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| << | < | > | >> |IndiceIX Premessa e ringraziamenti 1 I presupposti 2 Gli esordi 6 I primi decenni 12 Qualche anno più tardi... 16 Fotografia e scienza Schede: 17 1. William Henry Fox Talbot 19 2. Mathew B. Brady 20 3. Roger Fenton 21 4. Robert Adamson e David Octavius Hill 22 5. Nadar 24 6. Henri Le Secq 25 7. Felice Beato 26 8. Timothy O'Sullivan 27 9. Eadweard Muybridge 29 10. Lewis Carroll 30 11. Julia Margaret Cameron 32 12. Eugène Atget 34 13. Guillaume Duchenne de Boulogne 35 Il pittorialismo Schede: 41 14. Alfred Stieglitz 43 15. "Camera Work" 45 16. Edward J. Steichen 47 17. Paul Strand 49 18. Léon-Robert Demachy 50 19. Wilhelm von Glòden 52 20. Giorgio Sommer 53 Dal pittorialismo alla fotografia diretta Schede: 67 21. Alexandr Rodcenko 68 22. Il Bauhaus 70 23. August Sander 72 24. Raoul Hausmann 74 25. Karl Blossfeldt 76 26. Albert Renger-Patzsch 77 27. André Kertész 79 28. Alfred Eisenstaedt 81 29. John Heartfield 82 30. Bill Brandt 84 31. Man Ray 86 32. Cecil Beaton 88 33. Luigi Veronesi 90 34. Fotografia futurista 92 35. Occhio quadrato 94 36. Ghitta Carell 95 37. Federico Patellani 97 38. Brassai 99 39. Florence Henri 101 40. Jacques-Henri Lartigue 103 41. Edward Weston 105 42. Imogen Cunningham 107 43. Ansel Adams 109 44. Gruppo F64 110 45. Assunta Saltarini Modotti 112 46. Walker Evans 114 47. Dorothea Lange 116 48. Lewis Wickes Hine 118 49. Margaret Bourke-White 120 50. William Eugene Smith 122 51. Aaron Siskind 123 52. Paul Outerbridge jr 125 53. Harry Callahan 127 54. Joseph Sudek 129 Dagli anni quaranta ai sessanta 137 Italia 147 Intervista a Uliano Lucas Schede: 157 55. Robert Capa 159 56. Henri Cartier Bresson 161 57. Chim 163 58. Werner Bischof 165 59. Weegee 167 60. William Klein 169 61. Diane Arbus 171 62. Lisette Model 172 63. Minor White 174 64. Irving Penn 176 65. Richard Avedon 180 66. Raymond Depardon 182 67. Robert Frank 184 68. Eliot Erwitt 186 69. Ralph Eugene Meatyard 187 70. Les Krims 189 71. Duane Michals 191 72. Lee Friedlànder 193 73. Garry Winogrand 195 74. Jan Saudek 197 75. Josef Kudelka 199 76. Giuseppe Cavalli 201 77. Paolo Monti 203 78. Mario Giacomelli 205 79. Ugo Mulas 209 La fotografia di moda Schede: 219 80. Erwin Blumenfeld 221 81. George Hoyningen Huene 222 82. Horst Paul Horst 224 83. Helmut Newton 226 84. Bruce Weber 227 85. Herb Ritts 228 86. Robert Mapplethorpe 230 87. David La Chapelle 233 Arte e fotografia tra gli anni sessanta e settanta 253 Conversazione con Franco Vaccari 259 Dagli anni ottanta a oggi (I) 293 Intervista a Mauro Ghiglione 297 Anni ottanta e novanta (II) 309 Intervista a Gabriele Basilico Schede: 316 88. Luigi Ghirri 320 89. Olivo Barbieri 322 90. Mimmo Jodice 324 91. Guido Guidi 326 92. Vincenzo Castella 328 93. Giovanni Chiaramonte 330 94. Mario Cresci 332 95. Francesco Radino 334 96. Martin Parr 336 97. Joel-Peter Witkin 338 98. Sebastiào Salgado 339 99. Ferdinando Scianna 341 Il digitale 343 Appendice. Le professioni della fotografia 345 L'Arte della fotografia. Tecniche e materiali dall'Ottocento a oggi, di Silvia Berselli 351 Intervista a Laura Gasparini 363 Intervista ad Arrigo Ghi 365 Intervista a Fabio Castelli 369 Intervista a Cristina De Vecchi 375 Bibliografia 395 Indice delle schede 397 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina 1I presuppostiDare un inizio preciso alla storia della fotografia è complesso e, forse, tutto sommato impossibile. Si potrebbe scegliere, convenzionalmente, la registrazione del brevetto da parte di Daguerre nel 1839, sebbene la questione sia assai più complessa. Si è rivelato fondamentale a tale proposito l'apporto teorico fornito da Peter Galassi: «Le origini prime della fotografia – tecniche e estetiche – risiedono nell'invenzione quattrocentesca della prospettiva lineare. Sotto l'aspetto tecnico si può dire che la fotografia non è che un mezzo per produrre automaticamente delle immagini in una prospettiva perfetta. Il lato estetico è più complesso e acquista significato soltanto in termini storici più ampi». La fotografia, o meglio la necessità di registrare nel modo più obiettivo e scientifico possibile il "circostante", il fenomenico in senso filosofico, ha avuto un periodo di gestazione di ben quattro secoli. Se si considera tale distanza temporale, per chiarire il percorso che precede l'invenzione vera e propria della tecnica fotografica sono fondamentali le figure di artisti-studiosi quali Paolo Uccello, Piero della Francesca, Caravaggio. Quest'ultimo aveva acquisito certi procedimenti tecnici dal contatto con personaggi a lui vicini, quali Giovanni Battista Della Porta, uno scienziato sui generis che orbitava nella cerchia romana del Cardinal del Monte, mecenate dell'artista. Della Porta scrive, nel 1593, il De refratione, un saggio sull'ottica, ma già nella prima edizione della Magia naturalis del 1589 sostiene la necessità di potenziare la vista per capire la vita, suggerendo l'uso della camera oscura come aiuto nel disegno: «Se non sapete dipingere, con questo strumento potete disegnare [il contorno dell'immagine] con una matita. Poi vi restano solo da stendere i colori. Questo risultato si ottiene riflettendo l'immagine verso il basso su un tavolo da disegno coperto da un foglio di carta. Per una persona dotata di talento è un'operazione molto facile». | << | < | > | >> |Pagina 16Fotografia e scienzaFondamentale è il rapporto fra scienza e fotografia, dal momento che nell'ambito del positivismo la fotografia acquista un'importanza decisiva. Famosa è la dichiarazione di Émile Zola: «Non si può pretendere di avere visto realmente qualcosa prima di averlo fotografato». Zola è stato un fotografo di qualità, così come lo sono stati altri due "naturalisti" e importanti protagonisti della storia della letteratura: Giovanni Verga e Federico De Roberto. Già fra gli anni cinquanta e gli anni settanta dell'Ottocento, per esempio, in Inghilterra, in Germania e negli Stati Uniti si sviluppa la microfotografia applicata a problemi di ordine scientifico. Alla fine del secolo la fotografia diviene strumento di misurazione: metrofotografia per le rilevazioni fotografiche, o fotografia microscopica in ausilio alla fisiologia, alla biologia. Trent'anni dopo gli esperimenti e le ricerche del padre, Paul Nadar, insieme ai fratelli Tissandier, porta avanti la fotografia "dall'alto" attraverso riprese verticali di Parigi. Nel 1852 Warren de la Rue fotografa la luna e lo stesso farà Lewis Rutherford negli anni sessanta, grazie a un apparecchio sofisticato e di precisione. Una delle scienze che maggiormente si era sviluppata nel corso del XIX secolo era la fisiognomica, a cui si era avvicinato anche Nadar. Negli ultimi anni del secolo la fisiognomica viene applicata a studi più ampi: Cesare Lombroso, collezionista di crani e fotografie di uomini e donne delinquenti al fine di studiare le regole e le modalità delle perversioni e delle varie devianze, ne fa largo uso come accompagnamento delle sue teorie criminologiche. Interessanti in tal senso gli studi di Duchenne de Boulogne [scheda 13] sui meccanismi della fisiognomica, mediante la stimolazione elettrica dei muscoli facciali. In questi anni nascono all'interno degli ospedali le prime fototeche, legate soprattutto all'ambito medico legale. La fotografia viene applicata alla diagnostica: si pensi alle scoperte di Röntgen, ma anche alle diagnosi del fotografo Secondo Pia, che analizza la Sacra Sindone, le cui foto assumono una valenza sacra, poiché a loro volta indice e registrazione del sudario di Cristo. Importante anche la fotografia relativa ai fatti del Risorgimento italiano, studiata da uno dei padri della storiografia fotografica italiana, Lamberto Vitali, costituita principalmente da ritratti di vivi, di feriti e di morti, ma anche di luoghi di battaglia. Di grande interesse è anche la fotografia sul tema del brigantaggio, che raffigura perlopiù scene di morti e di esecuzioni, sviluppata principalmente nel meridione d'Italia. In questo ambito potrebbe essere collocata anche la fotografia archeologica, che può essere divisa in due gruppi: quella turistica, tesa a documentare scavi e monumenti a uso del grande pubblico, e quella scientifica, a uso di archeologi e di studiosi che documenta i lavori di scavo e di rinvenimento, le opere riscoperte, le varie modalità del restauro degli oggetti e dei monumenti. Tale fotografia ha per oggetto l'Italia, l'Egitto, il Medio Oriente e tutti quei luoghi dove sono fiorite le antiche civiltà. Esiste inoltre una fotografia delle singole opere che serve a mettere in luce anche i dettagli. | << | < | > | >> |Pagina 233Arte e fotografia tra gli anni sessanta e settantaA partire dall'inizio degli anni sessanta si è assistito a un massiccio uso della fotografia, con un picco ancora maggiore nel decennio successivo. In quel periodo si è registrato un vero e proprio boom a livello sociale, come già era accaduto con le avanguardie, dovuto alla "non artisticità" del mezzo che, in forma più o meno economica, era entrato in quasi tutte le case del mondo occidentale. Si è assistito a una democratizzazione straordinaria che, ovviamente, ha avuto una certa influenza anche per autori e artisti. A partire dalla metà degli anni sessanta, che hanno immediatamente preceduto l'arte concettuale, la fotografia divenne un strumento di ricerca e di lavoro fondamentale per numerosi artisti in Italia e all'estero, e principalmente negli Stati Uniti. L'arte concettuale — diretta nipote di Duchamp e delle avanguardie – la Land Art, la Body Art, la Narrative Art e Fluxus si servirono del valore di traccia e di documentazione della fotografia, senza attribuirle, nella maggior parte dei casi, un plusvalore estetico. Nel 1968 si svolge, presso la Duran Gallery di New York, la mostra Earthworks, dove furono presentate sotto forma di fotografie opere di Michael Heizer, Richard Long, Dennis Oppenheim e Sol Lewitt, accompagnate da scritti, grafici e schemi, due anni dopo la prima mostra dedicata all'arte concettuale, Working Drawings and Other Visible Things on Paper not Necessarily Meant to Be Viewed as Art, tenutasi nel 1966 presso la School of Visual Arts di New York. Della fotografia si mettono in evidenza la peculiarità e la capacità di cogliere e di bloccare la realtà nel suo farsi. Nel 1969 Seith Siegelaub, uno dei più importanti critici del concettuale, scrive: Per la pittura e la scultura, dove la presenza visuale [...] è importante, la fotografia o la descrizione non sono che mezzi impropri. Ma quando l'arte concerne delle cose che non hanno niente a che vedere con una presenza fisica, il suo valore (comunicativo) intrinseco non è alterato dalla presentazione stampata. L'uso di cataloghi e di libri per comunicare (e diffondere l'opera) è il modo più neutro di presentare questa nuova forma d'arte. Il catalogo può ormai servire da informazione di prima mano (primary information) per la mostra, in opposizione a quella di seconda mano (secondary information) relativa all'arte nelle riviste ecc., e in certi casi la "mostra" può essere il "catalogo".' In questo senso può essere letto il concetto di "anti-fotografia" di cui parla Nancy Foote, che troverà un particolare sviluppo negli anni successivi. Gli "anti-fotografi" sono coloro che utilizzano la fotografia per un uso esclusivamente documentario come i Land Artists: Richard Long, Hamish Fulton, Walter De Maria, Robert Smithson e Nils Udo. Si cercava di abbandonare il concetto di stile e di trasformare la fotografia in uno strumento neutro da utilizzare in quanto indice e traccia del reale. Si pensi alle parole di Marshall McLuhan, uno dei punti di riferimento di questa epoca e, in particolare, al suo Understanding Media (1964). Andy Warhol nelle sue operazioni Pop utilizzò l'immagine fotografica per rielaborarla e trasformarla in quadro, non discostandosi dalla tradizione. Lo stesso fece prima di lui nel 1956 Richard Hamilton, autore del collage Just What is It that Makes Today's Home so Different, so Appealing?, esposto nella mostra This is Tomorrow. L'elaborazione e la traformazione dell'immagine fotografica caratterizzarono la ricerca di Robert Rauschenberg, che si impossessò delle foto tratte dai giornali attraverso un procedimento chimico-tipografico basato sulla trielina. Già alla fine degli anni quaranta Francis Bacon aveva utilizzato per una sua opera pittorica un fotogramma del regista russo Sergej Ejzenstejn e di alcune immagini di Muybridge, operando una sorta di contaminazione di linguaggi. Sempre in quel periodo Edoardo Paolozzi si serviva di immagini fotografiche ritagliate dalle riviste secondo una pratica già in voga tra i dadaisti e, ancor prima, tra i maestri del collage di derivazione cubista. Con il concettuale l'arte usciva dalla forma del quadro e dalla contestualizzazione del museo come luogo che ne certificava la valenza artistica. Nel 1969 si inaugurava la mostra Live in Your Head. When Attitudes Become Forms, curata da Harald Szeemann, che riuniva sessantanove artisti di diverse nazionalità, e dava uno spazio significativo alle opere fotografiche. L'esperienza di Fluxus, movimento internazionale di arte e vita fondato da George Maciunas nel 1961, fu strettamente legata al dadaismo. La fotografia, nella sua accezione "fredda" era di fondamentale importanza quale strumento di registrazione, in grado di fissare e documentare le azioni e gli happening. Si pensi ad Allan Kaprow, Robert Filliou, Joseph Beuys, Giuseppe Chiari e Gianni Emilio Simonetti. In quegli stessi anni il libro stava diventando il luogo dell'opera, testimonianza e contenitore. Forse primo esempio di questa nuova tendenza fu il libro di Ed Ruscha Twentysix Gasoline Stations, realizzato nel 1963, in cui erano riprodotte, senza alcuna pretesa artistica, immagini di stazioni di servizio lungo le strade americane. Ruscha stesso ha definito il suo metodo «anti-fotografico», modificando così la tradizionale distinzione tra finzione e documento. | << | < | > | >> |Pagina 341Il digitaleUno degli argomenti di maggior dibattito degli ultimi anni in ambito fotografico è il passaggio dall'analogico al digitale. In tal senso si passa, semplificando molto, dal territorio del materiale a quello dell'immateriale. Régis Debray sottolinea: Nella storia dell'immagine, il passaggio dall'analogico al digitale instaura una rottura che nel suo principio è equivalente all'arma atomica nella storia degli armamenti o alla manipolazione genetica della biologia. Da via d'accesso all'immateriale, l'immagine informatizzata diventa essa stessa immateriale, informazione quantificata, algoritmo, matrice di numeri modificabile a volontà e all'infinito tramite un'operazione di calcolo. Allora quel che coglie la vista non è più nient'altro che un modello logico-matematico, stabilizzato provvisoriamente. La fotografia digitale è un mondo a parte dove è comoda convenzione l'utilizzo del termine "fotografia". Il digitale, infatti, anche quando registra un'immagine è cosa altra rispetto alla fotografia, intesa sia come indice sia come icona in senso artistico. Si tratta di un linguaggio, di un mondo diverso, che come tutte le rivoluzioni fa una gran paura. Mi pare in tal senso prevedibile, anche se non giustificabile, l'atteggiamento negativo nei suoi confronti di molti fotografi. Si pensi all'accoglienza che oltre centosessant'anni fa è stata riservata alla fotografia: la paura del cambiamento che è insita nell'uomo, il timore di essere definitivamente sorpassati e cancellati. Molte operazioni, a questo punto, perdono di senso; l'operare in un certo modo non ha più ragion d'essere, ma non per questo perde di senso la fotografia in quanto tale. La ricerca sul territorio fotografico acquista, anzi, a maggior ragione un senso e un interesse ancora più precipuo e portante. Il digitale può aiutare, ma non sostituire. Mi pare un linguaggio diverso che può assolvere a certe operazioni meglio e più economicamente della fotografia analogica, ma questo non significa che si ponga come sostituto alla stessa. E ancora non è detto che un'opera realizzata in digitale perda il suo valore: mi paiono queste chiusure inaccettabili. Certo che entrano in crisi alcuni dettami che hanno segnato molta fotografia. Un esempio illuminante è quello del ritocco. Se fino a relativamente pochi anni fa il ritocco era addirittura considerato inconcepibile, oggi è tutto diverso. Con il digitale, con i programmi di Photoshop la situazione si è capovolta. Insomma, la storia della fotografia da questo momento in poi deve entrare per forza in un ambito più ampio: quello dell'immagine che può essere realizzata in modi diversi, sino qui analogici o digitali dove il pixel svolge un ruolo da protagonista. Come non ha mancato di sottolineare Régis Debray, infatti, l'avvento de digitale è stato una vera e propria rivoluzione dello sguardo: La simulazione abolisce il simulacro, togliendo così l'immemorabile maledizione che accoppiava immagine e imitazione. La prima era incatenata al suo statuto speculare di riflesso, calco o illusione: nel migliore dei casi sostituto, nel peggiore dei casi inganno, ma sempre illusione. Sarebbe allora la fine del millenario processo delle ombre, la riabilitazione dello sguardo nel campo del sapere platonico. Con il concepimento assistito dal computer, l'immagine prodotta non è più copia seconda di un oggetto anteriore, è l'inverso. Come di tutte le rivoluzioni tecnologiche, insomma, non si può che fare tesoro per guardare con occhio diverso alle cose. Sempre Debray sottolinea che le macchine a questo punto non esististono più solo per diffondere l'immagine, ma anche per crearla. Indubbio anche se relativo, perché la creazione delle immagini avviene solo relativamente per partire da una registrazione.
In tal senso potremmo, dunque, affermare che l'immagine digitale riesce a
essere pura icona? Non solo, non sempre. Sarebbe meglio definirla un'icona, che,
tuttavia, parte da un processo di indicalità per svilupparsi autonomamente.
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