Copertina
Autore Paolo Mantegazza
Titolo L'arte di essere felici
EdizioneColonnese, Napoli, 2009 [1993], Lo specchio di Silvia 21 , pag. 96, ill., cop.fle., dim. 9x14,5x1 cm , Isbn 978-88-87501-85-8
EdizioneBarbèra, Milano, 1886
PrefazioneMario Pittei
LettoreLuca Vita, 2009
Classe psicologia , salute , pedagogia
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Indice



Presentazione                             7

Alcune domande dell'autore al lettore    11

Risposta di un lettore all'autore        13

Controrisposta dell'autore al lettore    17

I   La felicità in questo mondo          21

II  Che cosa sia la felicità vera        31

III I fondamenti della felicità          45

IV  L'arte di essere felici              65

V   I parassiti della felicità           79


 

 

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Pagina 11

ALCUNE DOMANDE
DELL'AUTORE AL LETTORE



Sei sano?

Sì.

Sei galantuomo?

Sì.

Hai il pane quotidiano?

Sì.

Sei felice?

No.

Ebbene, fatti curare e poi va' a scuola; perché tu sei malato e ignorante.

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Pagina 13

RISPOSTA DI UN LETTORE ALL'AUTORE



Caro autor mio, prima ancora ch'io ti abbia letto, nelle parole che mi dirigi io trovo grave bugia che mi mette di malumore con te e mi toglie la voglia di comprare íl tuo libro.

Io, vedi, sono sano e robusto come una quercia; credo, anzi son sicuro di essere un perfetto galantuomo, il pane quotidiano non mi manca, anzi ho anche il lesso e l'arrosto; ma non sono felice.

Dunque, secondo la tua temeraria sentenza, io dovrei essere malato e ignorante senza sapere di essere né l'una né l'altra cosa; apparterrei quindi alla peggior classe degli ignoranti, alla più infelice schiera dei malati.

Eppure, vedi, autore riveritissimo, io non accetto questi tuoi battesimi poco onorevoli, e non credo neppure che chiamando un medico e andando a scuola io potrei esser felice.

Vi sono dolori morali, dei quali non abbiamo colpa alcuna e che bastano ad amareggiare la vita, abbiamo tegoli che ci cascan sul capo, portati dal vento e senza che camminiamo sotto le grondaie; e le mosche ci vengono in bocca e le zanzare ci pungon la pelle, senz'aver modo di sfuggirle...

E poi, autore carissimo e chiarissimo, quand'anche tu avessi ragione; quando pur fosse vero che un uomo sano robusto o galantuomo deve essere felice e se non lo è, è per propria colpa, mi sembri un tantino superbo, quando pretendi di insegnare l'arte difficilissima fra tutte, quella di essere felice a chi non sa esserlo, perché, a quel che dici tu stesso, dovresti essere in una volta sola medico e maestro per curare i malati e insegnare agli ignoranti.

E quest'arte che vuoi insegnarci, la sai tu? Sei tu felice?

Bada, autore arcicarissimo e arcichiarissimo, che io ho pochissima fede in tutti i ciarlatani, che guariscono i denti di tutti, miracolosamente e senza dolore, ed hanno essi stessi i denti guasti e dolenti; che io ho pochissima stima di tutti i predicatori che fanno il rovescio di quel che dicono; voglio dirti perfino nell'orecchio che spingo la mia diffidenza fino a non voler aver un medico, che sia egli stesso sempre malato...

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Pagina 65

IV
L'arte di essere felici



Per fare una casa occorre prima d'ogni altra cosa gettarne le fondamenta; prima di fare un quadro, un libro, una macchina, si deve tracciarne il disegno; ma innanzi che la casa, il quadro, il libro, la macchina, siano finiti e possano dirsi cosa viva, occorrono cento altri piccoli travagli, che presi ad uno ad uno sembrano insignificanti, ma che sommati insieme hanno quasi la stessa importanza del progetto e del disegno.

Che importa a me se la casa sia stata disegnata dal primo architetto d'Italia, se poi manca di porta e di finestre? E come può piacermi un libro, che fu ideato bene, ma che manca della grazia dello stile, delle sfumature dei contrasti, della bellezza dei particolari?

I particolari son proprio íl pane quotidiano della vita, e chi per superbia, o per ignoranza, o per inerzia li trascura, rischia di morir di fame e di sete, dopo aver riempito i granai e le cantine. In molti affari e in molti problemi, spesso è più importante risolvere una questione alla volta, che buttar là dei grossi e grandi dogmi generali e mettersi poi le mani in tasca aspettando che il quesito si sciolga da solo.

Noi altri Italiani, abbiamo quasi tutti questo difetto organico di voler veder tutto e dirigere tutto con principi larghi e generali, trascurando poi le minuzie. Finché si parla di libertà, di virtù, di felicità, noi siamo sempre pronti a batterci o a ciarlare e abbiamo sempre pronte molte e belle teorie per risolvere i più astrusi problemi sociali o individuali. Ma poi, quando si tratta di tradurre le teorie nel linguaggio modesto della vita quotidiana, quando si deve pensare al bilancio della giornata e dell'ora presente, alziamo le spalle e lasciamo che le cose avvengano come a loro piace.

In fatto di teoria e di pratica noi facciamo proprio il contrario di ciò che andrebbe fatto.

La natura, grande maestra d'ogni cosa vera e bella e buona, non ha teorie né dogmi, ma fila la grande conocchia della vita universale giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Tutto ciò che a noi appare gigantesco, infinito, non è che la somma di mille e mille cose infinitamente piccole.

Noi invece facciamo prima un bel fantoccio (il più grande possibile) di una teoria, di un principio generale e vogliamo che quello sia il modello da applicarsi ad ogni corpo umano. Le nostre teorie generali, per quanto belle, son sempre fatte di cartapesta; mentre i fatti umani son fatti di carne ed ossa, di vene, di sangue e di nervi.

Quanti, che in ogni caffè e in ogni osteria, sbraitano teorie stupende sull'arte di governare i popoli, e poi non sanno dare un voto ragionevole per nominare un consigliere comunale o un deputato!

Quanti sciorinano precetti infallibili sulla felicità umana, e poi non sanno essere felici per un sol giorno della loro vita!

Quanti parlano per ore sull'arte di far le case, di dipingere quadri e di rizzare statue, e non hanno mai saputo, né mai sapranno fare una casa, un quadro e una statua!

Se volete esser felici, occupatevi dunque più del pane quotidiano che del prezzo dei cereali in tutto il mondo, fate meno teorie e un po' più di pratica. Proponetevi, per esempio, di essere felici quest'oggi senza però guastarvi la felicità del domani, e tanti oggi e tanti domani felici, infilati l'uno dietro l'altro, vi intrecceranno sul capo tutta una corona di giorni, di mesi e di anni felici.


*



È legge di ogni sensazione, che ripetuta troppe volte, diviene, più o meno, del tutto indifferente. Questa legge governa ogni forma di sensibilità, tanto il piacere quanto il dolore.

Or bene, quando noi ci siamo fatta una cara abitudine di un dato piacere, avviene che un bel giorno ci accorgiamo con grande sorpresa che quel piacere non ci piace più come prima e che va facendosi sempre più ottuso.

Allora la maggior parte degli uomini commette quasi sempre l'identico errore; tira la corda, o accresce la dose. E che cosa avviene? Se si tratta di corda, finisce per spezzarsi, e se si tratta di dose, viene il giorno in cui il contenuto è maggiore del contenente e la botte scoppia.

Capirete meglio questi traslati, mettendovi sottocchi un esempio di piaceri sensuali.

Voi bevete ogni giorno una tazza di caffè e questo amico dei nervi e del pensiero vi rallegra, vi fa sentir meglio, vi fa pensare di più. Ma ecco che un bel giorno la solita tazza di caffè non vi rallegra più come prima è come se voi beveste dell'acqua semplice.

Allora voi prendete due di quelle tazze benedette e l'allegria ricompare. Ma ecco, che dopo alcuni mesi o qualche anno, secondo i casi, anche due tazze di caffè non vi solleticano più; e allora voi ne prendete tre.

Il calcolo sembra logico, il ragionamento sembra giustissimo.

Il cavallo trottava con un frustata, ora non trotta neppur con due: gliene appiopperemo tre.

Il calcolo invece non torna e il ragionamento zoppica. Vi è un limite di tolleranza per tutti gli eccitanti; vi è una misura di capacità per tutte le sensazioni. Oltre questi confini vi è la malattia e vi può essere la morte. Chiamate la malattia col nome di noia, di ipocondria, di tedio della vita, di convulsione e di cento altri malanni morali e fisici: ma in fondo avete sempre la stessa cosa: l'infelicità trovata in fondo alla via che doveva condurvi ad esser felici.

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Pagina 72

Invece dunque di accrescere la dose, sapete che cosa dovete fare? Mutare la bevanda o sospenderla del tutto. Il caffè non vi solletica più i nervi? Ebbene, lasciatelo per qualche tempo e prendete il thè. Riprendendo più tardi l'antico amico, lo troverete ringiovanito.

Così nei divertimenti, così negli affetti, o, dirò meglio, nel modo di esprimerli e di assaporarli.

Il piacere non si coglie che quando i nervi sono solleticati e non sono esauriti. Il mutamento è legge fondamentale di tutto il sistema nervoso e conviene soltanto procurare di cambiare in bene. L'immutabile è sinonimo di morte. Il mutevolissimo nell'unità del bene è l'ideale della vita perfetta e felice.

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