Copertina
Autore Joyce Lussu
Titolo Padre padrone padreterno
SottotitoloBreve storia di schiave e matrone, villane e castellane, streghe e mercantesse, ploletarie e padrone
EdizioneMazzotta, Milano, 1976, Nuova informazione 53 , pag. 120, cop.fle., dim. 113x190x10 mm
Classe femminismo , storia sociale
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Indice


Essere donna                 7

Civiltà?                    40

Schiave e matrone           44

Villane e castellane        54

Streghe e mercantesse       63

Proletarie e padrone        74

Domani?                     90


 

 

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Pagina 7

ESSERE DONNA


Essere donna, l'ho sempre considerato un fatto positivo, un vantaggio, una sfida gioiosa e aggressiva. Qualcuno dice che le donne sono inferiori agli uomini, che non possono fare questo e quello? Ah, si? Vi faccio vedere io! Che cosa c'è da invidiare agli uomini? Tutto quello che fanno, lo posso fare anch'io. E in piu, so fare anche un figlio.

Dei miei genitori, mia madre mi era piu vicina; mi appariva saggia, equilibrata e sicura, perciò potevo dirle tutto e i suoi giudizi contavano moltissimo per me. Ma amavo molto anche mio padre: mi piaceva l'odore della sua barba e l'eleganza delle sue lunghe gambe, e la sua tenerezza quando mi baciava i capelli dicendo che sapevo di capretta selvatica; questo quando era di buon umore; quando era di cattivo umore, era un disastro; ma non se la prendeva mai con me. Quanto ai metodi pedagogici, mia madre diceva che ce n'erano due: o si educano i bambini alle discipline dell'autocontrollo con indefettibile costanza, o, con altrettanta costanza, si viziano completamente: l'importante è non confondere o alternare i due metodi. Io ero viziata e felice.

In famiglia, non vi era differenza di educazione tra il maschio e le due femmine: avevamo gli stessi giocattoli, studiavamo le stesse cose, collaboravamo alle faccende domestiche (mio fratello è tuttora un allenato pulitore di pavimenti), uscivamo liberamente senza che ci rintronassero le orecchie di frasi tipo: che hai fatto? dove sei stata? con chi sei stata?

Essendo mio padre e mia madre dei liberi pensatori, non ci avevano battezzato, e non eravamo frastornati da forme di terrorismo psicologico o ideologico; non ci sentivamo minacciati né dall'Uomo Nero né da un poliocchiuto padreterno pronto a saltarci addosso anche per le marachelle vittoriosamente sottratte al controllo degli adulti. Da quando avevo sei anni, cominciarono a raccontarmi le storie delle religioni, come leggende di questo mondo, e non di un altro mondo, astorico ed ultraterreno. Accanto all'Orlando Furioso ed all'Odissea, c'erano in casa il Corano e la Bibbia, i discorsi di Gautama Budda e gli apologhi di Lao-tsé, e mio padre, che aveva una bella dizione sonora, ce ne leggeva i brani piu immaginosi, come una qualsiasi narrativa di tempi trascorsi. Dai dodici anni, quando andammo in esilio in Svizzera dopo l'assalto degli squadristi fiorentini, mia madre mi portò a visitare le chiese delle piu varie religioni che c'erano a Ginevra: e mi parvero dei luoghi pittoreschi e barbarici, decisamente offensivi per la dignità femminile. Nelle sinagoghe, c'era tutto l'Antico Testamento dominato da orrendi vecchiacci, dal dio degli eserciti ai patriarchi pronti a sgozzare il proprio bambino, a vendere la moglie al faraone o a cacciarla col figlio a morire di sete nel deserto. Nelle chiese ortodosse, c'erano le grate dietro cui venivano relegate le donne, che non potevano avvicinarsi all'altare perché «impure»; mentre «puri» erano, chi sa perché, i grassi pope barbuti col naso gonfio e venato dagli abusi alcolici. Nella moschea, le donne venivano addirittura lasciate fuori insieme alle scarpe dei fedeli, e solo le turiste infedeli potevano entrare in certe ore morte per ammirare i sontuosi tappeti sui quali si prosternavano gli uomini, al fine di meritarsi un paradiso pieno di battone. Da una chiesa calvinista, lustra grandiosa e austera come la Banca Nazionale Svizzera, dove signore e signori impeccabilmente vestiti intonavano con qualche stonatura un salmo di Davide, io ed altri tre ragazzi fummo cacciati via da un impeccabile usciere in abito scuro, probabilmente perché eravamo mal vestiti e non corrispondevamo al suo modello di adolescenti timorati di Dio. Nella chiesa cattolica, mi parve particolarmente insultante la posizione della madonna, subordinata al Grande Monarca e buona solo a passare raccomandazioni, con annessa l'oscena concezione del peccato originale e il turpiloquio contro la femmina. Perché, dal papa all'ultimo prete, i gestori della divinità dovevano essere forniti di coglioni? Perché la donna, per entrare in chiesa, deve mettersi un velo in testa? Nascondere la testa, spiegava mia madre, è in ogni civiltà simbolo di soggezione: la donna libera porta i capelli al vento.

La comunità quacchera era la sola in cui uomini e donne fossero pari; le donne portavano delle cuffiette semplici e graziose, gli uomini dei cappelli tondi, si sedevano tutti su panche di legno in un locale disadorno senza altare e senza pulpito, e tacevano meditando finché qualcuno, uomo o donna, non si sentiva ispirato a prender la parola per commentare le sacre scritture; finché stavano zitti erano simpatici, creavano un'atmosfera; ma i commenti letterali della Bibbia erano di una legnosa ottusità. Mia madre mi spiegò che per loro Giona era vissuto realmente nel ventre della balena, per poi essere risputato vivo sulla spiaggia; io pensai alle avventure di Pinocchio e di Geppetto, e l'atmosfera mistica crollò di colpo.

Dopo questi ed altri chiarimenti, uscii dallo stato di adolescente femmina per entrare nel mondo degli adulti col bagaglio di alcuni punti di vista trasmessi dall'educazione: che la donna ha le identiche capacità dell'uomo di realizzarsi come essere umano; che si acquista dignità sviluppando l'intelligenza e non circondandosi di oggetti costosi; che la cultura e la coscienza politica sono la stessa cosa; che bisogna guadagnarsi il pane al piu presto per non dipendere da altri; che i rapporti amorosi con l'altro sesso non hanno nessuna connessione coi problemi economici e la sicurezza sociale, che sono straordinariamente belli e importanti e coinvolgono, non solo le sensazioni e i sentimenti, ma anche tutte le componenti morali, politiche, ideali ecc. della personalità.

La mia permanente tendenza a non farmi escludere, perché donna, da nessuna attività o conseguimento possibile agli uomini, non era affatto un'aspirazione a mascolinizzarmi. Il bello era appunto agire come donna, sentendomi sempre piú donna, e apprezzando sempre di piú le diversità e le complementarità con l'altro sesso. Un essere umano completo, ha detto qualcuno, è un uomo e una donna che s'intendono fino in fondo. L'erotismo, che fa dei corpi puri oggetti senza tenerezza e senza amicizia, è un'esercitazione povera e disumanizzante. L'omosessualità, che non trae dal piu totale dei rapporti umani tutta la ricchezza che dà appunto la diversità, con quel tanto d'imprevedibile, di mai completamente conosciuto e posseduto che stimola l'allegria della ricerca e dell'illusione poetica, non aveva nessuna attrattiva; se pure, nutrita di studi classici e di Conviti di Platone, non mi era mai stata indicata come un crimine o una malattia.

Con le donne, simili e prevedibili, ho sentito sempre una solidarietà profonda, una possibilità di amicizia senza diaframmi; purché naturalmente, non fossero reazionarie o borghesemente frivole ed ottuse. Per quanto non avessi subito le repressioni alle quali la maggioranza era ancora soggetta, ero assai consapevole che una liberazione a titolo personale non esiste, e che o ci si libera tutte o nessuna è libera. Avendo fiducia in me stessa, l'avevo nelle altre donne. Ma perché avrei dovuto prendermela particolarmente con gli uomini, come facevano le femministe che anche allora erano molto attive soprattutto nell'Europa del Nord, attribuendo a loro tutti i mali del mondo? La rabbia contro l'ingiustizia, la violenza, lo sfruttamento, trovava uno sbocco globale nella lotta politica contro il fascismo, nella quale ero impegnata con tutta la mia famiglia. E in questa lotta, di donne, come di uomini, ce n'erano di qua e di là. Larghe fasce di donne della piccola e dell'alta borghesia nutrivano un odio feroce contro il movimento operaio e contribuivano all'ascesa del fascismo. Vi erano donne nella direzione del partito fascista, come la celebre marchesa Casagrande, vi erano donne nella squadracce fasciste e anche squadracce di sole donne, con camicie nere e bastoni piombati, e signore che applaudivano freneticamente gli attacchi squadristici ai cortei dei lavoratori e alle sedi delle Leghe, togliendosi gli spilloni dai cappelli per ficcarli negli occhi dei «rossi». C'era Margherita Sarfatti, scrittrice e intelletuale, ninfa egeria del duce e inventrice dei miti che dettero forma al fascismo. E le Madri, le Vedove, le Orfane dei caduti in guerra, che scavavano dal cadavere del loro morto ammazzato onori e prebende («il suo vero grande dolore», diceva mia madre di una dama nazionalfascista avida di Altari della Patria, «è di non aver perso un figlio in guerra»).

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