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| << | < | > | >> |Indice7 Introduzione 63 Nota bibliografica 83 Nota critica 91 Il libro sugli spettacoli 115 Epigrammi 117 Libro I 185 Libro II 233 Libro III 285 Libro IV 337 Libro V 387 Libro VI 437 Libro VII 495 Libro VIII 547 Libro IX 615 Libro X 683 Libro XI 743 Libro XII 799 Libro XIII 843 Libro XIV 919 Appendice metrica 925 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina 19II. Gli epigrammi di MarzialeL'opera poetica di Marziale è una delle più imponenti tra tutte quelle che ci ha tramandato l'antichità classica. Il raffronto, naturalmente, va fatto con quei poeti coi quali Marziale ha maggiore affinità, cioè coi poeti lirici, intendendo «lirici» nel senso più ampio. Catullo, Tibullo, Properzio, lo stesso Orazio ci hanno lasciato opere meno ampie; dei lirici greci del periodo classico (esclusi Teognide, Pindaro e Bacchilide) ci è pervenuto molto poco; e poco nel complesso abbiamo di Callimaco e degli altri elegiaci alessandrini. L' Antologia Palatina ci ha conservato, è vero, un numero enorme di componimenti: ma essa non appartiene a un solo poeta, ma a una miriade di poeti, e non abbraccia una sola generazione di uomini, ma molti secoli di storia. Di Marziale abbiamo 15 libri, contenenti 1561 epigrammi, per un totale di 9787 versi. Tre di essi hanno titoli speciali e cioè: Liber de spectaculis, Xenia, Apophoreta. Gli altri sono numerati progressivamente da 1 a 12. Come tante altre forme poetiche, anche l'epigramma nacque in Grecia. Il primo autore di epigrammi fu Simonide di Ceo, un poeta del VI sec. a. C., sotto il cui nome ci sono pervenuti parecchi componimenti, alcuni dei quali molto belli, come quello in onore dei caduti alle Termopili. In questa sua prima apparizione l'epigramma, conformemente alla sua etimologia (cfr. ... = scrivo), è un'iscrizione sepolcrale. Una ricca fioritura di epigrammi si ebbe due/tre secoli più tardi, nell'età ellenistica, con Asclepiade di Samo, Callimaco, Leonida di Taranto e altri: con essi l'epigramma non è solo iscrizione sepolcrale, ma anche espressione di uno stato d'animo o descrizione di un avvenimento. Conserva tale carattere fino a Meleagro (sec. I a. C.), autore di bellissimi epigrammi di contenuto amoroso. Dopo Meleagro il contenuto dell'epigramma si allarga ancora: spunta l'epigramma satirico, di cui un notevole rappresentante fu Lucillio, un poeta vissuto nell'età di Nerone. A Roma l'epigramma fa la sua prima apparizione con i poeti del circolo di Lutazio Catulo, che vissero tra il II e il I sec. a. C. (ricordiamo Porcio Licino e Valerio Edituo autori, insieme a Lutazio Catulo, di epigrammi erotici, alcuni dei quali ci sono pervenuti) e poi nei poetae novi dell'età di Cesare. Meritano soprattutto di essere ricordati, sia per il loro valore artistico, sia per l'influenza che esercitarono su Marziale, gli epigrammi di Catullo. Nell'età di Augusto altri poeti tennero viva la tradizione dell'epigramma, come Domizio Marso, Albinovano Pedone e Getulico, che vengono ricordati da Marziale nella praefatio del libro I. Lunga e ricca è dunque la storia dell'epigramma: ma il rappresentante più completo e illustre di questa forma poetica fu Marziale. | << | < | > | >> |Pagina 115Penso di aver seguito nei miei libretti una misura tale, che impedirà a chiunque ha la coscienza tranquilla di muovermi degli appunti nei loro riguardi, dal momento che essi scherzano rispettando le persone, anche quelle di più basso grado sociale. Tale rispetto mancò agli autori antichi, tanto che essi maltrattarono non solo personaggi reali, ma anche importanti. Possa la mia fama costare un prezzo minore, e l'arguzia sia in me l'ultimo dei miei pregi. Stiano lontani dalla schiettezza dei miei scherzi i cattivi interpreti, e non riscrivano i miei epigrammi: agisce male chi esercita il suo ingegno sul libro di un altro. Cercherei di scusare il lascivo realismo delle parole, cioè il linguaggio degli epigrammi, se fossi io a darne per primo l'esempio: ma così scrivono Catullo, Marso, Pedone e Getulico; così scrivono i poeti che vengono letti per intero. Se c'è tuttavia qualcuno tanto affettatamente pudibondo, da pensare che non sia lecito usare lo schietto linguaggio latino in nessuna pagina, costui può ritenersi soddisfatto di questa lettera, o meglio della sua intestazione. Gli epigrammi sono scritti per coloro che sogliono assistere alle feste Floreali. Non entri Catone nel mio teatro, o, se vi è entrato, si limiti a guardare. Credo di esercitare un mio diritto, se chiudo questa lettera con dei versi: Siccome conoscevi i riti cari alla scherzosa Flora e gli allegri sollazzi e la sfrenatezza della plebe, perché, o severo Catone, sei venuto nel mio teatro? O forse eri venuto solo per questo, cioè per uscirne? | << | < | > | >> |Pagina 119
Tu che brami avere con te, ovunque vada, i miei libretti,
e tenerli come compagni del lungo viaggio, acquista questi
che la pergamena restringe in piccole pagine: riserva gli
astucci per i grossi libri; io sto in una mano. Perché tu sappia
dove possa comprarmi e non vada errando per tutta la città,
con la mia guida non sbaglierai: cerca di Secondo, il liberto
del dotto Lucense, dietro il vestibolo del tempio della Pace
e il Foro di Pallade.
Tu preferisci, o mio libretto, stare nelle librerie dell'Argileto, pur
avendo a tua disposizione i nostri scrigni. Ignori,
ahimè, quanto siano schizzinosi questi Romani padroni del
mondo: questa folla che discende da Marte, credimi, la sa
lunga. In nessun luogo trovi più evidenti smorfie di derisione:
giovani, vecchi e bambini hanno il naso del rinoceronte. Dopo
che avrai udito un clamoroso «Bravo!», e proprio mentre stai
mandando i tuoi baci, sarai lanciato in cielo da un mantello
fortemente scosso sotto di te. Ma tu, o sfacciato, mal sopportando che il tuo
padrone faccia tante correzioni, e la severa
penna imprima dei segni sopra le tue facezie, sei bramoso di
volare per l'aria: va' pure, corri; ma saresti stato più sicuro in casa.
Se per caso, o Cesare, ti capiteranno nelle mani i miei libretti, spiana la tua fronte padrona del mondo. Anche i vostri trionfi sono abituati a tollerare gli scherzi e il generale non si vergogna di divenire oggetto di maldicenze. Ti prego di leggere i miei carmi con quello spirito con cui ammiri Timele e quel burlone di Latino. L'ufficio di censore può permettere gli scherzi innocenti: i miei versi sono lascivi, ma la mia vita è onesta. | << | < | > | >> |Pagina 163| << | < | > | >> |Pagina 177| << | < | > | >> |Pagina 179| << | < | > | >> |Pagina 183| << | < | > | >> |Pagina 217Avevi, o Milico, solo cento mila sesterzi, che hai speso per prenderti Leda dalla via Sacra. Se anche tu fossi un uomo ricco, pagare così caro l'amore di una donna sarebbe un eccesso. Subito mi dirai: «Non l'amo». Pure questo è un eccesso. | << | < | > | >> |Pagina 371Puoi abbaiare quanto vuoi contro di me e stancarmi coi tuoi ostinati mugolii: è certo però che non ti concederò la gloria che da tanto tempo cerchi, cioè di essere letto per il mondo nei miei libretti, a qualunque titolo. Perché infatti la gente dovrebbe sapere che tu sei vissuto? Tu devi, o sciagurato, morire da ignoto. Forse non mancheranno in questa città uno, due, tre o quattro desiderosi di rosicchiare una pelle di cane: io voglio tenere lontane le mani dalla tua rogna. | << | < | > | >> |Pagina 559| << | < | > | >> |Pagina 581| << | < | > | >> |Pagina 621| << | < | > | >> |Pagina 625| << | < | > | >> |Pagina 631| << | < | > | >> |Pagina 689| << | < | > | >> |Pagina 767| << | < | > | >> |Pagina 771| << | < | |