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| << | < | > | >> |Indice11 Nota introduttiva 12 Capitolo primo Testo e contesto. Una descrizione 15 Capitolo secondo Genitori all'attacco 17 Capitolo terzo Il dovere di bocciare 20 Capitolo quarto Logica del rifiuto e pratica del no 23 Capitolo quinto Il timore come leva della conoscenza 26 Capitolo sesto Discriminare? Sfoltire! 28 Capitolo settimo Tra passione pedagogica, perdita di senso, collera distruttiva 32 Capitolo ottavo Dal Liceo Pigafetta alla Columbine School 40 Capitolo nono Traffici e rituali, tigri e leoni 43 Capitolo decimo L'applicazione perfetta del principio della forza 46 Capitolo undicesimo Baciare i piedi al proprio carnefice 49 Capitolo dodicesimo Tre "i", tre "u", tre "no", tre "elle" e tre "t": ma in che scuola viviamo? 52 Capitolo tredicesimo I naufraghi di Gericault 57 Capitolo quattordicesimo Il poema come randello, la sessuologia come ginecologia 62 Capitolo quindicesimo Affrontare i cambiamenti con la testa rivolta all'indietro 67 Capitolo sedicesimo La garanzia dell'esame o la capacità di fare ricerca? 72 Capitolo diciassettesimo La creatività come percorso carsico 75 Capitolo diciottesimo Imparare a fare le domande, cercare insieme le risposte 79 Capitolo diciannovesimo We don't need no education... 84 Capitolo ventesimo Della vita nuova si sa sempre meno cosa fare 88 Capitolo ventunesimo Il piacere condiviso dell'antica paideia 92 Capitolo ventiduesimo Nove pezzi armonici 109 Capitolo ventitreesimo La questione della conoscenza (secondo Edgar Morin) 114 Capitolo ventiquattresimo Come i filosofi possono contribuire a far aumentare il grano 120 Capitolo venticinquesimo Quando l'inizio si festeggia con il tritolo 125 Perché ho scritto questo libro 1 127 Perché ho scritto questo libro 2 132 Perché ho scritto questo libro 3 136 Postfazione Marcello Cini 140 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina 12Capitolo primo
Testo e contesto. Una descrizione
1. Quando il primo impatto scoraggiante si ha con la materialità di testo e contesto: un sovraccarico di traffico inquinante, un edificio che si direbbe privo persino dei normali requisiti di agibilità e sicurezza, disadorno come un lazzaretto, malandato e mal pulito (basta, al proposito, un'occhiata a interstizi e angoli morti, o una semplice visita ai cessi). Superato il consueto, letale e parossistico turbinio di lamiere in movimento, la meglio gioventù va quotidianamente a rinchiudersi nelle celle di un mausoleo insalubre. L'apprendimento nelle strutture della scuola pubblica si avvia fin da subito su una strada dissestata e in salita. 2. Quando gli spazi, anche i più ampi (cortile, aula magna), non possono ospitare più di trecento ragazzi. Ma allora, perché la struttura ne accoglie oltre mille? 3. Quando in un'aula i ragazzi possono essere stipati anche in trenta. E i banchi sono, per i corpi svettanti delle nuove generazioni, tragicamente inadeguati. In compenso l'acustica è pessima (subito oltre la finestra c'è il frastuono del traffico), al punto che a seguire la lezione riesce a malapena chi sta nelle prime file. 4. Quando gli esperimenti delle materie scientifiche non possono tenersi negli appositi laboratori. Acqua e gas non sono disponibili, gli allacci non sono attivi, i finanziamenti pubblici non arrivano. A sostituirli è chiamata l'immaginazione, che è gratis. 5. Quando la ginnastica si fa in una palestra praticamente spoglia, e il cortile interno è trasformato in uno spazio volonteroso per pallavolo e calcetto. Ma mille corpi di adolescenti non reclamano per esercitarsi e irrobustirsi spazi meno esiguamente ridicoli? 6. Quando la ricreazione mattutina, nell'arco delle cinque ore di lezione, dura quindici minuti. E mille e passa giovani, in così poco tempo, dovrebbero fare una refezione decente e utilizzare alla bisogna i pochi bagni disponibili. Altrove (in Francia e Germania, ad esempio), gli intervalli sono di venti minuti ogni due ore. Da noi vige ancora la concezione carceraria dei quindici minuti, concessi per una fin troppo generosa boccata d'aria. 7. Quando l'esodo in massa per una eventuale emergenza si abbatterebbe a valanga su una barriera di motorini accuratamente parcheggiati a sbarrare l'uscita principale. 8. Quando nelle grandi strutture, dove per varie ragioni affluisce numeroso il pubblico, l'informazione viene fornita attraverso totem informatici interattivi costantemente aggiornati. E nella pubblica scuola, più o meno come cent'anni fa, si ammanniscono avvisi cartacei penzolanti dai muri in variopinta arlecchinata pauperistica. 9. Quando i ragazzi frequentano abitualmente discoteche e multisale, stadi e musei, centri commerciali e villaggi turistici che di ogni abbondanza e sfarzo fanno sfoggio. E nel luogo di impegno scolastico quotidiano – la conquista di conoscenza e sapere! – si ritrovano a patire un concentrato di squallore, deprivazione, penuria. 10. Quando Cittadinanzattiva compie un'indagine sullo stato della sicurezza nelle scuole italiane. E scopre che, a dieci anni dall'entrata in vigore dell'apposita legge, su 200 scuole ispezionate 72 sono state interessate da crolli di intonaco; in una su tre ci sono sedie e banchi rotti; in una su cinque sono segnalati pavimenti sconnessi e finestre non integre, mentre per altrettanti edifici scolastici gli standard dei livelli di illuminazione, aerazione e temperatura ambientale sono considerati appena sufficienti. Quattro scuole su dieci non hanno palestra. Ma il dato peggiore viene espresso dal 51% degli edifici scolastici per i quali manca ancora l'agibilità statica e igienico-sanitaria, mentre per quanto riguarda il sistema di prevenzione incendi l'inadeguatezza riguarda il 68% degli edifici. 11. Quando nel bilancio per l'istruzione nell'anno 2001 il governo nazionale ha stanziato 259 milioni di euro, nell'anno successivo i milioni sono scesi a 232, per diminuire ulteriormente l'anno scorso a 225. C'è stato, in compenso, un incremento equivalente nell'erogazione dei buoni agli iscritti alle scuole private. 12. Quando lungo scale e corridoi scivolano ragazze che lanciano dalle pieghe dell'ombelico sorrisi enigmatici come gatte del Chesire, e stormi di ragazzi sciamano esibendo jeans in bilanciamento precario. Anche l'abbigliamento, al servizio del giovanile rigoglio, si fa beffe della decrepitezza del mondo. 13. Quando ci si alza presto la mattina per raggiungere il Tempio della Conoscenza: e al suo cospetto chi prende a grattarsi in preda a furiosi pruriti, chi perde la parola e ammutolisce, a chi sgorga il sangue dal naso, chi si piega in due e rigetta. L'impatto con il Sapere e i suoi Ministri è così sgradevolmente vissuto che l'energia si inalbera e tracima – o caparbiamente recalcitra e si rifiuta. 14. Quando i sedici anni, come dice Michel Tournier, sono l'età dell'oro: e l'ingresso a scuola è un bivacco triste di visi scavati e stanchi, schiene rassegnate e curve, espressioni tramortite. | << | < | > | >> |Pagina 17Capitolo terzo
Il dovere di bocciare
22. Quando la ministra, genuflettendo al Santo Uffizio, tenta di espungere dai programmi scolastici l'evoluzionismo. E, farsa nella tragedia, in un liceo progressista Darwin viene tirato in ballo nella veste di santo protettore della bocciatura necessaria. 23. Quando, inneggiando a Darwin, alcuni insegnanti affermano fuori da ogni possibile dubbio che la scuola è lotta per la sopravvivenza. 24. Quando si rivela di non conoscere bene neppure Darwin, che sosteneva essere destinato a durare e prevalere non il più forte, ma chi meglio avesse mostrato — duttilmente, tenacemente — di saper cooperare. 25. Quando la scuola, lamentando che i ragazzi hanno accumulato gravi lacune negli anni precedenti — cosa di cui comunque responsabile principale è la scuola stessa — rivendica la legittimità non solo del potere di bocciare, ma dello stesso imperioso dovere. 26. Quando via via si scopre che la leva su cui la scuola agisce è la minaccia e la paura, spingendo reciprocità, empatia e fiducia tra gli orpelli in soffitta. 27. Quando si costringe ragazzi affamati di amicizia alla torsione crudele — mors tua, vita mea — di dover gioire degli insuccessi dei propri stessi amici. | << | < | > | >> |Pagina 28Capitolo settimo
Tra passione pedagogica, perdita di senso, collera distruttiva
71. Quando nella frequentazione dei figli alla scuola elementare e media inferiore si è avuto modo di constatare, grazie a una maestra e a un insegnante di italiano e storia, come il vero insegnamento consista nell'arte di combinare una competenza professionale rigorosa con la capacità di assumere concretamente il punto di vista dei ragazzi, rispettando le loro emozioni e interagendovi, sapendo interpretare al meglio le loro esigenze conoscitive, corrispondendovi appassionatamente, contribuendo a far crescere la loro statura di consapevoli e responsabili cittadini del mondo. 72. Quando oggi l'insegnante – cui verosimilmente all'inizio ardeva il fuoco sacro in petto – se ne sta rintanato dentro il bozzolo di un sindacale e corporativo potere piccino. E per le condizioni materiali cui è costretto, per i carichi imposti e i mezzi derisoriamente inadeguati, forse non ha – a considerarsi vittima e martire – del tutto torto. 73. Quando nelle regioni del Nordest un ragazzo di sedici o diciassette anni può oggi guadagnare, lavorando, esattamente quello che guadagna il suo professore. 74. Quando gli insegnanti inglesi, francesi e tedeschi percepiscono mediamente venti euro l'ora in più dei loro colleghi italiani, e non si capisce il perché fare i "mediatori di conoscenza e cultura" in Italia sia lavoro meno impegnativo. 75. Quando negli insegnanti si è consumata una perdita tale di senso che il risultato può essere solo indifferenza e apatia: o, nei più vivi, una sotterranea e furiosa collera distruttiva. 76. Quando chi è a contatto quotidiano con individui strutturalmente più deboli, proprio perché protetto dal potere del ruolo e al riparo dell'istituzione, facilmente può trasformarsi in un manipolatore sadico. E un'appassionata difesa corporativa della scuola così com'è può negli insegnanti tranquillamente convivere con l'avversione per i ragazzi e i loro genitori. | << | < | > | >> |Pagina 57Capitolo quattordicesimo
Il poema come randello, la sessuologia come ginecologia
148. Quando la richiesta e l'attesa della signora professoressa è che un ragazzo di sedici anni – vulnerabilissima centrale atomica, ombelico dell'universo creato – trascorra la mattina chiuso in scarso spazio per cinque ore di lezioni e interrogazioni. E che si applichi pomeriggio e sera per almeno altre cinque ore su latino e greco, italiano e storia, filosofia e storia dell'arte, matematica e chimica, scienze e inglese. E che le sole uscite di casa debbano servire a raggiungere in altre case altre professoresse dove sorbirsi altre ore di ripetizione, soltanto il sabato pomeriggio potendo sfogare nella partitella di calcio il carico di frustrazione e aggressività accumulato. E questo tutte le settimane per l'intero anno scolastico. E il cinema, lo sport, il teatro, l'affascinante e irresistibile mondo delle tecnologie della comunicazione, l'amicizia, il gioco, l'amore? 149. Quando si fa notte fonda a studiare, e la mattina dopo la stanchezza non fa risvegliare. E il rischio di far tardi a scuola provoca angosciati singhiozzi. E l'impegno a tradurre poemi di classici illustri si trasforma non in occasione per conoscere e scoprire, ma in randello che umilia e ferisce. E a quel punto rimane solo da riflettere su quale patologia degenerativa può avere così sconvolto il senso originario e nobile della scuola. | << | < | > | >> |Pagina 72Capitolo diciassettesimo
La creatività come percorso carsico
178. Quando è vero che il Liceo consente e organizza attività ricreative del tipo "scuola teatrale con saggio finale", oppure il coro polifonico; o persino la gestione del sito web dell'istituto. Ma il tutto viene irrimediabilmente snaturato dal clima competitivo dominante, e la creatività diventa quindi pretesto per primeggiare agli occhi del preside e degli insegnanti – quindi ancillare, svilita, subalterna. 179. Quando di un fattore decisivo come quello della creatività, alla scuola elementare se ne fa una esaltazione persino stucchevole: lasciate che i bambini si esprimano liberamente, è dai bambini che bisogna imparare ecc. ecc. Nella scuola media la creatività si declina già con insofferenza. Ma è proprio al liceo che la si nega con furia. Spazio per qualche pensiero autonomo, critico e creativo? Ma non scherziamo! Il pollo deve essere eviscerato e rigorosamente riempito con il pastone predisposto. Bisogna radere al suolo e ricostruire secondo un disegno ben preciso! Più tardi, per esempio al lavoro in azienda, al capezzale della creatività, illustre inferma, verranno chiamati specialisti e consulenti che per tentare di rianimarla ricorreranno a mille espedienti. Ma di quella antica creatività bambina è probabile che a quel punto, dopo anni di scempio, sia rimasto soltanto il calco. | << | < | > | >> |Pagina 75Capitolo diciottesimo
Imparare a fare le domande, cercare insieme le risposte
185. Quando questa scuola pretende di trasmettere – denuncia giustamente Enzo Mazzi – conoscenza e verità come assoluti, e l'assoluto non è condivisibile ma solo travasabile. E la nostra cultura – settoriale, parcellizzata, carente di una visione complessiva – viene trasmessa alle nuove generazioni frantumata e senza tenere in alcuna considerazione le esperienze di cui ogni singolo soggetto è portatore. 186. Quando dovremmo essere tutti – gli insegnanti per primi – persone in costante ricerca, e un elementare rispetto pedagogico vorrebbe che le risposte fossero cercate insieme. 187. Quando è necessario far avanzare la cultura della convergenza e complementarietà tra poli dell'esperienza umana: mente/corpo, razionalità/sentimenti, scienza/religione. Perché un progetto formativo o mette in relazione i diversi e li fa lavorare insieme per uno scopo comune, o non è. |