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| << | < | > | >> |Indice9 Introduzione LA VIOLENZA PSICOLOGICA 11 Perché si tende a non denunciare 12 L'importanza di creare una Rete 13 Sensibilizzare e guidare 14 LE BASI DELLA MANIPOLAZIONE MENTALE 14 Considerazioni generali 15 Il nostro lato oscuro 16 L'importanza dell'autostima 18 L'insoddisfazione e la frustrazione alla base dell'aggressività 20 Dal vampirismo energetico alla manipolazione mentale L'incantesimo del vampiro Educazione e manipolazione mentale Il caso di un uomo molto ansioso: mio padre Analisi del caso 27 La manipolazione «buona» 28 La cultura del rispetto 29 Le principali leve emozionali della manipolazione mentale La paura Il senso di colpa Il caso di Simona: l'intellettuale frustrata Analisi del caso 38 CHI È IL MANIPOLATORE? 39 Distinzioni terminologiche Il manipolatore e il narcisismo 41 Il disturbo narcisistico di personalità 43 La relazione tra disturbo narcisistico di personalità e manipolazione relazionale 44 Il narcisismo perverso Le peculiarità della perversione narcisista I tratti distintivi del narcisista perverso 48 Il camaleontismo del manipolatore Il fiuto dei manipolatori I tratti distintivi dei manipolatori relazionali Il caso di Cristina: l'ex donna zerbino Analisi del caso 57 Ascoltare i campanelli di allarme 60 IL MANIPOLATORE E LA COMUNICAZIONE 60 Il manipolatore e la menzogna Predicare il falso per sapere il vero Mentire dicendo la verità 63 Gli stili comunicativi tipici della comunicazione menzognera La comunicazione aggressiva L'umiliazione L'assogettamento alla comunicazione aggressiva Il caso di Serena: l'amazzone che avrebbe voluto essere sottomessa Analisi del caso 72 La comunicazione double bind Il caso di Laura: la segretaria zelante Analisi del caso 78 Le conseguenze a lungo termine della comunicazione con un manipolatore L'impotenza appresa L'importanza dell'assertività Le tecniche di comunicazione assertiva con un manipolatore 83 LA RELAZIONE PERVERSA 84 Il pensiero magico della vittima Dirigere il verso il cambiamento Le trappole mentali 87 Il pensiero razionale del manipolatore La cattiveria insita nel manipolatore 91 L'annientamento come possibile rischio dell'adattamento della vittima Il caso di Ludovica: la donna forte, debole con gli uomini forti Analisi del caso 98 LE CONSEGUENZE FISICHE E PSICHICHE DELLA MANIPOLAZIONE MENTALE 98 Lo stress 100 L'ansia Il caso di Floriana: la donna che somatizzava l'ansia Analisi del caso 102 Le conseguenze dell'ansia 104 L'ossessione 105 Le reazioni del manipolatore di fronte al crollo della vittima 108 COME USCIRE DALLA RELAZIONE PERVERSA 108 La fine della relazione Il caso di Marina: la donna che non avrebbe dovuto lasciarsi impietosire Analisi del caso 112 L'importanza di chiudere un rapporto perverso 113 I passi da compiere 1. Razionalizzate la decisione presa 2. Non isolatevi 3. Circondatevi di persone gentili 4. Cercate di focalizzare la vostra attenzione altrove 5. Leggete e guardate tutto quello che trovate sull'argomento 6. Cercate di eliminare o quantomeno limitare le dipendenze 7. Coccolatevi 8. Tenete un diario 9. Interrompete ogni tipo di contatto con il manipolatore 10. Non lasciatevi scoraggiare quando i tentativi falliscono 124 E POI? SARÀ COME MORIRE 113 Il processo di liberazione Il caso di Annalisa: la bella principessa che non voleva svegliarsi Analisi del caso 127 La solitudine 129 Il disturbo post traumatico da stress Il trauma da narcisismo La rabbia verso il narcisista Il caso di Rina: la donna liberata 133 Un'altra vita 135 CONCLUSIONE 137 L'AUTRICE |
| << | < | > | >> |Pagina 9Il tema della violenza psicologica, e della manipolazione mentale che spesso la precede, costituisce un importante argomento di riflessione a causa della mancanza di dati certi riguardo al numero di vittime di questo tipo di reato. La donna, vittima predestinata da tempo immemore, ha imparato nel corso della storia a riconoscere come sbagliata la violenza fisica, ma tende ancora ad accettare quella forma più subdola e sottile di abuso che il più delle volte avviene all'interno delle mura domestiche e che prende il nome, appunto, di «violenza psicologica»; questa consiste fondamentalmente nella sistematica denigrazione e umiliazione di una persona scelta come vittima da parte di un carnefice il quale, attraverso l'uso di azioni manipolatorie finalizzate a farle perdere fiducia in se stessa, la rende gradualmente svilita, smarrita e priva di punti di riferimento. Si tratta di un omicidio dell'anima e della mente spesso premeditato che vede a oggi troppi esecutori impuniti e, considerate le gravissime conseguenze sia fisiche che psicologiche che determina, richiede la sensibilizzazione del maggior numero possibile di persone che contribuiscano a fare emergere il fenomeno, di modo che chi subisce sia in grado di riappropriarsi della propria dignità e integrità mentale e chi agisce venga neutralizzato. Spesso il crimine non viene denunciato perché compiuto proprio dalle persone che più si amano e che si sentono, per tale ragione, autorizzate a continuare a delinquere nel silenzio di chi viene abusato. Spesso si tace semplicemente per la paura di perdere il compagno o perché si teme che esponendosi troppo i figli, strumento di ricatto emotivo privilegiato da parte degli abusanti, possano venire sottratti dalle strutture sociali competenti. Del resto a oggi manca una normativa adeguata che tuteli efficacemente contro gli abusi psicologici anche perché gli stessi, in sede processuale, sono molto difficili da provare. Ci si può appellare ad articoli del Codice Penale quali il 610 (violenza privata: Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a 4 anni) o il 572 (maltrattamenti in famiglia: Chiunque... maltratta una persona della famiglia è punito con la reclusione da 1 a 5 anni...) ma non sempre questi bastano a proteggere le vittime da vessazioni psicologiche. Da anni mi occupo dell'argomento, avendo lavorato dapprima in ambito educativo a tutela e sostegno di donne e bambini maltrattati, poi in ambito formativo sulla prevenzione della violenza in ogni sua forma. In realtà, ho deciso di intraprendere questo percorso a causa di quello che ritengo essere un destino che mi ha condotta a imbattermi ripetute volte nelle vittime di soggetti psicologicamente violenti che subivano sia in ambito personale che professionale. Io stessa, in passato, mi sono ritrovata a provare un grave disagio dato dalla frequentazione di una persona negativa, sgradevole, in qualche modo disturbata, e mi sono ritrovata invischiata con lei in un rapporto fusionale e simbiotico che si è trasformato, in seguito, in un pesante conflitto che non riuscivo a gestire e risolvere in alcun modo. Avendo vissuto determinate esperienze, sono stata portata a confrontarmi con donne e uomini che ne vivevano di analoghe e con l'andare del tempo ho avvertito l'esigenza di approfondire il fenomeno analizzando accuratamente ogni aspetto delle dinamiche relazionali viziate nelle quali molte più persone di quante non si possa pensare tendono a cadere. Ho scoperto, così, un mondo sommerso. Un mondo fatto di dominio, prevaricazione, aggressività, menzogna e falsità che inizialmente non ero riuscita a identificare, poiché tendevo a pensare che non esistessero persone veramente malvagie. Ho dovuto aprire gli occhi in ritardo e rendermi conto che quelli che sono i sogni che ognuno serba nel proprio cuore ben di rado corrispondono alla realtà.
Ho brancolato per molto tempo nel buio e nell'incertezza
senza capire cosa stessi vivendo, per poi decidere di affrontare in maniera
scientifica e razionale una problematica che ho
scoperto non essere solo mia, e che mi ha trasmesso la forza
e il coraggio di espormi direttamente per dare ad altre persone
la possibilità di riconoscere e comprendere. Ho così intrapreso
un progetto di sensibilizzazione e prevenzione che, attraverso la
condivisione di esperienze, problematiche e stati d'animo, mi ha
dato modo di crescere spiritualmente e professionalmente e che
vede a oggi raccolti, in questa guida, i risultati della mia ricerca.
Una ricerca condotta sulla pelle e sul campo, senza la quale non
potrei essere oggi quello che sono diventata: una donna matura
e consapevole.
Ho innanzitutto compreso che proprio l'assenza di dati certi, specialmente quelli psicologici, riguardo al numero delle vittime deriva principalmente dalla mancata conoscenza del fenomeno. Deterrente forte alla denuncia non è, infatti, solamente il legame affettivo che normalmente unisce la vittima al proprio carnefice, ma anche l'inconsapevolezza di quel che si sta vivendo. È impossibile far emergere un problema se non lo si riconosce e non si possiedono strumenti e indicatori per individuarlo; tantomeno, dunque, sarà possibile denunciare un sopruso che si sta subendo se non si comprende di esserne vittime. Attraverso la mia attività ho avuto modo di favorire significativi coming out che hanno consentito a numerose persone, vittime di violenza psicologica, di riconoscersi e identificarsi in un preciso schema fornendo, al contempo, tecniche e strumenti per sottrarsene e non ricaderci più. La dinamica che affronto è, purtroppo, molto più diffusa di quanto non si pensi; pur riguardando indistintamente uomini e donne di tutte le età, ho scelto di polarizzare la mia attenzione sul sesso femminile che tradizionalmente, per questioni storiche e sociologiche, risulta essere quello più inerme e vessato. Va detto che tanto si sta facendo, ed è stato fatto, nel nostro Paese per sensibilizzare su questo delicato tema: vi è infatti stata, negli ultimi decenni, una proliferazione di associazioni impegnate nell'aiuto delle vittime di violenza, ma di lavoro da fare ne rimane sempre tanto anche perché, spesso, chi subisce è restio a rivolgersi alle strutture appositamente realizzate per l'imbarazzo e la vergogna che ciò comporta.
Se si considera che la piaga delle violenza psicologica non
discrimina tra ceti ed estrazione sociale ma riguarda tutti, e che
ogni persona ne è stata, almeno una volta, vittima, non ha senso
vergognarsi di subire o aver subito vessazioni: non vi è colpa per
qualcosa che è sfuggito al nostro controllo e ci ha fatto del male.
Ascoltare, parlarne, condividere le esperienze significa molto ai fini della costruzione di una grande Rete che veda coinvolti tutti indistintamente: forze dell'ordine, medici, operatori sanitari, educatori, insegnanti, operatori di sportelli antiviolenza, vittime e, perché no, anche carnefici che magari sono stati a loro volta vittime e possono sentirsi tentati di infliggere ad altri quello che loro stessi hanno subito. Sensibilizzare in primis gli abusanti significa metterli di fronte alle loro responsabilità senza pretese accusatorie, ma con il fine principale di aiutarli a riconoscere il dolore che provocano agli altri e molto spesso anche a se stessi. Non ha senso intentare crociate contro chi sbaglia; chi sbaglia, laddove possibile, andrebbe aiutato a non persistere nei propri errori. Infatti, attraverso la comunicazione e il confronto si possono raggiungere a volte obiettivi impensabili, atti a evitare il ricorso a strumenti punitivi che potrebbero condurre a inutili stigmatizzazioni che favorirebbero la recidiva. Ciò non significa certamente che tutto sia risolvibile con la comunicazione, ma favorire incontri costruttivi e anonimi tra abusanti e abusati può sicuramente contribuire a esorcizzare la paura di un fenomeno criminoso dalle conseguenze molto gravi e dai costi sociali elevatissimi. Ritengo di estrema importanza anche il coinvolgimento dei più giovani, di entrambi i sessi. La vera prevenzione parte da loro. In fondo il fenomeno del bullismo, maschile e femminile, che ha luogo fin dai primi anni di scuola, altro non è che una forma di manipolazione psicologica condotta su terzi allo scopo di vessarli.
Persino il fenomeno delle sette sataniche vede protagonisti
giovani manipolatori che approfittano di un discutibile carisma
per condizionare e plagiare le loro vittime. Vittime che sono facilmente
condizionabili perché spesso prive di una personalità ben strutturata.
Con questa guida intendo continuare nell'opera di sensibilizzazione dell'opinione pubblica favorendo, da un lato, il riconoscimento del fenomeno da parte delle vittime affinché le stesse possano difendersi; dall'altro, facilitando l'acquisizione di una consapevolezza da parte degli abusanti perché possano smettere di reiterare all'infinito le loro nocive dinamiche relazionali. Ho scelto di darle un taglio divulgativo cercando di utilizzare un linguaggio il meno tecnico possibile, per renderne comprensibili gli argomenti affrontati anche ai non esperti del settore. La guida è divisa in sette capitoli. Nel primo cerco di spiegare quelle che sono le basi della manipolazione mentale e delle leve emozionali sulle quali si basa. Nel secondo descrivo la figura del manipolatore individuandone i tratti distintivi. Il terzo capitolo è dedicato alla particolare modalità comunicativa del manipolatore, responsabile, in buona parte, della destabilizzazione psicologica di chi la subisce. Nel quarto capitolo affronto la dinamica relazionale, spiegando gli stati emotivi tipici di chi si trova invischiato in quello che definisco un rapporto perverso. I capitoli cinque e sei trattano rispettivamente delle gravi conseguenze fisiche e psicologiche in cui può incorrere chi rimane in un rapporto manipolativo per troppo tempo e degli strumenti che si possono utilizzare per uscire dallo stesso. L'ultimo capitolo spiega cosa può accadere alla fine di una relazione perversa contemplando le possibilità evolutive che ne possono derivare. Il testo è corredato da casi pratici, storie vere che vedono come protagoniste donne con le quali sono entrata in contatto in ambito professionale e che hanno fornito un utile esempio concreto ai concetti che ho cercato di affrontare con immediatezza e semplicità. I lettori che si trovano in situazioni analoghe potranno così identificarsi, iniziare a tutelare se stessi e la propria integrità e salvaguardare eventuali figli che, assistendo alla violenza su un genitore di riferimento, potrebbero a loro volta, un domani, divenire degli abusanti. Mi sono impegnata a scrivere una guida che potesse coinvolgere tutti nelle storie e nel percorso che propongo, perché a tutti è capitato, o può capitare, di trovarsi in una relazione dalla parte della vittima o del vessatore. | << | < | > | >> |Pagina 83C'è un carnefice e c'è una vittima. In fondo, esistono i lupi perché ci sono gli agnelli. Abbiamo identificato le caratteristiche del carnefice. La vittima può, invece, rientrare in qualsiasi categoria purché abbia un punto debole. E poiché tutti abbiamo numerosi punti deboli, ognuno di noi può essere manipolabile. Ho incontrato nella mia vita talmente tante tipologie differenti di donne e uomini oggetto di manipolazione, che una classificazione sarebbe impensabile. Ritengo che ciascuno di noi possa essere più o meno predisposto ad affidarsi a qualcuno in determinati momenti della propria esistenza. Mi è stato chiesto di frequente se le vittime siano o meno consenzienti, e la mia risposta a oggi è sì: in moltissimi casi. Spesso infatti, pur disponendo di tutti gli strumenti idonei a farle fuggire da quella che possono facilmente individuare come una relazione destinata a condurle allo sfacelo, il più delle volte decidono di restare. Le ragioni sono molteplici ed estremamente soggettive; quel che conta è che rimangono e stanno lì, inermi, a farsi massacrare psicologicamente nella vana attesa che qualcosa possa cambiare. A osservarle dall'esterno sembrano spesso in balia di una sorta di delirio di onnipotenza che fa credere loro che si salveranno, e che attraverso la loro salvezza potranno aiutare chi cerca di rovinare le vite altrui. Forse è proprio questa la ragione per la quale i manipolatori infieriscono su certe prede, quasi volessero punire una tale presunzione che provoca la loro disistima integrale nei confronti di chi li tollera all'infinito. Il manipolatore aggredisce, sfida, mette alla prova e non è mai pago.
La vittima contrattacca debolmente, resiste, rimane, attendendo
riconoscimenti e conferme che non arriveranno mai. I rapporti
così strutturati vanno avanti mesi, anni, si trascinano in un'agonia senza fine
che sazia in parte chi ne è la causa e prosciuga chi la subisce.
Spesso nella mente di chi sottostà a vessazioni e angherie psicologiche scatta il cosiddetto pensiero magico, una forma mentale che caratterizza il sistema cognitivo infantile e che tende a persistere anche in età adulta, consistente nella convinzione di poter influenzare la realtà secondo pensieri e desideri personali. Una peculiarità che gli appartiene è l'essere impermeabile all'esperienza. Nelle persone in cui la mente segue prevalentemente una modalità di pensiero magico, quando le esperienze contraddicono il loro ragionamento non nasce il bisogno di spiegare l'insuccesso. Ciò è possibile anche grazie al ricorso a giustificazioni in base alle quali l'accaduto è connesso all'intervento di altri fattori che lo possono giustificare. «Mi tratta male perché è nervoso, debole, frustrato, insoddisfatto; perché ha paura dell'amore e di essere amato; perché gli ricordo sua madre, suo padre, sua sorella. Vorrebbe amarmi ma non può. Ha bisogno che io gli dia fiducia; è stato vessato e deprivato da piccolo e ora fa così», e via dicendo. Un espediente ingegnoso per vanificare la frustrazione, dunque, e resistere nella relazione perversa. Al pensiero magico si fa ricorso ogniqualvolta quello razionale non è idoneo a fornire risposte o soluzioni ai problemi che incontriamo nel corso della vita. E innamorarsi di una persona sbagliata è un problema. Tra le funzioni di questa forma di pensiero vi è quella difensiva, che si fonda sulla convinzione di poter controllare la realtà quando la stessa è o diventa troppo dura da accettare. Essa è fondamentale in età evolutiva per affrontare situazioni che provocano angoscia o insicurezza. La perdita di una persona cara, un conflitto, una separazione possono costituire momenti molto difficili da gestire nella vita di una persona. Quando ci sentiamo messi a dura prova, o tollerare diventa troppo pesante, sentiamo l'esigenza di un aiuto che può arrivare dall'esterno, di rivolgerci a qualcuno che possieda più lucidità e competenze di noi e che possa supportarci in circostanze delicate ascoltandoci, sostenendoci e intervenendo in nostro favore. Non tutti però, purtroppo, sono capaci di chiedere aiuto, e vi sono persone che soffrono più di altre per orgoglio, timidezza, paura, rischiando di protrarre all'infinito dolori che potrebbero essere sedati in tempi più rapidi.
La possibilità di supporto e aiuto risiede comunque anche
dentro di noi: possediamo, infatti, importanti strumenti e risorse
idonei a soccorrerci quando stiamo troppo male.
Uno di questi strumenti è il pensiero, che possiamo imparare a dirigere quando la gestione delle situazioni inizia a diventare troppo difficile. Vi è un solo modo, infatti, per poter trasformare situazioni oggettivamente o apparentemente immodificabili: cambiare il nostro atteggiamento, e quindi il nostro pensiero, nei confronti delle situazioni stesse. La resistenza al cambiamento è, nell'umanità, qualcosa di atavico e difficilissimo da abbattere, perché tutti siamo abitudinari e a volte è più facile mantenere routine negative che ci sono, però, note, piuttosto che affrontare mutamenti positivi e funzionali. Questo fenomeno si verifica in tutti gli ambiti della vita: sociale, familiare, professionale; muoversi in contesti conosciuti e ai quali si è abituati infonde un senso di padronanza sulla realtà, e di sicurezza anche laddove le abitudini dovessero risultare poco piacevoli o addirittura disfunzionali. Pensiamo a quanta gente si lamenta del proprio lavoro, del proprio coniuge o della vita che conduce in generale; quanti sono veramente in grado di cambiare la propria esistenza? Un numero veramente esiguo, perché in vista di un cambiamento occorre destrutturare gli schemi cognitivi precedenti per costruirne di nuovi. Molte persone si oppongono al cambiamento «per partito preso». Come i bambini in tenera età spesso si impuntano e non vogliono fare qualcosa per principio, così gli adulti, spesso, pur comprendendo intrinsecamente che per stare meglio occorre cambiare, se ne negano aprioristicamente la possibilità preferendo perseverare in uno stato di malessere paradossalmente idoneo a dare maggior sicurezza. Esattamente come fanno le vittime con i loro manipolatori. Anche la saggezza popolare sembra rafforzare tale tendenza umana. «Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova»: un ammonimento, a mio parere, finalizzato a frenare le persone nella ricerca del nuovo.
Se avessimo tutti prestato fede a questo motto non saremmo potuti evolvere
in alcun campo: se la scienza, la medicina, la
fisica, l'ingegneria si fossero basate su un concetto così improbabile il
progresso della nostra civiltà sarebbe stato impossibile. Il
detto inoltre incita, implicitamente, a mantenere le cattive abitudini e gli
usuali schemi comportamentali, anche se poco efficaci, chissà mai che
modificandoli si possa poi incappare in altri peggiori.
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