Copertina
Autore Rosa Luxemburg
Titolo L'accumulazione del capitale
EdizionePgreco, Milano, 2012 , pag. 596, cop.fle., dim. 14x20,8x4 cm , Isbn 978-88-9556-390-9
OriginaleDie Akkumulation des Kapital [1913]
PrefazionePaul M. Sweezy
LettoreGiorgia Pezzali, 2013
Classe economia politica
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Indice


 VII    Introduzione di Paul M. Sweezy

XXXI    Cronologia della vita e delle opere di Rosa Luxemburg


    L'accumulazione del capitale

    Contributo alla spiegazione economica dell'imperialismo


  3 Avvertenza


    Parte prima - Il problema della riproduzione

  7     I. Oggetto dell'indagine
 26    II. L'analisi del processo di riproduzione in Quesnay e in Adam Smith
 43   III. Critica dell'analisi smithiana
 57    IV. Lo schema della riproduzione semplice in Marx
 76     V. La circolazione monetaria
 92    VI. La riproduzione allargata
106   VII. Analisi dello schema della riproduzione allargata in Marx
125  VIII. Le soluzioni tentate da Marx
142    IX. La difficoltà dall'angolo visuale del processo di circolazione


    Parte seconda - Esposizione storica del problema

    Una prima schermaglia
    Polemiche fra Sismondi-Malthus e Say-Ricardo-MacCulloch

161     X. La teoria sismondiana della riproduzione
180    XI. MacCulloch contro Sismondi
193   XII. Ritardo contro Sismondi
201  XIII. Say contro Sismondi
209   XIV. Malthus

    Seconda schermaglia
    La controversia fra Rodbertus e v. Kirchmann

215    XV. La teoria della riproduzione in v. Kirchmann
226   XVI. La critica della scuola classica in Rodbertus
240  XVII. L'analisi della riproduzione in Rodbertus

    Terza schermaglia
    Struve, Bulgakov, Tugan-Baranovskij contro Voroncov, Nikolaj-on

259 XVIII. Una nuova versione del problema
265   XIX. Il signor Voroncov e la sua «eccedenza»
273    XX. Nikolaj-on
281   XXI. Le «tre persone» e i tre imperi mondiali di Struve
288  XXII. Bulgakov e il suo «completamento» dell'analisi marxiana
301 XXIII. La «sproporzionalità» del sig. Tugan-Baranovskij
315  XXIV. Il punto di approdo del marxismo «legale» russo


    Parte terza - Le condizioni storiche dell'accumulazione

321   XXV. Contraddizioni dello schema della riproduzione allargata
341  XXVI. La riproduzione del capitale e il suo ambiente
363 XXVII. La lotta contro l'economia naturale
383XXVIII. L'introduzione dell'economia mercantile
393  XXIX. La lotta contro l'economia contadina
418   XXX. I prestiti internazionali
447  XXXI. Protezionismo e accumulazione
455 XXXII. Il militarismo come campo di accumulazione del capitale


    Appendice

471 Ciò che gli epigoni hanno fatto della teoria marxista

    Una anticritica


589 Indice dei nomi e delle materie




 

 

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Pagina VII

INTRODUZIONE


Il significato e l'importanza dei libri dipende in una certa misura dalle condizioni storiche e ambientali, dal loro rapporto con altri libri, dalle circostanze in cui furono scritti, e via dicendo. Ma ciò non avviene sempre nella stessa misura. In alcuni casi si può capire e apprezzare un libro pur avendo una scarsa conoscenza di quei fattori; in altri casi, invece, senza di questa, si può fallire nel coglierne l'essenza e lo scopo. Perciò la funzione principale di una introduzione mi pare essere quella di familiarizzare il lettore con l'autrice dell' Accumulazione del capitale e di presentare il libro nel suo caratteristico contesto storico.


I

Rosa Luxemburg nacque il 5 marzo 1871, nella piccola città di Zamosc vicino alla città di Lublino in quella che era allora la Polonia russa. I suoi genitori erano ebrei colti e relativamente benestanti, i quali si trasferirono a Varsavia quando essa era ancora bambina. Mentre frequentava i corsi della scuola superiore a Varsavia, Rosa fu coinvolta in attività rivoluzionarie, e, lasciata la scuola nel 1887, si uní al partito rivoluzionario Proletariat. Da allora in poi, si dedicò appassionatamente e senza riserve alla causa del socialismo rivoluzionario.

Dopo due anni d'intensa attività, Rosa fu presa di mira dalla polizia, ed i suoi compagni, affinché non corresse il rischio di essere esiliata in Siberia, organizzarono la sua fuga dalla Polonia. Andò a Zurigo e in quella università, che allora era il centro dell'emigrazione polacca e russa in Occidente. Si dedicò allo studio delle scienze naturali e dell'economia politica, partecipò al movimento operaio locale, frequentò molti fra i piú notevoli marxisti di quel tempo e cosí, in breve tempo, si maturò intellettualmente e politicamente. Plechanov e Parvus senza dubbio ebbero una parte determinante nello sviluppo delle sue idee, ma il piú importante rapporto personale di quel periodo, e anzi di tutta la sua vita, fu quello con Leo Jogiches. Le carriere di Leo Jogiches e di Rosa Luxemburg furono stranamente parallele e complementari. Ebreo lituano, Jogiches fu, come Rosa, uno dei promotori del moderno movimento operaio polacco. Egli andò a Zurigo nel 1890, incontrò Rosa Luxemburg, e d'allora in poi, sempre a lei legato dalla piú stretta unione politica e personale, sostenne un ruolo di primo piano sia in Polonia che in Germania. Essa fu principalmente la teorica, egli l'organizzatore, e pare abbiano sempre lavorato insieme, in perfetta armonia. Co-fondatori del Partito comunista tedesco alla fine del 1918, ambedue caddero assassinati, vittime della reazione tedesca, Rosa nel gennaio 1919, Leo nel marzo.

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Pagina XV

II.

Come abbiamo visto, L'accumulazione del capitale fu il prodotto della sua attività di docente nel periodo in cui insegnava nella scuola del partito negli anni dopo il 1906. Il corso principale consisteva in un ampio panorama dell'economia politica; fu in connessione con questo che essa intraprese a scrivere una Introduzione all'economia. Il lavoro procedeva lentamente, a causa dell'urgenza di altri compiti e doveri, e per lunghi periodi dovette metterlo completamente da parte. Nel gennaio del 1912, però, lo riprese con rinnovato interesse, sperando di poterne almeno completare una prima stesura. Fu allora che incorse in quella «difficoltà inaspettata» che descrive nella prefazione a L'accumulazione del capitale. Non riusciva, ci dice, a esporre il ciclo completo della produzione capitalistica «con sufficiente chiarezza». Dopo un piú attento esame, però, pervenne alla conclusione che lo scoglio non stava nell'esposizione, ma invece dipendeva dal contenuto del II volume del Capitale di Marx, ed insieme dalla pratica dell'imperialismo contemporaneo e dalle sue radici economiche. Per una donna del carattere e degli interessi culturali di Rosa Luxemburg questa era una sfida che non poteva non essere raccolta. Le piacevano le costruzioni intellettuali logicamente compiute e ordinate e la scoperta di supposte incongruenze nel sistema marxista bastava a spronarla all'azione. Ma forse anche piú importante fu la fiducia di essere sulle tracce di risultati teorici che avrebbero avuto una grande importanza pratica nella lotta contro il revisionismo, da una parte, e l'imperialismo dall'altra. Smise immediatamente di lavorare intorno all' Introduzione e si dedicò con entusiasmo al nuovo compito che si era imposto. Qualche anno piú tardi, scrivendo dalla prigione al suo amico Diefenbach, descrisse, come segue, la composizione del libro: «Il periodo in cui scrivevo l' Accumulazione fu uno dei piú felici della mia vita. Vivevo come in uno stato di ebbrezza, notte e giorno non vedevo altro che questo problema che mi si veniva cosí meravigliosamente chiarendo in tutti i suoi particolari, e non so davvero quale di queste due cose mi procurasse piú piacere: lo sviluppo del pensiero assorto nella discussione di complicati problemi, mentre camminavo lentamente su e giú attraverso alla stanza, o il metterne già i risultati sulla carta con chiarezza. Sai che scrissi tutto il libro in una sola tirata, in quattro mesi — cosa inaudita! — e lo diedi direttamente alle stampe senza rileggerne nemmeno una volta la prima stesura?».

Qual è la natura della lacuna o della debolezza logica che Rosa Luxemburg ritenne di aver scoperto nel II volume del Capitale?

Bisogna tenere presente che questo volume tratta della circolazione del capitale e che è qui che vengono presentati i famosi «schemi di riproduzione» che in pratica sono la versione in forma numerica, ad opera di Marx, del Tableau économique di Quesnay. Secondo Marx il valore di qualsiasi merce, e quindi anche il valore totale di tutte le merci, è composto di capitale costante (materie prime e ausiliarie, ammortamento delle macchine, ecc.) piú capitale variabile (salari) piú plusvalore (profitto, interesse e rendita). Inoltre, dato che tutte le merci si possono suddividere in mezzi di produzione e beni di consumo, ne segue che la produzione si può dividere in due sezioni: la sezione I produce mezzi di produzione, la sezione II produce beni di consumo. Ora è ovvio che, affinché il sistema funzioni senza intralci, non solo la domanda totale deve uguagliare l'offerta totale, ma anche la domanda di prodotti di ciascuna sezione deve uguagliare il complesso della produzione della sezione stessa.

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Pagina XXVIII

I critici, come accade frequentemente, buttavano via il bambino con l'acqua sporca. Certamente esiste un problema di accumulazione nel quadro del capitalismo: quanto a questo la facoltà intuitiva di Rosa Luxemburg era veramente solida. Ma non è questione di possibilità contro impossibilità, né si tratta soltanto di evitare che si determinino sproporzioni fra i vari settori produttivi. Il problema nasce dalla tendenza, profondamente radicata, intrinseca e ineliminabile, del capitalismo ad accumulare troppo rapidamente, cioè ad aggiungere ai mezzi di produzione più di quanto il tasso d'incremento del consumo possa giustificare o sostenere. In un certo senso, anche qui si tratta di «sproporzione», ma non di una sproporzione causata dalla insufficiente pianificazione del capitalismo e a cui si possa ovviare con riforme; è una sproporzione inerente proprio all'essenza del sistema. «La vera barriera della produzione capitalistica è il capitale stesso – scriveva Marx, e continuava: – il capitale e la sua autovalorizzazione appaiono come punto di partenza e punto di arrivo, come motivo e scopo della produzione; che la produzione è solo produzione per il capitale, e non al contrario: i mezzi di produzione non sono dei semplici mezzi per una continua estensione del processo di vita per la società dei produttori. I limiti nei quali possono unicamente muoversi la conservazione e l'autovalorizzazione del valore-capitale, che si fonda sulla espropriazione e l'impoverimento della grande massa dei produttori, questi limiti si trovano dunque continuamente in conflitto con i metodi di produzione a cui il capitale deve ricorrere per raggiungere il suo scopo, e che perseguono l'accrescimento illimitato della produzione, la produzione come fine a se stessa, lo sviluppo incondizionato delle forze produttive sociali del lavoro. Il mezzo – lo sviluppo incondizionato delle forze produttive sociali – viene permanentemente in conflitto con il fine ristretto, la valorizzazione del capitale esistente. Se il modo di produzione capitalistico è quindi un mezzo storico per lo sviluppo della forza produttiva materiale e la creazione di un corrispondente mercato mondiale, è al tempo stesso la contraddizione costante tra questo suo compito storico e i rapporti di produzione sociali che gli corrispondono».

Forse non c'è un altro passo negli scritti di Marx che sia altrettanto felice nel distillare l'essenza del suo insegnamento circa la natura del sistema capitalistico. Un marxista contemporaneo di Rosa Luxemburg penetrò lo spirito di questo messaggio e lo fece suo: era Lenin, Nella sua polemica contro i narodniki in Russia durante gli anni dopo il 1890, Lenin respinse fermamente la tesi dell'impossibilità – che è precisamente quella che gli scrittori narodniki sostenevano – e nello stesso tempo, con pari fermezza, ne ripudiò l'opposto, la tesi della possibilità di una illimitata espansione del capitalismo. Il conflitto fra accumulazione e consumo, sosteneva Lenin, è una delle maggiori contraddizioni del capitalismo, ma non costituisce prova dell'impossibilità del capitalismo, come i narodniki pensavano. Al contrario, il capitalismo non può esistere né svilupparsi senza contraddizioni. Queste contraddizioni non ne confermano l'impossibilità, ma piuttosto ne dimostrano il carattere storico e di transizione.

Rosa Luxemburg conosceva bene questi scritti di Lenin e si riferí ad essi o lo citò in parecchie occasioni, a volte criticandolo e altre volte approvandone le idee. Ma essa non fece mai veramente i conti con lui ed è un gran peccato che non lo abbia fatto. Perché Lenin fu la prova vivente che era possibile ripudiare la tesi della impossibilità senza cadere nel marasma del riformismo e del revisionismo. Se Rosa avesse capito questo, L'accumulazione del capitale avrebbe potuto essere un libro diverso e migliore. Avrebbe anche esercitato una maggiore influenza.

Ciò nonostante, malgrado i suoi errori e le sue deficienze, che, come spero di essere riuscito a dimostrare, non sono trascurabili — L'accumulazione del capitale è opera notevole di una grande rivoluzionaria. Ancor oggi possiamo molto imparare da essa — dalle sue esplorazioni attraverso la storia del pensiero economico, dalla sua appassionata descrizione della natura e dei metodi dell'imperialismo, dal suo indomito spirito marxista — e anche, certamente, dai suoi sbagli.

PAUL M. SWEEZY

Cambridge, Massachusetts, 22 novembre 1958.

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Pagina 3

AVVERTENZA


Lo spunto al presente lavoro mi è stato dato da un'introduzione in forma popolare all'economia politica che andavo da tempo preparando per la stessa casa editrice, ma che gli impegni della scuola di partito o l'agitazione mi avevano di volta in volta impedito di portare a termine. Rimessami al lavoro nel gennaio di quest'anno, dopo le elezioni al Reichstag, col proposito di concludere almeno nelle grandi linee quella volgarizzazione della dottrina economica marxista, mi trovai di fronte a una difficoltà inaspettata: non riuscivo a presentare con sufficiente chiarezza il processo d'insieme della produzione capitalistica nei suoi rapporti concreti e nei suoi limiti storici obiettivi. A un esame piú attento, dovetti convincermi che non si trattava di una semplice questione di esposizione, ma di un problema connesso, sul piano teoretico, al contenuto del II libro del Capitale e, nello stesso tempo, alla prassi dell'attuale politica imperialistica nelle sue radici economiche. Se sarò riuscita ad afferrare con esattezza scientifica questo problema, la presente opera potrà avere non soltanto un interesse teorico, ma anche una certa importanza ai fini della nostra lotta pratica contro l'imperialismo.

R. L.

Dicembre 1912.

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Pagina 7

CAPITOLO PRIMO

OGGETTO DELL'INDAGINE


Uno dei meriti imperituri di Marx come teorico dell'economia è di aver posto il problema della riproduzione del capitale sociale totale. Θ caratteristico che la storia dell'economia politica offra soltanto due tentativi di una impostazione corretta del problema: ai suoi albori, nel padre della scuola fisiocratica Quesnay, e al suo punto di approdo, in Karl Marx. Non che nel frattempo il problema cessasse di tormentare il pensiero economico borghese; ma questo non riuscí mai, non diciamo a risolverlo ma nemmeno a porlo di proposito e nella sua purezza, isolandolo dai problemi secondari che vi si ricollegano e vi s'incrociano. D'altra parte, considerata l'importanza fondamentale del problema, è possibile sulla scorta di questi tentativi seguire fino a un certo punto le vicende della economia scientifica.

In che consiste il problema della riproduzione del capitale totale?

Riproduzione significa letteralmente ripetizione, rinnovamento del processo produttivo; né è facile capire a primo sguardo in che cosa il concetto di riproduzione si distingua da quello accessibile a tutti di produzione, e perché sia necessario un nuovo termine discriminante. Senonché proprio nel fatto della riproduzione, del continuo rinnovarsi del processo produttivo, è dato individuare un elemento di per sé importante. Anzitutto, la ripetizione regolare della produzione è la premessa e la base generale di un regolare consumo, e perciò il presupposto dell'esistenza civile della società umana in tutte le sue manifestazioni storicamente determinate. In questo senso, nel concetto di riproduzione è contenuto un elemento che si riallaccia alla storia della civiltà in generale. La produzione non può riprendere, la riproduzione non può compiersi, se mancano determinate premesse — attrezzature, materie prime, forze-lavoro — che sono il frutto delle fasi precedenti della produzione. Ma, negli stadi primitivi dell'evoluzione civile, ai primordi del dominio dell'uomo sulla natura esterna, la possibilità di una ripresa della produzione dipende piú o meno dal caso. Finché la caccia o la pesca costituiscono essenzialmente le basi dell'esistenza della società, il regolare rinnovarsi della produzione è spesso interrotto da periodi di carestia generale. In alcuni popoli primitivi, le esigenze della riproduzione come processo regolarmente rinnovantesi hanno anzi trovato per tempo la loro espressione tradizionale e socialmente impegnativa in un complesso di cerimonie a carattere religioso. Secondo gli studi approfonditi di Spencer e Gillen, il culto totemistico dei negri australiani non è sostanzialmente che la trasmissione, irrigiditasi in cerimonia religiosa, di norme di condotta osservate da tempo immemorabile dai rispettivi gruppi sociali, al fine di procacciarsi e conservare il nutrimento animale o vegetale. Solo la coltivazione della terra, l'addomesticamento del bestiame e il suo allevamento a fini alimentari dovevano permettere quel circuito regolare di consumo e produzione, che è il tratto distintivo della riproduzione. In questo senso, il concetto di riproduzione implica di per sé qualcosa di piú della semplice ripetizione: implica il raggiungimento da parte della società di un certo grado di controllo sulla natura esterna o, per esprimere lo stesso concetto in termini economici, un certo livello nella produttività del lavoro.

D'altra parte, il processo produttivo si presenta, in tutti i gradi dell'evoluzione sociale, come unità di due momenti diversi anche se strettamente legati l'uno all'altro: le condizioni tecniche e le condizioni sociali, o, in altre parole, il modo di configurarsi dei rapporti fra uomo e natura, e fra uomo e uomo. Anche la riproduzione dipende in egual misura da questi. Abbiamo visto come essa si ricolleghi alle condizioni della tecnica del lavoro umano e sia il prodotto di un certo grado di sviluppo della produttività del lavoro; ma non meno determinanti sono le forme sociali specifiche della produzione. In una comunità agricola comunista di tipo primitivo, per esempio, la riproduzione è determinata, cosí come tutto il piano della vita economica, dall'insieme dei lavoratori e dai loro organi democratici: la decisione di riprendere il lavoro, la sua organizzazione, la realizzazione delle sue necessarie premesse (attrezzi, materie prime, forze-lavoro), la fissazione dell'ampiezza e della ripartizione del processo riproduttivo, sono dunque il frutto di una collaborazione programmata di tutti gli individui nell'ambito della comunità. In una economia schiavistica o feudale, la riproduzione si compie sulla base di rapporti personali di sovranità ed è regolata in tutti i suoi dettagli, non trovando un limite alla sua estensione che nel diritto del centro dominante di disporre di contingenti piú o meno vasti di forze di lavoro esterne. Nella società basata su rapporti di produzione capitalistici, la riproduzione si configura in modo del tutto particolare, come mostra l'apparenza stessa in determinati momenti di notevole rilievo. In ogni altra società storicamente conosciuta, la riproduzione viene regolarmente intrapresa ogniqualvolta ne esistano le condizioni fondamentali: presenza di mezzi di produzione, presenza di forze-lavoro. Solo circostanze esteriori come il flagello di una guerra o una grave epidemia, con conseguente spopolamento e distruzione di masse di forza-lavoro e mezzi di produzione accumulati, possono far sí che, in interi settori della vita civile, la riproduzione non si compia per un periodo piú o meno breve, o si compia in misura limitata. Fenomeni analoghi possono in parte originarsi da interventi dispotici nel piano generale di produzione. Quando nell'antico Egitto la volontà di un faraone incatena per decenni alla costruzione di piramidi migliaia di fellahin, quando nell'Egitto moderno un Ismail Pascià comanda ventimila fellahin come servi della gleba agli scavi del canale di Suez, quando il fondatore della dinastia Ch'in, l'imperatore Shih Huang Ti, condanna alla fame e alla consunzione quattrocentomila sudditi e distrugge una intera generazione per portare a termine la costruzione della «Grande Muraglia» ai confini settentrionali della Cina — in tutti questi casi gigantesche estensioni di terreno rimangono di conseguenza incolte, e lo svolgimento regolare della vita economica risulta per lunghi periodi di tempo interrotto. Ma in ognuno di essi tali interruzioni della riproduzione avevano evidentemente origine dalla determinazione unilaterale del piano di riproduzione nel suo complesso attraverso un rapporto di signoria.

Diverso è il quadro offerto dalla società capitalistica, dove in determinati periodi sono presenti tanto i mezzi produttivi materiali necessari quanto le forze di lavoro richieste dalla messa in moto della riproduzione, e d'altra parte i bisogni sociali di consumo rimangono insoddisfatti, e tuttavia il processo riproduttivo o è completamente interrotto o non si realizza che in misura limitata. Responsabili delle difficoltà del processo di riproduzione non sono qui interventi dispotici nel piano economico generale: la messa in moto della riproduzione è qui condizionata, oltre che dall'insieme dei fattori tecnici, dalla circostanza di natura puramente sociale che si producono solo quei beni che offrano la sicura prospettiva d'essere realizzati, cioè scambiati contro denaro, e non soltanto realizzati in generale, ma con un profitto di un certo livello medio. In altre parole, il profitto come scopo ultimo e come fattore determinante domina qui non soltanto la produzione ma la riproduzione; non soltanto il modo e il contenuto del processo produttivo e della distribuzione dei prodotti, ma anche il problema se, in quali limiti e in quale direzione il processo lavorativo debba essere ripreso non appena un periodo di lavoro si sia concluso. «Se la produzione ha forma capitalistica, l'ha anche la riproduzione».

Dati questi elementi di natura essenzialmente storico-sociale, il processo della riproduzione capitalistica si presenta come un problema affatto nuovo e assai complicato. Già nelle sue caratteristiche esterne, il processo della riproduzione nella società capitalistica presenta particolarità storiche specifiche: abbraccia non solo la produzione ma la circolazione (processo di scambio), è l'unità di entrambe.

La produzione capitalistica è, anzitutto, opera di un numero illimitato di produttori privati indipendenti, l'unico legame sociale fra i quali è costituito dallo scambio. La riproduzione trova come punto di appoggio per la determinazione dei bisogni sociali le esperienze dei cicli lavorativi precedenti: ma queste sono esperienze personali di produttori singoli, che non trovano un'espressione sociale unica. Inoltre, sono sempre esperienze indirette e negative, non positive e dirette, sui bisogni della società, che permettono di trarre dall'andamento dei prezzi in un determinato periodo una conclusione sull'eccesso o difetto della massa di beni prodotti in rapporto alla domanda solvibile. La riproduzione viene sempre intrapresa, in base alle esperienze dei cicli di produzione anteriori, da singoli produttori privati. Ne consegue che nel ciclo successivo potrà ugualmente verificarsi un eccesso o un difetto, di fronte al quale singoli rami della produzione seguiranno vie diverse ed opposte, l'uno presentando un eccesso, l'altro un difetto; e poiché tutti i settori della produzione si trovano in rapporti reciproci di dipendenza tecnica e un eccesso o difetto in alcuni settori dominanti della produzione porta con sé un fenomeno analogo nella maggior parte degli altri, ecco che di tempo in tempo si avrà ora un'eccedenza generale ora una scarsità generale di prodotti in rapporto alla richiesta sociale. Basta questo a dare alla riproduzione nella società capitalistica un volto particolare, diverso da quello di tutte le altre forme storiche di produzione. In primo luogo, ogni ramo della produzione compie qui un moto entro certi limiti indipendente, che porta di volta in volta a interruzioni piú o meno lunghe della riproduzione. In secondo luogo, gli scarti fra la riproduzione nei singoli rami e i bisogni sociali si sommano periodicamente in una incongruenza generale, da cui deriva una generale interruzione della riproduzione. Il quadro offerto dalla riproduzione capitalistica è dunque affatto particolare. Mentre in ogni altra forma di economia — prescindendo da interventi dispotici dall'esterno — la riproduzione si svolge come un circuito regolare ininterrotto, la riproduzione capitalistica può essere soltanto rappresentata, per servirci di una nota formula sismondiana, come una serie continua di spirali, i cui giri, inizialmente ristretti, diventano via via piú larghi e infine larghissimi, dopo di che si verifica una contrazione, e la nuova spirale ríprende a giri ridotti per ripetere la stessa figura fino alla successiva interruzione.

L'alternarsi periodico dell'espansione massima della riproduzione e del suo contrarsi fino al parziale arresto, cioè quello che si chiama il ciclo periodico della bassa congiuntura, dell'alta congiuntura e della crisi, costituisce la peculiarità piú appariscente della riproduzione capitalistica.

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Pagina 471

Appendice



Ciò che gli epigoni hanno fatto della teoria marxista


Una anticritica



I.

Habent sua fata libelli — i libri hanno un loro destino. Mentre scrivevo la mia Accumulazione, mi ossessionava continuamente il pensiero che tutti gli studiosi seguaci della dottrina marxiana avrebbero proclamato perfettamente ovvio quanto mi ero sforzata con tanta cura di chiarire e dimostrare. Nessuno — pensavo che avrebbero detto — ha mai pensato diversamente: la soluzione del problema è l'unica possibile. Invece non è andata cosí: una serie di critici della stampa socialdemocratica hanno proclamato che l'impostazione del mio libro è sbagliata da cima a fondo, perché in questo campo non esiste problema da risolvere ed io sono rimasta pietosamente vittima di un malinteso. Non solo, ma la pubblicazione del mio libro è stata accompagnata da avvenimenti di cui il meno che si possa dire è che sono inusitati. La «recensione» apparsa sul «Vorwδrts» del 16 febbraio 1913 ha, nel tono e nel contenuto, qualcosa di stupefacente anche per il lettore poco addentro nella materia, tanto piú in quanto l'opera criticata ha un puro carattere teorico, non polemizza contro nessun marxista vivente, è di una rigorosa aderenza ai fatti. Come se non bastasse, si svolge nei riguardi di quanti hanno pubblicato recensioni favorevoli del mio libro una specie di azione tutoria, condotta con particolare zelo dall'organo centrale del partito. Cosa strana e un tantino buffa: in questioni puramente teoriche, relative ad argomenti complessi e astrattamente scientifici, l'intera redazione di un giornale politico — di cui al massimo due membri hanno letto il libro — si lanciano in una sua condanna collegiale, negando a uomini come Franz Mehring e J. Karski ogni competenza in questioni economiche, e promovendo invece a «competenti» solo quelli che l'hanno demolito. Un simile destino non è mai stato riservato, ch'io sappia, a nessuna primizia della letteratura di partito dal giorno in cui questa esiste, né si direbbe che sia tutto oro e perle ciò che da decenni esce dai torchi della socialdemocrazia. Il carattere eccezionale di questi fatti può soltanto dimostrare che il libro ha toccato passioni del tutto diverse dalla «scienza pura».

Comunque, per farsene una ragione, occorre conoscere almeno nelle grandi linee i termini della questione. Di che cosa tratta, questo libro cosí aspramente combattuto? Per il gran pubblico, la materia ne è resa ostica da un aspetto esteriore ed accessorio: il largo uso che vi si fa di formule matematiche. Queste formule costituiscono, anzi, il punto centrale delle critiche rivolte al libro, e alcuni dei critici piú severi si sono affannati, per darmi una lezione, a inventarne di ancor piú complicate e originali. Vedremo piú oltre come questa predilezione dei «competenti» per gli schemi non sia affatto casuale, ma si ricolleghi direttamente al loro modo di impostare le questioni. Comunque, il problema dell'accumulazione è in se stesso un problema puramente economico e sociale, non ha a che vedere con formule matematiche, può essere impostato e compreso anche senza formule matematiche. Se Marx, nella sezione del suo Capitale che tratta della riproduzione del capitale sociale totale, ha costruito schemi matematici (allo stesso modo che cento anni prima li aveva costruiti Quesnay, padre della scuola fisiocratica e fondatore dell'economia politica in quanto scienza esatta), ciò doveva servirgli a semplificare e chiarire l'argomentazione, a illustrazione del fatto che i fenomeni della vita economica nella società borghese costituiscono, ad onta dell'intreccio confuso delle sue manifestazioni superficiali e dell'apparente dominio dell'arbitrio individuale, rapporti regolati da leggi altrettanto ferree quanto quelle che reggono i fenomeni fisici. E poiché la mia indagine sull'accumulazione si fondava sulla rappresentazione schematica datane da Marx per sottoporla a critica; poiché Marx non è andato, in merito al problema dell'accumulazione, oltre la fissazione di alcuni schemi e un principio di loro analisi, e proprio questo è stato il punto di innesto della mia critica, era naturale che io dovessi ricorrere agli schemi di Marx. Anzitutto, perché non potevo arbitrariamente escluderli dall'esposizione marxiana; in secondo luogo, perché si trattava per me appunto di dimostrarne l'insufficienza.

Cerchiamo dunque di cogliere il problema nella sua forma piú semplice, e senza formule matematiche.

Il modo dí produzione capitalistico è dominato dall'interesse al profitto. Per ogni capitalista la produzione ha senso e scopo solo se gli permette, anno per anno, di riempirsi le tasche di un «utile netto», del profitto, che rimane in eccedenza a tutti i suoi investimenti di capitale. Ma la legge fondamentale della produzione capitalistica, che la distingue da ogni altra forma economica basata sullo sfruttamento, è non soltanto il profitto in moneta sonante, ma un profitto sempre crescente. A questo scopo il capitalista, anche qui in modo nettamente diverso da qualunque altro tipo storico di sfruttatore, destina il frutto del suo sfruttamento non solo né in prima linea al lusso personale, ma in misura crescente allo sviluppo dello sfruttamento. La maggior parte del profitto ottenuto viene dunque aggiunto al capitale, e fatto servire all'allargamento della produzione. In tal modo il capitale, secondo l'espressione di Marx, si «accumula», e, come premessa e a un tempo conseguenza dell'accumulazione, la produzione capitalistica si estende sempre piú.

Per raggiungere quest'effetto, non basta tuttavia la buona volontà dei capitalisti. Il processo è legato a rapporti sociali obiettivi, che si possono sintetizzare nel modo che segue.

Anzitutto, per render possibile lo sfruttamento, è necessaria la presenza di una sufficiente massa di forza-lavoro. A questo provvede, una volta storicamente avviato e consolidatosi il modo di produzione capitalistico, lo stesso meccanismo di questa produzione: 1) mettendo bene o male i salariati in condizione di sostentarsi mediante il salario ricevuto ai fini dell'ulteriore sfruttamento e di riprodursi per naturale incremento, ma non piú di tanto; 2) costituendo, mediante la continua proletarizzazione dei ceti medi e la concorrenza fra macchina e lavoratore nella grande industria, un esercito di riserva sempre disponibile di proletariato industriale.

Soddisfatta questa condizione, cioè assicurata una materia di sfruttamento sempre disponibile sotto forma di proletari salariati, e regolato mediante lo stesso sistema salariale il meccanismo dello sfruttamento, una nuova condizione fondamentale dell'accumulazione del capitale si presenta: la possibilità di vendere in un raggio sempre piú largo le merci prodotte dai salariati, per riottenere in denaro sia le somme spese dai capitalisti, sia il plusvalore estorto dalla forza-lavoro. «La prima condizione dell'accumulazione è che il capitalista sia riuscito a vendere le sue merci e a ritrasformare in capitale la maggior parte del denaro cosí ricevuto» (Das Kapital, libro I, sez. VII, Introduzione). Affinché l'accumulazione come processo continuo abbia luogo, è dunque indispensabile al capitale la possibilità sempre crescente di smerciare i suoi prodotti.

La prima condizione dello sfruttamento, come si è visto, se la crea lo stesso capitale. Il I libro del Capitale analizza accuratamente e descrive questo processo. Ma e la realizzabilità dei risultati dello sfruttamento, le possibilità di smercio? Da che cosa dipendono? Θ nel potere del capitale o nell'essenza del meccanismo della sua produzione di allargare lo smercio conformemente alle sue esigenze, allo stesso modo che adatta alle sue esigenze il numero dei lavoratori salariati? La risposta è negativa. Si manifesta qui la dipendenza del capitale dalle condizioni sociali. La produzione capitalistica, pur con le sue fondamentali diversità dalle altre forme storiche di produzione, ha questo in comune con esse, che, sebbene il suo scopo determinante sia, soggettivamente, il puro interesse al profitto, essa deve oggettivamente soddisfare i bisogni materiali della società, e può raggiungere quello scopo soggettivo solo se e nella misura in cui risponde a questo compito obiettivo. Le merci capitalistiche possono essere vendute solo se e in quanto soddisfino i bisogni della società: solo a questa condizione il profitto in esse incorporato può trasformarsi in denaro. Il continuo allargamento della produzione capitalistica, cioè la continua accumulazione, è perciò legato ad un altrettanto continuo allargamento del fabbisogno sociale.

Ma che cos'è il fabbisogno sociale? Θ qualcosa di esattamente definibile e misurabile, o rimaniamo anche qui nel campo dei concetti vaghi e indefiniti?

In realtà, la cosa, vista cosí come si presenta a tutta prima alla superficie della vita economica nella sua prassi quotidiana, cioè dall'angolo visuale del capitalista singolo, appare incomprensibile. Un capitalista produce e vende macchine. Suoi acquirenti sono altri capitalisti, che comprano le sue macchine per produrre, a loro volta, altre merci. Il primo può dunque tanto piú collocare le sue merci, quanto piú i secondi allargano la loro produzione; può tanto piú rapidamente accumulare, quanto piú altri accumulano nei loro rami di produzione. Qui, dunque, il «fabbisogno sociale» cui il nostro capitalista è legato sarebbe il fabbisogno di altri capitalisti; il presupposto dell'allargamento della sua produzione, quello della loro. Un altro produce e vende mezzi di sussistenza per i lavoratori: può tanto piú venderli, e perciò accumular capitale, quanti piú lavoratori sono impiegati da altri capitalisti (e da lui stesso), o, in altre parole, quanto piú altri capitalisti producono e accumulano. Da che cosa dipende che gli «altri» possano allargare la loro attività? Ancora una volta, si direbbe, dal fatto che «questi» capitalisti, per esempio i produttori di macchine o di mezzi di sussistenza, comprino in misura crescente le loro merci. Il «fabbisogno sociale», da cui l'accumulazione del capitale dipende, sembra dunque essere, a primo sguardo, l'accumulazione medesima del capitale. Quanto piú il capitale accumula, tanto piú accumula — è a questa vuota tautologia o a questo circolo vizioso che una piú attenta analisi sembra portarci. Ma dov'è il punto di partenza, l'iniziativa del moto? Θ chiaro che giriamo su noi stessi; il problema ci sfugge continuamente di mano. Cosí è infatti, ma solo finché ci limitiamo a studiarlo dal punto di vista della superficie del mercato, cioè del capitalista singolo, piattaforma prediletta dell'economista volgare.

Ma la questione prende subito forme e contorni precisi se esaminiamo la produzione capitalistica come un tutto, dal punto di vista del capitale totale, che è anche, in definitiva, l'unico giusto e determinante. Θ appunto questo che Marx svolge sistematicamente solo nel II libro del Capitale, ma che ha posto a base dell'intera sua teoria. L'esistenza privata e sovrana del capitale singolo è, in realtà, solo la forma esteriore, la superficie della vita economica; solo l'economista volgare può considerarla essenza delle cose e fonte unica della loro comprensione. Al di sotto di questa superficie, e pur attraverso tutte le contraddizioni della concorrenza, rimane il fatto che i capitali singoli costituiscono socialmente un tutto, che la loro esistenza e il loro moto sono regolati da leggi sociali comuni che solo per effetto della mancanza di un piano e dell'anarchia del sistema vigente si impongono, attraverso continue deviazioni, dietro le spalle dei capitalisti singoli e contro la loro coscienza.

Se consideriamo la produzione capitalistica come un tutto, anche il fabbisogno sociale diventa una grandezza afferrabile, scomponibile nei suoi elementi.

Immaginiamo che tutte le merci annualmente prodotte nella società capitalistica vengano riunite in un solo enorme mucchio per trovare impiego come massa nella società; e ci accorgeremo subito che questa poltiglia di merci si suddivide naturalmente in alcune grandi categorie di diversa natura e destinazione.

In ogni forma sociale e in ogni tempo la produzione deve, in un modo o nell'altro, procedere: 1) a nutrire, vestire, soddisfare i bisogni molteplici della società mediante oggetti materiali; cioè, in altre parole, a produrre mezzi di sussistenza in senso lato per la popolazione di ogni condizione ed età; 2) a produrre mezzi di produzione a sostituzione dei consumati (materie prime, attrezzi, fabbricati), per render possibile la sopravvivenza della società, il suo ulteriore lavoro. Senza la soddisfazione di questi due elementari bisogni di ogni società umana, lo sviluppo della civiltà, il progresso, sarebbero impossibili. Anche la produzione capitalistica deve, pur con tutta la sua anarchia e indipendentemente dall'interesse per il profitto, tener esatto conto di queste elementari esigenze.

Di conseguenza, nel magazzino generale di merci capitalistiche da noi immaginato, si troveranno anzitutto un gruppo di merci a sostituzione dei mezzi di produzione consumati nell'ultimo anno: le nuove materie prime, le macchine, i fabbricati, ecc. (ciò che Marx chiama «capitale costante»), che i diversi capitalisti producono gli uni per gli altri nelle loro aziende, e che debbono reciprocamente scambiarsi perché in tutte le aziende la produzione possa essere ripresa sulla precedente scala. Poiché (secondo la nostra ipotesi) sono le aziende capitalistiche a fornire tutti i mezzi di produzione richiesti per il processo lavorativo della società, lo scambio delle merci corrispondenti sul mercato sarà anche, per cosí dire, una pura faccenda interna, domestica, dei capitalisti nei loro reciproci rapporti. Il denaro necessario per mediare in tutti í suoi aspetti lo scambio delle merci esce, naturalmente, dalle tasche della medesima classe capitalistica — dovendo ogni capitalista disporre a priori del capitale-denaro necessario per il proprio esercizio — e, compiuto lo scambio, ritorna altrettanto naturalmente dal mercato nelle sue tasche.

Poiché fino a questo punto non consideriamo che il rinnovo dei mezzi di produzione sulla scala precedente, la stessa somma di denaro basta anche, anno per anno, a mediare periodicamente l'approvvigionamento reciproco dei capitalisti in mezzi di produzione, e ritornare sempre, per un periodo di riposo, nelle loro tasche.

Una seconda grande sezione della massa delle merci capitalistiche deve, come in ogni società, contenere i mezzi di sussistenza della popolazione. Ma come si articola, nella forma sociale capitalistica, la popolazione, e come ottiene i mezzi per vivere? Due forme fondamentali caratterizzano il modo di produzione capitalistico. Primo: scambio generale di merci, il che significa, in questo caso, che nessuno riceve il piú piccolo mezzo di sussistenza dalla massa sociale delle merci se non possiede, per il suo acquisto, del denaro. Secondo: sistema salariale, cioè un rapporto per cui la gran massa della popolazione lavoratrice ottiene i mezzi di acquisto delle merci solo mediante scambio della forza-lavoro col capitale, e la classe possidente ottiene i suoi mezzi di sussistenza solo mediante sfruttamento di questo particolare rapporto. Perciò la produzione capitalistica presuppone di per sé due grandi classi: capitalisti e lavoratori, in posizione radicalmente diversa in rapporto al rifornimento in beni di consumo. I lavoratori, per quanto indifferente sia al capitalista singolo il loro destino personale, devono essere almeno nutriti, nei limiti in cui la loro forza-lavoro è utilizzabile ai fini del capitale, per rimaner disponibili a un ulteriore sfruttamento: sulla massa complessiva delle merci da loro prodotte la classe capitalistica destina loro ogni anno una parte di mezzi di sussistenza, nella precisa misura della loro possibilità di impiego nella produzione. Per comprare queste merci i lavoratori ricevono dai loro imprenditori salari in forma monetaria. Ne segue che, attraverso lo scambio, la classe lavoratrice riceve ogni anno dalla classe capitalistica vendendole la propria forza-lavoro, una certa somma di denaro, con cui ritira dalla massa sociale delle merci, proprietà degli stessi capitalisti, la parte di mezzi di sussistenza riservatale a seconda del suo sviluppo civile e del livello raggiunto dalla lotta di classe. Il denaro che media questo secondo grande scambio nella società esce dunque anch'esso dalle tasche dei capitalisti: ogni capitalista deve, per l'esercizio della sua azienda, anticipare quello che Marx chiama «capitale variabile», cioè il capitale-denaro necessario per l'acquisto della forza-lavoro. Ma questo denaro, appena i lavoratori hanno acquistato i loro mezzi di sussistenza (cosa che ogni lavoratore deve fare per il sostentamento suo e della sua famiglia), riaffluisce fino all'ultimo centesimo nelle tasche dei capitalisti in quanto classe, essendo ancora gli imprenditori capitalisti a vendere come merci ai lavoratori i mezzi di consumo. Veniamo ora al consumo dei capitalisti medesimi. I mezzi di sussistenza della classe capitalistica le appartengono già come massa di merci anteriormente allo scambio, e ciò in forza del particolare rapporto capitalistico per cui tutte le merci – con la sola eccezione della merce forza-lavoro – nascono come proprietà del capitale. E poiché quei mezzi di consumo «di qualità superiore» nascono, proprio perché merci, come proprietà di molti capitalisti privati disseminati, come proprietà privata rispettiva di ogni capitalista singolo, ne segue che la classe capitalistica giunge a godere della massa di beni di consumo ad essa pertinenti – esattamente come del capitale costante – mediante uno scambio reciproco fra capitalisti. Anche questo scambio sociale dev'essere mediato dal denaro, e la quantità di denaro necessaria a questo fine dev'essere gettata a piú riprese in circolazione dai capitalisti, trattandosi, come per il rinnovo del capitale costante, di una faccenda interna, domestica, della classe degli imprenditori. E, come prima, anche questa somma ritorna regolarmente, effettuato lo scambio, nelle tasche della classe da cui era uscita.

Che ogni anno sia effettivamente prodotta la necessaria quantità di mezzi di consumo con gli articoli di lusso necessari per i capitalisti, è un fatto a cui provvede lo stesso meccanismo dello sfruttamento capitalistico che regola il rapporto salariale. Se í lavoratori producessero solo quel tanto di mezzi di sussistenza che occorre per mantenerli, la loro occupazione sarebbe, dal punto di vista del capitale, un assurdo. Essa comincia ad acquistare un senso solo se il lavoratore provvede, oltre al proprio mantenimento, che corrisponde al proprio salario, anche al mantenimento di chi «gli dà il pane», cioè se produce, secondo l'espressione di Marx, del «plusvalore» per i capitalisti. E questo plusvalore deve servire fra l'altro a provvedere la classe capitalistica, come ogni classe sfruttatrice nei precedenti periodi storici, del necessario sostentamento e lusso. Ai capitalisti rimane la particolare cura di provvedere, con lo scambio reciproco delle merci corrispondenti e la preparazione dei mezzi monetari necessari, all'esistenza piena di spine e di rinunce della propria classe, e alla sua naturale riproduzione.

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