|
|
| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 3 PARTE PRIMA — TEMI E VARIAZIONI 15 CULTURA E STORIA 17 MITOLOGIE 35 JAZZMEN E JAZZWOMEN 50 PARTE SECONDA — IL MONDO DEL JAZZ 71 JAZZ PEOPLE 73 GLI OGGETTI DEL JAZZ 83 I LUOGHI DEL JAZZ 95 PARTE TERZA — LINGUAGGI 103 QUESTIONI DI METODO 105 BANDE SONORE 127 APPENDICI 149 Swingin' Comics. Brani e canzoni dedicati ai fumetti 151 Bibliografia 161 Elenco delle illustrazioni 163 Indice dei fumetti per autore 165 Note 182 INSERTI 199 BAD BOYS di Flavio Massarutto e Massimiliano Gosparini 201 VISIONI. UN RACCONTO JAZZ di Flavio Massarutto e Davide Toffolo 209 |
| << | < | > | >> |Pagina 17Cinema, narrativa di genere, fumetti e jazz sono linguaggi che si sono intrecciati con reciproche influenze, riversando uno nell'altro pratiche e tematiche nel segno della cultura di massa. Linguaggi per le masse, popolari per nascita e democratici per vocazione hanno trovato nella società americana il terreno ideale per il loro sviluppo. Il caso di Marion Colman della coppia Berardi e Milazzo può essere letto proprio come un omaggio a questo intreccio. La storia ha per protagonista il detective Marvin (la letteratura di genere poliziesco-investigativo) in una Hollywood di produttori, attrici (il cinema) e club dove si esibiscono i pionieri del jazz. La sequenza iniziale riproduce le immagini del cinema muto con i suoi eroi e cattivi a tutto tondo (ma attenzione perché nella parte del cattivo c'è Ken Parker, l'eroe della serie più famosa della coppia di fumettisti, un cameo che la dice lunga sullo sguardo amorevole ma critico che orienta gli autori) e qualche pagina più in là ci troviamo trasportati al King's Club dove suona Jelly Roll Morton, "l'inventore del jazz".
Gli inizi del cinema e gli inizi del jazz.
Voler stabilire una data di inizio di fenomeni che hanno la loro origine
in complesse evoluzioni e stratificazioni è un esercizio rischioso; sopratutto
quando parliamo di linguaggi artistici compositi dobbiamo
sempre tener conto delle relazioni con le altre espressioni e con i movimenti,
non sempre lineari, della società. Certo è comunque che almeno la prima metà del
secolo scorso è stata dominata dall'irrompere
di questi nuovi testimoni del loro tempo. Ci piace particolarmente
questa espressione perché riteniamo che, a dispetto del suo evidente
antinaturalismo, il fumetto possegga proprio i caratteri di specchio
fedele del sentire di una società, dei suoi miti, delle sue speranze e
delle sue fobie. Creato per le masse, per farle divertire e per farle sognare,
esso contiene, in forma sublimata e ambigua, il concentrato
del pensiero a esso contemporaneo, con una sintonia temporale che
raramente troviamo in altre forme narrative.
Indagare la presenza del jazz nei fumetti da una prospettiva storica e culturale significa in primo luogo cercare di comprendere la questione della rappresentazione (e autorappresentazione) degli afroamericani. Il fumetto non tende all'effetto mimetico ma è piuttosto portato all'effetto estremo attraverso una semplificazione grafica, perciò le rappresentazioni spesso tendono ad assumere la forma di stereotipi figurativi. In una società dominata da bianchi anglosassoni le immagini delle minoranze (non solo i neri ma anche gli asiatici, gli ebrei, gli italiani, etc.) riflettono i pregiudizi nei confronti dei subalterni. A questo senso comune i fumetti si sottomettono completamente e una storia dell'immagine del nero nei fumetti è anche una buona storia di come la morale e il costume si siano nel corso degli anni modificati passando dalla discriminazione o persino dall'aperto razzismo al moderno "politically correct". Fin dagli albori la presenza, esplicita o rimossa, degli afroamericani nella società è presente con il suo carico di problematicità. Il nero è subito associato alla musica, terreno nel quale gli sono riconosciuti spazi di azione inconcepibili in altri campi della vita sociale. Nel fumetto classico americano le forme musicali pre-jazzistiche trovano subito documentazione come dimostra Musical Mose, serie creata da George Herriman nel 1902 che ha come protagonista un povero musicista nero alle prese con i più disparati travestimenti etnici che vengono puntualmente scoperti, vista l'impossibilità di occultare il colore della pelle, segno di una distintività e differenza non rimovibile. La serie rimanda al gioco di travestimenti, parodie e autoparodie che segnano la storia dei Minstrel, gli spettacoli basati sulle caricature degli afroamericani, con un aspetto che lo rende ancora più intrigante. Herriman è anche l'autore di Krazy Kat uno dei più bei fumetti di tutti e tempi e molto si è scritto sul fatto che la gatta protagonista del triangolo amoroso con il topo Ignatz e il cane poliziotto Offissa Pupp abbia molti caratteri afroamericani a cominciare dall'indizio del banjo (strumento del folclore nero) con il quale accompagna le sue strampalate canzoni. La cosa interessante è piuttosto che l'autore, nato a New Orleans nel 1880 e di lì trasferitosi nel 1901 a New York, abbia sempre celato la propria origine creola, considerata un ostacolo alla sua carriera nel mondo dei media. Non è difficile immaginare i problemi che in quegli anni avrebbe dovuto affrontare per poter pubblicare le sue strisce sui quotidiani posseduti da bianchi, diretti da bianchi e destinati, ovviamente, ai bianchi. Il primo passo per affermare la propria identità è conquistare il diritto di sguardo, infatti quando il dominato incrocia lo sguardo del dominatore deve abbassare gli occhi. Lo sguardo è potere e come tale deve essere impedito a chi si vuole sottomettere. Rappresentare significa definire l'altro e se stessi. La rappresentazione dunque è un terreno cruciale della battaglia per i diritti di autodeterminazione, sul piano della sua manifestazione attraverso immagini e, come vedremo, attraverso i suoni. Tra le forme musicali precedenti il jazz un posto particolare spetta al ragtime la cui diffusione si propagò con estrema rapidità segnando un trentennio di storia musicale americana. L'euforia contagiosa prodotta da questa nuova musica ha ispirato Irresistible Rag di Harold Knerr, disegnato tra il 1913 e il 1914. Al personaggio principale della serie è sufficiente suonare un rag con il flauto per far sì che chiunque lo ascolti sia colto da una frenesia danzante istantanea, come fosse posseduto, senza possibilità di scampo. Il musicista naturalmente usa questo suo potere incantatorio per risolvere situazioni difficili a proprio vantaggio. L'accoglienza delle musiche afroamericane da parte del grande pubblico americano ed europeo avvenuta con il jazz dopo la fine del primo conflitto mondiale è segnata dalla cifra dell'esotismo; si tratta di un aspetto non secondario, sul quale vale la pena di soffermarsi. In quanto fabbricazione di un immaginario che risponde alle esigenze di dominio sui popoli extraoccidentali l'esotismo finisce per definire uno standard di immagini, credenze e comportamenti che investono i costumi e le arti in modo profondo. Il jazz è percepito all'interno di quest'ottica come una manifestazione dell'altro e attraverso questo processo viene ricondotto a una dimensione controllabile e rassicurante esterna alla vita reale e quotidiana. Il fatto che una forma così sovversiva abbia goduto di un così grande successo lo si deve anche a questa incomprensione. Il jazz naturalmente non è affatto una musica primitiva e non ha nulla di esotico, ma è un prodotto della modernità e gli stessi musicisti si prestano volentieri al gioco di questo fraintendimento, ribaltando lo stereotipo a proprio vantaggio. Questo fa ad esempio Duke Ellington quando sposta sul terreno della sensualità (e dunque su un terreno positivo) il tema dell'Africa. Ma per la maggioranza dominante della società statunitense il nero è una presenza che inquieta e con la quale è difficile rapportarsi. Pur essendo presenti nel territorio americano da centinaia di anni ai neri è precluso l'ingresso a pieno titolo nella nazione americana, l'emancipazione promessa è negata da leggi segregazioniste e per loro il sogno americano resterà a lungo un incubo. Nel romanzo Jimmy Corrigan. The Smartest Kid on Earth (ed. it. Jimmy Corrigan. Il ragazzo più in gamba sulla terra, Mondadori, 2009) iniziato nel 1993 da Chris Ware il tema è presente con dolorosa consapevolezza. Il lungo racconto ruota attorno alla ricerca delle proprie origini del protagonista e, attraverso la vicenda familiare, riesce a parlare di un intero popolo, in miracoloso equilibrio tra precisione storica e universalità. In una scena del fumetto il giovane Corrigan partecipa a una cerimonia pubblica dove gli studenti devono vestire un berretto e una tunica di diversi colori per creare una grande bandiera americana. Al ragazzo è toccato il colore rosso e mentre aspetta vede un ragazzino che distante sta vendendo giornali con lo stesso berretto, "ma è solo un negro". Al segnale convenuto tutti indossano gli indumenti e un'immensa bandiera a stelle e strisce ricopre la gradinata gremita di bambini per la parata. La vignetta è a tutta pagina: occupata dagli enormi palazzi addobbati e dalla gradinata; nell'angolo in basso, tra la folla grigia, c'è il ragazzino nero che vende giornali con il suo berretto rosso. Per lui non c'è spazio nella bandiera. L'inquadratura diventa fondamentale per rendere il senso di disagio, di distacco e di tragica inadeguatezza, perché nelle vignette di Ware spesso "il campo è troppo ampio, il punto di vista troppo distante e il personaggio corre il rischio di sparire o di essere inghiottito in un ambiente sproporzionato". Poche tavole dopo veniamo trasportati all'esposizione universale di Chicago del 1893 tra spettacoli di minstrels e un banjoista nero di ragtime. La presenza negata riaffiora. Fintanto che le musiche afroamericane vengono viste come espressioni etniche restano associate all'immagine del nero, quando invece il jazz esplode come fenomeno di massa cambia anche la sua rappresentazione. Il successo dello swing che investì gli Stati Uniti sul finire degli anni Trenta per i quali furono coniati i termini "Swing Era" e addirittura "Swing Craze" portarono alla celebrità musicisti come Benny Goodman, Glenn Miller e i fratelli Jimmy e Tommy Dorsey mentre coloro che avevano creato quel tipo di musica ben prima di loro e cioè i neri Duke Ellington, Jimmy Lunceford, Cab Calloway, Don Redman non ricevettero mai la fama né i guadagni dei loro colleghi bianchi. Il clarinettista ebreo Benny Goodman e il cantante italoamericano Frank Sinatra divennero vere e proprie popstar, anche grazie ai musical e al cinema. Sinatra diventa un eroe positivo, patriottico e antirazzista sulle pagine di «Picture News» (1946) mentre Goodman si merita sulla stessa rivista una biografia, la prima biografia a fumetti di un musicista jazz per quanto ci è dato di sapere, e finisce nelle Tijuana Bibles, le strisce pornografiche con protagonisti i personaggi popolari del tempo. Questa situazione paradossale ma perfettamente coerente con la società americana del tempo ancora impregnata di razzismo possiamo desumerla dalla lettura di una storia di uno dei più celebrati fumetti del periodo: Dick Tracy di Chester Gould. In "88 Keyes" del 1943 il cattivo di turno è un pianista e bandleader assassino e precisi sono i riferimenti a brani del periodo come Night and Day e Brazil. Dopo una serie di delitti il criminale fugge in campagna dove seduce una giovane ma viene alla fine raggiunto dalla Legge e ucciso. | << | < | > | >> |Pagina 35Gli africani arrivati nelle Americhe portarono con sé il loro apparato di religioni, credenze e miti. Le diverse culture europee e occidentali andarono a innestarsi su questo patrimonio in modo sincretico dando luogo a nuove pratiche ibride. La particolare condizione di segregazione contribuì alla formazione di un apparato mitologico nuovo e originale, figlio dell'eredità africana mantenuta viva nella dimensione artistica e rituale, secondo quanto avvenuto nel crogiolo del ring shout, una cerimonia rituale clandestina dei tempi della schiavitù. Sull'importanza della dimensione spirituale riportiamo le parole di Franco Minganti secondo il quale "non si può dimenticare che alla base dell'universo esperienziale afroamericano permane un primato magico-religioso su tutto il resto: la magia/religione è venuta prima della critica e le parole (nommo) erano espressione non di uno, ma di migliaia di spiriti. Dopo il passaggio forzato in America e gli attacchi del cristianesimo su ogni forma di africanismo, certi frammenti delle vecchie religioni resistono e attecchiscono sul suolo del nuovo continente, come la musica sovversiva del jazz di New Orleans, in cui gli strumenti prendono il posto delle voci quali veicolo dei loa (spiriti) e il blues". La ripresa africanista alla quale abbiamo assistito di pari passo con la crescita della coscienza nera e delle rivendicazioni sociali, politiche e culturali ha fatto riemergere legami persistenti ma difficilmente enunciabili, con la Madre Africa. La riscoperta del folclore nero da parte dei musicisti di jazz più modernisti come ad esempio Charles Mingus, oppure da parte degli alfieri del free jazz ha riportato alla luce tutte le connessioni tra l'esperienza afroamericana e la tradizione africana. Insieme con le pratiche religiose del continente nero vengono riscoperte, anche per contrastare la supposta superiorità storica dei bianchi, le grandi civiltà nere come quelle degli Egizi oppure popolazioni misteriosamente avanzate come i Dogon. Quello che era lo stereotipo del negro superstizioso ampiamente descritto nella letteratura, nel cinema e nel fumetto americani viene ribaltato e la propensione al magico assume un carattere fieramente alternativo al sistema dominante. Esemplare è la caricatura derisoria di Ebony, l'assistente di colore di The Spirit di Will Eisner, che inizia a tremare quando passa davanti al cimitero di Wildwood, rifugio dell'eroe con la mascherina, oppure che fugge terrorizzato all'aprirsi di una tomba in una storia del 1940 dove il voodoo è ritratto come semplice imbroglio ai danni di un popolo di creduloni. Negli anni Quaranta dunque il magico associato ai neri è negativo, sintomo di arretratezza culturale, conferma (e giustificazione) di subalternità sociale. Ai giorni nostri il magico associato ai neri sta invece a significare una diversa e maggiore sensibilità, un migliore rapporto con l'universo e le sue (non sempre razionali) leggi, una possibilità in più di accedere a una conoscenza più elevata e a una vita più giusta. Ne vediamo tre esempi. Blues (1990) di Sergio Toppi racconta l'avventura del sassofonista Honeylips, il cui spirito è uscito da una foto e ha iniziato a vagare per la campagna, suonando belle notizie per una cassetta delle lettere arrugginita. Evoca poi lo spirito collerico dell'amante e alla fine salva dalla vendetta della malavita un gangster scappato con la "cassa" dell'organizzazione grazie alle sue note, in grado di immergere nei ricordi il killer giusto il tempo necessario per essere accoltellato da quella che era la sua vittima predestinata. Alla fine Honeylips ritorna a casa salutando il "povero fesso bianco che non capirà mai nulla". Il sassofonista-spirito vive emozioni vere ed è in sintonia con la natura (tutti gli animali lo conoscono e commentano le sue musiche) mentre i bianchi sono preda solo della bramosia del danaro. | << | < | > | >> |Pagina 41Ma uno dei miti afroamericani più forti e duraturi è quello del volo.La tradizione orale africana tramanda la leggenda secondo la quale gli africani sapevano volare; questo mito ha attraversato l'Oceano con gli schiavi e si è trapiantato in America dove è sopravissuto con la forza di un archetipo. Nella durezza della schiavitù il simbolo del volo diventa la consolazione e la speranza di emancipazione che troviamo in tanti spiritual dove si parla di volare in cielo con le ali oppure con il carro alato, lo sweet chariot, verso la libertà, un mondo migliore o l'amata Madre Africa. Nel jazz l'archetipo assume la forma di richiami ornitologici e movimenti ascensionali nelle improvvisazioni e nelle titolature di brani. Si pensi a quanti riferimenti al volo soprannaturale (gli angeli, gli spiriti), al volo animale (gli uccelli) e a quello meccanico (aeroplani, astronavi) sono contenuti nei titoli dei brani jazz. Ancorato a un livello più profondo a un altro archetipo, quello legato al viaggio, il mito del volo, come quello del treno, è presente in numerosi episodi della musica afroamericana e di conseguenza nelle pagine dei fumetti che a essa fanno riferimento. Il ritmo del cuore di Danijel Zezelj racconta la storia di Joe, un batterista nero che dal Sud approda alle metropoli del Nord e qui incontra in un circo (una costante felliniana dell'immaginario del disegnatore croato) un gigante che gli regala un tamburo. Si tratta di un tamburo magico che può far volare chi lo possiede. Il musicista sogna spesso una foresta e una donna africana. La vita nella città è dura; la ragazza che ama è una prostituta che non potrà essere sua. Suona il tamburo e vola nella foresta. Il racconto ha un doppio movimento. Il primo sull'asse che va dal Sud al Nord degli USA; dai ricordi del protagonista popolati dai roghi razzisti del Ku Klux Klan alla sua condizione presente di emarginazione. Il secondo è quello dalla sua vita in America al ritorno nella mitica foresta africana; luogo della libertà e dell'amore. Questo secondo movimento è a sua volta un doppio movimento: un'andata e ritorno dall'Africa. Zezelj riesce a visualizzare il tema del volo grazie a una serie di invenzioni grafiche: frequenti inquadrature dall'alto, dal punto di vista di chi vola; la presenza di aeroplani stilizzati e uccelli. Quando Joe si reca nel locale dove si esibisce insieme a una jazz band i colleghi lo accolgono con un "Sei pronto al decollo?" La via per il volo è la musica; la musica permette di volare, è letteralmente volare. Infatti sarà il tamburo ricevuto in dono a portare il protagonista nella foresta sognata. Il tamburo è, tra gli strumenti, quello che meglio rimanda alle radici africane del jazz e non a caso, parlando di miti, viene scelto come segnale indicatore di una tensione al ricongiungimento. La prima parte di Be Bop, fumetto degli spagnoli Felipe Hernàndez Cava e Enrique Flores, parla del percussionista Chano Pozo che introdusse i ritmi afrocubani nel jazz e si conclude con queste parole: "Una volta chiesero a Dizzy (Gillespie) che cosa ne sarà del jazz. Immaginate: una domanda da niente. 'Probabilmente' rispose `arriverà al punto da dove iniziò: un uomo che suona un tamburo'". La vignetta a tutta pagina mostra un uomo seduto sotto un albero nella foresta che suona un tamburo. | << | < | > | >> |Pagina 50La figura del jazzista è estremamente interessante da un punto di vista letterario perché accanto alle tematiche che la accomunano a quella del musicista in generale essa contiene tante e tali caratterizzazioni storiche, razziali e sociali da permettere un'ampia gamma di sviluppi narrativi. Non è un caso che numerosi siano i romanzi e racconti con protagonisti dei jazzisti, reali o immaginari.
Il fumetto per sua natura tende all'iperbolico, al surreale, al
meraviglioso, anche se questi tratti, agli occhi di qualche osservatore sciocco,
appaiono solo grossolani e semplicistici. Ancora oggi per definire
un film di scarsa profondità e definizione dei personaggi lo si chiama
un "fumettone". I personaggi dei comics hanno invece un carattere
diverso da quelli di altre forme espressive e la loro potenza evocativa
risiede nel complesso reticolo di informazioni visive e verbali, nei rimandi
intertestuali, nella capacità di messa in moto della mente del
lettore attraverso le sue proiezioni emotive.
Proveremo a definire una tipologia, semiseria, del jazzista come personaggio
letterario a fumetti.
L'EROE TRAGICO ovvero la sensualità delle vite disperate Il jazz è musica del momento, unica, irripetibile, definitiva. Il jazz non imita la vita; è la vita stessa. I musicisti di jazz in questa prospettiva hanno i caratteri della loro musica e ne portano le stimmate della tragicità. Sembra che per suonare jazz si debba per forza essere destinati a una vita breve, tormentata e a una fine violenta. Possiamo allora aprire il nostro catalogo con Little Rice Duck da Betty Blues di Renaud Dillies, un papero in un mondo di animali antropomorfi. Suona la tromba e ama Betty ma lei lo lascia per un riccone volgare. Rice, distrutto dal dolore, si ubriaca e perde la sua tromba; poi fugge e trova lavoro come operaio. Betty si accorge dell'errore che ha fatto e torna alla ricerca di Rice al jazz club Tequila Sunrise. Ma il suo amore oramai è lontano e morirà annegato (suicida?) in una cascata. In Il colore del blues, episodio della serie «Jessica Blandy» di Dufaux e Renaud, Oskin suona il sax e l'avventura è raccontata in parallelo con episodi della vita di Charlie Parker. Stan è convinto che "le note di Charlie Parker sono dentro di me, e probabilmente anche il suo destino"; per Jessica ha gli occhi tristi e per Sonny Stitt "lo stesso suono di tristezza, di solitudine, di rassegnazione". Si innamora di Jessica ma la sua vita è un tormento perché la madre è una psicopatica che assassina tutte le donne che lo avvicinano. Morirà tra le braccia di Jessica dopo aver ucciso la madre. Stan è l'eroe destinato a una vita di solitudine e di dolore, una vita blues, e a una fine tragica come Bird. Il musicista è rappresentato come eterno bambino, l'artista dotato della naturalezza dell'infanzia, ma al contempo segnato anche l'incapacità di autogestirsi e di determinare il mondo.| << | < | > | >> |Pagina 66Non poteva mancare una biografia a fumetti dell'eroe simbolo del jazz, colui che per la drammaticità della sua esistenza incarna l'ideale dell'aderenza perfetta tra arte e vita: Charlie Parker. Il rivoluzionario sassofonista è protagonista di Charlie Parker di Angelo Leonardi e Gaspare e Gaetano Cassaro, basato in gran parte sulla (discussa) biografia di Ross Russell. Il volume è stato edito dal piccolo e vivace editore Ottaviano in una collana dedicata alla musica a fumetti che ha prodotto anche Gato Barbieri di Leonardi, Lillo Gullo e Fabio Visintin, raro esempio di biografia a fumetti di un musicista vivente.Il racconto delle vite di personaggi reali pone sempre il problema delle fonti; dei materiali cioè che si utilizzano per ricostruire il loro percorso. Se, come abbiamo visto, il musicista di jazz esprime se stesso, l'autobiografia non può non costituire una fonte preziosa di documentazione. Pur essendo naturalmente innumerevoli le citazioni tratte dalle autobiografie che possiamo trovare in tante opere qui presentate esiste anche un'autore, il belga Philip Paquet, che ha realizzato intere storie i cui testi sono presi letteralmente dalle memorie dei protagonisti e sono una vera e propria illustrazione delle stesse. Louis Armstrong si basa sui ricordi del trombettista dalla nascita all'arrivo a Chicago contenuti in Satchmo. La mia vita a New Orleans (Minimum Fax, 2004); The Bird as Rememberd by Miles da Cat su quelli di Miles Davis in Miles. L'autobiografia (Minimum Fax, 2001); A Duke Named Ellington su un collage di interventi di Duke Ellington, Charles Mingus e Clark Terry. Alla storia orale, ovvero alla presa diretta delle testimonianze dalla viva voce di coloro che le hanno vissute, si riferisce Jelly Roll Morton's Voodoo Curse del maestro del fumetto underground Robert Crumb. Musica, gesta e mistero dell'"inventore del jazz" illustrate con insuperabile bellezza pescando nelle interviste rilasciate dal musicista e dalla sua prima moglie Anita Gonzales all'etnomusicologo Alan Lomax. Le tavole ci introducono nelle atmosfere sulfuree delle credenze magiche afroamericane in un ritratto d'epoca e umano inquietante.
Alle chine di Crumb si è affidato anche Harvey Pekar, classico tipo
di intellettuale ebreo di sinistra americano, critico jazz e collezionista
di vinili. Pekar scrive brevi storie illustrate da diversi disegnatori dove
è quasi sempre protagonista e dalle quali emerge, tra giornalismo sociale e
diario personale, una vivida raffigurazione della società statunitense. Alle
volte sono rappresentati dialoghi con musicisti ed è il
caso di "Ridin' the Dog" dove Pekar conversa con Sun Ra sulla corriera che
trasporta la sua Arkestra in tour. Una breve (due tavole) e
fulminante chiacchierata su musica, rapporti razziali, autodifesa. Il
pianista e bandleader è protagonista anche della storia in una sola tavola "Sun
Ra. His Astral Projection. A True Story" dell'inglese Ed Pinsent, basato sui
ricordi del sassofonista Red Holloway riportati in
As Serious As Your Life
(Serpent's Tail, 2000) della scrittrice e fotografa Valerie
Wilmer. Vi è raccontato il periodo chicagoano del musicista e la maturazione
della sua originale filosofia umana e artistica, la sua visionaria utopia
cosmica. Una piccola storia ma intrigante per come mostra
i racconti diventare racconti di racconti e così via; a ogni mutazione
di medium, dalla voce al libro al fumetto, questi cambiano, con perdite e
acquisizioni sensoriali e di significato.
Ma cosa succede se due autori di fumetti provano a immaginare che quella sera del 12 marzo 1955 nell'appartamento della baronessa Pannonica de Koenigswarter all'Hotel Stanhope Charlie "Bird" Parker non sia veramente morto? | << | < | > | >> |Pagina 73Il musicista di jazz non è solo il produttore di opere estetiche o l'incarnazione di un'attitudine, ma anche un individuo sociale. Si muove cioè all'interno di una serie di rapporti economici nella società nella quale vive. Lo storico inglese Eric J. Hobsbawm, autore anche di pregevoli studi e articoli sul jazz firmati con lo pseudonimo di Francis Newton, scrive nella sua Storia sociale del jazz: "Il jazz è come lo fanno i musicisti e i cantanti. Il musicista è il cardine del mondo del jazz". Decisivo è allora conoscere e comprendere non solo le opere ma anche la vita di queste persone intesa nella sua complessità e pregnanza storica e sociale. Si tratta insomma di capire come vive il musicista di jazz. A parte i pochi casi di artisti che giungono alla fama e al successo commerciale ma, come sappiano, questi non sempre sono duraturi e costanti, possiamo ben dire che in generale il jazzista conduce un'esistenza difficile. Se leggiamo le biografie dei grandi protagonisti possiamo apprendere le durissime prove attraverso le quali sono passati prima di vedere riconosciuta la loro arte. In ogni caso il jazz è fatto di una moltitudine di musicisti perlopiù sconosciuti al grande pubblico, ma non alla comunità dei fan, impegnati ogni giorno a guadagnarsi da vivere con una musica che offre grandi soddisfazioni ma ben poche agiatezze. La breve storia "I need some money - J'ai besoin d'argent!" di Filips rende bene la cifra di questa condizione con una storiella agrodolce dove un sassofonista al verde si dibatte tra sogni di successo e miseria quotidiana in un crescendo di gag umoristiche in un mondo dove "tutto è dannatamente caro", come dice il ritornello che scandisce il ritmo della storia. Divertente è come Bob Armstrong immagina invece che il suo personaggio, il trombettista Dizzy Ratstein, si inventi "ritrattista musicale" sui marciapiedi della sua città proponendo a turisti e passanti di mettersi in posa per un ritratto sonoro in jazz. Ha come sfondo la New York dell'attentato alle Twin Towers invece il duro e violento Hate Jazz di Jorge Gonzàlez e Horacio Altuna; racconto incrociato delle vite dei musicisti di un quartetto tra solitudine esistenziale ed emarginazione sociale. La storia inizia con il batterista tossicomane Clarence che reclama la sua paga al padrone del locale dove si esibisce la band. Il suo urlo di rabbia chiede un risarcimento che allude però a una dimensione più ampia di quella individuale. In questo fumetto la marginalità del jazzista e il suo scontro con l'arroganza del potere del denaro sono esemplificati dalla vicenda di Chester, sassofonista che arrotonda facendo il taxista e che viene assoldato da una coppia di ricchi amanti per allietare il loro amplesso. La verità e la bellezza della sua musica sono vendute a persone volgari, che lo disprezzano. L'ira di Chester esploderà tragicamente e il musicista finirà stroncato da un'overdose mentre davanti a lui bruciano le Torri. Questa tagliente storia a fumetti offre una riflessione sulla tragedia dell'11 settembre da un punto di vista posto ai margini rispetto al centro dell'impero; non un margine geografico ma sociale, razziale e musicale. | << | < | > | >> |Pagina 105QUESTIONI DI METODO I Nella recente pubblicistica sul jazz sempre maggiore rilevanza stanno assumendo quelle interpretazioni che indagano la musica afroamericana utilizzando le teorie sulla letteratura. Il caso forse più conosciuto è quello originato dalla pubblicazione nel 1988 de The Signifying Monkey. A Theory of African-American Literary Criticism da parte del critico letterario americano Henry Louis Gates riprese e applicate alla black music da Samuel Floyd nel 1995 in The Power of Black Music. Interpreting its History from Africa to United States. Nel suo saggio sulla letteratura afroamericana Gates applica il concetto di pluridiscorsività e plurivocità nel romanzo esposto da Michail Bacthin. Gates intuisce già le connessioni possibili tra l'universo letterario e quello musicale e Floyd le esplora compiutamente nel suo saggio (come peraltro aveva suggerito anche il musicologo Stefano Zenni). Che la moderna musicologia colga questo nesso tra la narratività letteraria e quella del jazz non può lasciare indifferente chi si appresti a indagare il contenuto jazzistico di un linguaggio come il fumetto, definito da uno dei suoi massimi esponenti di tutti i tempi, il veneziano Hugo Pratt di Corto Maltese, "letteratura per immagini" e chiamato da Will Eisner, in modo altrettanto efficace e stimolante, "arte sequenziale", con un rimando esplicito al cinema. Tra i caratteri salienti della musica afroamericana possiamo trovare, accanto a quelli più specificamente sonori (armonici, melodici, timbrici e parzialmente ritmici) per i quali è difficile se non impossibile trovare collegamenti, vista la diversità evidente tra il linguaggio della musica e quello dei fumetti, alcune modalità "operative" che invece ben si prestano all'obiettivo di questo studio. Il musicista di jazz ha a disposizione una serie di pratiche che nel tempo sono andate formando il linguaggio della comunità di cui fa parte. Il retroterra culturale dal quale per una lenta stratificazione ed evoluzione è nata la musica afroamericana è situato nella complessa vicenda della diaspora degli africani strappati a forza dalle loro terre dalla tratta schiavile. Gli africani hanno dovuto adattarsi a un nuovo contesto, nel quale era del tutto assente una mappa di riferimenti economici, politici e sociali nel quale esercitare la propria cultura. La deprivazione fisica della loro libertà è arrivata perfino alla negazione degli oggetti delle pratiche religiose e artistiche, profondamente intrecciate nella tradizione africana. Transitando attraverso questa storia lo schiavo africano diviene afroamericano. Si tratta di una nuova figura che mantiene alcuni caratteri della precedente vita e ne acquista di nuovi in un'inedita identità. Questa identità nasce dall'esperienza del già citato ring shout, dove si mettono a punto le forme dell'estetica afroamericana: uso della forma antifonale (detta call and response cioè a chiamata e risposta), intreccio di danza, ritmo e canto, fusione della dimensione sacra e profana. Scrive il critico e saggista Luigi Onori: "il ring shout è una sorta di DNA della cultura e della musica afroamericane"; e ancora: "gli elementi chiave del jazz (e della musica afroamericana, anche se non in modo automatico ed onnicomprensivo) derivati dal ring shout e nel contesto più generale di Danza, Percussione e Canto che gli schiavi africani portarono ovunque con sé si possono in questa sede semplicemente elencare: la poliritmia, la polifonia, l'improvvisazione, la pratica del Signifyin(g)". Quest'ultimo concetto è stato elaborato da Samuel Floyd sulla base degli studi di Henry Gates a cui abbiamo fatto poc'anzi riferimento e si riferisce a un racconto tradizionale africano basato sulla lotta impari tra il leone e la scimmia e sui trucchi che questa deve inventare per la propria sopravvivenza. Secondo gli studiosi statunitensi questa pratica ha dato luogo a un incessante dialogo tra oralità e scrittura, tradizione e innovazione, riscrittura e interpretazione. L'adozione cioè di una strategia di resistenza culturale a partire dalla propria memoria culturale e la pratica dell'appropriazione e rielaborazione di materiali che debbono ogni volta rispondere alle esigenze di nuove situazioni. In questo processo di ridefinizione identitario la lingua ha un ruolo centrale. I dominati debbono apprendere la lingua dei dominatori per potersi sottomettere al sistema dei divieti e al tempo stesso per poterlo sovvertire. Per essi d'ora in poi la lingua sarà questo: dire una cosa per significarne un'altra. Per finire, un ulteriore contributo teorico alla comprensione della questione è stato dato dallo studioso afroinglese Paul Gilroy che ha coniato la definizione di Atlantico Nero, uno spazio che collega Africa, Americhe ed Europa e nel quale ha luogo la diaspora nera, generatrice di un'identità transnazionale, multipla e mutevole. | << | < | > | >> |Pagina 115Decisiva per il jazz è l' improvvisazione. La pratica improvvisativa è comune a tutte le musiche popolari e nel caso di questa musica deriva dal retaggio africano sopravissuto e adattato alle nuove condizioni.Come abbiamo visto l'attenzione nel jazz è puntata sull'azione, cioè sul processo anziché sul progetto; sul come piuttosto che sul cosa. Quanto il processo, cioè il farsi dell'atto estetico, sia centrale nell'esperienza dell'estetica afroamericana che ha generato il jazz lo troviamo illustrato con esemplare chiarezza nel romanzo a fumetti Cages di Dave McKean. Impossibile riassumere qui le cinquecento pagine dell'opera perciò ci limiteremo a concentrarci sulla scena che ci interessa per questo specifico tema; basti sapere che l'opera contiene moltissimi riferimenti al jazz oltre che essere straordinariamente bella. Uno dei personaggi della storia è un musicista, Angel. Lo vediamo impegnato a suonare diversi strumenti, ma anche nella veste di poeta mentre recita, accompagnato da un gruppo jazz, un lungo e significativo testo che termina così: "Rimaneva solo da mettersi in pace col passato. E la musica che creavano, la spiritualità, la stimolante chiarezza santificatrice... erano veri. E voi potreste dire: Chi è questo tizio che parla di verità? Non si rende conto che siamo in un epoca di profitto e risparmio. Di ostentazione menefreghista e pacchiana volgarità. La verità è grigia in mezzo a tanti luccichii e fruscii. Ma questo è troppo facile. È facile vivere per la luce sfavillante del possesso. È facile nascondersi nel buio della fede. Fingendo che tutto ciò che si aggira e sguscia nella notte sia frutto solo dell'immaginazione. È facile restare dove sei già. Mettere radici. Vegetare. Essere un tubero. È facile perché tutta l'avidità, ignoranza, negazione del mondo è nata con la prima bugia. È molto più difficile, avendo sentito il fiammifero che si accende dopo esserci scaldati alla luce della fiamma, andare avanti per illuminare altre parti del buio che ci circonda. È difficile perché devi accettare che se porti la candela accesa la cera ti brucerà la mano. Alla fine del giorno il dolore è parte del processo di rivelazione. Questa è la verità. Amen". Cosa ci dicono queste parole se non che la musica (jazz) è appunto legata a dei "processi"? Essere veri significa accettare l'esperienza, il mutamento, l'ibrido e l'impuro. Il jazz appare autentico a chi l'ascolta perché si percepisce chiaramente che esso si sottomette completamente al primato del corpo, del desiderio, dell'unità. Se centrale è il processo significa che bisogna abbandonare l'idea di un'opera finita, conclusa, eterna. Gli stessi dischi vanno visti come parti di un progetto più complessivo, pezzi di un percorso che si completa con l'insieme degli atti sonori. Nel jazz idolatrare un singolo disco di un musicista significa applicare una categoria appartenente a un altro sistema di valori. Se a essere centrale è il divenire, estremizzando il concetto, potremo dire che il jazz si definisce nella sua incompletezza, nella sua eterna non-finitezza (quanti musicisti di jazz ritornano sempre, instancabilmente, sullo stesso brano?). Proprio questa paradossale e provocatoria enunciazione troviamo in un fumetto dal titolo intrigante: «La Peor Banda del Mundo» di José Carlos Fernandes, serie composta di racconti brevissimi di sole due tavole, ispirati a situazioni che potrebbero essere uscite dalla penna di un Borges, un Calvino o un Kafka. In una città immaginaria dove esistono il jazz-club Tzadik e la boutique elettroacustica Konitz agiscono i personaggi della Peor Banda del Mundo che si ritrovano a suonare in una cantina. Sono tutti dopolavoristi dai nomi significativi: Sebastian Zorn, sassofonista, Ignacio Kagel, contrabbassista; Idalio Alzheimer, pianista e Anatole Kopek, batterista. Sarà perché "gli strumenti sono una rovina" ma sta di fatto che suonano Who'll Buy My Violets? ma sono convinti di eseguire Doin' the Rumba, il contrabbassista perde il proprio strumento (non propriamente facile da smarrire vista la mole...), il batterista le bacchette, il pianista suona leggendo lo spartito al rovescio, riescono ad avere l'unico ingaggio per suonare nell'assurdo "Parco delle perversioni"; ma gli inamovibili principi morali del contrabbassista gli impediscono di suonare durante uno spettacolo di sesso dal vivo tra nani...
Insomma l'improbabile jazz-band è davvero incapace di combinare
qualcosa di serio, di finito, di
perfetto. Ma la vita non è perfetta, né finita, né tanto meno
seria e l'autore sembra dirci che proprio per questo il jazz
è la migliore musica del mondo.
Ma come funziona l'improvvisazione? Ci viene in soccorso uno dei maestri del fumetto europeo, il francese Jean Giraud alias Moebius nella sua autobiografia: "Da questo punto di vista, mi ha insegnato molto il jazz. Si espone il tema. Si ipnotizza l'ascoltatore, specie se crede di riconoscere la melodia. Poi, quando lo si ha in pugno, gli si somministra l'improvvisazione, il cui compito è di tuffarlo in un abisso di sensazioni nuove, alle quali però è stato sapientemente preparato. Blueberry è l'esposizione del tema. Moebius è l'improvvisazione. [...] L'esposizione del tema è il ritorno sul noto. Nell'improvvisazione si simula la follia. [...] Moebius utilizza il disegno con lo stesso spirito di trasgressione generale del musicista di jazz. Il jazz è, nella musica occidentale, un simulacro sciamanico. È l'intrusione dell'Africa, dell'estraneo". | << | < | |