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| << | < | > | >> |Indice7 Prefazione Alberto Tonti 11 Genesi. Petrolini e Rodolfo De Angelis 21 Canzoni della fronda. Pippo Starnazza, Mario Panzeri, Gorni Kramer, Vittorio Mascheroni, Natalino Otto 39 Canta Napoli. Raffaele Viviani, Totò, Nino Taranto, Renato Carosone, Gegè Di Giacomo 61 I Fab Four italiani. Il Quartetto Cetra 65 Botte, whisky, sigarette, pupe e swing. Fred Buscaglione, un americano a Torino 73 Un successo mondiale. I Brutos 77 Il sacrario del cabaret. Il Derby Club 83 Il Nebbia Club. Franco Nebbia 89 Il pre-demenziale. Ghigo, Clem Sacco, Guidone, Gaber 101 Da Brassens alla canzone popolare meneghina, dalle canzoni della Resistenza al Cantamacabro. I Gufi 107 Ci ragiono e canto. Dario Fo 113 L'importante è esagerare. Enzo Jannacci 123 La canzone intelligente. Cochi e Renato 129 Una meteora rock. Ugolino 131 Una risata vi seppellirà! Gianfranco Manfredi, Ricky Gianco, Stefano Rosso, Rino Gaetano, David Riondino, Roberto Benigni 155 Il signor G. Giorgio Gaber 161 Elogio della follia. Freak Antoni 165 Una guerra fratricida. Skiantos vs Elio e le Storie Tese 175 È la puntina che traccia il solco e il giradischi che lo difende. Renzo Arbore 181 La deriva goliardica. Ruggero Oppi, Riz Samaritano, Squallor e molti altri 193 L'inesauribile serie dei comicanti. Gene Gnocchi, Dario Vergassola, Francesco Salvi, Enzo Iacchetti, Claudio Bisio 209 Frank Zappa made in Italy. L'incredibile storia di Sandro Oliva 215 Una luminosa meteora. Paco D'Alcatraz 219 Lo strano caso dei Figli di Bubba (una storia personale) 225 San Comico. Anche al Festival si cantano canzoni da ridere 237 Chi se ne frega della musica. Caparezza 247 Elenco delle canzoni di cui è citato il testo |
| << | < | > | >> |Pagina 11GenesiPetrolini e Rodolfo De Angelis Il 19 luglio 1943, nel corso del primo bombardamento su Roma, un ordigno colpisce la tomba di Ettore Petrolini nel cimitero del Verano. Il busto di marmo si spezza e la cassa contenente la salma è gravemente danneggiata. Pare che, quando viene riaperta, il famoso frac che indossava durante i suoi spettacoli sia ancora intatto. È il frac del suo personaggio più celebre: Gastone. [...] Petrolini anticipa i suoi biografi con una canzone straordinaria, Fortunello, che lo stesso Filippo Tommaso Marinetti giudica con queste parole: "È il più difficilmente analizzabile dei capolavori petroliniani, il quale col suo ritmo meccanico e motoristico, col suo teuf-teuf martellante all'infinito, assurdità e rime grottesche, scava dentro il pubblico tunnels spiralici di stupore e di allegria illogica e inesplicabile".
Fortunello
è una canzone fondamentale nella storia della
canzone umoristica, una pietra miliare del
nonsense.
Un piccolo capolavoro a cui si sono ispirati tutti i comici italiani che hanno
applicato il gioco di parola, il doppio senso, l'equivoco linguistico, gli
sconvolgimenti lessicali: dai fratelli De Rege ad Alessandro Bergonzoni, da
Dario Fo a Nino Frassica. Per non parlare della maggior parte degli attori
romani, tutti suoi figli d'arte: Fabrizi, Sordi, Montesano, Manfredi, Proietti,
Verdone. Senza contare che è indubbiamente la prima canzone "rap" nella
storia della musica italiana.
Dunque chi è Petrolini? Un funambolico macchiettista? Un divulgatore della canzone popolare italiana? Un autore futurista? Un dissacratore del regime fascista? Un amico di Galeazzo Ciano e ammiratore di Mussolini? È tutte queste cose insieme e allo stesso tempo il contrario. Uomo di cultura certamente, addirittura esperto collezionista, possessore di migliaia di libri, venduti dopo la sua morte in un'asta pubblica, il cui catalogo conta ben 746 lotti, con decine di edizioni differenti delle opere di Goldoni, Alfieri, Racine, Pellico. | << | < | > | >> |Pagina 27[...] Lo stesso timore si propaga a macchia d'olio ad altri interpreti e autori, come Mario Panzeri.Strano destino il suo. Nato a Milano nel 1911, rimasto presto orfano, cerca da adolescente di sfondare nel mondo del varietà. In realtà come cantante è molto scarso, così comincia a scrivere canzoni per interpreti di grande talento, come Maria Jottini. Il successo, dopo Maramao perché sei morto?, gli procura, però, guai a non finire. La persecuzione prosegue imperterrita anche quando, nel 1940, Panzeri, assieme a Restelli e Kramer, scrive un motivetto ironico e molto orecchiabile: Pippo non lo sa. Il testo è ispirato a uno dei tanti personaggi della provincia italiana, il gagà, il conquistatore narciso innamorato di se stesso, una figura che Ettore Petrolini aveva già lanciato nel 1921 con il suo brano più celebre: Gastone.
Purtroppo il testo della canzone ricorda in modo inequivocabile le abitudini
del noto gerarca Achille Starace, segretario
del Partito Nazionale Fascista, che è solito effettuare ripetute
"vasche" nella via principale della città, facendo sfoggio della sua
divisa d'ordinanza. Anche in questo caso, quindi, Panzeri è vittima di un'altra
sfortunata coincidenza che lo obbliga a difendersi
più volte dalle accuse, smentendo ripetutamente il riferimento a
persone esistenti.
[...] Simile sorte tocca anche a Gorni Kramer, nato a Rivarolo Mantovano il 22 luglio 1913, riconosciuto e stimato come primo fisarmonicista jazz made in Italy. Nel 1936, la sua Crapa pelada entra nel libro nero delle "canzoni della fronda".
Le motivazioni sono assolutamente irrisorie, in primo luogo il ritmo jazz,
definito "strumento di musica afro-demo-pluto-giudo-masso-epilettoide", e poi il
testo in cui si ravvisa un irriguardoso sberleffo alla calvizia del Duce e un
esplicito riferimento alla spartizione dei territori coloniali da parte degli
stati europei (tortelli e frittata).
| << | < | > | >> |Pagina 39Canta Napoli
Raffaele Viviani, Totò, Nino Taranto, Renato Carosone, Gegè Di Giacomo
Le origini della canzone satirica e umoristica napoletana si perdono nella notte dei tempi. È fuor di dubbio che nell'Opera Buffa, nata nel Settecento, autori ignoti scrivono canzoni memorabili come: Lo Guarracino e Cicerenella. Altre, come Amice, nun credite a le zitelle di Francesco Cerlone, danno il via a un filone inesauribile. Le canzoni vengono diffuse nei modi più curiosi e stravaganti, dai cantastorie che hanno "l'esclusiva" di un rione o di una piazza, al "pianino" che è un'evoluzione dell'Organetto di Barberia, inventato nel 1702 dal modenese Giovanni Barbieri. Il pianino viene trainato a braccia o da un ronzino per le vie di Napoli mentre diffonde, a ricarica meccanica, ogni tipo di canzoni, ufficiali o di contrabbando, in cui sono privilegiate quelle più umoristiche. Alla fine dell'Ottocento nasce ufficialmente la cosiddetta "macchietta", brevi composizioni tra canto e parlato che raccontano passioni amorose, personaggi eccentrici e grotteschi. Un autore particolarmente prolifico è Ferdinando Russo che scrive piccoli capolavori come 'O scioglimento d'o cuorpo. | << | < | > | >> |Pagina 65Botte, whisky, sigarette, pupe e swingFred Buscaglione, un americano a Torino Il sogno americano in Italia l'hanno proposto in tanti, ma sono tre gli artisti che lo rappresentano al meglio: Alberto Sordi nel film Un americano a Roma, Renato Carosone e Fred Buscaglione con il suo vastissimo repertorio di canzoni scritte insieme al paroliere Leo Chiosso. Il grande Fred rappresenta perfettamente il prototipo dell'artista-mito americano, un incrocio tra l'Humphrey Bogart sempre con la sigaretta in bocca e il James Dean delle auto sportive. Vita intensa, spericolata e purtroppo breve. [...]
Ma il capolavoro che inseguono da anni, attorno al quale
hanno forse girato da sempre senza mai scorgerlo, adesso è lì scritto sul
pentagramma e potrebbe diventare un grande successo.
Ma i discografici nicchiano, tergiversano, non sono convinti e allora è l'amico Latilla che va dal direttore della Cetra e gli comunica che è disposto a comprare personalmente 5000 copie se avessero fatto incidere Fred. È lui, generosamente, che apre la strada, che s'impegna come forse non avrebbe fatto un fratello. Chiosso e Buscaglione non lo dimenticheranno mai. Il gioco è fatto, il 78 giri vende quasi un milione di copie: un trionfo! Che bambola! dura solo un minuto e mezzo, ritmo tiratissimo, suoni sorprendenti con tromba in sordina e cucù, testo perfetto. Insomma un mix esplosivo.
Chi sia la musa ispiratrice della canzone non è dato sapere:
forse Marilyn Monroe ("un cumulo di curve"), forse l'algida Lauren Bacali o la
fascinosa Rita Hayworth, ma le "bambole"
femmes fatales
restano le fonti principali per le canzoni più conosciute del duo
Chiosso-Buscaglione. L'immaginario è quello della donna sexy, di "quelle che ti
mettono nei guai" dove il duro,
come nella migliore tradizione hollywoodiana, finisce col rimetterci sempre.
Donne che tirano pugni e sparano ma, sorprendentemente, nella
vis comica
degli autori la diva di turno può persino essere una sorta di nana, come in
Eri piccola così.
In questa canzone stupisce la tecnica di scrittura del testo. Il ritmo è velocissimo e le "tronche" si susseguono perfettamente narrando le fasi del racconto in modo avvincente, sintetico e inequivocabile. La fase finale dell'incontro a tre, lui, lei, l'amante, è di uno straordinario realismo. In soli 10 secondi e 25 parole, Buscaglione e Chiosso illustrano tutta la sequenza dell'azione come se fosse il trailer di un film noir. | << | < | > | >> |Pagina 107Ci ragiono e cantoDario Fo Dario Fo vince il premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: "Seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi" e, nel 2007, il quotidiano britannico "The Daily Telegraph" lo inserisce al settimo posto nella lista dei 100 maggiori geni viventi. La sua opera Mistero Buffo viene pubblicata in tutto il mondo, eppure è l'italiano più censurato nella storia dello spettacolo e del teatro e, per ben due volte, gli è stato negato il visto per gli Stati Uniti. Fo rappresenta il perfetto anello di congiunzione tra la critica sociale e la satira, tra la contestazione politica e la comicità popolare. Il "giullare" è più a sinistra di qualsiasi leader extraparlamentare del momento. Il suo modo di raccontare fatti e personaggi del potere è privo di retorica e demagogia e per questo risulta più convincente dell'ideologia comunista ultraortodossa.
Tra le numerose canzoni di Fo scritte per sé e tanti altri interpreti, vale
la pena considerare
Su cantiam,
che è addirittura la sigla di apertura di "Canzonissima", programma tv che poi è
costretto ad abbandonare alla settima puntata.
È il 1962, la tv è ancora in bianco e nero eppure questo testo è attuale, non tanto nella descrizione di un popolo che non c'è più, quanto nella concezione che il potere nutre nei confronti della canzone: un mezzo futile per non pensare, uno strumento di intrattenimento che distolga dalla realtà. Dopo aver subito una serie infinita di censure, Dario Fo e Franca Rame abbandonano la Rai: il giullare è scomodo, troppo scomodo, non è in grado di compiacere i funzionari di Stato.
Sei anni dopo "regala" a Enzo Jannacci una canzone che è
un'autentica presa di posizione nei confronti dei potenti, i cui
interessi sono opposti a quelli della gente comune.
Ho visto un re,
tratto dallo spettacolo teatrale
Ci ragiono e canto,
è uno dei suoi brani più noti. La musica è di Paolo Ciarchi, che all'epoca
non è ancora iscritto alla Siae, per cui il compositore ufficiale
risulta Ernesto Esposito, registrato sotto lo pseudonimo Omicron. Il pezzo,
naturalmente, viene censurato da "Canzonissima". Dovrebbe cantarla Jannacci, che
ha appena pubblicato il disco prodotto da Nanni Ricordi, ma così non è. Pur non
comparendo, Fo viene quindi censurato di nuovo, ma questa volta come autore.
La canzone è ancora di stretta attualità, basta il finale per rendersene
conto:
| << | < | > | >> |Pagina 113L'importante è esagerareEnzo Jannacci Nel 1967 esce una canzone firmata Fo-Fiorentini-Jannacci: Vengo anch'io. No, tu no. Ha un titolo insolito, singolare. Anche se non compare il punto interrogativo, implicitamente il titolo contiene una domanda e una risposta. Non esistono molti titoli del genere nella storia della canzone italiana. Più che altro ci sono titoli che contengono una domanda, ma senza punto interrogativo. Da Maramao perché sei morto (1939) a Cosa hai messo nel caffè (1969) fino a Cosa resterà degli anni '80 (1989). Sottigliezze? No, perché un titolo azzeccato è importante, determina in qualche modo il successo di una canzone, se poi diventa uno slogan, un modo di dire, una battuta-tormentone allora non può che trasformarsi in un successo. Infatti Vengo anch'io. No, tu no arriva fino alla testa della hit parade e resta la canzone più nota di Enzo Jannacci, e come spesso accade anche quella meno amata dal suo stesso interprete.
La storia di questo pezzo è curiosa perché esistono due versioni del testo,
una di Fo e una di Jannacci. Non divergono totalmente ma danno luogo a
differenti e distinte interpretazioni.
Il testo di Fo è più militante, più politico e decisamente contro:
La versione di Jannacci, invece, riguarda ognuno di noi. È il grido di
dolore dei solitari, degli emarginati, di chi vorrebbe esercitare un normale
diritto di appartenenza alla società che però
gli viene negato. Nel suo testo è facile identificarsi, perché il disagio del
protagonista è anche il nostro. Qui non ci sono riferimenti a fatti o a persone
reali (dittatori africani o morti sul lavoro). Enzo canta la quotidianità.
Quella dell'individuo, solo e smarrito, che non riesce nemmeno ad avere una
risposta: "Ma perché? Perché no!".
| << | < | > | >> |Pagina 146Negli anni '70 la canzone satirica spopola anche in Toscana, fatto più che scontato dato che, storicamente, la satira nasce proprio nella regione più "maledetta" d'Italia. Il Vernacolo toscano, per sua stessa natura, permette ogni licenza linguistica irriverente, sdogana il politicamente non corretto e insieme eleva la volgarità e l'oltraggio a vera e propria arte. La satira toscana, soprattutto quella livornese, trova la sua perfetta descrizione in una sentenza della Corte di Cassazione del 2006: "È quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene".Il "riso suscitato" è di fatto figlio del Vernacolo. Non a caso un vecchio detto, che è ancora fortemente diffuso, recita: "Chi ride, leva un chiodo alla bara". In Toscana prosperano artisti, attori comici e cantautori che hanno il merito di rilanciare un dialetto facilmente comprensibile in tutt'Italia. Fra questi c'è David Riondino che a Firenze, da ragazzo, milita nel gruppo teatral-musicale Victor Jara, alternando canzoni di lotta a happening underground. Tipo: il funerale al dittatore spagnolo Franco che culmina in piazza della Signoria, con tanto di bara esposta. Riondino è il frontman ufficiale con barba incolta, capelli arruffati e chitarra a tracolla. Ma lui possiede una vena talmente umoristica che non può essere annoverato tra i cantautori impegnati e arrabbiati dell'epoca. [...]
Nello stesso anno Riondino scrive e pubblica
Samba '78
in cui descrive con sublime ironia mode e modi della generazione di
quel periodo. È un perfetto esempio di come la canzone possa
far ridere e far riflettere insieme. Qui lui immagina il passaggio
tra la generazione contestatrice del '68 e quella che abbraccerà il
cosidetto decennio del riflusso, i "famigerati" anni Ottanta, durante i quali le
istanze e le idee rivoluzionarie del decennio precedente diventano passatempi da
salotto, giochini di società, supporti e dispositivi mentali, antesignani dei
dispositivi digitali di oggi, i cellulari, le app, i "mi piace" di facebook. Ad
eccezione di Giorgio Gaber, nessun cantautore come David Riondino ha saputo
descrivere così bene quel passaggio generazionale.
| << | < | > | >> |Pagina 158In questa storia sulla canzone comica e satirica, Giorgio Gaber suona, forse, un po' fuori contesto, perché uno spirito libero come il suo sfugge a ogni tipo di genere e di classificazione. Ma per tantissimi artisti, poeti, cantautori o attori è stato ed è tuttora la persona ideale da avere come preciso riferimento artistico. Ogni sua canzone è, e sarà sempre, di stretta attualità. Basta citarne una altamente profetica che, forse mai come oggi, risulta così illuminante: Destra-Sinistra. Un ritratto fortemente ironico, satirico e spietatamente vero della nostra cultura politica che, probabilmente, resterà per sempre immutata. È un regime di pensiero che ci riporta all'epoca dei Guelfi e Ghibellini, perennemente divisi, tanto apparentemente dissimili quanto drammaticamente uguali: cloni dello stesso cancro mentale che l'omologazione, tanto combattuta da Gaber, produce nelle vecchie come nelle nuove generazioni.Una bella minestrina è di destra il minestrone è sempre di sinistra tutti i films che fanno oggi son di destra se annoiano son di sinistra. Ma cos'è la destra cos'è la sinistra... Le scarpette da ginnastica o da tennis hanno ancora un gusto un po' di destra ma portarle tutte sporche e un po' slacciate è da scemi più che di sinistra. Ma cos'è la destra cos'è la sinistra... I blue-jeans che sono un segno di sinistra con la giacca vanno verso destra il concerto nello stadio è di sinistra i prezzi sono un po' di destra. Ma cos'è la destra cos'è la sinistra... I collant son quasi sempre di sinistra il reggicalze è più che mai di destra la pisciata in compagnia è di sinistra il cesso è sempre in fondo a destra. Ma cos'è la destra cos'è la sinistra... | << | < | > | >> |Pagina 181La deriva goliardica
Ruggero Oppi, Riz Samaritano, Squallor e molti altri
Che la canzone umoristica, in alcuni casi, trascenda nella goliardia è persino ovvio. In un modo o nell'altro ci sono cascati quasi tutti, se per goliardia s'intende la canzoncina costruita sui doppi sensi di tipo sessuale. Persino Orietta Berti, la cantante italiana nazionalpopolare per eccellenza, ne interpreta una, la tristemente nota Finché la barca va: "Quando l'amore viene il campanello suonerà" è un verso molto esplicito in questo senso. Anche Renzo Arbore si cimenta nel genere, addirittura al Festival di Sanremo con Il clarinetto, in cui si fa riferimento a un altro strumento, niente affatto musicale, come del resto succede con la "chitarrina", citata più volte nel malizioso testo. L'innata eleganza di Arbore, però, lo preserva dal rischio goliardico come, del resto, succede pochi anni prima con due masterpieces tratti da "Quelli della notte": Ma la notte no e Il materasso. In questo capitolo vale la pena tentare un salto carpiato rovesciato con quoziente di difficoltà di 9,9, vale a dire cercare di salvare il puro lato comico di alcune canzoni esplicitamente oscene. Non è un'operazione semplice perché costringe a muoversi in precario equilibrio sul filo del cattivo gusto. | << | < | > | >> |Pagina 188La goliardia fa parte di quella cultura bassa che, a volte, riesce a coinvolgere personaggi di ben altra estrazione. Molti artisti dello spettacolo ne sono stati contaminati, quasi per una fugace quanto fisiologica necessità liberatoria nei confronti della cultura con la C maiuscola: la canzone d'autore, il teatro d'avanguardia, il cinema impegnato, l'arte concettuale o la sperimentazione in genere.
Non si spiega altrimenti come un bravo attore e autore come Francesco Nuti,
assolutamente estraneo alle commediole cinematografiche sexy dei vari Lino Banfi
e Alvaro Vitali, abbia potuto incidere l'allegra canzoncina
Puppe a pera.
Difficile stabilire quanto questa canzone abbia a che fare con la scuola satirica toscana, quella di Benigni, Riondino, Vauro, o quella più spinta del livornese "Vernacoliere": si salva solo perché il testo, assai esplicito, è privo di doppi sensi o sottintesi. | << | < | > | >> |Pagina 200Francesco Salvi, uno dei più bravi comici surreali nella storia della comicità italiana, ai tempi d'oro gira per i piani della Fininvest in accappatoio, brandendo spesso un gelato in mano, sempre pronto allo scherzo, alla gag improvvisa, al colpo di follia istantaneo. Il suo programma, "MegaSalviShow" (1988-1989) fa il pari con la comicità dei Monty Python. Alcune scene sono davvero folli, come quella in cui tutti i movimenti, suoi e degli attori in scena, avvengono all'incontrario. Non si tratta di un nastro girato in rewind, ma accade davvero in tempo reale. È lui a trascinarsi all'indietro e a ripercorrere in senso inverso i salti sulle scrivanie e sulle sedie. Mai visto niente di simile in televisione. In più ha un'energia e una resistenza incredibile. Non si ferma di fronte a niente. Se c'è da girare una scena pericolosa o particolarmente scomoda è sempre il primo a dire "Facciamola, dài!". Ricorda la stessa forza del grandissimo comico-clown Jango Edwards, energia rock applicata alla comicità.[...] Anche se lavora nel clan di Antonio Ricci, Salvi è autore di se stesso, ma è troppo "fuori", troppo avanti per i canoni televisivi di quel periodo, figuriamoci oggi. La sua forza sono le espressioni, le facce, il fisico, la gestualità, la duttilità della voce, e ovviamente anche le sue canzoni. Ama il rock, ma anche gli stornelli e i canti da gita in corriera. Fa satira su ogni tema: mode, stili di vita, manie generazionali, mentre la politica lo interessa meno. È un tema troppo scontato. Pubblica ben 8 album, vincendo 7 volte il Disco d'Oro e aggiudicandosi 5 volte quello di Platino. Il singolo C'è da spostare una macchina, sigla del "MegaSalviShow", resta primo in classifica per molte settimane.
È il grido disperato di un posteggiatore in un parcheggio di
una discoteca, che cerca invano di svolgere bene il suo compito.
Urla agli automobilisti perché la musica da discoteca sparata a
tutto volume rimbomba persino all'esterno e la sua "dannazione" è un veicolo
diesel con la marcia inserita, che non riesce a spostare in alcun modo.
La canzone è un classico tormentone che ben presto diventa l'inno di tutti i posteggiatori d'Italia. Le radio la programmano con una frequenza ossessiva, le discoteche pure. Viene persino incisa una cover da parte del comico sardo Benito Urgu ribattezzata C'è da spostare una pecora. Il successo porta d'ufficio Salvi, nel 1989, al Festival di Sanremo dove si afferma al settimo posto con Esatto!, altro tormentone da alta classifica, e ancora nel 1994 con Statènto dove si classifica quindicesimo. Nella storia della canzone umoristica satirica-demenziale è, a tutti gli effetti, il comico che ha venduto più dischi tra tutti i colleghi: un delitto e un mistero glorioso la sua lenta, ma inesorabile scomparsa dalle scene. | << | < | > | >> |Pagina 237Chi se ne frega della musicaCaparezza Attorno alla fine degli anni '80 scoppia la moda del Rap, forse l'ultimo fenomeno musicale a scompaginare del tutto le regole del costume e del mercato discografico. Partito dai ghetti e dalle periferie statunitensi fa fatica a imporsi in Italia ma, anche in questo caso, viene contaminato dalla satira e dall'umorismo di costume. Uno dei primi contaminatori, insieme agli Articolo 31, è Michele Salvemini, dapprima nascosto sotto lo pseudonimo Mikimix e, dopo una decisa e improvvisa conversione, noto con il nome d'arte Caparezza. Rinnegando decisamente il passato lui stesso si autodefinisce pubblicamente: "Egli fu Mikimix, cantante insignificante, dal cui disgusto nacque il se stesso odierno".
Caparezza ha il merito di entrare a tutta velocità nel confuso mondo
dell'Hip-hop accostandolo alla canzone satirica.
Mette insieme cattiveria, ironia, trasgressione e divertimento
come nessun altro. Rispolvera l'immagine del freak degli anni '70, i capelli
alla Jimi Hendrix e il pizzetto alla Frank Zappa, e
li frulla nel travolgente linguaggio rap. In lui c'è molta modernità e
tradizione allo stesso tempo, c'è lo stile scioglilingua alla Petrolini, il mood
delle sigle televisive, dei serial e dei cartoon americani, c'è la critica
feroce allo Stato e la parodia delle rockstar: un insieme di aspetti molto
difficili da decifrare e da
ingabbiare in uno stile ben preciso. Caparezza è un concentrato di follia,
impegno, genio e sregolatezza, molto anomalo nel
panorama musicale italiano. Esemplare è il suo testo di
Chi se ne frega della musica:
Questo è un brano da inserire nel filone delle canzoni anti-mercato, quelle
in cui l'artista manifesta un certo disappunto nei
confronti dell'establishment musicale, dell'industria discografica e di tutto il
cucuzzaro. È lo sfogo liberatorio di uno che rifiuta di essere definito,
catalogato, integrato a un genere, a un
fenomeno, a uno scomparto o a un target. È un brano accostabile a
Per fare una canzone
di Rodolfo De Angelis e a
Signore dei dischi
degli Skiantos, passando per la
Canzone intelligente
di Cochi e Renato. Caparezza oltrepassa orgogliosamente il limite dei colleghi,
manifestando un'onesta e sincera ribellione.
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