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| << | < | > | >> |IndiceParte prima Essi non leggono 9 1. Scripta volant 21 2. Chiudere le scuole per amore dei libri 43 3. È colpa tua, Polito Parte seconda Il diritto di non leggere 59 1. Leggere non serve a niente 70 2. È un altro l'eroe della mia vita 89 3. L'altra meta' del fuoco Parte terza Le fiabe sono vere 109 1. Ma di' soltanto una parola 128 2. Leggere sopporta l'imperativo 145 3. Leggere è andare in bicicletta 157 4. Le fiabe sono vere |
| << | < | > | >> |Pagina 3Ti voglio raccontare questo perché è stato l'inizio di tutto. E se oggi uno scaffale di libri mi ferma per strada, in libreria o nello studio di estranei, è perché a dieci anni mia madre mi ha portato davanti a uno scaffale molto simile e ha detto: - Scegli.C'erano soprattutto fiabe: piemontesi, abruzzesi, campane. Tradotte da un certo Calvino in un italiano rispettoso, protette da copertine illustrate con gusto e ordinate meticolosamente da mio padre in base all'anno di pubblicazione. Non ci sarebbero stati disegni o balloon. Nessuna illustrazione all'interno. Solo parole, per saziare quella voglia che mi aveva già fatto divorare tutti i fumetti in mio possesso. - Hai detto che volevi un libro vero. Scegli. I grandi leggono i libri. Ero grande anch'io e scelsi. Imparare a leggere era stata la prima grande svolta della mia vita: non dovevo piú accontentarmi di ascoltare sotto le coperte le favole del nonno, potevo sceglierle da me e raccontarmele da sola. Un superpotere di cui facevo un uso spropositato: i libri andavano e venivano sullo scaffale, i pomeriggi prendevano la forma della fiaba del momento e la lettura cancellava i tempi morti dell'attesa, rendeva migliore la banalità quotidiana, distraeva dalla tosse di mamma e dalle urla di papà. Mi faceva compagnia, solo questo, e mi sarebbe bastato, credo, per la vita. | << | < | > | >> |Pagina 91.
Scripta volant
Non voglio annoiarti Polito, lo giuro. Ma l'hai voluto tu, è colpa tua. Sei un quindicenne sano, robusto, italiano, di famiglia media. Hai perso un anno di scuola quindi vai in prima superiore. (Può succedere, la vita ha le sue scosse, non preoccuparti non ci riguarda). Giochi a calcio, alla playstation, esci con gli amici, desideri ragazze che non ti considerano. Hai un taglio di capelli che offende il mio gusto estetico, ma fartelo notare mi invecchierebbe di vent'anni perciò me ne guardo bene. Del resto, taglio e colore di capelli non c'entrano con la tua preparazione scolastica o col fatto che non leggi. Perché tu non leggi, Polito, mai. Né libri, né fumetti, né giornali, né riviste. Ti ho visto accartocciare volantini prima ancora di capire cosa reclamizzassero, premere compulsivamente la x sul tuo joypad per saltare l'introduzione scritta a un videogioco. Ti ho visto piegato sul banco, inconsapevole rivisitazione scolastica della Pietà, incapace di arrivare in fondo alla pagina senza boccheggiare, controllare l'effettiva presenza di pagine successive, infliggere a me, la tua insegnante, lamentosi tentativi di opporre resistenza. Se dovessi documentare il tuo rapporto con la lettura, partirei dalla descrizione di te che ciondoli un'ora intera in biblioteca senza alzare gli occhi dal cellulare, neanche per curiosità o per avvederti della mia rancorosa presenza sulla porta. Oppure ricorderei la rilassante dormita che, dicono, ti sei concesso durante la visita in biblioteca, mentre i tuoi compagni sceglievano insieme il libro da leggere durante le vacanze. Non facciamo in tempo a chiamarla indifferenza che la vediamo trasformarsi in odio quando il compito è assegnato e non c'è niente da fare: devi leggere. Allora prendi il libro, lo sfogli come quando si mescola un mazzo di carte, arrivi in fondo e trovi quello che stavi cercando: non il titolo, l'autore, l'edizione, ma il numero sull'ultima pagina. - È troppo lungo - dici, qualunque sia questo numero. Il tono è forse lo stesso con cui dichiari che gli esercizi di matematica sono troppi o che due tavole di tecnica non ce la fai a completarle entro giovedí, però fa piú male. È in momenti come questi che comincio a pensare che se stai crescendo con l'idea che leggere sia un compito sgradevole, quasi una tortura, sarebbe il caso di farti notare la differenza, impegnandoci a trovare il metodo piú efficace per riuscirci (scartando subito il primo ovvio che mi viene in mente, cioè la possibilità di dividere l'ora di italiano in due parti: tortura effettiva con frusta e tenaglie e lettura di classici). Sei proprio tu che una mattina mi provochi, senza volerlo, aspettandomi al varco della cattedra con un libro in mano, un libro vero, di Daniel Pennac, Come un romanzo. Ingaggi una lotta con le pagine, sfogliandole brutalmente alla ricerca di qualcosa, mentre un compagno mi informa che la supplente appena uscita vi ha illustrato il famoso decalogo del lettore. - Ecco qua. Il tuo sorriso è radioso, trionfante. - «Il verbo leggere non sopporta l'imperativo». Ti concedi un'occhiata alla classe, un giro celebrativo sotto la curva. Poi torni da me. - Vuol dire che non si può obbligare nessuno a leggere. Deve essere cosí: te l'ha spiegato un'insegnante. E uno scrittore. E c'è scritto in un libro. La classica vittoria schiacciante: se sapessi cos'è l'ironia diresti che è ironico. - Ah no? - chiedo. Il tuo sorriso sbanda. - No. Non si può - dici. Ma ti sbagli, Polito. Perché, vedi, io posso. | << | < | > | >> |Pagina 24Negli ultimi anni la questione è stata molto discussa. La soluzione del problema pare essere una sola: storia della letteratura e analisi del testo uccidono il piacere della lettura e quindi andrebbero bandite dalle aule scolastiche.La proposta avanzata da piú parti consisterebbe nel sostituire le suddette torture con la lettura diretta dei testi, preferibilmente quelli piú recenti allo scopo di annullare il senso di distanza e di difficoltà che i ragazzi provano davanti a un Boccaccio ritenuto incomprensibile. I dibattiti in rete abbracciano con entusiasmo questa proposta radicale e innovativa. Le voci che si oppongono non possono che sembrare stantie, preoccupate di difendere un sistema polveroso e nozionistico con argomenti antiquati e toni stizziti. Come se la storia della letteratura fosse il cantuccio del professore che ha studiato e quindi sa, padroneggia la materia e può infliggerla senza timore di essere contraddetto. Il processo non è ancora iniziato e sei già seduto dalla parte degli accusatori, Polito. Non mi sorprende. Questa scuola non va, ce lo diciamo tutti i giorni. Lo senti ripetere in giro, nei corridoi, in televisione. Lamentartene non ti sembra solo legittimo ma naturale. E come darti torto? Avanti, procedi. Non ti sarà difficile. L'imputazione come hai visto è già stata ampiamente formulata: si accusa la scuola di non trasmettere alcun amore per la letteratura, anzi, al contrario, di abbrutirla con inutili analisi filologiche e noiose biografie di autori, quasi si perseguisse il preciso scopo di renderla un peso che, appena suona la campana, ogni alunno è ben contento di scrollarsi di dosso. Ma se vogliamo fare un processo giusto alla scuola, Polito, dobbiamo entrare in classe. | << | < | > | >> |Pagina 32Tutte le critiche fatte all'insegnamento della storia della letteratura a scuola vengono da chi a scuola l'ha studiata e appresa proprio cosí. La questione infatti mi sembra che non riguardi solo la letteratura, ma l'insegnamento, o meglio, l' apprendimento. Al flusso indistinto di scrittori e opere è fondamentale dare delle coordinate, inserirli nel contesto a cui appartengono, distinguere autori ed epigoni. E procedere in modo cronologico non appesantisce lo studio della letteratura, se solo accettiamo di rinunciare alla minuzia bibliografica.Del resto è evidente che se affoghiamo la lettura nelle note a piè pagina non trasmettiamo niente di significativo. Al contrario, l'unica cosa realmente indispensabile è una scelta accurata di autori e testi. Su questo, Polito, possiamo e anzi dobbiamo intervenire. Come è possibile che nelle aule italiane non entri la letteratura mondiale? Argomenti come l'Arcadia possono benissimo lasciare il posto a Dostoevskij, Tolstoj e Cechov. O anche a Fitzgerald, Hemingway, Carver... - Come no, avanti, aggiungiamo altri bersagli alla loro furia. | << | < | > | >> |Pagina 39Condannati per non aver commesso il fatto.Siamo pronti per il verdetto, dunque, Polito. L'ultima cosa che ci resta da fare è confessare. Ammettiamo che alle scuole medie le letture dovrebbero essere libere da domande e questionari. Che non dovrebbe essere permesso a Dante e Manzoni di avvicinarsi ai ragazzini sotto i quattordici anni. Che alle superiori potremmo destinare il biennio alla lettura dei contemporanei e che negli ultimi tre anni dovremmo dedicarci a insegnare storia della letteratura e analisi del testo in modo stimolante, meno nozionistico, in altre parole, sensato. Insomma, ammettiamo che si potrebbero rendere certi pomeriggi passati a studiare meno infernali e piú utili e che se questo non avviene la colpa atavica, e condivisa, è nostra. - Ok. Possiamo andare adesso? - bisbiglia Andrea. È cosí, Polito: siamo colpevoli. Ma l'accusa piú grave non ce l'hai rivolta. La scuola si rende colpevole nei confronti dell'arte e della letteratura non quando ne insegna i percorsi e il linguaggio, credo, e non solo per il modo in cui lo fa, ma soprattutto quando ci rinuncia perché ne ha paura. La scuola che si propone di educare, formare e informare è nemica giurata del romanzo: è sempre stato cosí. La selezione dei testi che si propongono agli alunni evita da sempre, accuratamente, la letteratura problematica, il dubbio. Ha dimostrato di temere l'umorismo nero di Roald Dahl e l'irriverenza di Pippi Calzelunghe, preferendo le riletture edulcorate su modello Disney (Pinocchio e Mary Poppins per intenderci). Ha condannato le istanze socialiste di Cuore, ignorato o esiliato le avventure di Salgari e, in alcuni casi, anche le crudeli Favole al telefono di Rodari in cui si affacciano la fame e la morte. Insomma, la scuola ha promosso e promuove la letteratura purché disarmata: fugge davanti alle ombre del sesso e della violenza, bandisce il turpiloquio, censura i temi che considera scomodi (omosessualità compresa, per quanto anacronistico e bigotto possa sembrare questo ostinato ignorare l'argomento). Qual è l'idea della letteratura che ti arriva dalla nostra cattedra, Polito? Poeti che riflettono sull'esistenza, testimonianze in favore della legalità, personaggi che parlano in una lingua difficile di cose che non ti interessano. Niente di quello che viene letto in classe ti tocca realmente, niente ti punge davvero. E questo, mi dispiace ammetterlo, in modo completamente intenzionale. Da sempre a scuola la letteratura viene usata per insegnarti ciò che è giusto e sbagliato. A generazioni intere di ragazzi vengono dati in pasto gli stessi libri, quelli che passano il vaglio dell'istituzionalità. La regola è scegliere letture innocue o rendere innocue quelle che non lo sono. L'arte a scuola, insomma, o viene prima disinnescata o non entra. La sentenza, quindi, pare inevitabile: la scuola non è in grado di trasmettere nulla e in molti casi non lo vuole. Va condannata, per non aver compiuto il suo dovere. | << | < | > | >> |Pagina 85I libri non sono tutti uguali.Caro Polito, mi dispiace davvero ma ho promesso all'inizio che non ti avrei mentito e rispetterò la promessa. La tv sembra dire che se una storia parla di te è interessante. Se ti guardi intorno ti vedrai circondato da moltissimi libri che non parlano affatto di te; affrontano temi che non ti riguardano da vicino o sono ambientati in posti che non hai sentito nominare e che non desideri conoscere. Oppure sono libri vecchi, a leggerli ti annoieresti quindi è comprensibile che tu non lo faccia. La tv dice anche che il talento ci mette poco a ottenere dei risultati, ma tu non ti consideri un talentuoso nella lettura. Anzi, la trovi difficile e io sono qui a confermarti che può esserlo eccome. Che ci sono libri per cui dovresti ricorrere al vocabolario a ogni pagina e che comunque da solo non riusciresti a leggere. Infine, dalla tv ti sembra di capire che l'arte è ciò che piace, perciò la biografia di Ibra sostituisce a buon diritto, come mi avevi fatto notare qualche mese fa, L'amico ritrovato che ti avevo assegnato per le vacanze. Va bene, Polito, è giusto: se vorrò avere qualche chance in piú di tirare fuori questo benedetto lettore che è in te e non vuol saperne di uscire, io non potrò ignorare niente di tutto ciò. Non è un problema e ti dirò subito il perché. Sono convinta che i libri non siano tutti uguali. Nel numero sterminato di opere stampate da Gutenberg a oggi, io posso assicurarti che esistono innumerevoli storie ambientate in ogni tempo e in ogni luogo che parlano proprio di te. Questo non significa che raccontino le stesse cose che leggi su Facebook, ma che quello che leggerai è fatto per colpirti: sei tu il lettore implicito di quelle storie, il tu nascosto a cui l'autore senza saperlo si è rivolto quando ha scritto il suo romanzo. Se riuscirò a trovare dei libri di cui sei il lettore implicito, la probabilità che tu li legga salirà di molto. Lo so, alcuni romanzi potrebbero essere difficili: il tuo vocabolario è scarso e la tua capacità di concentrazione è minata da una forza di volontà ridotta e poco esercitata. Che ti piaccia o no, dovremo lavorare su questo. Ma ti confiderò un segreto: sarà piú facile se i tuoi genitori non si lamenteranno di quanto è spesso il libro che devi leggere. Se ti incoraggeranno o leggeranno con te invece di assecondare il tuo legittimo tentativo di evitare il compito. Col tempo potresti anche arrivare a leggere senza tutta questa fatica, pensa. E allora, perché non lasciarti leggere il libro del vincitore di Amici? È alla tua portata, ti è vicino e ti interessa: potresti perfino arrivare a farlo spontaneamente. L'idea mi tenta come tenta molti insegnanti, ma vedi Polito, nella mia infinita magnanimità, acconsento a che la pila di questi libri ti affascini e che un numero imbarazzante di copie vendute colonizzi spiagge e zaini degli adolescenti italiani. Però non sarò io a invitarti alla lettura di un libro cosí, sono la tua insegnante e sono convinta che la scuola debba dare l'alternativa alla pila in libreria. E, credimi, quest'alternativa può non essere la noia devastante che immagini. Certo, il dubbio resta: perché darci tanta pena? Se le storie che la televisione racconta hanno in parte sostituito la lettura, perché non possiamo lasciare che lo facciano del tutto? Il punto è l'armatura che la lettura ci offre. Mi piace riscontrare che esiste e ci permette di difenderci meglio dalle storie preconfezionate, fatte apposta per ancorarci a quella che spacciano per realtà. È brutto vederti privo di questa armatura: è come se ti avessero tolto la capacità di immaginare che, sono sicura, esiste ancora da qualche parte dentro di te. Hai tutte le storie che potresti desiderare a tua disposizione, lo so, ma ti manca l'equivalente della fiaba: la possibilità di leggere di un mondo che vada oltre il reale immediato o mediato dalla televisione. Quello che mi piacerebbe, insomma, sarebbe tornare a regalarti una quota di speranza e di immaginazione che non abbia un risvolto utile o pratico, che non voglia venderti niente ma solo renderti stupito, triste, euforico, divertito. Che crescesse con te la capacità di capire le storie e sentire empatia per personaggi che non ti rimandano il tuo immediato riflesso. | << | < | > | >> |Pagina 97Nel 2010 durante il Maggio dei Monumenti il comune di Napoli ha deciso di ospitare a piazza del Plebiscito una mostra itinerante di fotografie di Oliviero Toscani che denunciavano lo sfruttamento dell'orso nero tibetano. È durata pochi giorni: una mattina le foto, le istallazioni e i pannelli che le sostenevano sono stati trovati distrutti e sparsi in giro per la piazza.Era già successo con la statua dell'artista belga Jan Febre, derubata dei suoi bottoni. Era già successo con i teschi di Rebecca Horn, divelti dal suolo e gettati via. Insomma, era già successo e succederà ancora: sui giornali un assessore alla cultura si rammaricherà del gesto, insinuerà che la gente non merita ciò che le viene offerto, ma ricorderà, casomai ce ne fosse bisogno, che queste cose accadono dappertutto. Ancora una volta si procederà secondo una parabola conciliatrice, molto in linea con un'idea di cultura che attribuisce all'opera d'arte un valore intrinseco che non può che essere riconosciuto e apprezzato. E se non è cosí, la colpa è del fruitore, vandalo perché già barbaro precedentemente. Non so cosa abbia combinato stavolta; so che quando Conte dice che i libri non servono ha perfettamente ragione. E cosí i quadri, i film, l'opera. Le gigantografie dell'orso nero tibetano non salveranno lui, né me e forse neppure l'orso nero tibetano. Leggere i libri di Dickens, Pennac, della Rowling potrebbe essere bello e interessante per lui, ma non cambierebbe questa cosa storta e incasinata che è la sua vita. Sono solo libri: non possono evitargli lo sfratto o far tornare a casa suo padre; non gli possono togliere la paura e la rabbia che si porta addosso dappertutto. Quindi non gli servono. Di piú: a lui, e ai ragazzi come lui, non serve nessuna bellezza, soprattutto quella che impone la scuola o che la giunta comunale fa comparire un bel giorno in piazza. Soprattutto in un periodo in cui la gente ha bisogno di sussidi e lavoro, l'arte pagata a caro prezzo diventa sinonimo di spreco, di lusso, di schiaffo morale. Da qui a prendersela con l'opera il passo è breve: prima il pane, dice quello sfascio. Prima il lavoro, la serenità, i diritti e poi tutto il resto. Prima le persone e poi gli orsi tibetani. E dov'è, quindi, in questo quadro, la bellezza che salva il mondo? Da qualche altra parte, a salvare un altro mondo: quello dei quartieri coi palazzi storici, dove è distribuita a pagamento nei teatri e nei cinema o nei musei, complicata da cataloghi scritti come col proposito di non essere capiti da tutti.
Una bellezza cosí distante e indifferente non parla la lingua di Conte e non
si fa riconoscere. Al contrario: ogni volta che viene tirata in ballo lui sente
il bisogno di attaccarla e farla a pezzi. E quasi sempre per legittima difesa.
Non è un caso che tra tutti i compagni sia lui a gridarmi contro quando
insinuo che leggere sia uno strumento, un modo di cavarsela
meglio nella vita: il mio vuoto incitamento lo esclude, o meglio, lui crede che
lo faccia. La scuola finora gli ha insegnato
che leggere, scrivere, ottenere buoni risultati non fa per lui.
Il sospetto che queste cose potrebbero davvero garantirgli
una vita migliore lo spaventa: sente disperatamente di avere comunque diritto a
un'esistenza felice e non perde occasione di ribadirlo nel suo modo feroce e
assoluto. Potrebbero benissimo bruciare tutti i libri del mondo. Anzi, sarebbe
auspicabile.
Leggere perché. Nessuno ha mai dovuto spiegarmi l'orrore di vivere nel mondo di Montag. Il gesto con cui il fuoco viene sparso sulla libreria, lambisce e divora le pagine è ben impresso nella mia memoria di lettrice, anche se mutuato molto probabilmente dall'immaginario di François Truffaut. È un gesto senza ritorno. Intenzionale e spietato, parla alla parte di noi che rifiuta di prestare libri a cui siamo molto affezionati, che ci vieta di sporcarli con l'inchiostro della penna o di tenere il segno con una serie di pieghe irrispettose dei bordi. Che ci fa delirare riguardo al famigerato profumo della carta. E come se il contenuto di un testo avesse assunto un corpo che occupa uno spazio nelle nostre case sia fisico che affettivo: il libro ha un valore perché è nostro, ha un valore perché è quel libro, ha valore, infine, in quanto libro. Ma che succede quando l'umanità decide che quel rogo non è poi cosí grave? Se un orrore ha bisogno di essere spiegato, continua a essere un orrore? | << | < | > | >> |Pagina 125C'è qualcosa di alienante nel modo in cui nell'ultima scena di Fahrenheit 451 gli uomini e le donne del bosco camminano recitando la litania incolore del libro che stanno imparando a memoria: non si guardano quasi, concentrati come sono nell'atto di ripetere le frasi nell'ordine giusto, di recitare i capitoli del loro romanzo fino alla fine.Non sono piú persone ma libri ambulanti. Il loro meraviglioso gesto di ribellione e resistenza ha un'apparenza fredda, da automi in mezzo ad altri automi. Se non sapessimo che stanno salvando il mondo, ci sembrerebbero vittime di un lavaggio del cervello o di una sindrome terribile, capace di sottrarti per sempre la realtà che ti circonda. C'è qualcosa di sbagliato nella felicità con cui Henry Deines abbraccia i tomi della biblioteca cittadina circondato da morte e macerie. Poniamo anche, come immaginavo da piccola per tamponare la ferita inferta dalla sua storia, che prima o poi Henry riuscisse a procurarsi un paio di occhiali: che senso avrebbe avuto leggere di un'umanità che non esisteva piú? Dickens, Orwell, Dostoevskij sarebbero stati come un lungo requiem, privato per sempre di significato. D. ha ragione: la vita insegna piú cose della letteratura. E le dichiarazioni di chi proclama che i libri sono meglio delle persone o che chi legge è una persona migliore di chi non lo fa mi causano sempre un brivido di compassione e imbarazzo. Esiste la letteratura perché esistono gli esseri umani. Leggiamo perché vogliamo sapere di noi. Perfino l'assoluto che si nasconde nei romanzi e che deforma la realtà, la rende speciale, interessante, è già presente nella realtà: esiste nella testa dello scrittore, nel suo vissuto e nella sua intelligenza delle cose. Il modo in cui la letteratura ci restituisce la nostra esperienza è il motivo che ci spinge a leggere. Non sono gli insegnamenti che dà (non ne dà), non è la morale che dovrebbe migliorarci (non ci migliora). Semplicemente la letteratura ci legge e ci racconta. Crea una trama delle possibilità tracciate dall'esperienza umana e ce le propone con delicatezza, ironia, crudeltà. Ascolto D. parlare e penso che alcune cose le ho incontrate solo nei libri e che ha ragione lui: non è affatto come viverle in prima persona. Eppure, in qualche modo, la lettura ha permesso che arrivassero anche a me, nella mia cameretta. Grazie ai libri venivo a sapere che quelle cose esistevano: i tradimenti, le sparatorie, la droga, la malattia. Non potevano farmi male, non ero costretta a viverle, erano solo parole che però si portavano dietro l'ombra di quello che raccontavano. Se vogliamo interessare qualcuno alla lettura dobbiamo fargli intravedere quell'ombra, rendere vivo un testo che gli sembra una litania senza senso. E per farlo dobbiamo rinunciare al libro come fine. È solo un libro: un mezzo attraverso cui un pezzo di umanità insiste per essere letto. | << | < | > | >> |Pagina 152Perché leggiamo quello che leggiamo? Dovremmo chiedercelo ogni volta. L'unica risposta sbagliata è: «perché dobbiamo». L'insegnante non può permettersi di non amare la sua materia e, per quanto banale possa sembrare, un insegnante che non legge non può pretendere molto dai suoi alunni svogliati.Anche il genitore che non apre libro si lamenta se il figlio non legge, ma in fondo, è evidente, non lo ritiene davvero cosí grave. Del resto lui stesso che non legge perché lavora, perché non ha tempo, perché non ama farlo, nella vita se la cava benissimo: esattamente, dov'è il problema? [...] Leggere per loro, interessarli, intrigarli, incuriosirli è la strada. Non basta però. Dobbiamo portarli a diventare lettori, non solo ascoltatori. Essere lettore vuol dire ritrovarsi da soli davanti a un testo con la voglia di leggerlo, finire un libro e cercarsene un altro, sviluppare una familiarità tale con la lettura da poterla definire abitudine. Come si può raggiungere un obiettivo cosí irrealistico? Nel modo in cui si è sempre fatto, io credo: attraverso l'educazione. Se vogliamo introdurre nella società attuale un'abitudine alla lettura, allora dobbiamo indurre i ragazzi a considerarla un aspetto realmente importante della nostra esistenza. Talmente importante da essere irrinunciabile. In altre parole, farli convivere fin da bambini con la lettura in qualità di lettori.
L'obiettivo non è leggere questo o quel libro, ma riavvicinare alla lettura
come strumento personale da usare a proprio
piacimento per rendere piú piena e ricca la propria esistenza.
Questo obiettivo può essere raggiunto solo se miglioriamo
il rapporto dei futuri lettori con le parole e la pagina. Se ci
riusciremo non si sentiranno inadeguati o annoiati dal testo
perché capiranno quello che leggono e sentiranno che li riguarda in un senso che
va oltre la loro biografia immediata.
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