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| << | < | > | >> |IndiceRingraziamenti 9 Nota dell'autore 11 Fotografia di Bill Bernbach 12 Parte prima — La storia 1. Qual è il clima sociale nell'America degli anni Cinquanta e Sessanta 13 1. Gli effetti del New Deal e della seconda guerra mondiale 13 2. Gli anni '50, ovvero la società dei consumi e della classe media 16 3. L'età dell'oro della TV 19 4. Gli anni '60: il cambiamento è maturo 21 5. La pubblicità aspetta la sua rivoluzione 22 2. L'ambiente pubblicitario in America nel periodo che precede la rivoluzione creativa 24 1. Il paradiso perduto 24 2. Il dopoguerra 25 3. Gli investimenti ci sono, la creatività no 26 4. Sempre più potere alle ricerche 27 5. Rosser Reeves: la pubblicità non è arte 29 6. La discriminazione etnica e il conformismo delle agenzie in abito grigio 30 3. Bill Bernbach, l'uomo che guida la svolta 34 1. Come si prepara una rivoluzione di successo? 34 2. E come si comincia? 35 3. Le prime campagne fanno attrazione 37 4. La cosa diventa seria 38 4. La rivoluzione creativa è scoppiata 44 1. Effetti immediati dell'esplosione 44 2. Il potere ai creativi 47 3. L'establishment fa resistenza 49 5. Il cambiamento si allarga a macchia d'olio 52 1. Dalla DDB si propaga il primo virus 52 2. Il virus si diffonde 54 3. Il contagio arriva alle grandi agenzie 57 4. Un virus a sé: il caso David Ogilvy e della sua agenzia 59 6. Risultati immediati e risultati permanenti 63 1. Bernbach e la sua agenzia diventano i nuovi trend setter del mercato 63 2. I riflessi dei movimenti degli anni '60 64 3. Cambia il vento, ma non cambia il senso 72 4. La rivoluzione creativa emigra 74 Parte seconda - I documenti 7. La vita di Bill Bernbach 76 1. Il suo nido 76 2. Bill esce dal guscio 78 3. La pubblicità come vocazione 79 4. Bill fa carriera 81 5. Comincia l'avventura più grande 82 6. L'avventura non è più un'avventura 87 7. Arrivato il successo, Bill se ne va 90 8. L'addio a Bill 92 8. Le campagne prima di Volkswagen 95 1. Ohrbach's, il primo cliente non si scorda mai 95 2. Levy's, ovvero il coraggio di dichiararsi ebrei 107 3. Polaroid scopre il lato emotivo della DDB 109 4. El Al, volare in casa 113 9. Volkswagen, Volkswagen e ancora Volkswagen 122 1. Un'auto nazista in un'agenzia filoebrea? 122 2. Trasformare i difetti in virtù 125 3. I primi annunci più famosi 128 4. La campagna continua 130 5. La voce di chi allora c'era 144 10. Le campagne dopo Volkswagen 176 1. Avis, secondi è meglio 176 2. Chivas Regal, uno scozzese non certo stupido 191 3. American Airlines, volare più alto degli altri 196 4. Mobil, il valore della vita 204 5. Alka-Seltzer, premiato ma controverso 208 11. Gli scritti che Bill ci ha lasciato 212 1. Prefazione al libro Tecnica per produrre idee 212 2. La lettera ai capi della Grey Advertising 213 3. Estratto dall'intervista a Bill del 1965 di Denis Higgins per Advertising Age 219 4. Dedica scritta per un libro mai scritto 222 5. Raccolta di frasi famose di Bill 228 12. Le testimonianze di chi l'ha conosciuto 1. Bill Bernbach: il piu amato, il più tradito di Pasquale Barbella 228 2. Bernbach, maestro di understatement di Ambrogio Borsani 236 3. La differenza fra 'Oh' e 'Ah' di Gianfranco Marabelli 239 4. Bill Bernbach, come l'ho conosciuto io di Marco Mignani 243 5. My American Dream: DDB di Luigi Montaini Anelli 245 6. Maybe he's right, Forse ha ragione lui di David Ogilvy 250 7. How can you storyboard a smile? di Gianni Pincherle 252 8. Quando finirono le favole di Marco Vecchia 255 |
| << | < | > | >> |Pagina 343. Bill Bernbach, l'uomo che guida la svolta1. Come si prepara una rivoluzione di successo? Primo, ci devono essere le condizioni propizie nell'ambiente dove sta per irrompere. E queste c'erano tutte nell'ambiente pubblicitario di quegli anni in America: insoddisfazione, stanchezza, conformismo, ripetitività, mediocrità delle idee. Il risultato finale più preoccupante era uno scollamento sempre più evidente tra la cultura che la pubblicità esprimeva e il vissuto del pubblico al quale si rivolgeva. Secondo, ci deve essere una rete estesa di complicità senza la quale non ci sarà consenso. E anche questa c'era: bastava accendere la miccia per farla infiammare e prendere fuoco. Terzo, ci vogliono forze piene di energia e freschezza per lanciarla e portarla avanti: giovani rivoluzionari pieni di passione ed entusiamo per il loro lavoro, e con la voglia di farlo rompendo le rigide regole dell'establishment che non funzionavano più. E pure questi erano già lì: truppe di giovani avventurosi, per la maggior parte "etnici", americani di prima o seconda generazione e convinti sostenitori della causa. Ma tutto questo non è ancora sufficiente se manca un leader carismatico, coraggioso, riconosciuto.
Anche questo c'era, stava emergendo in quello stesso momento: il suo
nome era Bill Bernbach, era ebreo e veniva dal Bronx.
2. E come si comincia? Come fece Bill Bernbach a dare il via a questa rivoluzione, poi acclamata da tutti come "la rivoluzione creativa"? Primo, Bill Bernbach si presentò con una filosofia controcorrente. Secondo, dichiarò la sua disponibilità ad accettare il rischio di metterla in pratica. Terzo, condusse il gioco attraverso un esempio di successo. Già nel 1947, mentre era ancora Direttore Creativo e Vice President alla Grey Advertising, due anni prima di aprire le porte della Doyle Dane Bernbach e almeno sei, sette anni prima che cominciasse a ricevere qualche rilevante attenzione dall'ambiente pubblicitario e dalle industrie americane, Bill Bernbach diede la prima anticipazione della rivoluzione creativa con queste significative e ben ponderate parole, scritte in una lettera ai suoi capi datata 15 maggio 1947: Ci sono un sacco di bravissimi tecnici nella pubblicità. E sfortunatamente hanno il gioco facile. Conoscono tutte le regole. Possono dirti che la presenza di persone in un annuncio lo faranno leggere di più. Possono dirti che una frase dovrebbe essere corta così o lunga cosà. Possono dirti che il testo dovrebbe essere diviso in paragrafi per una più facile e invitante lettura. Possono darti fatti, ancora fatti e fatti ancora. Sono gli scienziati della pubblicità. Ma c'è un piccolo problema. La pubblicità è fondamentalmente persuasione e la persuasione non è una scienza, ma un'arte. Non che la tecnica non sia importante! Una superiore capacità tecnica renderà migliore un bravo creativo. Ma il pericolo è confondere l'abilità tecnica con quella creativa. Nel 1949, Bill Bernbach lascia la sua brillante carriera in Grey per provare a fare una pubblicità "ispirata" e lasciando agli altri il compito di continuare a venerare "il rituale". La sua lettera del 1947 così terminava: Se vogliamo avanzare, dobbiamo emergere con una personalità distinta. Dobbiamo sviluppare la nostra propria filosofia e non avere la filosofia pubblicitaria di altri imposta a noi. Imbocchiamo nuovi sentieri. Proviamo al mondo che il buon gusto, la buona arte, la buona scrittura possono creare una buona vendita. La direzione della Grey non rispose abbastanza velocemente, secondo Bill. E, nel frattempo, lui e Ned Doyle, Vice President e Account Executive in Grey, si erano trovati d'accordo su alcuni principi. Doyle conosceva un uomo di nome Maxwell Dane che gestiva in quel momento una piccola agenzia. Mac Dane era interessato, aveva un buon fiuto per gli affari e per le novità e stava pagando l'affitto di un attico in Madison Avenue (attico è un eufemismo, in effetti l'ascensore si fermava all'ultimo piano e ci si doveva poi arrampicare lungo una serie di gradini per arrivare all'ufficio sul tetto). Avevano quasi tutto: gli mancava solo un cliente e il nome. Il cliente stava per arrivare: i grandi magazzini Ohrbach's. Il 1° di giugno del 1949 aprirono il loro business con 13 dipendenti e solo mezzo milione di dollari. Chiamarono l'agenzia Doyle Dane Bernbach. "Niente si frappose mai fra noi, neppure una virgola", dirà sempre Bill. Anche il copy chief e l'art director venivano dalla Grey Advertising. Phyllis Robinson era cresciuta a New York e voleva fare fin da piccola la scrittrice: quando le altre bambine sognavano di diventare Ginger Rogers, lei – dirà più tardi – voleva essere la nuova Dorothy Parker. L'art director si chiamava Bob Gage e anche lui era di New York. Aveva studiato arte e design con il noto grafico Alexey Brodovitch di Harper's Bazaar ed era stato anche molto influenzato da uno dei protagonisti della grafica moderna, Paul Rand, già collega di Bill Bernbach dal 1941 al 1945. Gage, che fin dagli anni '40 lavorava in Grey, aveva sviluppato una sua precisa opinione su come poter migliorare l'arte della pubblicità: "Non si faceva un lavoro franco e diretto a quei tempi." — ricorderà anni dopo — "Tutte piccole cose mischiate insieme, niente aveva senso. La semplicità di un'immagine forte e grafica con un buon titolo che ci lavora insieme, ecco quello che io stavo cercando". E proprio la ricerca di un'idea che si esprima nell'insieme di immagine e testo, non più considerati separatamente, ma come parti differenti che giocano ruoli complementari e non simmetrici in un messaggio, sarà uno dei temi distintivi di Bill Bernbach e dell'intero movimento della rivoluzione creativa. Ma quello che rendeva tanto diversa la DDB da tutte le altre agenzie, una volta scelte le giuste persone con cui lavorare, era proprio lui, Bill Bernbach. Un copywriter con un gusto speciale per l'immagine, un intellettuale curioso di ogni disciplina ma ancora di più del cuore e della mente umana, un giudice acuto e competente in fatto di comunicazione, un creativo capace di gestire i capricciosi e imprevedibili "ego" degli altri creativi e soprattutto, un maestro capace e ispirato. Bill Bernbach era indubbiamente il pubblicitario più innovativo del suo tempo. | << | < | > | >> |Pagina 444. La rivoluzione creativa è scoppiata1. Effetti immediati dell'esplosione L'agenzia di Bill Bernbach era pronta ad esplodere con il suo primo cliente automobilistico.
E, sebbene il budget del Maggiolino Volkswagen fosse contenuto secondo gli
standard di Detroit, Bill era determinato a dimostrare a Detroit e all'industria
della comunicazione che una pubblicità ispirata poteva benissimo vendere
autovetture così come vendeva pane di segale – ecco come George Lois descrive
il momento magico in cui arrivò il budget Volkswagen.
Grazie alla visibilità di una campagna controcorrente come sarà quella del Maggiolino, la DDB fa il suo definitivo exploit pubblico: se c'è un momento in cui si può ufficialmente datare lo scoppio della rivoluzione creativa, è questo. Ed è una bomba che dà la sveglia un po' a tutti. I cambiamenti che partono da Bill e dalla sua agenzia sono destinati a contagiare più o meno velocemente le altre agenzie e a coinvolgere l'intero ambiente pubblicitario. Ma quali sono? Primo: l'istituzione della coppia art/copy per una migliore creatività. Bernbach, che l'aveva personalmente provato con soddisfazione e ottimi risultati fin dai tempi in cui lavorava con il grafico e designer Paul Rand, trasferisce copywriters e art directors nello stesso reparto e li incoraggia a lavorare in coppia. Bob Gage spiega: "Due persone che si rispettano l'un l'altra siedono nella stessa stanza per un certo tempo. E arrivano a uno stato di associazioni libere, dove l'esprimere un'idea porta a pensarne un'altra, e poi un'altra ancora. L'art director può suggerire un titolo e il copywriter un "device" visivo: in questo scambio di discipline, l'annuncio è concepito come un insieme unico." Non più dunque dipartimenti separati, quello degli "scrittori" e quello degli "illustratori", come era stato fino a quel momento in tutte le agenzie di Madison Avenue, ma un reparto creativo unico, formato da tanti team creativi che sono responsabili e "padroni" delle proprie campagne. Tutti gli elementi di un annuncio vengono integrati in un'unica, significativa comunicazione e il messaggio che ne esce è intelligente e diretto, la forma pulita e semplice. Secondo: apre le porte a forze nuove e più fresche. Per la prima volta, le opportunità di lavoro si aprono anche per coloro capaci di dimostrare le opportune abilità, non solamente per quelli che frequentavano le scuole giuste. Diceva un annuncio di ricerca personale della DDB: "Non ci interessano le solite cose. Per esempio, non ci interessa per quali tipi di prodotti avete lavorato finora. Non ci interessa la grandezza dell'agenzia nella quale siete attualmente. Non ci interessa l'età, il sesso, l'istruzione al college o le altre trappole dei soliti questionari di lavoro." Bill non riconosceva alcun test attitudinale per validare la capacità creativa e spesso assumeva gente senza alcuna esperienza pubblicitaria alle spalle. Era fiducioso che quello che dovevano imparare, glielo avrebbe trasmesso lui stesso. "Li prendo da tutt'altri campi, e quello che devono sapere sulla pubblicità, glielo insegnamo strada facendo". D'altra parte Bernbach affermava spesso di non avere mai imparato niente sulla pubblicità leggendo di pubblicità, ma leggendo invece di sociologia, filosofia, letteratura, poesia, arti. Terzo: attacca lo strapotere delle ricerche. Un bersaglio di Bernbach e di tutti quelli che lo seguiranno sulla strada da lui tracciata, furono le ricerche. Secondo Bill, l'atto creativo poteva solo essere ostacolato, non aiutato, da esse. Nel 1957, dichiarò: "Considero le ricerche il responsabile maggiore dell'attuale quadro della pubblicità. Hanno contato più loro, nel perpetuare la mediocrità creativa, di qualsiasi altro fattore". Nella sua visione, le indagini di mercato portavano sempre alla noia e all'uniformità: l'approccio scientifico, rifacendosi ai successi passati, tendeva a raccomandare il già fatto scoraggiando l'innovazione. Anche in questo campo, rivendicava con coraggio una necessità creativa: "Siamo così occupati a misurare l'opinione pubblica che ci dimentichiamo che possiamo forgiarla. Siamo così occupati ad ascoltare le statistiche che ci dimentichiamo che possiamo crearle". Quarto: toglie il predominio agli account. Oltre al reparto delle ricerche, la rivoluzione creativa attaccò anche il reparto che pensava di detenere un potere esclusivo presso il cliente: il reparto account, coloro cioè che mantenevano e gestivano il contatto giornaliero con il cliente indirizzandone molto spesso le scelte e facendo poi pesare l'influenza acquisita, in modi più o meno leciti, all'interno della propria agenzia. L'account executive o l'account supervisor, il famoso "uomo nell'abito di panno grigio" degli anni '40 e '50, non sarà più l'uomo chiave, quello che conterà e guadagnerà di più nelle agenzie degli anni '60. Bill Bernbach decretò la sua fine più di chiunque altro. Quinto: avvicina i creativi ai clienti. Furono i clienti stessi, attirati sempre più dall'impatto che le nuove campagne creative raggiungevano con investimenti contenuti, a chiedere alle proprie agenzie più creatività, a pretendere nuovi team creativi dedicati ai loro budget, a richiedere un contatto e un dialogo diretto con i creativi che si occupavano delle loro campagne. "La creatività usata in modo pertinente può far fare ad un solo annuncio il lavoro di dieci", diceva infatti Bill.
La struttura tradizionale del business stava per cambiare, forse per sempre.
Nuovi terreni furono aperti dalle coppie creative libere appena formate,
molte delle quali daranno il via alle loro proprie strutture. Fu un periodo
come nessun altro nella storia della pubblicità.
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