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| << | < | > | >> |IndiceVII Prefazione di Eric J. Hobsbawm XI Nota al testo Il capitale. Libro I. Il processo di produzione del capitale 3 Prefazione alla prima edizione tedesca 6 Poscritto alla seconda edizione tedesca Prima sezione. Merce e denaro 11 Capitolo primo. La merce 51 Capitolo secondo. Il processo di scambio 58 Capitolo terzo. Il denaro ossia la circolazione delle merci Seconda sezione. La trasformazione del denaro in capitale 97 Capitolo quarto. Trasformazione dei denaro in capitale Terza sezione. La produzione del plusvalore assoluto 121 Capitolo quinto. Processo lavorativo e processo di valorizzazione 140 Capitolo sesto. Capitale costante e capitale variabile 150 Capitolo settimo. Il saggio del plusvalore 156 Capitolo ottavo. La giornata lavorativa 196 Capitolo nono. Saggio e massa del plusvalore Quarta sezione. La produzione del plusvalore relativo 203 Capitolo decimo. Concetto di plusvalore relativo 211 Capitolo undicesimo. Cooperazione 223 Capitolo dodicesimo. Divisione dei lavoro e manifattura 248 Capitolo tredicesimo. Macchine e grande industria Quinta sezione. La produzione del plusvalore assoluto e del plusvalore relativo 341 Capitolo quattordicesimo. Plusvalore assoluto e plusvalore relativo 346 Capitolo quindicesimo. Variazioni di grandezza nel prezzo della forza-lavoro e nel plusvalore Sesta sezione. Il salario 357 Capitolo diciassettesimo. Trasformazione in salario del valore e rispettivamente del prezzo della forza-lavoro 364 Capitolo ventesimo. Differenza nazionale dei salarí Settima sezione. Il processo di accumulazione del capitale 369 Capitolo ventunesimo. Riproduzione semplice 377 Capitolo ventiduesimo. Trasformazione del plusvalore in capitale 389 Capitolo ventitreesimo. La legge generale dell'accumulazione capitalistica 417 Capitolo ventiquattresimo. La cosiddetta accumulazione originaria |
| << | < | > | >> |Pagina VIIPrefazione«L'economia politica è l'anatomia della società civile» scrisse Marx, e di conseguenza lo studio dell'economia politica del capitalismo costituisce il nucleo del suo lavoro-teorico dalla metà degli anni quaranta fino alla fìne della sua vita. La quantità di tempo e di energie, e di pura erudizione bibliografica, che vi dedicò è assolutamente stupefacente. Quasi certamente la sua conoscenza della letteratura economica non aveva confronti in nessun altro pensatore contemporaneo. Proprio questa intensa concentrazione sul modus operandi e sul dinamismo del capitalismo, su come il sistema trasformi se stesso e cosí facendo crei le condizioni per il proprio superamento, come Marx sperava, distingue il socialismo marxiano da qualsiasi altro progetto per la creazione di una società migliore. Oggi ci pare del tutto naturale che l'opera principale di Marx si chiami Il capitale e che sia una «critica dell'economia politica», ma è tutt'altro che ovvio che un pensatore rivoluzionario scelga di presentare il suo magnum opus nella forma di un ponderoso lavoro di analisi economica. Nessun pensatore rivoluzionario non marxista lo ha mai fatto. Naturalmente Il capitale era ed è piú di questo. Come Marx stesso notò nel Poscritto alla seconda edizione, esso ricomprende sia il suo approccio filosofico - la dialettica hegeliana «capovolta» (vedi piú avanti, p. 9 di questo volume), - sia la concezione materialistica della storia che dalla metà degli anni quaranta costituiva il fondamento del suo pensiero. È questo il motivo per cui gli economisti tradizionali si sono trovati a disagio di fronte al Capitale, anche se solo i piú ignoranti o i píú prevenuti tra critici di Marx hanno mancato di riconoscere in lui un economista di straordinario talento, capace di «intuizioni stellari» (Paul Samuelson). La forma in cui Marx scelse di presentarla rese la sua opera di accesso insolitamente difficile. La difficoltà è legata al fatto che Marx ebbe chiaramente notevoli problemi nel trovare il modo migliore per organizzare un'esposizione esaustiva del suo lavoro. Il volume pubblicato nel 1867 come Das Kapital, dopo il precedente tentativo di Per la critica dell'economia politica (1859), era solo la punta visibile di un gigantesco iceberg manoscritto, costituito in parte da abbozzi preparatori probabilmente non destinati alla pubblicazione (per esempio gran parte dei cosiddetti Grundrisse), in parte da materiali che avrebbero dovuto far parte del volume o dei volumi successivi dell'opera principale. Questi volumi non furono in realtà mai scritti, anche se il materiale manoscritto fu raccolto, dopo la morte di Marx, in un secondo e in un terzo volume da Friedrich Engels, e in un quarto volume (Teorie del plusvalore) da Karl Kautsky. E comunque anche il primo volume non fu pubblicato in una forma finale e definitiva. Lo stesso Marx riscrisse quasi totalmente il primo capitolo e fece altri cambiamenti per la seconda edizione (tedesca) del 1872, e modificò ulteriormente il testo per l'edizione francese (1872-75). Se avesse vissuto abbastanza a lungo da ultimare un'ulteriore edizione, è praticamente certo che avrebbe continuato a modificare il suo testo. Di fatto, anche Engels modificò il testo marxiano per quella che sarebbe diventata l'edizione standard dell'opera, la quarta edizione tedesca del 1890, alla luce dei cambiamenti apportati da Marx in precedenza e di sue note manoscritte inedite. Pur importanti per gli studiosi del pensiero economico di Marx, questi problemi non rivestono grande interesse per un lettore non specialista. Come osserva giustamente C.J. Arthur, il primo volume del Capitale era destinato a essere letto come opera a sé stante, e cosí fu letto da «studenti, lavoratori, studiosi di scienze sociali, filosofi, storici, e dal pubblico colto che voleva aver modo di conoscere una delle grandi menti dell'era moderna». Ma anche questi lettori si sono spesso sgomentati di fronte alla mole di un volume argomentato in modo serrato e intellettualmente impegnativo. Nel corso degli ultimi cento anni, molti giovani e ferventi socialisti dei cinque continenti hanno cominciato il loro incontro intellettuale con il marxismo cercando, da soli o più spesso all'interno di un gruppo, di aprirsi faticosamente un cammino attraverso Il capitale dalla prima all'ultima pagina. Per lo piú hanno dovuto scoprire che non si trattava, per dei novizi, del modo piú soddisfacente di avvicinarsi a Marx. Per questo, sin dall'inizio, sono stati intrapresi vari tentativi di presentare le argomentazioni del Capitale in una forma piú popolare e accessibile. In realtà, anche se il testo completo del volume era disponibde in quasi tutte le principali lingue europee di cultura prima della morte di Engels (l'Europa sudorientale e sudoccidentale giunsero con qualche ritardo), queste edizioni non erano destinate a un'ampia circolazione. Né Il capitale fu in realtà largamente studiato all'interno del movimento operaio socialista, anche se molti militanti avranno trovato probabilmente conforto nel sapere che esisteva un ponderoso volume in cui una grande mente aveva fornito, a quelli che avevano tempo per studiarla, l'incontrovertibile prova scientifica che il trionfo finale dei lavoratori era storicamente inevitabile. In realtà, molti socialisti dell'età della seconda internazionale assorbirono la teoria marxista non tanto dagli scritti originali dello stesso Marx (tranne, naturalmente, il Manifesto del partito comunista, che apparve in centinaia di edizioni in qualcosa come trenta lingue), ma in guide o compendi della sua teoria, come la Dottrina economica di Karl Marx di Kautsky. In un certo senso, gli scritti piú conosciuti di Engels, soprattutto L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, aprirono la strada a questo sforzo sistematico di rendere il pensiero di Marx accessibile ai nuovi movimenti socialisti di massa. E se Il capitale ha avuto una circolazione popolare, è stato soprattutto nella forma del compendio, come quelli di Cafiero in Italia, Deville in Francia e Aveling in Inghilterra. Questo volume rappresenta un ritorno a questa vecchia tradizione. Inevitabilmente, lo fa in un contesto politico e ideologico molto mutato. La sua funzione, oggi, è di aiutare le nuove generazioni a riscoprire un pensatore di straordinario vigore e passione intellettuale, la cui importanza - e la cui profonda influenza sulle moderne scienze sociali - resta intatta, ed è destinata a sopravvivere ai tentativi delle attuali mode politiche e ideologiche di cancellarlo. Inoltre, portando il lettore direttamente a contatto con le stesse parole di Marx, e soprattutto con il suo interesse per le concrete realtà del capitalismo contemporaneo, questa edizione può aiutarci a liberare il marxismo dall'astrazione del dibattito accademico in cui gran parte del discorso marxiano è rimasta imprigionata sin dagli anni sessanta. Oggi nessuno vorrebbe o potrebbe leggere Il capitale nello stesso modo in cui lo hanno letto generazioni di socialisti e di comunisti dagli anni ottanta del secolo scorso agli ottanta di questo secolo. Troppi sviluppi intrapresi da coloro che si sono dichiarati suoi eredi - nel filone socialdemocratico o comunista - sono falliti o si sono arenati. E tuttavia esso resta un'impresa monumentale, e mantiene la sua capacità di stupire e di illuminare. Qualche anno dopo averlo letto per la prima volta, George Bernard Shaw rievocò questo senso di stupore. Tutti gli altri economisti presentavano il sistema esistente come qualcosa di fisso, un paesaggio immutabile, non toccato dalla storia. Non cosí Marx, che vede ogni forma sociale storicamente sviluppata come fosse in fluido movimento, e perciò tiene conto della sua natura transitoria non meno che della sua momentanea esistenza. Ciò che il giovane Shaw trasse dal Capitale fu la visione del capitalismo come fenomeno storicamente mutevole e transitorio, come una grande nube apparsa all'orizzonte storico, che oscura il cielo ma è destinata a passare e a disperdersi. Il giovane Shaw, socialista fabiano, non condivideva l'analisi economica di Marx né - con qualche rammarico - le sue speranze rivoluzionarie. E tuttavia il senso della visione storica, che egli derivò dal Capitale, secondo la quale anche il sistema economico apparentemente piú solido e immutabile è in realtà storicamente provvisorio, non lo abbandonò mai. Forse la fine del ventesimo secolo, in cui il capitalismo appare altrettanto trionfante e saldamente radicato come nei sessanta dell'Ottocento, è il momento giusto per tornare alla visione storica e analitica di Marx della sua inevitabile provvisorietà. Eric J. Hobsbawm | << | < | > | >> |Pagina 111. I due fattori della merce: valore d'uso e valore (sostanza di valore, grandezza del valore) La ricchezza delle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico si presenta come una «immane raccolta di merci» e la merce singola si presenta come sua forma elementare. Perciò la nostra indagine comincia con l'analisi della merce. La merce è in primo luogo un oggetto esterno, una cosa che mediante le sue qualità soddisfa bisogni umani di un qualsiasi tipo. La natura di questi bisogni, p. es. il fatto che essi provengano dallo stomaco o che provengano dalla fantasia non cambia nulla. Qui non si tratta neppure del modo in cui la cosa soddisfa il bisogno umano: se immediatamente, come mezzo di sussistenza, cioè come oggetto di godimento o per via indiretta, come mezzo di produzione. Ogni cosa utile, come il ferro, la carta, ecc., dev'essere considerata da un duplice punto di vista, secondo la qualità e secondo la quantità. Ognuna di tali cose è un complesso di molte qualità e quindi può essere utile da diversi lati. È, opera della storia scoprire questi diversi lati e quindi i molteplici modi di usare delle cose. Cosí pure il ritrovamento di misure sociali per la quantità delle cose utili. La differenza nelle misure delle merci sorge in parte dalla differente natura degli oggetti da misurare, in parte da convenzioni. L'utilità di una cosa ne fa un valore d'uso. Ma questa utilità non aleggia nell'aria. È un portato delle qualità del corpo della merce e non esiste senza di esso. Il corpo della merce stesso, come il ferro, il grano, il diamante, ecc., è quindi un valore d'uso, ossia un bene. Questo suo carattere non dipende dal fatto che l'appropriazione delle sue qualità utili costi all'uomo molto o poco lavoro. Quando si considerano i valori d'uso si presuppone che siano determinati quantitativamente, come una dozzina di orologi, un braccio di tela di lino, una tonnellata di ferro, ecc. I valori d'uso delle merci forniscono il materiale di una particolare disciplina d'insegnamento, la merceologia. Il valore d'uso si realizza soltanto nell'uso, ossia nel consumo. I valori d'uso costituiscono il contenuto materiale della ricchezza, qualunque sia la forma sociale di questa. Nella forma di società che noi dobbiamo considerare i valori d'uso costituiscono insieme i depositari materiali del valore di scambio. Il valore di scambio si presenta in un primo momento come il rapporto quantitativo, la proporzione nella quale valori d'uso d'un tipo sono scambiati con valori d'uso di altro tipo; tale rapporto cambia continuamente coi tempi e coi luoghi. Perciò si presenta come qualcosa di casuale e puramente relativo, come un valore di scambio interno, immanente alla merce (valeur intrinsèque), dunque come una contradictio in adjecto [contraddizione in termíni]. Consideriamo la cosa piú da vicino. Una certa merce, p. es. un quarter di grano, si scambia con x lucido da stivali, o con y seta, o con z oro ecc.: in breve, si scambia con altre merci in differentissime proporzioni. Quindi il grano ha molteplici valori di scambio invece di averne uno solo. Ma poiché x lucido da stivali, e cosí y seta, e cosí z oro, ecc. è il valore di scambio di un quarter di grano, x lucido da stivali, y seta, z oro, ecc. debbono essere valori di scambio sostituibili l'un con l'altro o di grandezza eguale fra loro. Perciò ne consegue: in primo luogo, che i valori di scambio validi della stessa merce esprimono la stessa cosa. Ma, in secondo luogo: il valore di scambio può essere in generale solo il modo di espressione, la «forma fenomenica» di un contenuto distinguibile da esso. Prendiamo poi due merci: p. es. grano e ferro. Quale che sia il loro rapporto di scambio, esso è sempre rappresentabile in una equazione, nella quale una quantità data di grano è posta come eguale a una data quantità di ferro, p. es. un quarter di grano = un quintale di ferro. Che cosa ci dice questa equazione? Che in due cose differenti, in un quarter di grano come pure in un quintale di ferro, esiste un qualcosa di comune e della stessa grandezza. Dunque l'uno e l'altro sono eguali a una terza cosa, che in sé e per sé non è né l'uno né l'altro. Ognuno di essi, in quanto valore di scambio, dev'essere dunque riducibile a questo terzo. [...]
Questo «qualcosa» di comune non può essere una qualità
geometrica, fisica, chimica o altra qualità naturale delle
merci. Le loro proprietà corporee si considerano, in
genere, soltanto in quanto le rendono utilizzabili, cioè le
rendono valori i d'uso. Ma d'altra parte è proprio tale
astrarre dai loro valori d'uso che caratterizza con evidenza
il rapporto di scambio delle merci. Entro tale rapporto, un
valore d'uso è valido quanto un altro, purché ve ne sia in
proporzione sufficiente. Ossia, come dice il vecchio
Barbon: «Un genere di merci è buono quanto un altro, se il
loro valore di scambio è di eguale grandezza. Non esiste
nessuna differenza o distinguibilità fra cose che abbiano
valore di scambio di ugual grandezza». Come valori d'uso
le merci sono soprattutto di qualità differente, come valori
di scambio possono essere soltanto di quantità differente,
cioè non contengono nemmeno un atomo di valore d'uso.
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