Autore Roberto Manfredi
Titolo Skan-zo-na-ta
SottotitoloLa canzone umoristica e satirica italiana da Petrolini a Caparezza
EdizioneSkira, Milano, 2016, Storie , pag. 252, ill., cop.fle., dim. 14x21x2 cm , Isbn 978-88-572-2999-7
PrefazioneAlberto Tonti
LettoreFlo Bertelli, 2016
Classe musica , satira , umorismo , storia sociale









 

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Indice


  7 Prefazione
    Alberto Tonti

 11 Genesi.
    Petrolini e Rodolfo De Angelis

 21 Canzoni della fronda.
    Pippo Starnazza, Mario Panzeri, Gorni Kramer,
    Vittorio Mascheroni, Natalino Otto

 39 Canta Napoli.
    Raffaele Viviani, Totò, Nino Taranto, Renato Carosone,
    Gegè Di Giacomo

 61 I Fab Four italiani.
    Il Quartetto Cetra

 65 Botte, whisky, sigarette, pupe e swing.
    Fred Buscaglione, un americano a Torino

 73 Un successo mondiale.
    I Brutos

 77 Il sacrario del cabaret.
    Il Derby Club

 83 Il Nebbia Club.
    Franco Nebbia

 89 Il pre-demenziale.
    Ghigo, Clem Sacco, Guidone, Gaber

101 Da Brassens alla canzone popolare meneghina,
    dalle canzoni della Resistenza al Cantamacabro.
    I Gufi

107 Ci ragiono e canto.
    Dario Fo

113 L'importante è esagerare.
    Enzo Jannacci

123 La canzone intelligente.
    Cochi e Renato

129 Una meteora rock.
    Ugolino

131 Una risata vi seppellirà!
    Gianfranco Manfredi, Ricky Gianco, Stefano Rosso,
    Rino Gaetano, David Riondino, Roberto Benigni

155 Il signor G.
    Giorgio Gaber

161 Elogio della follia.
    Freak Antoni

165 Una guerra fratricida.
    Skiantos vs Elio e le Storie Tese

175 È la puntina che traccia il solco e il giradischi che lo difende.
    Renzo Arbore

181 La deriva goliardica.
    Ruggero Oppi, Riz Samaritano, Squallor e molti altri

193 L'inesauribile serie dei comicanti.
    Gene Gnocchi, Dario Vergassola, Francesco Salvi,
    Enzo Iacchetti, Claudio Bisio

209 Frank Zappa made in Italy.
    L'incredibile storia di Sandro Oliva

215 Una luminosa meteora.
    Paco D'Alcatraz

219 Lo strano caso dei Figli di Bubba
    (una storia personale)

225 San Comico.
    Anche al Festival si cantano canzoni da ridere

237 Chi se ne frega della musica.
    Caparezza


247 Elenco delle canzoni di cui è citato il testo


 

 

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Pagina 11

Genesi

Petrolini e Rodolfo De Angelis

Il 19 luglio 1943, nel corso del primo bombardamento su Roma, un ordigno colpisce la tomba di Ettore Petrolini nel cimitero del Verano. Il busto di marmo si spezza e la cassa contenente la salma è gravemente danneggiata. Pare che, quando viene riaperta, il famoso frac che indossava durante i suoi spettacoli sia ancora intatto. È il frac del suo personaggio più celebre: Gastone.

[...]

Petrolini anticipa i suoi biografi con una canzone straordinaria, Fortunello, che lo stesso Filippo Tommaso Marinetti giudica con queste parole: "È il più difficilmente analizzabile dei capolavori petroliniani, il quale col suo ritmo meccanico e motoristico, col suo teuf-teuf martellante all'infinito, assurdità e rime grottesche, scava dentro il pubblico tunnels spiralici di stupore e di allegria illogica e inesplicabile".

Fortunello è una canzone fondamentale nella storia della canzone umoristica, una pietra miliare del nonsense. Un piccolo capolavoro a cui si sono ispirati tutti i comici italiani che hanno applicato il gioco di parola, il doppio senso, l'equivoco linguistico, gli sconvolgimenti lessicali: dai fratelli De Rege ad Alessandro Bergonzoni, da Dario Fo a Nino Frassica. Per non parlare della maggior parte degli attori romani, tutti suoi figli d'arte: Fabrizi, Sordi, Montesano, Manfredi, Proietti, Verdone. Senza contare che è indubbiamente la prima canzone "rap" nella storia della musica italiana.

Sono un tipo estetico, asmatico, sintetico, cosmetico.
Amo la Bibbia, la Libbia,
la fibbia delle scarpine delle donnine carine, cretine.
Sono disinvolto, raccolto, assolto "per inesistenza del reato".
Ho una spiccata passione per il Polo Nord, la cera vergine,
il Nabuccodonosor, il burro lodigiano, la fanciulla del West,
il moschicida, la cavalleria pesante,
i lacci delle scarpe, l'areonatica col culinaria,
il giuoco del lotto, l'acitolene e l'osso buco.
Sono omerico, isterico, generico, chimerico, clisterico.

Ma tutto quel che sono, non ve lo posso dire,
a dirlo non son buono, mi proverò a cantar.

Sono un uom grazioso e bello, sono Fortunello.
Sono un uom grazioso e sano, sono un aeroplano.
Sono un uom assai terribile, sono un dirigibile.
Sono un uom che vado in culmine, sono un parafulmine.
...
Sono un uomo assai palese, sono un esquimese.
Sono un uomo che poco vale, sono neutrale.
Sono un uomo senza coda, sono una pagoda.
Sono un uomo condiscendente, sono un accidente.
Sono un uomo della lega, del chi se ne stropiccia.
Sono un uomo di Stambul, sono un parasul.
Sono un uom che fo' di tutto, sono un farabutto.
Sono un uom dei più cretini, sono Petrolini.

Dunque chi è Petrolini? Un funambolico macchiettista? Un divulgatore della canzone popolare italiana? Un autore futurista? Un dissacratore del regime fascista? Un amico di Galeazzo Ciano e ammiratore di Mussolini? È tutte queste cose insieme e allo stesso tempo il contrario. Uomo di cultura certamente, addirittura esperto collezionista, possessore di migliaia di libri, venduti dopo la sua morte in un'asta pubblica, il cui catalogo conta ben 746 lotti, con decine di edizioni differenti delle opere di Goldoni, Alfieri, Racine, Pellico.

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Pagina 27

[...] Lo stesso timore si propaga a macchia d'olio ad altri interpreti e autori, come Mario Panzeri.

Strano destino il suo. Nato a Milano nel 1911, rimasto presto orfano, cerca da adolescente di sfondare nel mondo del varietà. In realtà come cantante è molto scarso, così comincia a scrivere canzoni per interpreti di grande talento, come Maria Jottini. Il successo, dopo Maramao perché sei morto?, gli procura, però, guai a non finire.

La persecuzione prosegue imperterrita anche quando, nel 1940, Panzeri, assieme a Restelli e Kramer, scrive un motivetto ironico e molto orecchiabile: Pippo non lo sa. Il testo è ispirato a uno dei tanti personaggi della provincia italiana, il gagà, il conquistatore narciso innamorato di se stesso, una figura che Ettore Petrolini aveva già lanciato nel 1921 con il suo brano più celebre: Gastone.

Purtroppo il testo della canzone ricorda in modo inequivocabile le abitudini del noto gerarca Achille Starace, segretario del Partito Nazionale Fascista, che è solito effettuare ripetute "vasche" nella via principale della città, facendo sfoggio della sua divisa d'ordinanza. Anche in questo caso, quindi, Panzeri è vittima di un'altra sfortunata coincidenza che lo obbliga a difendersi più volte dalle accuse, smentendo ripetutamente il riferimento a persone esistenti.

Pippo non lo sa
Ma quando passa, ride tutta la città,
e le sartine, dalle vetrine,
gli fan mille mossettine.

Ma lui con grande serietà
Saluta tutti, fa un inchino e se ne va
Si crede bello
Come un Apollo
E saltella come un pollo.

[...]

Simile sorte tocca anche a Gorni Kramer, nato a Rivarolo Mantovano il 22 luglio 1913, riconosciuto e stimato come primo fisarmonicista jazz made in Italy. Nel 1936, la sua Crapa pelada entra nel libro nero delle "canzoni della fronda".

Le motivazioni sono assolutamente irrisorie, in primo luogo il ritmo jazz, definito "strumento di musica afro-demo-pluto-giudo-masso-epilettoide", e poi il testo in cui si ravvisa un irriguardoso sberleffo alla calvizia del Duce e un esplicito riferimento alla spartizione dei territori coloniali da parte degli stati europei (tortelli e frittata).

Crapa pelada la fa i turtei
Ghe ne dà minga ai so fradei
I so fradei fan la fritada.
Ghe ne dan minga a Crapa pelada.

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Pagina 39

Canta Napoli

Raffaele Viviani, Totò, Nino Taranto, Renato Carosone, Gegè Di Giacomo


Le origini della canzone satirica e umoristica napoletana si perdono nella notte dei tempi. È fuor di dubbio che nell'Opera Buffa, nata nel Settecento, autori ignoti scrivono canzoni memorabili come: Lo Guarracino e Cicerenella. Altre, come Amice, nun credite a le zitelle di Francesco Cerlone, danno il via a un filone inesauribile. Le canzoni vengono diffuse nei modi più curiosi e stravaganti, dai cantastorie che hanno "l'esclusiva" di un rione o di una piazza, al "pianino" che è un'evoluzione dell'Organetto di Barberia, inventato nel 1702 dal modenese Giovanni Barbieri. Il pianino viene trainato a braccia o da un ronzino per le vie di Napoli mentre diffonde, a ricarica meccanica, ogni tipo di canzoni, ufficiali o di contrabbando, in cui sono privilegiate quelle più umoristiche. Alla fine dell'Ottocento nasce ufficialmente la cosiddetta "macchietta", brevi composizioni tra canto e parlato che raccontano passioni amorose, personaggi eccentrici e grotteschi. Un autore particolarmente prolifico è Ferdinando Russo che scrive piccoli capolavori come 'O scioglimento d'o cuorpo.

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Pagina 65

Botte, whisky, sigarette, pupe e swing

Fred Buscaglione, un americano a Torino

Il sogno americano in Italia l'hanno proposto in tanti, ma sono tre gli artisti che lo rappresentano al meglio: Alberto Sordi nel film Un americano a Roma, Renato Carosone e Fred Buscaglione con il suo vastissimo repertorio di canzoni scritte insieme al paroliere Leo Chiosso.

Il grande Fred rappresenta perfettamente il prototipo dell'artista-mito americano, un incrocio tra l'Humphrey Bogart sempre con la sigaretta in bocca e il James Dean delle auto sportive. Vita intensa, spericolata e purtroppo breve.

[...]

Ma il capolavoro che inseguono da anni, attorno al quale hanno forse girato da sempre senza mai scorgerlo, adesso è lì scritto sul pentagramma e potrebbe diventare un grande successo.

Mi trovavo per la strada circa all'una e trentatré
L'altra notte mentre uscivo dal mio solito caffè
Quando incrocio un bel mammifero modello centotré
(fischio) Che bambola!

Riempiva un bel vestito di magnifico lamè
Era un cumulo di curve come al mondo non ce n'è
Che spettacolo le gambe, un portento credi a me...
(fischio) Che bambola!

"Ehi, ehi, ehi, le grido, piccola,
dai, dai, dai non far la stupida,
sai, sai, sai io sono volubile
se non mi baci subito
tu perdi un'occasion."

Lei si volta, poi mi squadra come fossi uno straccion,
poi si mette bene in guardia, come Rocky il gran campion
finta il destro, e di sinistro lei m'incolla ad un lampion...
(fischio) Che sventola!

Ma i discografici nicchiano, tergiversano, non sono convinti e allora è l'amico Latilla che va dal direttore della Cetra e gli comunica che è disposto a comprare personalmente 5000 copie se avessero fatto incidere Fred. È lui, generosamente, che apre la strada, che s'impegna come forse non avrebbe fatto un fratello. Chiosso e Buscaglione non lo dimenticheranno mai.

Il gioco è fatto, il 78 giri vende quasi un milione di copie: un trionfo!

Che bambola! dura solo un minuto e mezzo, ritmo tiratissimo, suoni sorprendenti con tromba in sordina e cucù, testo perfetto. Insomma un mix esplosivo.

Chi sia la musa ispiratrice della canzone non è dato sapere: forse Marilyn Monroe ("un cumulo di curve"), forse l'algida Lauren Bacali o la fascinosa Rita Hayworth, ma le "bambole" femmes fatales restano le fonti principali per le canzoni più conosciute del duo Chiosso-Buscaglione. L'immaginario è quello della donna sexy, di "quelle che ti mettono nei guai" dove il duro, come nella migliore tradizione hollywoodiana, finisce col rimetterci sempre. Donne che tirano pugni e sparano ma, sorprendentemente, nella vis comica degli autori la diva di turno può persino essere una sorta di nana, come in Eri piccola così.

T'ho viziata
Coccolata
Latte burro
Marmellata
Eri piccola
Piccola-piccola... così

Che cretino
Sono stato
Anche il gatto
M'hai venduto
Eri piccola
Piccola-piccola... così

Tu... fumavi mille sigarette
Io... facevo il grano col tresette

Poi un giorno m'hai piantato
Per un tipo svaporato...
T'ho cercata, t'ho scovata
L'ho guardato, s'è squagliato
Quattro schiaffi t'ho servito
Tu m'hai detto: Disgraziato!
La pistola m'hai puntato
Ed un colpo m'hai sparato
E spara... (bang)
Spara... (bang)
Spara... (bang)
(colpo di tosse)

E pensare che eri piccola
Ma piccola – tanto piccola... così!

In questa canzone stupisce la tecnica di scrittura del testo. Il ritmo è velocissimo e le "tronche" si susseguono perfettamente narrando le fasi del racconto in modo avvincente, sintetico e inequivocabile. La fase finale dell'incontro a tre, lui, lei, l'amante, è di uno straordinario realismo. In soli 10 secondi e 25 parole, Buscaglione e Chiosso illustrano tutta la sequenza dell'azione come se fosse il trailer di un film noir.

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Pagina 107

Ci ragiono e canto

Dario Fo

Dario Fo vince il premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: "Seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi" e, nel 2007, il quotidiano britannico "The Daily Telegraph" lo inserisce al settimo posto nella lista dei 100 maggiori geni viventi. La sua opera Mistero Buffo viene pubblicata in tutto il mondo, eppure è l'italiano più censurato nella storia dello spettacolo e del teatro e, per ben due volte, gli è stato negato il visto per gli Stati Uniti.

Fo rappresenta il perfetto anello di congiunzione tra la critica sociale e la satira, tra la contestazione politica e la comicità popolare. Il "giullare" è più a sinistra di qualsiasi leader extraparlamentare del momento. Il suo modo di raccontare fatti e personaggi del potere è privo di retorica e demagogia e per questo risulta più convincente dell'ideologia comunista ultraortodossa.

Tra le numerose canzoni di Fo scritte per sé e tanti altri interpreti, vale la pena considerare Su cantiam, che è addirittura la sigla di apertura di "Canzonissima", programma tv che poi è costretto ad abbandonare alla settima puntata.

Popolo del miracolo
miracolo economico
oh popolo magnifico,
campion di libertà
di libertà di transito,
di libertà di canto,
di canto e controcanto
di petto e in falsetto

Chi canta è un uomo libero
di qualsivoglia ragionamento
chi canta è già contento
di quello che non ha

Su cantiam, su cantiam
evitiamo di pensar
per non polemizzar
mettiamoci a cantar

È il 1962, la tv è ancora in bianco e nero eppure questo testo è attuale, non tanto nella descrizione di un popolo che non c'è più, quanto nella concezione che il potere nutre nei confronti della canzone: un mezzo futile per non pensare, uno strumento di intrattenimento che distolga dalla realtà. Dopo aver subito una serie infinita di censure, Dario Fo e Franca Rame abbandonano la Rai: il giullare è scomodo, troppo scomodo, non è in grado di compiacere i funzionari di Stato.

Sei anni dopo "regala" a Enzo Jannacci una canzone che è un'autentica presa di posizione nei confronti dei potenti, i cui interessi sono opposti a quelli della gente comune. Ho visto un re, tratto dallo spettacolo teatrale Ci ragiono e canto, è uno dei suoi brani più noti. La musica è di Paolo Ciarchi, che all'epoca non è ancora iscritto alla Siae, per cui il compositore ufficiale risulta Ernesto Esposito, registrato sotto lo pseudonimo Omicron. Il pezzo, naturalmente, viene censurato da "Canzonissima". Dovrebbe cantarla Jannacci, che ha appena pubblicato il disco prodotto da Nanni Ricordi, ma così non è. Pur non comparendo, Fo viene quindi censurato di nuovo, ma questa volta come autore.

Dai dai, conta su... ah beh, sì beh...
— Ho visto un re.
— Sa l'ha vist cus'è?
— Ha visto un re!
— Ah, beh; sì, beh.

— Un re che piangeva seduto sulla sella
  piangeva tante lacrime, ma tante che
  bagnava anche il cavallo!
— Povero re!
— E povero anche il cavallo!
— Ah, beh; sì, beh.

— È l'imperatore che gli ha portato via
  un bel castello...
— Ohi che baloss!
— ... di trentadue che lui ne ha.
— Povero re!
— E povero anche il cavallo!
— Ah, beh; sì, beh.

La canzone è ancora di stretta attualità, basta il finale per rendersene conto:

E sempre allegri bisogna stare
che il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam

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Pagina 113

L'importante è esagerare

Enzo Jannacci

Nel 1967 esce una canzone firmata Fo-Fiorentini-Jannacci: Vengo anch'io. No, tu no. Ha un titolo insolito, singolare. Anche se non compare il punto interrogativo, implicitamente il titolo contiene una domanda e una risposta. Non esistono molti titoli del genere nella storia della canzone italiana. Più che altro ci sono titoli che contengono una domanda, ma senza punto interrogativo. Da Maramao perché sei morto (1939) a Cosa hai messo nel caffè (1969) fino a Cosa resterà degli anni '80 (1989). Sottigliezze? No, perché un titolo azzeccato è importante, determina in qualche modo il successo di una canzone, se poi diventa uno slogan, un modo di dire, una battuta-tormentone allora non può che trasformarsi in un successo. Infatti Vengo anch'io. No, tu no arriva fino alla testa della hit parade e resta la canzone più nota di Enzo Jannacci, e come spesso accade anche quella meno amata dal suo stesso interprete.

La storia di questo pezzo è curiosa perché esistono due versioni del testo, una di Fo e una di Jannacci. Non divergono totalmente ma danno luogo a differenti e distinte interpretazioni. Il testo di Fo è più militante, più politico e decisamente contro:

Si potrebbe andare tutti insieme nei mercenari
Vengo anch'io. No, tu no
Giù nel Congo da Mobutu a farci arruolare
Poi sparare contro i negri col mitragliatore
Ogni testa danno un soldo per la civiltà

Vengo anch'io. No, tu no
Vengo anch'io. No, tu no
Vengo anch'io. No, tu no
Ma perché? Perché no!

Si potrebbe andare tutti in Belgio nelle miniere
Vengo anch'io? No, tu no.
A provare che succede se scoppia il grisù
Venir fuori bei cadaveri con gli ascensori
Fatti su nella bandiera del tricolor

Vengo anch'io. No, tu no...

La versione di Jannacci, invece, riguarda ognuno di noi. È il grido di dolore dei solitari, degli emarginati, di chi vorrebbe esercitare un normale diritto di appartenenza alla società che però gli viene negato. Nel suo testo è facile identificarsi, perché il disagio del protagonista è anche il nostro. Qui non ci sono riferimenti a fatti o a persone reali (dittatori africani o morti sul lavoro). Enzo canta la quotidianità. Quella dell'individuo, solo e smarrito, che non riesce nemmeno ad avere una risposta: "Ma perché? Perché no!".

Si potrebbe andare tutti quanti, ora che è primavera
Vengo anch'io. No, tu no.
Con la bella sotto braccio a parlare d'amore
E scoprire che va sempre a finire che piove
E vedere di nascosto l'effetto che fa

Vengo anch'io. No, tu no
Vengo anch'io. No, tu no
Vengo anch'io. No, tu no
Ma perché? Perché no!

Si potrebbe poi sperare in un mondo migliore
Vengo anch'io. No, tu no
Dove ognuno sia già pronto a tagliarti una mano,
un bel mondo sol con l'odio ma senza l'amore
e vedere di nascosto l'effetto che fa

Vengo anch'io. No, tu no
Vengo anch'io. No, tu no
Vengo anch'io. No, tu no
Ma perché? Perché no!

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Pagina 146

Negli anni '70 la canzone satirica spopola anche in Toscana, fatto più che scontato dato che, storicamente, la satira nasce proprio nella regione più "maledetta" d'Italia. Il Vernacolo toscano, per sua stessa natura, permette ogni licenza linguistica irriverente, sdogana il politicamente non corretto e insieme eleva la volgarità e l'oltraggio a vera e propria arte. La satira toscana, soprattutto quella livornese, trova la sua perfetta descrizione in una sentenza della Corte di Cassazione del 2006: "È quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene".

Il "riso suscitato" è di fatto figlio del Vernacolo. Non a caso un vecchio detto, che è ancora fortemente diffuso, recita: "Chi ride, leva un chiodo alla bara".

In Toscana prosperano artisti, attori comici e cantautori che hanno il merito di rilanciare un dialetto facilmente comprensibile in tutt'Italia. Fra questi c'è David Riondino che a Firenze, da ragazzo, milita nel gruppo teatral-musicale Victor Jara, alternando canzoni di lotta a happening underground. Tipo: il funerale al dittatore spagnolo Franco che culmina in piazza della Signoria, con tanto di bara esposta. Riondino è il frontman ufficiale con barba incolta, capelli arruffati e chitarra a tracolla.

Ma lui possiede una vena talmente umoristica che non può essere annoverato tra i cantautori impegnati e arrabbiati dell'epoca.

[...]

Nello stesso anno Riondino scrive e pubblica Samba '78 in cui descrive con sublime ironia mode e modi della generazione di quel periodo. È un perfetto esempio di come la canzone possa far ridere e far riflettere insieme. Qui lui immagina il passaggio tra la generazione contestatrice del '68 e quella che abbraccerà il cosidetto decennio del riflusso, i "famigerati" anni Ottanta, durante i quali le istanze e le idee rivoluzionarie del decennio precedente diventano passatempi da salotto, giochini di società, supporti e dispositivi mentali, antesignani dei dispositivi digitali di oggi, i cellulari, le app, i "mi piace" di facebook. Ad eccezione di Giorgio Gaber, nessun cantautore come David Riondino ha saputo descrivere così bene quel passaggio generazionale.

I più sono impegnati a fare gli impegnati del disimpegno
Sono preoccupati che ogni battuta arrivi a segno
Tutta questa ironia che esce fuori dalle camicie a scacchi
Le pieghe del velluto, i cappelli a tesa, stivali e tacchi.
Sublime voluttà della battutina al momento giusto
Essere scettici è un abito morbido, da gente di buon gusto
Disinvoltura amara di un'ironia senza troppi amori
Che sboccia un po' svagata dal fruscio delle gonne a fiori
L'eskimo non va più, siamo al velluto o al pellicciotto
Torna la giacca di lana, se è chiaro e largo torna il cappotto.
...
Essere diversi è un vanto, un prezioso vezzo, quel certo neo
Sogni di risvegliarti un bel giorno negro, omosex, ebreo
Serpeggia l'imbarazzo di essere scambiati per normali
"Sai cara son diverso" – "Sai caro, anch'io" – "Come siamo uguali"
Emarginato è bello, disoccupato fa quasi figo, follia, creatività,
scemo è bello, pazzo è alternativo.
Certo che la follia non arride a tutti, ci vuol pazienza,
direi che mediamente siamo attestati sulla demenza...

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Pagina 158

In questa storia sulla canzone comica e satirica, Giorgio Gaber suona, forse, un po' fuori contesto, perché uno spirito libero come il suo sfugge a ogni tipo di genere e di classificazione. Ma per tantissimi artisti, poeti, cantautori o attori è stato ed è tuttora la persona ideale da avere come preciso riferimento artistico. Ogni sua canzone è, e sarà sempre, di stretta attualità. Basta citarne una altamente profetica che, forse mai come oggi, risulta così illuminante: Destra-Sinistra. Un ritratto fortemente ironico, satirico e spietatamente vero della nostra cultura politica che, probabilmente, resterà per sempre immutata. È un regime di pensiero che ci riporta all'epoca dei Guelfi e Ghibellini, perennemente divisi, tanto apparentemente dissimili quanto drammaticamente uguali: cloni dello stesso cancro mentale che l'omologazione, tanto combattuta da Gaber, produce nelle vecchie come nelle nuove generazioni.
Una bella minestrina è di destra
il minestrone è sempre di sinistra
tutti i films che fanno oggi son di destra
se annoiano son di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

Le scarpette da ginnastica o da tennis
hanno ancora un gusto un po' di destra
ma portarle tutte sporche e un po' slacciate
è da scemi più che di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

I blue-jeans che sono un segno di sinistra
con la giacca vanno verso destra
il concerto nello stadio è di sinistra
i prezzi sono un po' di destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

I collant son quasi sempre di sinistra
il reggicalze è più che mai di destra
la pisciata in compagnia è di sinistra
il cesso è sempre in fondo a destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

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Pagina 181

La deriva goliardica

Ruggero Oppi, Riz Samaritano, Squallor e molti altri


Che la canzone umoristica, in alcuni casi, trascenda nella goliardia è persino ovvio. In un modo o nell'altro ci sono cascati quasi tutti, se per goliardia s'intende la canzoncina costruita sui doppi sensi di tipo sessuale. Persino Orietta Berti, la cantante italiana nazionalpopolare per eccellenza, ne interpreta una, la tristemente nota Finché la barca va: "Quando l'amore viene il campanello suonerà" è un verso molto esplicito in questo senso. Anche Renzo Arbore si cimenta nel genere, addirittura al Festival di Sanremo con Il clarinetto, in cui si fa riferimento a un altro strumento, niente affatto musicale, come del resto succede con la "chitarrina", citata più volte nel malizioso testo. L'innata eleganza di Arbore, però, lo preserva dal rischio goliardico come, del resto, succede pochi anni prima con due masterpieces tratti da "Quelli della notte": Ma la notte no e Il materasso.

In questo capitolo vale la pena tentare un salto carpiato rovesciato con quoziente di difficoltà di 9,9, vale a dire cercare di salvare il puro lato comico di alcune canzoni esplicitamente oscene. Non è un'operazione semplice perché costringe a muoversi in precario equilibrio sul filo del cattivo gusto.

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Pagina 188

La goliardia fa parte di quella cultura bassa che, a volte, riesce a coinvolgere personaggi di ben altra estrazione. Molti artisti dello spettacolo ne sono stati contaminati, quasi per una fugace quanto fisiologica necessità liberatoria nei confronti della cultura con la C maiuscola: la canzone d'autore, il teatro d'avanguardia, il cinema impegnato, l'arte concettuale o la sperimentazione in genere.

Non si spiega altrimenti come un bravo attore e autore come Francesco Nuti, assolutamente estraneo alle commediole cinematografiche sexy dei vari Lino Banfi e Alvaro Vitali, abbia potuto incidere l'allegra canzoncina Puppe a pera.

Alta, o bella, o bionda
Alta, bella, bionda
Occhi celesti

Puppe a pera
Tu c'hai le puppe a pera
Tu c'hai le puppe a pera, pera, pera, pera, pera, pera
Puppe a pera

Difficile stabilire quanto questa canzone abbia a che fare con la scuola satirica toscana, quella di Benigni, Riondino, Vauro, o quella più spinta del livornese "Vernacoliere": si salva solo perché il testo, assai esplicito, è privo di doppi sensi o sottintesi.

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Pagina 200

Francesco Salvi, uno dei più bravi comici surreali nella storia della comicità italiana, ai tempi d'oro gira per i piani della Fininvest in accappatoio, brandendo spesso un gelato in mano, sempre pronto allo scherzo, alla gag improvvisa, al colpo di follia istantaneo. Il suo programma, "MegaSalviShow" (1988-1989) fa il pari con la comicità dei Monty Python. Alcune scene sono davvero folli, come quella in cui tutti i movimenti, suoi e degli attori in scena, avvengono all'incontrario. Non si tratta di un nastro girato in rewind, ma accade davvero in tempo reale. È lui a trascinarsi all'indietro e a ripercorrere in senso inverso i salti sulle scrivanie e sulle sedie. Mai visto niente di simile in televisione. In più ha un'energia e una resistenza incredibile. Non si ferma di fronte a niente. Se c'è da girare una scena pericolosa o particolarmente scomoda è sempre il primo a dire "Facciamola, dài!". Ricorda la stessa forza del grandissimo comico-clown Jango Edwards, energia rock applicata alla comicità.

[...]

Anche se lavora nel clan di Antonio Ricci, Salvi è autore di se stesso, ma è troppo "fuori", troppo avanti per i canoni televisivi di quel periodo, figuriamoci oggi. La sua forza sono le espressioni, le facce, il fisico, la gestualità, la duttilità della voce, e ovviamente anche le sue canzoni. Ama il rock, ma anche gli stornelli e i canti da gita in corriera. Fa satira su ogni tema: mode, stili di vita, manie generazionali, mentre la politica lo interessa meno. È un tema troppo scontato.

Pubblica ben 8 album, vincendo 7 volte il Disco d'Oro e aggiudicandosi 5 volte quello di Platino. Il singolo C'è da spostare una macchina, sigla del "MegaSalviShow", resta primo in classifica per molte settimane.

È il grido disperato di un posteggiatore in un parcheggio di una discoteca, che cerca invano di svolgere bene il suo compito. Urla agli automobilisti perché la musica da discoteca sparata a tutto volume rimbomba persino all'esterno e la sua "dannazione" è un veicolo diesel con la marcia inserita, che non riesce a spostare in alcun modo.

C'è da spostare una macchina!
C'è da spostare una macchina!
Disk-jockey, c'è da spostare una macchina
Venga fuori qualcuno che da solo non ce la faccio a farcela!
E basta!

Quella macchina qua devi metterla là
Quella macchina là devi metterla qua
Qua
Quella macchina qua devi metterla là
È un diesel! È un diesel!

C'è da spostare la macchina di prima,
vuole venire qualcuno a darmi una mano oppure no
Che siamo qua tutti a ballare e io sono fuori a lavorare!

C'è da spostarla... e basta!
La vogliamola spostarla o no?
E basta!

La canzone è un classico tormentone che ben presto diventa l'inno di tutti i posteggiatori d'Italia. Le radio la programmano con una frequenza ossessiva, le discoteche pure. Viene persino incisa una cover da parte del comico sardo Benito Urgu ribattezzata C'è da spostare una pecora.

Il successo porta d'ufficio Salvi, nel 1989, al Festival di Sanremo dove si afferma al settimo posto con Esatto!, altro tormentone da alta classifica, e ancora nel 1994 con Statènto dove si classifica quindicesimo. Nella storia della canzone umoristica satirica-demenziale è, a tutti gli effetti, il comico che ha venduto più dischi tra tutti i colleghi: un delitto e un mistero glorioso la sua lenta, ma inesorabile scomparsa dalle scene.

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Chi se ne frega della musica

Caparezza

Attorno alla fine degli anni '80 scoppia la moda del Rap, forse l'ultimo fenomeno musicale a scompaginare del tutto le regole del costume e del mercato discografico. Partito dai ghetti e dalle periferie statunitensi fa fatica a imporsi in Italia ma, anche in questo caso, viene contaminato dalla satira e dall'umorismo di costume. Uno dei primi contaminatori, insieme agli Articolo 31, è Michele Salvemini, dapprima nascosto sotto lo pseudonimo Mikimix e, dopo una decisa e improvvisa conversione, noto con il nome d'arte Caparezza. Rinnegando decisamente il passato lui stesso si autodefinisce pubblicamente: "Egli fu Mikimix, cantante insignificante, dal cui disgusto nacque il se stesso odierno".

Caparezza ha il merito di entrare a tutta velocità nel confuso mondo dell'Hip-hop accostandolo alla canzone satirica. Mette insieme cattiveria, ironia, trasgressione e divertimento come nessun altro. Rispolvera l'immagine del freak degli anni '70, i capelli alla Jimi Hendrix e il pizzetto alla Frank Zappa, e li frulla nel travolgente linguaggio rap. In lui c'è molta modernità e tradizione allo stesso tempo, c'è lo stile scioglilingua alla Petrolini, il mood delle sigle televisive, dei serial e dei cartoon americani, c'è la critica feroce allo Stato e la parodia delle rockstar: un insieme di aspetti molto difficili da decifrare e da ingabbiare in uno stile ben preciso. Caparezza è un concentrato di follia, impegno, genio e sregolatezza, molto anomalo nel panorama musicale italiano. Esemplare è il suo testo di Chi se ne frega della musica:

E chi se ne frega della musica,
di tutti
questi libri sulla musica,
di tutte
le interviste, di tutte le riviste,
di tutti gli arrivisti, gli arrivisti,
gli arrivisti.
Io con la musica non
c'entro niente
come il mio pene davanti
al wc, a luci spente
mi contraddico
facilmente
ma lo faccio così spesso
che questo fa di me una persona coerente
ed ho tanto da dire perché ho poco da fare,
tu mi invidi, sorridi, mi proponi
un affare:
cominciare con i temi di
cui parla Faber
e finire per un mese
sull'isola a far la fame.

Questo è un brano da inserire nel filone delle canzoni anti-mercato, quelle in cui l'artista manifesta un certo disappunto nei confronti dell'establishment musicale, dell'industria discografica e di tutto il cucuzzaro. È lo sfogo liberatorio di uno che rifiuta di essere definito, catalogato, integrato a un genere, a un fenomeno, a uno scomparto o a un target. È un brano accostabile a Per fare una canzone di Rodolfo De Angelis e a Signore dei dischi degli Skiantos, passando per la Canzone intelligente di Cochi e Renato. Caparezza oltrepassa orgogliosamente il limite dei colleghi, manifestando un'onesta e sincera ribellione.

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