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| << | < | > | >> |IndicePag. 7 Presentazione e ringraziamenti 9 1. Reale e virtuale 79 2. Virtualità e nuovi materiali 85 3. Brevetto: tra virtualità dell'invenzione e realtà dell'innovazione 100 4. Modello e realtà del progetto 106 5. Arte e scienza Appendici 119 I. Appunti sull'iconicità 145 II. Intervista 157 Bibliografia 181 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina 13 [ informazione, software ]Nel 1948 Norbert Wiener, il fondatore della Cibernetica, formulava il suo famoso apodittico giudizio: "Informazione è informazione, non materia o energia." Qualche anno dopo, Gotthard Gunther ribatteva: "Informazione è informazione, non spirito o soggettività." Ma, a dire il vero, la natura dell'informazione è rimasta un problema teorico relativamente aperto. Non c'è da stupirsi dunque che in una società come l'attuale, in cui l'informazione sta assumendo un ruolo fondamentale, alcuni tendano a vedere nel processo di informatizzazione in corso una sorta di globale dematerializzazione e persino spiritualizzazione del mondo in cui viviamo.... Prescindendo, per il momento, da questi aspetti squisitamente epistemologici, è evidente che alcune delle più frequenti attribuzioni di immaterialità sembrano tutt'altro che convincenti. È discutibile, per esempio, definire immateriale il "software". A ben guardare, il "software" è una tecnologia, ossia uno strumento cognitivo che, in modo diretto o indiretto, contribuisce, a conti fatti, a mutamenti senza dubbio di natura materiale. Si pensi soltanto ai programmi destinati a gestire i comportamenti operativi dei robot nella produzione industriale. Meglio sarebbe dunque parlare, come fanno gli studiosi statunitensi, di "tecnologia del pensiero". Certo, il problema ha qui due aspetti: da un lato, ogni mezzo che ha effetti materiali si deve sicuramente considerare tecnologia; dall'altro, come hanno segnalato Allen Newell e Herbert Simon, ogni tecnologia è conoscenza, ossia risultato del pensiero. Tra "logicale" e "ferraglia" c'è quindi un sottile rapporto dialettico, un rapporto di interdipendenza e di interazione. | << | < | > | >> |Pagina 20 [ storia dell'arte ]Semplificando un po' le cose, forse più del legittimo, si potrebbe dire che i diversi modi d'intendere (e praticare) la storia dell'arte, da Vasari a oggi, sono riconducibili alle diverse scelte fatte dagli storici nei confronti delle quattro matrici vasariane. Alcuni hanno preferito enfatizzare la vita degli artisti, e pertanto anche il loro contesto sociale, politico ed economico; altri hanno optato per svelare i contenuti simbolici delle opere per risalire a individuare lo "spirito del tempo" dominante in ogni periodo storico; altri invece si sono concentrati sull'esame delle tecniche di rappresentazione; altri ancora hanno cercato di descrivere la dinamica degli stili, le loro continuità e discontinuità.| << | < | > | >> |Pagina 33 [ rappresentazione ]Personalmente, condivido la tesi che la costruzione prospettica lineare, con il vasto ventaglio di varianti a cui ha dato origine, ha fornito (e continua a fornire) se non "la" rappresentazione della realtà, sicuramente la miglior rappresentazione "convenzionale" finora raggiunta. E questo per il fatto che nessun'altra, nel passato, ha saputo rispondere meglio di essa alle nostre esigenze di un efficace rapporto operativo - ossia comunicativo e produttivo - con il mondo. Efficace rapporto che dipende prevalentemente, oggi più che mai, dall'affidabilità, appunto operativa, delle nostre rappresentazioni visive.Certo, vi è chi la pensa diversamente. Vi è chi continua, lo abbiamo già rilevato, a enfatizzare contro ogni evidenza la natura meramente convenzionale-simbolica di ogni rappresentazione. Costoro negano che nei sistemi di rappresentazione abbia un senso parlare di minore o maggiore realismo, giacché il legame di una immagine illusoria con la realtà sarebbe sempre, e comunque, il risultato di un intervento di codificazione e decodificazione da parte dell'osservatore: siccome non esiste, come davvero non esiste, l' "occhio innocente" (innocent eye), tutto ciò che l'occhio vede non sarebbe altro che una sua bugiarda invenzione. Nel contesto di questo pervicace autocompiacimento di guardarsi come costruttori "ex nihilo" del proprio mondo, in cui rappresentare è solo (o pressappoco) rappresentarsi, la questione del realismo è praticamente improponibile. Pertanto, lo è ancora di più la pretesa di voler misurare il maggiore o minore realismo, ossia la maggiore o minore fedeltà alla realtà di una immagine figurativa. | << | < | > | >> |Pagina 68 [ modelli ]D'altra parte, questa tematica, si sa, ha forti connotati epistemologici. In un certo senso, le immagini computazionali ad altissima fedeltà non sono altro che modelli, modelli informatici. Esse segnano peró un punto di arrivo nella lunga storia delle tecniche di modellazione che, a partire da Gagilei in poi, hanno reso un servizio importante alla sperimentazione scientifica e alla innovazione tecnologica.Di sicuro, neppure la questione attinente al ruolo conoscitivo dei modelli può essere considerata nuova. Tale questione è stata per decenni al centro dell'attenzione della filosofia della scienza. Ma è merito delle odierne ricerche sull' "intelligenza artificiale" - e della controversia tecnico-scientifica e filosofica a cui hanno dato luogo - averla riproposta e rilanciata in un ambito molto più vasto. In questo contesto i modelli di grafica computerizzata assumono un significato peculiare. Non si può negare che essi apportano qualcosa d'inedito nella storia della modellazione, qualcosa che li distingue da altri modelli precedenti. E cioè: la loro natura sincretica. Essi sono infatti il risultato di una convergenza di tre tecniche di modellazione che fino a ieri erano state utilizzate separatamente: la replicazione ( o emulazione), la simulazione e la formalizzazione matematica. Appunto per questa loro natura sincretica, i modelli informatici possono offrire alla ricerca scientifica e alla progettazione in tutti i campi possibilità mai avute nel passato. Al posto del tradizionale modo di affrontare i problemi percorrendo un lungo e defatigante itinerario di prove ed errori, subentra ora un metodo nel quale prove ed errori richiedono un investimento di tempo e risorse sostanzialmente ridotto. Prove ed errori avvengono adesso nello spazio di una realtà eidomatica, la cui gestione interattiva rende fluido e immediato il nostro rapporto di esperienza con il problema che vogliamo analizzare ed eventualmente risolvere. L'esempio più noto è la possibilità di "passeggiare attraverso" uno spazio architettonico virtuale (architectural walkthrough). D'altro canto, i vincoli del programma limitano il numero delle prove eseguibili e anche, di conseguenza, il numero degli errori che ne possono scaturire. I modelli informatici hanno dunque un indubbio valore conoscitivo. Questo risulta particolarmente chiaro nel caso dei modelli di grafica computerizzata, per così dire, di ultima generazione, modelli che, come già abbiamo detto, sono in grado di configurare spazi virtuali al cui interno, tramite un nostro (virtuale) "alter ego", ci è consentito di esguire azioni (virtuali) di diversa natura. | << | < | > | >> |Pagina 102 [ disegno/progetto ]È questa esigenza di comunicare il progetto, di soddisfare il desiderio della committenza di "vedere in anticipo", che è all'origine della professione dell'architetto. Insomma: l'architetto nasce come visualizzarore. E c'è di più: come visualizzatore di opere monumentali. Questo fatto ha avuto un'influenza, a dire il vero non sempre positiva, sull'itinerario dell'architettura come disciplina e come pratica professionale.Peraltro, va ricordato, è in quello stesso periodo che diventano sempre più sofisticate le tecniche di raffigurazione grafica al servizio del progetto edilizio (prospettiva lineare ecc.). Perché il plastico, come è ovvio, non è (non è stato mai) l'unico mezzo ausiliario della progettazione. Importante anche, soprattutto dal punto di vista creativo, è la tradizionale tecnica del disegno, intesa qui soprattutto come schizzare a mano libera. Non si progetta né si comunica soltanto con elaborate rappresentazioni a tre dimensioni, ma anche con quelle a due dimensioni che risultano da un esercizio spontaneo, intuitivo, su un determinato problema da risolvere. E a questo punto dobbiamo guardare più da vicino la tematica relativa al disegno come tecnica, anch'essa, di modellazione. Ma disegnare, soprattutto, "disegnare per progettare", è un tipo di modellazione che, come ci insegna oggi la psicologia cognitivista, pone una serie di domande tutt'altro che semplici. Perché disegnare per progettare si manifesta al contempo come disegnare durante il progettare e progettare durante il disegnare. È questa compresenza interagente fra il mezzo (disegnare) e il fine (progettare) che consente di avanzare verso la soluzione cercata e talvolta solo trovata. | << | < | > | >> |Pagina 114 [ artisti, arte/scienza ]Non c'è dubbio che le teorie artistiche, a differenza di quelle scientifiche. godono nel nostro tempo di una relativa umpunità: sbagliate o giuste che esse siano, non influiscono sulla nostra valutazione dei loro risultati. Joseph Beuys ha definito l'arte come la scienza della libertà (Kunst als Freiheitswissenschaft). E, pertanto, gli artisti si possono considerare come qualcosa di simile a "scienzati della libertà". Se la scienza presuppone l'ammissione, anche provvisoria, di certi vincoli e l'esercizio della libertà, invece, la loro assoluta negazione (questa era sicuramente l'idea di Beuys), quale può essere il ruolo, o l'antiruolo, degli scienzati della libertà?Azzardo l'ipotesi che il loro ruolo non dovrebbe essere altro che quello di osteggiare, e addirittura intaccare, le strutture simboliche che reggono i nostri rapporti comunicativi di massa. Alludo a quelle strutture simboliche che i media, con la loro pervasiva capacità di banalizzazione, hanno ormai mutato in vuoti (o quasi vuoti) stereotipi, al servizio più di un simulacro di comunicazione che di una comunicazione vera e propria. | << | < | > | >> |Pagina 129 [ icona/proposizione ]Importante ora è continuare a esaminare il rapporto icona-proposizione. Il nostro scopo sarà, qui di seguito, di stabilire i limiti del discorso logico sull'iconicità. E per raggiungerlo, la procedura migliore consiste a nostro parere, nel rilevare in quale misura le tesi che i logici moderni hanno elaborato sulla proposizione possono essere legittimamente trasformate in tesi sull'iconicità. È soltanto un'esercitazione, ma vale la pena tentarla. Vediamo.È giustificabile considerare l'icona - o qualche tipo di icona - un "ragionamento" in senso logico, cioè un paradigma di quel "particolare modo di pensare chiamato inferenza, tramite il quale si arriva a conclusioni partendo da premesse"? Si può sostenere che costruzione iconica e costruzione logica sono isomorfiche? O più semplicemente, è corretto ipotizzare che l'icona - o qualche tipo di icona - possa assumere il carattere di una vera e propria "forma proposizionale dichiarativa"? Dobbiamo ammettere che, di norma, l'icona non si presenta in questo modo. Quando raffigura un oggetto con mezzi inanimati (fotografia, disegno, pittura ecc.), l'icona assume la forma di una configurazione sinottica. Per configurazione sinottica si intende un sistema i cui elementi si comportano "costitutivamente" e non "sommativamente", ossia: un sistema i cui elementi appaiono in un rapporto reciproco di totale dipendenza formale, strutturale e funzionale. In poche parole, una configurazione con un alto grado di compattezza sistemica. È da notare però che quanto più elevato è il grado di compattezza sistemica di una configurazione, tanto più elevato risulta il grado della sua opacità referenziale, cioè della sua opacità proposizionale. L'ordine sinottico restringe quel margine di disordine che è imprescindibile per l'espletamento dell'ordine logico. Perché, mentre la forma logica dichiarativa presuppone eterogeneità - e, pertanto, ha bisogno dell'articolazione - la compattezza sistemica invece enfatizza l'omogeneità e, pertanto, relativizza l'articolazione. Ciò, è ovvio, non deve essere inteso in termini assoluti. Effettivamente, nessun'icona può costruirsi senza articolazione. In quanto immagine, l'icona ha anche bisogno, per forza, di un minimo di differenziazione interna, di un minimo di gerarchizzazione tra le parti che la compongono. Una struttura bidimensionale organizzata isometricamente (cioè le cui parti sono tutte uguali e ugualmente distanti tra loro), essendo sprovvista di articolazione, non è neppure capace di generare un'immagine, iconica o no. Sappiamo infatti che il processo di lettura di un'immagine - anche di quelle prive di movimento - si svolge nel tempo. Percepire è percorrere. Percepire è stabilire un itinerario. | << | < | > | >> |Pagina 136 [ icona ]All'origine della difficoltà dell'icona di parafrasare la proposizione, si trova presicamente questo tipo di discrepanza. E il fatto non è incidentale. Icona e proposizione - entrambe, in un certo senso, costrutti formali - sono particolarmente esposte alla discrepanza formale sopra accennata. Non c'è dubbio che l'icona e la proposizione hanno un modo diverso di organizzare il proprio tessuto connettivo. Di norma, le loro "catene causali" non coincidono. E questo è uno dei motivi - non diciamo l'unico - per cui l'icona imita la proposizione tanto maldestramente.Ricordiamo, se non l'impossibilità, certamente la notevole difficoltà di trovare un composto iconico che, senza ricorrere all'ausilio di mezzi verbali, sia capace di "enunciare" una proposizione molecolare. Ciò non deve stupire, una proposizione molecolare, per essere tale - come si sa - ha bisogno dei cosiddetti termini sincategorematici, cioè connettivi e quantificatori, ma è solo a fatica che tali termini si lasciano riprodurre con dei mezzi visivi. Tutto questo ci autorizza forse a credere che esiste qualcosa di simile a una incompatibilità congenita tra icona e proposizione? Una conclusione del genere sarebbe perlomeno prematura. Non sappiamo ancora che sorprese ci riserva lo sviluppo delle tecnologie del pensiero (thought technologies). Soprattutto quando si presentano combinate con le più avanzate tecnologie della percezione, come è il caso della grafica computerizzata.
Malgrado il carattere piuttosto
rudimentale delle sue prime
applicazioni, la "computer graphic"
ha aperto una nuova fase nella
storia del rapporto strumentale tra
pensiero e percezione: per la prima
volta, infatti, si sono stabilite
le basi tecniche per consentire un
rapporto operativo - e forse
persino euristico - tra
formalizzazione logica e
modellazione visiva. Bisogna
segnalare però che questo
agevolamento tecnico non verrà a
cancellare - come qualcuno potrebbe
credere - il vecchio dibattito sul
significato, ma al contrario, a
riaprirlo con ancor maggiore
virulenza.
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