Copertina
Autore Herbert Marcuse
Titolo Marxismo e nuova sinistra
Edizionemanifestolibri, Roma, 2007, Marcusiana , pag. 368, cop.fle., dim. 14,4x21x2,2 cm , Isbn 978-88-7285-507-2
CuratoreRaffaele Laudani
PrefazioneSandro Mezzadra
TraduttoreLuca Scafoglio
LettoreFlo Bertelli, 2007
Classe politica
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Indice

Introduzione                                                     7
Nota del traduttore                                             27

I. MARXISMO E RIVOLUZIONE NEGLI ANNI SESSANTA                   31

Prefazione a R. Dunayevskaya, Marxismo e libertà (1958)         33
Postfazione a K. Marx, Il diciotto brumaio di
    Luigi Bonaparte (1965)                                      41
L'obsolescenza del marxismo (1967)                              49
Riesame del concetto di rivoluzione (1968)                      61

II. SULLA NUOVA SINISTRA                                        71

Note sulla nuova sinistra (1967)                                73
Marcuse definisce la sua posizione sulla nuova sinistra (1968)  83
Vittoria di un cattivo maestro.
    Intervista alla TV di San Diego (1969)                     109
La nuova sinistra ha fallito? (1975)                           125

III. FEMMINISMO E AMBIENTALISMO                                139

La liberazione della donna in una società repressiva (1962)    141
Marxismo e femminismo (1974)                                   153
Ecologia e critica della società moderna (1979)                165

IV. MARXISMO E RIVOLUZIONE NEGLI ANNI SETTANTA                 177

La questione dell'organizzazione e il soggetto rivoluzionario. 179
    Dialogo con Hans Magnus Enzensberger (1970)
Lezioni parigine del 1974                                      199
Protosocialismo e tardocapitalismo. Verso una sintesi storica
a partire dall'analisi di Bahro (1978)                         249
Oltre il marxismo cattivo (1979)                               275

APPENDICE                                                      283
Carteggio con Raya Dunayevskaya (1954-1965)                    285

Postfazione, di Sandro Mezzadra                                353

 

 

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Pagina 49

L'OBSOLESCENZA DEL MARXISMO
[1966]



Credo di dover iniziare con un'obiezione nei confronti del titolo dato al mio intervento. Manca la cosa più importante: il punto interrogativo. Per me tale punto di domanda costituisce il simbolo che meglio riassume la dialettica nella teoria marxiana; più specificamente, esso rappresenta simbolicamente il fatto che essa, la teoria, diviene obsoleta precisamente nella misura in cui l'obsolescenza attesta la validità dei suoi concetti fondamentali. Lo dico in un inglese un po' più semplice: i fattori che hanno fatto sì che alcune concezioni decisive di Marx risultassero superate e obsolete sono colti anticipatamente nella stessa teoria marxiana, quali alternative e tendenze del sistema capitalistico. Perciò il riesame della teoria di Marx, con la sua eventuale riformulazione, non può limitarsi ad adattare la teoria a fatti nuovi; deve procedere, piuttosto, come uno sviluppo interno e una critica immanente dei concetti marxiani. Nella mia esposizione non faccio uso della distinzione, operata da alcuni dei miei colleghi, tra gli stessi Marx ed Engels e la teoria marxista posteriore. Al contrario, considero la teoria dell'imperialismo di Rosa Luxemburg, di Hilferding e di Lenin, ad esempio, uno sviluppo genuino della teoria marxiana originaria. Una terza e ultima premessa: poiché sono stato presentato come filosofo, vorrei scusarmi per il fatto che affronterò situazioni e problemi del tutto concreti e immediatamente politici.

Col titolo del mio intervento non voglio lasciar intendere che l'analisi marxiana del sistema capitalistico sia datata; al contrario, penso che la validità dei suoi concetti fondamentali risulti confermata. Li si può sintetizzare come segue.

1) Nel capitalismo i rapporti sociali degli uomini sono governati dal valore di scambio piuttosto che dal valore d'uso dei beni e dei servizi che essi producono, vale a dire, la loro posizione è determinata dalla loro collocazione sul mercato.

2) In tale società di scambio, la soddisfazione dei bisogni degli uomini costituisce solo un risultato secondario della produzione per il profitto.

3) Col progredire del capitalismo si sviluppa una duplice contraddizione: a) tra la crescita della produttività del lavoro e della ricchezza sociale, da un lato, e il loro uso repressivo e distruttivo, dall'altro; b) tra il carattere sociale dei mezzi di produzione (per cui gli strumenti di lavoro non sono più individuali ma collettivi) e ed il carattere privato della loro proprietà e del loro controllo.

4) Il capitalismo può risolvere tale contraddizione solo temporaneamente, con l'aumento dello spreco, del lusso e della distruzione delle forze produttive. La spinta competitiva a trarre profitto dalla produzione di armamenti porta a un'ampia concentrazione di potere economico, a un'espansione aggressiva verso l'esterno, a conflitti con altre potenze imperialistiche e, infine, a cicli ricorrenti di guerra e depressione.

5) Tale ciclo può essere interrotto solo se le classi lavoratrici, che sostengono il peso maggiore dello sfruttamento, si impadroniscono dell'apparato produttivo e lo portano sotto il controllo collettivo dei produttori stessi.

Faccio presente che tutte queste tesi, con l'eccezione dell'ultima, sembrano essere state corroborate dallo sviluppo effettivo. L'ultima affermazione si riferisce ai paesi industriali avanzati, nei quali avrebbe dovuto aver inizio la transizione al socialismo, e proprio in questi paesi le classi lavoratrici non costituiscono affatto un potenziale rivoluzionario. La falsificazione di una delle concezioni fondamentali impone un'analisi della situazione internazionale nella quale le società industriali avanzate si sviluppano.

La concezione marxiana della transizione al socialismo può essere realmente discussa solo all'interno del quadro internazionale, globale, nel quale il sistema del capitalismo avanzato opera attualmente. In questo quadro si possono constatare le seguenti condizioni: il continuo innalzamento del livello di vita nei paesi industriali sviluppati è dovuto non solo a fenomeni «di superficie», ma alla traboccante produttività del lavoro e alle nuove possibilità di fare profitto attraverso lo spreco, che si aprono al sistema industriale avanzato. Un altro fattore che promuove l'unificazione e l'integrazione della società è dato dal management scientifico, estremamente efficace, dei bisogni, della domanda e della sua soddisfazione. Il management scientifico, che ha il suo punto di forza nell'industria della propaganda e dell'intrattenimento, ha da lungo tempo cessato di essere semplicemente parte della sovrastruttura, per diventare parte del processo produttivo di base e dei costi di produzione necessari. Se non fosse per il management scientifico dei bisogni e la stimolazione scientifica della domanda, ampie quantità di beni non verrebbero acquistate.

Tali fattori hanno reso possibile la crescita costante del capitalismo, sicché tra quelle classi che, in quanto «produttori immediati», sarebbero in grado di arrestare la produzione capitalistica, il bisogno vitale della rivoluzione non prevale più. La concezione marxiana della rivoluzione era basata sull'esistenza di una classe non solo impoverita e disumanizzata, ma libera, anche, da ogni interesse costituito nel sistema capitalistico, una classe che rappresenterebbe, perciò, una nuova forza storica, con bisogni e aspirazioni qualitativamente differenti. In termini hegeliani, tale classe è la «negazione determinata» del sistema capitalistico, dei bisogni e delle forme di soddisfazione stabilite. Nei paesi industriali avanzati, però, l'emergere di una tale forza negativa interna, la cui esistenza e azione dimostrerebbe la necessità storica della transizione dal capitalismo al socialismo, è bloccato — non a causa di una repressione violenta o di metodi terroristici di governo, ma in forza di una coordinazione e un'amministrazione confortevoli e scientifiche. Come risultato di una mutata base del sistema, il nesso storico interno tra capitalismo e socialismo sembra essere reciso, non solo ideologicamente, ma anche praticamente.

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Pagina 275

OLTRE IL MARXISMO CATTIVO
[1979]



La tesi che l'efficace potere centralizzato del capitalismo monopolistico possa essere affrontato e messo in discussione da un potere dell'opposizione, altrettanto efficace e centralizzato, sarebbe corretta, se la sinistra avesse una chance di erigere e affermare un tale contropotere. Ciò appare del tutto improbabile, irrealistico, alla luce dei seguenti fatti:

– la terrificante concentrazione di una forza militare assolutamente distruttiva nelle mani della classe dominante, in grado di reprimere – o almeno «contenere» – uno sciopero generale, tuttora la sola adeguata azione organizzata di massa!

– l'integrazione (razionale e materiale) della classe operaia nel sistema capitalistico, e la corrispondente propensione riformista e persino collaborazionista, all'interno della classe lavoratrice «privilegiata» (sul piano nazionale e internazionale);

– la totale diffidenza nei confronti dei partiti di massa costituiti, burocratico-centralizzati, e la convinzione che la loro politica non condurrà ad un'alternativa migliore;

– ogni appoggio dall'esterno (dall'Urss o dal Terzo Mondo) si scontrerebbe con la superiore potenza militare ed economica degli Usa.

Al contrario, una opposizione decentrata, basata su una provata organizzazione locale e regionale, in grado di affermarsi in luoghi distinti e del tutto separati l'uno dagli altri, impedirebbe il pieno scatenamento della forza militare.

Le rivendicazioni di tale opposizione non sarebbero niente di simile alla «presa del potere», alla espropriazione rivoluzionaria, etc. Rivendicazioni quali l'autorganizzazione del lavoro, l'autogestione, la fine della proliferazione delle installazioni per l'energia nucleare e dell'avvelenamento dell'ambiente vitale, potrebbero contare su un appoggio popolare considerevole; si anticiperebbero, così, alcuni aspetti del socialismo, su una base democratica, e al tempo stesso si colpirebbero i più forti interessi delle corporations. L'anticipazione si riferisce a ciò che Cohn-Bendit chiama «unità di resistenza e vita» (in «Links», 1977, n. 85, p. 80 s.): «una organizzazione, che si definisce in termini esclusivamente politici e che non si fa contenuto centrale della vita» può «procedere verso l'immondezzaio della storia».

Ciò significa: organizzazione non solo sul posto di lavoro, nel quartiere residenziale, ecc., ma in grado anche di connettere, unificare tali aree con la sfera personale, con i rapporti personali. Riconoscimento del potenziale politico dell'emancipazione dei sensi, della sensibilità...

Ma finché la vita dell'individuo è nettamente divisa tra il posto di lavoro e la sfera personale, tra un lavoro (inteso come occupazione) del tutto alienato, disumanizzato, e lo spazio e il tempo delle relazioni personali – uno spazio che risulta costantemente ridotto dalla penetrazione del dominio e dell'amministrazione -, come si può realizzare l'«unità di resistenza e vita» (Cohn-Bendit)? Comuni autosufficienti e collettivi parzialmente auto-sufficienti sono le migliori «aree protette» per sperimentare solidarietà personale ed emancipazione; come tali essi costituiscono oggi una prospettiva necessaria – è difficile che, nelle condizioni oggettive prevalenti, divengano qualcosa di più.

Tuttavia, a dispetto del loro carattere di gruppo (o infra-gruppo), essi corrono il rischio di indulgere sulle afflizioni e sulle aspirazioni personali: è il pericolo della «politica in prima persona»: la generalizzazione astratta del particolare.

Ora, io penso che sia vero che la lotta politica debba essere radicata nei bisogni individuali e nell'emancipazione dell'individuo, cioè tanto nella sensibilità che nell'intelletto degli individui. Il concetto di individuo implica, tuttavia, che la persona conservi una propria sfera di realizzazione – non in termini di proprietà privata, ma quale rifugio della vita, non comunicabile, non mitteilbar: una Innerlichkeit, il cui carattere si altererebbe in forza della sua espressione = esternalizzazione.

Tale riserva ultima all'interno della dimensione personale costituisce il limite della personalizzazione della politica, dell'unione di resistenza e vita. L'esternalizzazione di tale «rifugio» ne muterebbe la sostanza e la funzione: la soggettività sarebbe «prematuramente» oggettivata, «socializzata», senza che sussista la base sociale per tale processo.

[È] un paradosso: il processo della liberazione politica sembra implicare una violazione «benevola», «terapeutica», della libertà personale. Tale assoggettamento alla comunicazione, a una guida, a una autorità, sembra inevitabile, alla luce del fatto che il potenziale umano «ultimo» non coincide affatto con una bontà radicale: è piuttosto energia erotica quanto distruttiva – quest'ultima evidentemente repressa e sublimata, «socializzata», in modo sempre più precario. Conseguentemente, l'integrazione della dimensione personale (quale dimensione profonda) con l'educazione politica, concepita come terapia (radicale), non può attuarsi incoraggiando la liberazione metodica di emozioni, sentimenti, passioni, ma può anche mirare alla repressione di ciò che è non stato represso, o lo è stato in modo inefficace. La psicoanalisi ha riconosciuto tale problema nel concetto di transfert: il «dislocamento» del conflitto psichico del paziente sull'analista è temporaneo, illusorio. È il paziente stesso, o la paziente stessa, che impara a convivere con i conflitti – l'analista fa di questo compito un progetto cosciente.

Torniamo al rapporto tra il personale ed il politico. La illibertà è alla radice della libertà dell'uomo: l'animale umano è anche parte della natura, della materia, spinta da forze primarie che operano ancora al livello più alto della ragione, quello del logos. C'è un nesso essenziale tra tale illibertà biologica e la illibertà politica: la natura stessa, percepita, trasformata, sfruttata nel continuun storico; lo sfondo sul quale si combattono le lotte sociali. Ancora allo stadio del dominio più totale, la natura rimane l'altro della soggettività, una frontiera insormontabile - ed il limite insormontabile della libertà.

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