domande sulle sue opinioni politiche, sul lavoro di suo fratello. Poi, più nulla. Sapeva sempre tutto. Per questo tutti lo temevano. Forse adesso era saltato fuori dagli archivi qualcosa sulla vecchia esperienza di lei nel movimento studentesco e poi nel sindacato scrittori? Potenza degli archivi, lenti ma sicuri. Giudicanti. Era rassicurante pensare che ci fosse ancora qualcuno a dividere il mondo in nero e bianco, senza dubbi e sfumature. Nel corpo diplomatico a Tirana ognuno sembrava avere chiaro da che parte stare e soprattutto che ci fossero due parti e che bisognasse scegliere. E lei, da che parte stava? Pensò al suo incubo ricorrente, al quadro dello Spagnoletto: Apollo che spella vivo Marsia, per invidia di quel pastore di talento che ha osato superare in gara lui, il dio della musica. Avvolto nel manto rosso, che attraversa prepotente tutto il quadro in diagonale, Apollo è indifferente al sangue che sgorga dal corpo del pastore scorticato. L'urlo di Marsia chiama chi lo guarda a ribellarsi, a rifiutare la protezione del mantello rosso che genera sangue innocente. Morpurgo l'avrebbe presa in giro se lei gli avesse raccontato l'incubo. Sorrise a se stessa e l'uomo, equivocando, riprese coraggio. Ci voleva una scossa, la menata sulla cultura non l'aveva fatta arrabbiare. Non si stava creando tensione e senza tensione ci si allontana sempre più dal letto. Aveva fretta, una maledettissima fretta. Che risultasse a lui, non c'era nessuna emergenza a Tirana, eppure improvvisamente da Roma gli avevano fatto pressioni per questa donna. Trattamento speciale: ha un fratello deputato del Partito Comunista Italiano. Lei risulta iscritta (ma tutte queste cose lui le sapeva fin dall'inizio!). Verificare i suoi rapporti con gli oppositori del regime, con gli esponenti del regime, chiarire perché è venuta in Albania, quali sono i suoi punti deboli (abitudini sessuali, vizi, ambizioni, la solita routine). Fare rapporto entro quindici giorni. Forse gli Esteri avevano tardato a passare il nominativo al Servizio, che aveva avuto poco tempo per valutare il soggetto. Superficialità dei diplomatici! Per fortuna che a capo del Servizio c'era ormai l'ammiraglio, lui aveva dato una bella spolverata all'interno e migliorato fuori i rapporti con Esteri, Difesa e Presidenza del Consiglio, ovviamente a livello di capi. Ma come poteva porre rimedio alle lentezze burocratiche di quelle strutture? All'Ambasciata francese il soggetto sarebbe pervenuto con la sua brava scheda già pronta. Che rabbia, essere costretto a invidiare gli odiati cugini, quei presuntuosi, fottuti galli. Pazienza. Avrebbe fatto un buon lavoro, come sempre. Questo contava, e niente altro. Che aveva detto quella puttanella istruita: "Non sei mai stato piccolo?": Forse doveva ricominciare da lì, farle credere di essere stato ferito in qualche modo. Fiora non lo guardava, guardava il mare agitato nel buio della notte. – Pensi ancora a Salgari? A me non m'è mai piaciuto. Forse perché l'ho letto quando ormai ero imbarcato... dopo un paio di tempeste c'è meno entusiasmo per i racconti di mare... – Ah, sei stato in Marina? – gli occhi di Fiora brillavano di curiosità. – Ma no, tiravo le reti sul peschereccio di mio padre, in Liguria. – Non avevi detto che era un operaio piemontese? – ironizzò Fiora. – Come no, l'ho detto ed è vero, io dico sempre la verità. – La verità gli conveniva, nel poco di sé che svelava. Per non confondersi, come i bugiardi abituali. – A differenza di voi... – Di voi chi? – Lascia perdere... e poi, sei troppo giovane per conoscere le lotte degli operai a Torino negli anni Cinquanta... – ghignò lui in modo poco seducente – ...tornato dalla guerra mio padre era diventato socialista e in FIAT non gradivano. Fu licenziato per uno sciopero riuscito troppo bene e ritornò al mestiere di famiglia. – Ma che c'entrava il mare con il Piemonte? – Genova per noi che stiamo in fondo alla campagna... Ah, lo conosceva eccome, Paolo Conte! Oltre che bugiardo era anche reticente. O la sfotteva? – Nella famiglia di mia madre erano pescatori da otto generazioni. Mica come questi cannibali che pecorai erano e pecorai sono rimasti. Il regime li deporta nei campi di concentramento ma è tutto inutile, questi restano pecorai. Continuano a pensare che il mare sia un nemico, che dal mare viene l'invasore. Guarda la statua dell'uomo con il fucile, qui a Durazzo. Il fucile è rivolto verso il mare. Non cambieranno mai, non vogliono essere aiutati a cambiare. Perdiamo il nostro tempo. Fiora stupì per la leggerezza con cui Morpurgo alludeva al proprio compito segreto. – Anche i tuoi borsisti... imparano cose che non possono capire. E se qualcuno le capisce non le può usare. Lo sai che in Italia i tuoi studenti sono controllati, debbono fare rapporto in ambasciata ogni settimana? Anche la tua domestica, quella piccola spia, tu le regali creme per togliersi i peli, e poi, quando sarai andata via? Gli fate solo del male, a tutti, ne farete degli spostati. Chi comanda comanderà sempre, inutile opporsi. Sorrideva triste e scopriva i denti grossi e bianchi. Stava dimenticando che gli disegnavano un muso cattivo, un muso da cane ringhioso. – Ti viene mai in mente che comunque non sia indifferente se cambia chi comanda, soprattutto se rappresenta classi sociali diverse da quelle dominanti fino a quel momento? – lo provocò Fiora. Lui la guardò dritto negli occhi e sparò: – Forse avevano ragione le Brigate Rosse, che ne pensi? Ci fu una pausa di silenzio, minacciosa. – Insopportabili fondamentalisti – sbuffò Fiora, improvvisamente grave. – Bastava studiare lo stile del loro linguaggio per capire che razza di presuntuosi, ossessivi prepotenti fossero. Mi urta che ora, quando si pentono, grasso che cola se chiedono scusa alle vittime. Chiedessero scusa anche a noi, la sinistra che hanno inguaiato per i loro grotteschi deliri di onnipotenza in solitaria! – Si irritò con se stessa per l'eccesso di serietà e cambiò stile. – Razzaccia di falliti! Se non altro perché hanno perso, dopo aver fatto tanto gli sbruffoni – concluse ironicamente. – E se avessero vinto? – l'agente segreto sembrava aver ripreso interesse dalla frase di lei. – Quelli come me sarebbero già in prigione, ovvio. – Niente, vietato scherzare, era più serioso dei brigatisti. Però anche lei gli stava rispondendo troppo seriamente. Morpurgo temeva che quelle domande da manuale gli facessero fare la figura dell'imbecille. Meglio, così lei lo avrebbe sottovalutato. "Niente come la presunzione" pensò con stanchezza e disgusto "rende gli uomini vulnerabili. E le donne, s'intende": – Ho visto che finalmente ti è arrivato il giornale in abbonamento, così non ti lamenterai più di non avere informazioni – disse provocatorio. – Che fai, mi sfotti? Le informazioni sulla situazione di qui i quotidiani italiani non le riportano, dovreste darmele voi, invece di farmi brancolare come un cieco in un giardino di cactus! – Prenditela con l'ambasciatore, è lui il capo... – la provocò Morpurgo – ...se diventiamo amici, te le dò io le informazioni che ti servono. – Era una mossa del manuale, collaudata. Le avrebbe dovuto passare false informazioni e vedere poi che succedeva. Per lui era tutto tempo sprecato, questa qui era una pulita, anche troppo... ma Roma insisteva... – Ti ho detto di non sfottermi, Morpurgo... comunque sì, ho letto un bell'articolo che mi ha rincuorato. Parlava di quello che sta succedendo in Unione Sovietica... diceva che il presidente è imprendibile perché cammina su un tappeto di speranze e non c'è mezzo di trasporto più pratico e leggero. Bello, no? – Poesia!... Per me è solo un uomo normale. Proprio perciò è inquietante, i mostri di un tempo erano più comodi, c'era più sugo ad averli come nemici. Noi preferiremmo che nulla cambiasse pur di non mettere a rischio l'equilibrio mondiale. – Noi? – gli fece il verso Fiora, sentendosi molto furba. Più di lui. Morpurgo si ricordò che doveva affascinarla, riportare il discorso su un soggetto non conflittuale. Guardò oltre i vetri, la notte cupa come il viso dei camerieri tristi: non si vedeva più nemmeno la schiuma bianca delle onde, l'uniformità del fondale era spezzata solo dal rumore del mare. Il mare. Poteva essere un argomento ponte tra loro. Bisognava vedere se poi quel ponte portava dritto o no tra le sue cosce rotonde. Decise di essere brutale, con i tipi romantici la brutalità ha in genere un effetto sicuro. A Fiora non lo aveva detto, ma il mare gli faceva paura. Da quando al corso lo avevano gettato in acqua, quei bastardi... ma alla fine era stato il prescelto. L'ammiraglio in persona si era congratulato con lui, il figlio dell'operaio. Aveva calcolato tutto, i tempi, il modo, l'ambiente. Ma in questo momento non aveva voglia di tuffarsi, di sbagliare. A furia di riflettere non stava al passo. Forse stava rinviando. Rinviava il momento dell'attacco. Perché poteva sempre ricevere un rifiuto. A Roma andava bene qualsiasi risposta: se accetta è una puttanella, mandare avanti indagine su altri punti e archiviare questa informazione per eventuali ricatti. Se rifiuta continuare a indagare su questo punto: potrebbe essere lesbica, o troppo furba. Non dimenticare che anche gli agenti dell'altra parte si servono del sesso per avere notizie. Comunque, poi passare agli altri punti. Ma per lui non era indifferente. Mai. Per lui un rifiuto sarebbe stato seccante. Ogni volta era seccante quando gli dicevano di no. Anche se era lavoro, e lavoro ben fatto comunque, a lui dava molto fastidio che gli dicessero di no. Questo Roma non poteva capirlo. Da quanto tempo tacevano? Si decise a guardarla con attenzione, non doveva continuare a distrarsi, mentre lei beveva quel vinaccio rosso albanese come se le gorgogliasse in gola un allegro barbera. Ora che si era tolta la giacca, dalla camicetta nera scollata spuntavano due seni bianchissimi e rotondi. Non portava reggiseno. Forse non si rendeva conto che tutti i camerieri la guardavano. O forse lo aveva fatto apposta. Questo pensiero, finalmente, lo eccitò. La camicetta scollata l'aveva messa per venire a cena con lui, da sola. Poche palle. Si sentì rassicurato. "Frena, frena, Morpurgo, la tua stecca è quasi pronta, ma ci vuole ancora un po' di gesso sulla punta". Doveva essere delicato, adularla. La proposta di scopare sarebbe arrivata più dura, come un bell' uppercut, difficile da schivare. – Visto che non sei il tipo dell'ingenua missionaria e neppure sembri molto interessata ai soldi, mi spieghi che ci fai in un postaccio come questo? – Dio, come si vergognava di queste banalità da film americano. – Come mai non insegni all'università o non scrivi libri, o... – Non sperava che lei gli fornisse elementi nuovi per la scheda, ma fare domande era il suo modo abituale di conversare. Fiora rispose agitandosi sulla sedia e scoprendo le gambe: – Infatti scrivo... scrivo per la Tv, per il teatro... anzi sto pensando a un libretto per un'opera e questo posto può ispirarmi. È ricco di musica polifonica... proprio come l'opera a cui lavoravo tanto tempo fa... – Mia madre mi portava all'opera, da piccolo... Fiora stava diventando triste e quasi gli avrebbe confidato del libretto rifiutato, una sconfitta che ancora le arravogliava lo stomaco. Non aveva letto da qualche parte che tra torturato e torturatore si instaurava uno strano rapporto intimo? Vinse l'impulso per non perdere di autorità. – Mi interessano i loro ritmi, le loro danze, i canti polifonici, ho bisogno di entrarci dentro per ispirarmi... capisci? "Capisco, capisco che stai mentendo," pensò amareggiato Morpurgo. "Mi sparo nei coglioni se questo è il motivo per cui sei qui, bimba bella. Sarai qui per ambizione, per scappare a un amore infranto, per sentirti importante. Oppure no, sei davvero furbissima e questa storia della musica popolare la vuoi utilizzare per girellare fra la gente, fare domande, stabilire contatti": Si sentì quasi allegro al pensiero di doverla sfidare anche sul piano intellettuale. La strategia per portarsela a letto non cambiava per questo: il sistema brutale buono per il tipo romantico era perfetto anche per il tipo intellettuale. Poi, se doveva essere sincero almeno con se stesso, non conosceva altri sistemi. Si domandò se era così anche fuori del lavoro, ma non seppe cosa rispondersi. Bisognava tornare indietro nel tempo, a quando aveva corteggiato sua moglie. Le altre... beh, non tutte si potevano definire lavoro in senso stretto. Non tutte gli erano state commissionate. A volte il solco fra lavoro e desiderio era sottile... ma a questo non voleva pensare. Non ora. – Non ti daranno l'autorizzazione, ci puoi giurare – asserì brusco. – L'autorizzazione a cosa? – A girare per il Paese. In città c'è solo roba per turisti. Dovresti andare nei villaggi, spingerti a sud, la costa proibita, piena di basi militari... potrebbe essere pericoloso. Comunque non ci riuscirai, il problema è già risolto. Mi dispiace per la tua musica polifonica, ma dovrai rinunciare. – Ti intendi pure di musica, oltre che di mare? – Con lui tutto era possibile, persino che capisse la musica. Aveva una sua cultura, anche se la teneva accuratamente celata. Una specie di understatement, cui lei aspirava a livello interiore, senza riuscirci. Nel caso di Morpurgo si trattava piuttosto d'un trucco, tuttavia era una qualità comprensibile a entrambi. L'unica, finora. – Darti io lezione di musica... come potrei pretendere! Tu scrivi per i musicisti, capisci quei buffi segni incomprensibili, bianchi e neri... – Beh, in fatto di buffi segni incomprensibili tu non dovresti essere secondo a nessuno... - Che vuoi dire, chi lo dice? – la voce di Morpurgo era secchissima. Con quell'accento siciliano che sembra sempre contenere una minaccia, Renato, il marconista dell'ambasciata, le aveva detto: "Lei non ha paura di Morpurgo, signorina Listri?": "Paura di che?" aveva riso Fiora ad alta voce. "Ho paura solo di me stessa e dei miei incubi". – Dài, non t'arrabbiare, lo sanno tutti che tu... a proposito, dammi un consiglio, – chiese Fiora – che devo fare con le lettere che mando in Italia? Il telefono è sotto controllo, non vorrei che anche... – Ci sono due possibilità... se le mandi per corriere diplomatico, le leggiamo noi. Per posta normale le leggono gli albanesi... – ghignò lui. – Diavolo, sembra proprio un film... – E non lo è, Fiora, non lo è affatto! Questo non è un gioco... e se lo è, è molto pericoloso. – I denti di cane brillavano ostili. – Vuoi fare davvero un giro per "entrare dentro" ai ritmi popolari? A pensarci bene, entrare dentro non è un'espressione molto femminile, ti pare? – La provocò di nuovo solo perché si stava eccitando alla vista delle sue gambe che si accavallavano strette come a contenere un tesoro. Vedeva la pelle delle cosce e immaginava la parte interna, una trama sicuramente liscia e dolce al tatto, che si sa dove porta. Avrebbe voluto carezzarla lentamente con le mani sotto la tovaglia, lasciare che allargasse le gambe, scostarle le mutandine, entrarle dentro con le dita, sentirla diventare umida e costringerla ad avere un orgasmo senza strillare. Umiliarla. Anche se aveva un corpo tozzo le sue mani s'erano salvate dai corsi di addestramento, erano fini e le usava per i piaceri preferiti, riparare orologi antichi e fare l'amore con le donne. Alla fine funzionavano sempre, tutt'e due. – Sei così brutale abitualmente o solo nei primi incontri, sai, come in quei riti di iniziazione alla Normale di Pisa, o in caserma... – Non so come si comportano quei fighetti alla Normale di Pisa, in compenso tu non dovresti avere esperienza di caserma... o sbaglio? – Adesso esageri... – Dal primo giorno aveva cercato di provocarla ghignando sulle donne tutte puttane. L'aveva messo a posto davanti a tutti. – Forse non godo di una buona fama, qualcuno ti avrà detto che sono pericoloso... invece sono sincero e con me non c'è nulla da temere se non si ha niente da nascondere. Morpurgo le ricordava sua madre, quel suo modo di rimproverare i figli per ogni piccola bugia, ma se avesse fatto quel paragone a voce alta se lo sarebbe inimicato per sempre. Lui pensava d'essere il papà di tutta la comunità italiana di Tirana; e per certi versi lo era. – Se non si ha niente da nascondere, addio sensi di colpa. Addio preti, addio psichiatri... – sorrise Fiora – ma tu non mi stai a sentire... stai guardando il mare? – Ti ascolto, ti ascolto, come no... forse più che altro guardo te, non il mare – rispose Morpurgo. Il rapido cambiamento di tono doveva colpirla, farle sentire la forza del desiderio. Ormai s'erano fatte le dieci e non aveva ancora concluso niente. – Non mi piace il mare. Ma tu sì, tu mi piaci moltissimo. A Fiora dispiacque di aver scelto quella camicetta così scollata, ora che erano arrivati al punto. – Se non mi sono spiegato, vorrei fare l'amore con te qui, subito. – "Ecco qua, l' uppercut è piazzato, a Roma, possono essere contenti, faccio anche gli straordinari". Si sentiva depresso e sperava che lei dicesse di no. Era stanco, terribilmente stanco. Stanco di Tirana, stanco di se stesso. Fiora capiva che la stava mettendo alla prova per demenziali motivi di lavoro: evidentemente i codici morali dei Servizi segreti risalivano all'Anno Santo, al 1950. Perfettamente in sintonia con Tirana 1988. – La risposta è no. – E perché? Si guardavano con gli occhi un po' lucidi perché erano al terzo bicchiere di vino e non avevano mandato giù neppure un boccone. Conoscendo la fragilità degli uomini rispetto al rifiuto e non volendo offenderlo Fiora pensò di utilizzare una risposta collaudata di scuola leninista: – Perché non stabilisco mai rapporti di sesso nell'ambiente di lavoro. – Se non fosse per questo? – Come faccio a saperlo? Riparliamone a settembre. – Che diavolo significa, riparliamone a settembre? Mi hai preso per uno studente? Siamo a marzo! – Ora non si sentiva più stanco. Una fitta all'inguine lo fece imbestialire. – Ma no... a settembre saremo tutti e due in Italia e... – scherzò Fiora, non sapendo più che diavolo dire. Non voleva inimicarselo, ma camminava scricchiolando su sabbie sconosciute. Morpurgo era assai diverso dagli uomini frequentati finora. "Mi piglia in giro, la stronzetta – pensò lui irritato e deluso – ma questa battuta gliela faccio ingoiare, insieme al mio uccello": Cercava in tutti i modi di vincere il senso di umiliazione. Ma era inutile nasconderselo: il sistema aveva fatto cilecca. Per ora. | << | < | > | >> |Pagina 356. Una strega con la scopa di sagginaDopo la fallimentare cena al mare Morpurgo ostentava indifferenza. In casa erano cominciate delle strane telefonate e quando Fiora alzava la cornetta all'altro capo non c'era voce. Era lui che la controllava? Come se non bastasse il sigurimi in borghese che la seguiva a piedi o in bicicletta, perché lei non sapeva guidare. L'unica, tra tutti i diplomatici accreditati a Tirana, vietnamítí compresi. I membri dell'Ambasciata italiana subivano un controllo dei movimenti nella sostanza non dissimile da quello riservato agli altri diplomatici, sia occidentali che orientali. Il modo, tuttavia, era teatralmente esibito, offensivo. Marcatura a uomo strettissima. Un gesto di vendetta verso chi aveva dato asilo politico ai sei figli di un farmacista, collaboratore dei fascisti occupanti quarantacinque anni prima. La memoria non decade facilmente, nei Balcani, e le colpe dei padri ricadono sempre sui figli. Tutto questo scorreva per la Listri come un film sceneggiato male. Dove si erano mai visti agenti segreti che invece dì occultarsi dietro alberi e colonne camminavano vistosissimi al ritmo dei passi del pedinato, a distanza di due metri in diagonale? Costituendo con il pedinato quasi una vecchia coppia di coniugi legati per la vita dalla noia comune. Fiora danzava allegramente sulle due ruote cantando brani d'opera, con in testa le cuffie. Quelli che l'avevano seguita i primi giorni s'erano stupiti di tanto fair play, inusuale fra gli italiani. Era entrato nella leggenda un tale dell'ufficio visti: incollerito dall'ennesima perquisizione, la settima quel giorno, tre in più delle solite quattro, aveva picchiato la testa contro il cofano della propria auto, suscitando ammirazione tra le guardie armate albanesi e ilarità nei sigurimi. Sulla Listri era difficile fare un rapporto chiaro, esauriente. Nel suo diario, incautamente custodito in camera da letto, Fiora scriveva addirittura di essere felice per quel senso di straniamento che la rendeva libera da ogni peso portato dall'Italia. Da tutta la depressione dei coetanei che le si spalmava addosso come ketchup non richiesto sulle patatine fritte. Purtroppo, dopo ogni ricevimento all'esterno ridiventava invisibile: nessuno la salutava nel boulevard, di coloro che le erano stati appena presentati. Tutto ciò aveva un sapore di vendetta da amante tradito. Ma a che serviva l'offesa? A generare una reazione di maggiore ostilità? Nel fine settimana Fiora passeggiava spesso nel parco ai bordi d'un finto laghetto. Sulle basse colline circostanti fumavano i camini di alcune vecchie case contadine. L'ultimo segno di vita era la casupola dell'Orto. Visitandolo, Fiora aveva chiesto di essere condotta a erborizzare sulle montagne con i botanici, richiesta giudicata sospetta. Parlandone con suo fratello al telefono Fiora scoprì che la Televisione italiana aveva appena trasmesso un film in cui il ruolo della spia era affidato a un botanico, libero di girare ovunque e perciò adatto. La conversazione, debitamente ascoltata e registrata, sicuramente accentuò i sospetti. Sebastian aveva regalato a Fiora una vecchia edizione del diario che Joseph Roth aveva scritto nel 1927 di ritorno da un viaggio in Albania. "Da queste parti ci vuole più coraggio per parlare che per sparare. L'albanese teme che anche i muri abbiano le orecchie. Vede in ognuno una spia. Anche di palesità inequivocabili fanno torbidi enigmi. Non sono di loro gusto le cose prive di pericolo": Coraggio, gusto del mistero e dell'intrigo, abitudine allo spionaggio erano dunque caratteri antichi di quel popolo, non peculiari dell'esperienza comunista, aveva concluso. Una domenica di cielo plumbeo Fiora s'era ritrovata a passeggiare lungo il lago un po' tristemente. Dopo l'Orto, più nulla. Erba, acquitrini, fango. Nessuno straniero vi si avventurava mai, per paura di inzaccherarsi. In quel freddo gennaio, neppure gli albanesi. La desolazione del paesaggio e l'umidità scoraggiavano gli uni e gli altri. Fiora e l'"angelo" erano soli, per la prima volta. Compiendo il giro completo del lago la donna fece un ritrovamento insolito: nell'inverno spoglio di fiori, su un grande cespuglio sempreverde, spiccavano come naftalina levigata le palline candide, perfettamente rotonde, del sinphoricarpus albus, scoperto la prima volta nel giardino di un castello della Loira e solo dopo anche in Italia, a formare siepi. Occorre andare lontano per scoprire ciò ch'è da sempre sotto i nostri occhi. Fiora sorrise, contenta di ritrovare anche qui le delicate biglie. Fu come un segnale. – Búkur? Bella Albània? – azzardò il sigurimi, violando la consegna del silenzio. – Sì, bella – rispose lei cortesemente. In realtà, senza tracce di un lungo passato, Tirana non possedeva fascino. Lungo il Lana, non un vero fiume ma un piccolo canale, spiccavano alcune imponenti costruzioni dell'epoca sovietica con una loro dignità architettonica ora un po' trasandata. La parte del centro costruita dai fascisti italiani aveva una sua moderna, banale razionalità. Il grande boulevard con i suoi alberi, benché totalmente privo di caffè, era la zona più piacevole. Non a caso quella in cui si svolgeva lo struscio quotidiano. A ridosso di questa, il cosiddetto blok, con le villette dei dirigenti, che alla popolazione albanese apparivano lussuose. Il lusso principale essendo costituito in realtà dal fatto che il quartiere era circondato di poliziotti armati, senza possibilità d'accesso. C'era poi il dedalo di stradine segnate da casette bianche, povere e malsane all'interno, graziose all'esterno, con giardini ricchi di melograni, fichi e nespoli. Gli stranieri non vi mettevano piede, eppure quei quartieri all'inizio del secolo avevano affascinato i fotografi europei per il loro esotismo orientale in piena Europa, ricordo dell'occupazione ottomana. Le case costruite durante il comunismo erano grigie e tristi, spesso non intonacate, all'insegna del "siamo nati per soffrire"; ma meno malsane di quelle antiche, senza servizi e pavimenti. Mancava insomma un segno forte che relazionando tra loro le diverse epoche realizzasse un'identità. Il segugio, soddisfatto della risposta, se ne stava fermo di fronte a lei e la guardava con orgoglio. Sembrò a Fiora di cominciare a capire qualcosa di quel popolo tenuto distante come il cibo a Tantalo. Povero e isolato, anzi ignorato, e quindi bisognoso d'apprezzamento. Orgoglioso e diffidente come tutti i popoli ai margini della Storia, era stato schiacciato fra due Imperi, l'ottomano di cui era stato periferia e l'austroungarico che ospitava nel suo seno gli slavi, tradizionali nemici. Listri aveva provato invidia per i colleghi francesi, che avevano ricevuto un sostanzioso dossier di centocinquanta pagine alla partenza. Per non parlare del corso di lingua albanese in sei mesi. Le sue note di sede, tre paginette contenenti gemme del tipo "a Tirana circolano taxi obsoleti", erano state l'unico viatico, alla partenza. | << | < | > | >> |Pagina 559. Il ping pong dei cinesiC'era grande attesa per la festa della donna all'Ambasciata della Repubblica di Cina, l'8 di marzo. La cerimonia non aveva l'andamento monotono di tutte le altre. La parte più eccitante consisteva nel famoso torneo di ping pong. Ma i cinesi tenevano in serbo per tutti piccoli piaceri offerti con grande garbo e raffinatezza, come solo chi sa di appartenere alla più antica civiltà del mondo può. Per ora era solo chiaro che a ping pong fossero loro i campioni del mondo. L'accoglienza magnanima era diversa tanto dall'esibito senso di superiorità francese quanto dalla più discreta certezza degli inglesi di essere sempre i primi al mondo, nonostante l'Impero defunto. Avessero entrambi studiato meglio i famosi "corsi e ricorsi storici" di Giambattista Vico, non sarebbero stati presi di sorpresa dalla rapidissima e irresistibile rincorsa cinese. Fiora aveva accennato incautamente alle sue vacanze in Liguria, quando i pallidi maschietti che venivano da Milano cercavano d'impedirle di giocare. A lei, che aveva una mira perfetta, unica fra le ragazzine. A lei, la terrona. Lo zio Mario le aveva insegnato come fare. Così, munita della sua amata fionda e di un certo numero di petardi aveva fatto un po' di chiasso sotto il tavolo verde e s'era conquistata il diritto di battersi, di batterli. Morpurgo e i carabinieri l'avevano allenata nel garage su un vecchio tavolo da gioco. Alla fine del corto allenamento Fiora aveva scoperto che a distanza di vent'anni la smerciata indebolita era inadeguata ad affrontare i cinesi. Rinunciò al torneo. Venendo incontro a Fiora la moglie del N. 2 cinese le prese tra le sue la mano e gliela tenne serrata a lungo, un gesto tenero per nulla convenzionale. L'italiana immaginò che la donna dovesse sentirsi sola quanto lei. Così lontana dal suo mondo. Nella sala grande troneggiava un magnifico tavolo verde regolamentare con numerose racchette da gara. Alla quale il corpulento N. 2 rumeno non si era mai iscritto. Lo jugoslavo, essendo zoppo, sedeva in un angolo, appartato. Mihail condusse Fiora abilmente verso la sedia accanto, per presentarglielo. Benché a livello di politica estera l'Italia fosse in ottime relazioni con la Jugoslavia, avendo la nostra diplomazia sempre considerato la Federazione il perno dell'equilibrio nei Balcani, a Tirana tra i due Paesi c'era una certa freddezza, forse a causa delle chiacchiere sul ruolo che lo zoppo poteva aver avuto nella faccenda dei fratelli P. Greci e francesi erano convinti che fosse un agente dei Servizi e stavano in guardia. Di tutto questo Fiora era all'oscuro. Quello strano uomo solitario la incuriosiva ed ebbe con lui una piacevole conversazione. Ben presto si aggiunse a loro il N. 2 turco. A quel punto Duleikos corrugò la fronte, come i pessimi attori o i cattivi politici quando vogliono far credere di essere in pensieri profondi. In genere ne ricavano solo rughe precoci da spianare poi con il lifting. – Posso rubarvi madame Listri? So che sta soffrendo perché ama fumare qualche sigaretta, così, se permettete, usciamo sul balcone. – I tre uomini annuirono, palesemente seccati. – Spero di non aver interrotto una conversazione importante... – Jaklevic mi incuriosisce – rispose Fiora. – Sansovino non ha avuto ancora il tempo di spiegarle tutte le nostre regole... qui a Tirana noi Occidentali preferiamo non avere rapporti stretti con i colleghi dell'Est... – sussurrò Duleikos coprendosi la bocca con la mano a ventaglio, come una damina. – Davvero? La ringrazio, lo terrò presente. Questo vuol dire che non c'è molto da scegliere per fare amicizia – commentò l'italiana. Nel 1988 bruciava ancora la guerra fredda? Davvero sorprendente! – Tuttavia la Turchia è nella Nato, caro Duleikos, non credo di essere troppo in pericolo, ma grazie, grazie per il consiglio. – L'accenno alla Turchia era volutamente perfido, essendo il greco sensibile ai confini, sia a nord che a sud, quali che fossero le alleanze, a Est e a Ovest. Lui si vendicò immediatamente: – Ho saputo che si è interessata all'Orto botanico, che ha chiesto di poter andare in giro con gli albanesi a erborizzare... sia più cauta. – Cioè? – chiese Fiora e senza attendere risposta rientrò in sala. – Una bella festa, non trova? – l'accolse Mihail, rimasto solo. – Stia attenta a quel Duleikos, si dice che sia un terribile donnaiolo. – Sì, davvero bella – rise Fiora, divertita da tutti quegli avvertimenti. Le ricordavano in piccolo un episodio accaduto alla madre durante la guerra: la casa dei nonni in campagna era occupata dai tedeschi, ma lei, che parlava inglese, si recava nella villa di fronte a piedi, di notte, per parlare con due ufficiali britannici nascosti. Sia il comandante tedesco, un uomo gentile caduto poi nello sbarco di Anzio, che gli inglesi, le offrivano la propria pistola per proteggersi. Lei, saggiamente, rifiutava. – Sì, bel ricevimento... quando i diplomatici non hanno impegni che fanno? organizzano una festa! Lo scriveva già Durrell negli anni '30... – La mia famiglia e altri animali è uno dei miei libri preferiti... – No, non il biologo, il fratello, lo scrittore del Quartetto di Alessandria. – Ah, sì, romanzi pieni di misteri e spie... li conosco. – Esatto. Negli anni Trenta Lawrence Durrell fu per qualche anno diplomatico in Jugoslavia e su quell'esperienza ha scritto un delizioso libretto. Se vuole glielo presto, scoprirà come da allora a oggi non sia cambiato nulla, nelle nostre noiose abitudini. L'episodio più gustoso è quello della festa nazionale. Per competere con l'eleganza dei francesi e il lusso degli italiani gli inglesi decisero di mimare l'isola patria. Un po' come a Roma, ha presente? l'ambasciata circondata dalle acque... organizzarono la festa su una chiatta legata da pesanti corde alla riva del fiume. Originale, bisogna ammettere! Conversavano tutti amabilmente, bevevano drink e spettegolavano. Improvvisamente le corde si spezzano e la chiatta va alla deriva con i membri del corpo diplomatico terrorizzati. Man mano che si avvicinano le cascate perdono tutti l'aplomb, lanciandosi insulti indecenti, indegni del proprio status... finché si danno inverecondi spintoni al grido del si salvi chi può... lo legga, è un capolavoro di humour! – concluse il rumeno. Scoppiò un applauso. Lemaitre e Sansovino in doppio avevano battuto Tolcek e un bulgaro. Poi erano capitolati sotto i colpi dei giovani ungheresi. I cinesi avevano battuto vietnamiti e ungheresi senza troppi sforzi. | << | < | > | >> |Pagina 7312. IncubiSubito dopo la cena con i francesi Fiora non riusciva a rilassarsi. Fuori c'era il consueto casino di voci umane, fischi acuti, cani che abbaiavano, scoppi di non si sa che. Dentro nulla cancellava il silenzio. Decise di scrivere a Sebastian senza avere stomaco di raccontargli la serata. "...il sentiero è cosparso di piccoli serpenti velenosi, di mosche e zanzare fastidiose. Riesco a dribblarli tutti, in genere, ma oggi sono sfinita dallo sforzo di trattenermi. Che fare per vincere questa inerzia ostile? O riesco a lavorare davvero come voglio, oppure altro che tre anni, non ne supero neppure uno. Per fortuna vieni tu a Pasqua. Qui non c'è un cane che abbia i miei gusti, le mie idee e a questo non sono abituata. Ci sarebbero gli ungheresi, che almeno sono giovani e carini, poi c'è quel rumeno, di cui ti ho già scritto. Però si capisce che frequentare i diplomatici dell'Est non è ben visto dalla nostra ambasciata. I lettori francesi sono molto conservatori, ma colti e gentili. Però stanno per andarsene, si sentono già fuori da Tirana. Spero nei nuovi, ma ho capito che qui tutte le ambasciate dell'Ovest mandano solo persone reazionarie. E io, come ci sono arrivata? Mah, smagliature della Storia! A proposito del senso della vita su cui ti interroghi. Dato che non sei un mistico, non credo ti volessi riferire al perché dell'esistenza, ma al come. È pur vero che spesso mi affliggi e ti affliggi con un ironico 'siamo nati per soffrire'. A me sembra che siamo nati e basta. Il nostro scopo, scritto nel Dna, è vivere ed espandere la vita. Non si tratta di dare senso a una cosa con un'altra, potere e soldi al posto dell'essere amati, per esempio, come succede a molti nella vita quotidiana, ma di capire la qualità della cosa in sé. Non ricordo il titolo di quel film francese che vedemmo insieme, cominciava con una frase di Laborit che attribuiva agli umani tre chance: combattere, soccombere, fuggire. Dalla depressione della nostra generazione, così infantilmente delusa di non aver realizzato tutti i propri ideali, lo ammetto, io sono fuggita. E ora sono a Tirana. Che ci faccio? Qui mancano molte cose, dai beni materiali alla libertà. Tuttavia, curiosamente c'è un senso più robusto dell'esistere. Sembra insomma che quanto più difficile sia la vita più cresca la forza. Eppure, la selezione naturale non ci dice che vince il migliore, il più forte. Ci dice solo che siamo la risultante di un cumulo di errori fortunati. La potente bellezza del Caos! A te questa complessità dell'universo sembra insufficiente? O troppo pesante da accettare? Come mai? Forse è di qualcos'altro che sei scontento? Del partito? O ti senti solo? Ti manca quello che chiami con disprezzo il mio "vitalismo"? D'altra parte senza la tua compagnia, caro Kit Carson, anche le mie serate sono pesanti e le bistecche con patatine non hanno più lo stesso sapore. Che poi qui i macellai la carne non la sanno tagliare. Fanno dei pezzacci informi difficili da cucinare. Ecco che mi lamento anch'io! Tuo Tex Post scriptum. Ieri ho incrociato per strada due impiegati dell'ambasciata e come ci siamo fermati noi a salutarci anche gli angeli hanno dovuto incrociarsi, tanto che quasi le loro ali cozzavano tra loro. Allora quello della macchina si è messo a strombazzare, per non sentirsi escluso" Finalmente si decise a sfilarsi il vestito di crèpe nero e se ne andò a letto, dimenticandosi di aprire la finestra, come faceva ogni sera. L'incubo arrivò con la digestione di lumache e salsa. Si sentiva avvolta da un vento caldo, bollente. Un cumulo di nuvole rosse scendeva minaccioso, si srotolava in volute infinite che le soffocavano il respiro. Correre era impossibile, il vento caldo spezzava le gambe. D'improvviso il drappo rosso-rosato si sciolse, gocciolandole sulla testa, sul collo, sulle gambe. Ma non era acqua... L'urlo di terrore non usciva dalla gola, la lingua era incollata al palato, non riusciva a gridare aiuto: il sangue caldo, appiccicoso, denso le entrava nelle orecchie, si rapprendeva sulle labbra. Se avesse potuto urlare, fuggire... ma non poteva, non poteva... Con uno sforzo dolorosissimo agitò le gambe e... panf! cadde dal letto e si svegliò, con la bocca aperta, pronta a urlare. Aprendo la finestra entrò l'odore di carbone. L'incubo era finito, lei era a Tirana, sul suo corpo neppure un graffio. Quel maledetto quadro la perseguitava. Si rimproverò di aver bevuto troppo la sera prima e si infilò sotto la doccia. Arrivò prestissimo al lavoro e la cosa venne registrata con acredine dalla Maggi: – La Listri ha fatto baldoria con i francesi, magari non è neppure andata a letto, o almeno non da sola. – Ma che dici, vecchia strega!... – s'imbizzarrì Morpurgo. L'unico che osasse trattare la Maggi a quel modo, conoscendone i segreti – ...con chi vuoi che se la faccia, con quel nano di Pellissier? – La difendi perché ti piace, ma le figlie di Maria son le prime che la danno via. Dimentichi che Sansovino è giovane e bello, sua moglie è partita. Come la tua. Troppo fiduciose, le mogli. – Non dirlo neppure per scherzo – ruggì Morpurgo. – Che cosa, che è una figlia di Maria?
– Non fare la furba con me, hai capito bene, lascia stare mia moglie...
adesso basta con le chiacchiere, fammi vedere queste richieste di visti.
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