Copertina
Autore Daniela Magnetti
CoautoreLorenzo Mariano Gallo, Elvira D'Amicone, Giovanni Bergamini, Filippo M. Gambari, Maria Cristina Preacco, Gabriella Pantò, Francesco Ascoli, Cesare Verona
Titolo Penna, inchiostro e calamaio
SottotitoloGli strumenti per la scrittura e la loro storia
EdizioneAllemandi, Torino, 2008 , pag. 60, bilingue, ill., cop.ril.sov., dim. 17x24,7x1,7 cm , Isbn 978-88-422-1692-6
TraduttoreErika Young
LettoreGiovanna Bacci, 2009
Classe scrittura-lettura , comunicazione , storia sociale , storia della tecnica , citta': Torino
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Indice


 27 Dalla piuma alla penna

 29 Penna, inchiostro e calamaio
    DANIELA MAGNETTI


 39 Il segno della natura

 41 Dipinti di pietra
    LORENZO MARIANO GALLO


 49 Dall'antichità al XIX secolo

 51 L'homo scribens degli Egizi
    ELVIRA D'AMICONE

 60 Offerte regolari per il palazzo e per i templi di Umma
    GIOVANNI BERGAMINI

 61 I Celti di Golasecca e la più antica scrittura in Italia
    nordoccidentale
    FILIPPO M. GAMBARI

 65 Dal volumen all'instrumentum domesticum:
    supporti e scrittura nel mondo romano
    MARIA CRISTINA PREACCO

 71 Il valore della parola scritta: carte tra i rifiuti
    del XVI secolo dal Monastero di San Sebastiano a Biella
    GABRIELLA PANTÒ

 79 In propria dote. Simboli di proprietà nel servizio
    da refezione delle monache agostiniane di Vercelli
    GABRIELLA PANTÒ

 82 Dal Medioevo all'Età Moderna
    FRANCESCO ASCOLI


 97 Dal Novecento al nuovo millennio

 99 La stilografica vista da Aurora:
    dal 1919 nel cuore e nelle mani degli italiani
    CESARE VERONA


 

 

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Pagina 29

Penna, inchiostro e calamaio

DANIELA MAGNETTI


Dove c'è penna c'è inchiostro, dove c'è inchiostro c'è scrittura. E la scrittura sostiene, provoca la voce. NICO ORENGO, Hotel Angleterre


Per secoli tutta l'energia del pensiero si è resa manifesta attraverso la punta di una penna. È un'immagine che nobilita il segno grafico, qualunque espressione lo abbia generato.

Il segno grafico condensa un'idea, la penna è lo strumento e il foglio di carta solo uno dei molteplici supporti. Lo strumento non ha consapevolezza: la penna è il prolungamento di una mano, l'estensione di un desiderio che prende forma. La penna provoca la voce, suggerisce Nico Orengo, e senza difficoltà alcuna si contrappone al silenzio. La penna cattura le idee lasciate libere dal pensiero, rendendole condivisibili, discusse, propagate. È l'oggetto fisico che veicola il pensiero e lo rende libero di essere partecipato. Sulla mia scrivania osservo un biglietto: una missiva veloce, un messaggio essenziale. Mi soffermo a riflettere. L'attenzione è tutta per il contenuto. Ma a scrivere non sono state le dita veloci sulla tastiera: ha scritto la mano. E la mano ha mosso una matita, una penna, ha lasciato sul foglio una traccia, un ductus che risulta in rapporto diretto, analogico col pensiero: più diretto di quello della tastiera, che certo analogica non è.

La scrittura manuale e la sua disciplina sono lo specchio della disciplina e del rigore intellettuale di chi scrive. Con il suo movimento continuo la penna è tutt'uno con il pensiero che si snoda nell'ordine lineare delle parole ragionate, della sequenza sillogistica. La penna ha il sapore dell'Illuminismo, porta con sé il segno della ragione e per questo è strumento di una scrittura classica e conservatrice. Mentre la tastiera - lungi dall'essere rivoluzionaria - è casuale, effimera, isterica. È tutta postmoderna, connota un mondo di digitanti.

Per questo sulla tastiera, come nella mail, la richiesta di rigore non è la stessa che pesa sul foglio scritto. Sulla tastiera si danno libertà che alla penna non sono concesse. All'esame della scrittura digitale, la doppia mancante, la maiuscola assente, la virgola saltata, l'errore d'ortografia passano e sono tollerati. Al contrario, se questi errori e queste sviste compaiono anche nel più informale e veloce appunto scritto, sono subito notati, diventano oggetto di stupore, di giudizio negativo. La penna che dimentica un accento, che scrive una lettera fuori posto, dà vita a situazioni paradossali, a contrattempi esilaranti e grotteschi. Come avrebbe potuto Gianni Rodari far scattare il divertimento anche dalle regole della grammatica e dagli errori di ortografia se non avesse immaginato una penna rossa pronta a correggere fiumi di inchiostro lasciati da alunni un po' somari? («Per colpa di un accento / un tale di Santhià credeva d'essere alla meta / ed era appena a metà. / Per analogo errore un contadino di Rho / tentava invano di cogliere / le pere da un però...»). La penna rispetta un codice d'onore nell'ortografia come nello stile.

Strumento indispensabile anche per le più alte espressioni dell'arte, attraverso la scrittura e il disegno la penna comunica da sempre, discreta e timorosa, il suo esistere.

Arduo il compito di raccontare lo stretto legame tra la penna e la scrittura senza addentrarsi nella complessa evoluzione di quest'ultima. Attività propria dell'uomo, strumento personale e sociale, la scrittura è la sintesi di un linguaggio codificato, è la più alta forma di comunicazione, ma ha in sé anche un forte impatto simbolico ed espressivo fino a divenire una forma di arte. La notazione grafica ha permesso la conservazione della memoria, non solo di fatti, ma di cultura, di ambiente sociale, dell'essenza espressiva di un popolo.

L'evoluzione del gesto grafico passa attraverso la preistoria, la scrittura dei manoscritti medioevali, rinascimentali e di epoca barocca per arrivare al linguaggio dell'arte dei writers.

Le prime penne utilizzate dall'uomo non erano altro che materiali naturali come la creta o il carbone usati per disegnare pittogrammi sulle pareti delle caverne. Per arrivare alla penna, intesa come la conosciamo noi oggi, bisogna passare attraverso il papiro, la tavoletta di legno incerata e i bastoni di legno incisi. I tentativi di avere uno strumento funzionale alla trascrizione del pensiero, sviluppandolo in testi, disegni o simboli, sono stati svariati nell'arco di millenni.

Uno dei primi risultati è stato ottenuto dagli antichi Egizi attraverso l'uso del papiro e di uno stilo, di osso o di metallo, imbevuto di inchiostro, rosso o nero. L'inchiostro nero era formato da una mistura di fuliggine, acqua e resina e veniva usato per il testo vero e proprio, mentre per ottenere il colore rosso venivano aggiunti ossidi e veniva usato per scrivere il titolo e la fine dei capitoli. I Cinesi, la cui scrittura era caratterizzata dagli ideogrammi, utilizzavano invece un pennello intinto in uno speciale inchiostro per disegno, inventato da Tien-Chen nel III millennio a.C.; la sua formula, a tutt'oggi sconosciuta, si suppone fosse a base di fuliggine, olio e calce che dopo un lungo trattamento veniva essiccato e usato dopo essere stato stemperato con l'acqua. Il pennello usato per disegnare gli ideogrammi era formato da pelo di coniglio che veniva inserito in un tubo di bambù in modo da formare una cima a forma di punta. I Greci usarono, invece, per moltissimo tempo le tavolette di legno coperte di cera o tempera bianca, sulle quali potevano non solo trascrivere testi di uso comune, ma anche fare disegni e calcoli avendo la possibilità di cancellare all'occorrenza gli errori. Usavano come penna uno stilo di osso o di metallo. Gli stili intagliati nell'osso avevano delle scanalature anatomiche per la presa delle dita. Per il papiro veniva invece usato il calamo. I Romani presero dalle varie culture l'uso della tavoletta di cera, detta «tabella», del papiro, che loro chiamarono cor charta e della pergamena. Questi sono solo alcuni dei tanti esempi di evoluzione degli strumenti scrittori nell'antichità.

Durante il Medioevo la scrittura rimase appannaggio dei monaci che avevano elaborato formule particolari per fare gli inchiostri e perfezionato la struttura della penna per fare in modo che gli scritti fossero il più possibile precisi e soprattutto senza macchie. A questo proposito fu adottata la penna d'oca, la cui punta, intagliata, veniva intinta nell'inchiostro.

Una delle più particolareggiate descrizioni di questo insostituibile strumento si trova ne Il libro dell'arte, primo esempio di opera tecnologica rinascimentale, dove Cennino Cennini, pittore di scuola fiorentina, scrive al capitolo XIII (El modo di saper temperar la penna per disegniare):

Se tti bisognia sapere chome questa penna d'ocha si tempera, togli una penna ben soda e rechatela in sul diritto delle due dita della mano mancha, a rovescio, e togli un temperatoio ben tagliente e gientile. E piglia, per largeza, un dito della penna per lungheza; e ttagliala, tirando il temperatoio en verso te, facciendo che lla tegliatura iguali e per mezza la penna, e poi riponi il temperatoio in sull'una delle sponde di questa penna, cioè in sul lato mancho che in verso te guarda, e scharnala e assottigliala in verso la punta, e l'altra sponda taglia al tondo e rridurla a questa medesima punta; poi rivolgi la penna volta in giù e metila in sull'unghia del dito grosso della man zancha; e gientilmente, a poco a poco, scharna e taglia quella puntolina, e ffa' la temperatura grossa et sottile secondo che voi, o per disegniare o per iscrivere.

Descritta a cavallo tra il XIV e il XV secolo, l'operazione «del temperar» comprende alcuni passaggi del taglio che si possono così riassumere: a) la penna, probabilmente già troncata in punta e «condizionata» attraverso immersione in acqua e successivo riscaldamento al fine di migliorarne l'elasticità, viene tagliata, tenendola con le dita della mano sinistra alla distanza di un dito circa dalla punta, con un angolo che porta il tubicino cavo del fusto ad assumere una sezione semicircolare; b) la porzione di punta risultante dal taglio viene sagomata in una forma simile a quella del pennino di un'odierna penna stilografica; c) la punta viene ulteriorménte tagliata secondo la larghezza del tratto di scrittura che si vuole produrre.

Tutto questo per sfatare il celebre gesto di Benigni nel film Non ci resta che piangere, quando, accingendosi a scrivere una lettera, l'attore guarda un'oca appesa in macelleria e, convinto si tratti di una cartoleria, strappa la penna dall'oca iniziando a scrivere.

Tra le tante descrizioni di penne d'oca mi piace citare quella del Cennini soprattutto per annullare lo stereotipo del binomio penna-scrittura.

Penna è, più genericamente, lo strumento del segno la cui peculiarità, il suo essere significato e significante, è argomento di studio della semiotica ed esula dall'obiettivo di questo scritto.

La penna del Cennini è legata al disegno prima ancora che alla parola. Furono i monaci medievali a diffondere per primi l'uso del disegno a penna. Il supporto su cui eseguivano i loro disegni era in genere pergamena: di capra, pecora o anche meno robusta come vitello, agnello e capretto. Le penne di cui si servivano erano solitamente penne d'oca. I disegni dei monaci non furono certo i primi ad essere eseguiti con penne d'oca; tuttavia, i principi di base per l'uso della penna e le tecniche utilizzate in seguito dai formidabili disegnatori del XV secolo risalgono a quel periodo.

Dal Cennini in poi lo sviluppo della penna è continuato con molteplici esperimenti che hanno portato, per raccontarla in breve, all'odierno concetto di penna stilografica più propriamente legato all'azione dello scrivere.

L'evoluzione del pensiero dell'uomo va di pari passo con l'evoluzione della scrittura e la penna deve saper tenere l'andatura.

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