Copertina
Autore Jeffrey Moussaieff Masson
Titolo La vita emotiva dei gatti
SottotitoloUn viaggio nel cuore felino
Edizioneil Saggiatore, Milano, 2006 [2003], Nuovi saggi Scienza , pag. 256, cop.fle., dim. 140x214x25 mm , Isbn 978-88-428-1351-4
OriginaleThe Nine Emotional Lives of Cats [2002]
TraduttoreGiuditta Ghio
LettoreElisabetta Cavalli, 2006
Classe animali domestici , psicologia
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Indice

Introduzione                      9

Narcisismo                       23
Amore                            45
Appagamento                      77
Attaccamento                     95
Gelosia                         115
Paura                           137
Rabbia                          161
Curiosità                       183
Giocosità                       207
Epilogo                         233

Note                            239
Letture consigliate             243
Indice analitico                247
Ringraziamenti                  253

 

 

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Pagina 9

Introduzione



Ho sempre amato cani e gatti e fin da bambino ho vissuto con loro. Alcuni anni fa ho scritto un libro, I cani non mentono sull'amore, dedicato alla vita emotiva di questi animali meravigliosi. È un libro che ha avuto molto successo. Eppure ho notato che spesso i lettori mi parlavano in modo dispregiativo dei gatti, sostenendo che non sono in grado di avere sentimenti o che sono essenzialmente animali insensibili. Sapevo che non è vero, ma si tratta di una realtà non del tutto ovvia. Troppe persone sono propense a considerare i gatti creature di basso rango, che provano poche emozioni, o che per lo meno non meritano di venire considerate seriamente. Invece sono convinto che i gatti siano sensibilità pura.

Calcolare con precisione il numero di libri sui gatti che sono stati scritti è impossibile, ma attualmente ce ne sono circa cinquemila in commercio. Per la maggior parte sono manuali per la cura degli animali domestici, alcuni dei quali sono pessimi, altri (tra cui i titoli che ho inserito nelle letture consigliate) testi molto validi. Allora perché un altro libro? Perché in tutti i libri sui gatti che ho letto manca qualcosa: una seria valutazione della loro complessità emotiva. Non che gli autori di questi libri mettano in dubbio che i gatti provano emozioni; ma nessuno si è mai sforzato in modo concreto di scavare nel mondo dei loro sentimenti. Roger Caras, che fu presidente dell'ASPCA (American Society for the Prevention of Cruelty to Animals) ed è probabilmente il più noto esperto di gatti in America, ha osservato che il gatto si è insinuato nella coscienza umana «senza rivelare nessun segreto sui propri sentimenti». Questo libro cerca proprio di svelare alcuni di questi segreti.

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Pagina 18

Si è discusso molto su quali siano le emozioni umane fondamentali. L'elenco varia da tre a venticinque a settecento. Paul Ekman, che studia il volto umano nelle varie culture, sostiene che esistono sei espressioni facciali fondamentali, indipendentemente dalla lingua, dalla cultura e dalla storia di un popolo: felicità, tristezza, rabbia, paura, disgusto e sorpresa. Molti studiosi affermano invece che le emozioni fondamentali sono sette, e in uno studio su trentasette paesi si è scoperto che le loro definizioni sono presenti in lingue differenti: rabbia, paura, tristezza, gioia, disgusto, vergogna e senso di colpa. Sono stati scritti interi libri su emozioni escluse da questo elenco — empatia, pietà, rimorso, curiosità e disprezzo — e le biblioteche sono piene di testi sull'emozione più difficile da studiare dal punto di vista scientifico (si noti l'assenza nell'elenco): l'amore.

Se è difficile trovare studiosi che concordino sul significato della parola "emozione", e su quante ne esistano in ogni cultura specifica, immaginate quanto sia arduo trovare scienziati (o chiunque altro, in merito alla questione) che siano d'accordo su quali e quante siano le emozioni dei gatti. Molti studiosi del comportamento felino affermano che i gatti hanno nove sensi: vista, udito, olfatto, gusto, tatto, percezione della temperatura, equilibrio, senso dell'orientamento e del tempo. Io sono giunto a convincermi che i gatti possiedono nove emozioni primarie — narcisismo, amore, appagamento, attaccamento, gelosia, paura, rabbia, curiosità e giocosità — perché da quando ho iniziato la mia ricerca sono state queste a ricorrere in modo costante. Il mio non intende affatto essere un elenco esaustivo; i gatti possono essere anche tristi (e persino depressi), affettuosi, compassionevoli (con altri gatti, con gli esseri umani e addirittura con i cani), delusi (anche se non lo dimostrano quanto i cani), nostalgici (lo si percepisce dalla voce), annoiati, imbarazzati (e lo rivelano leccandosi le zampe con nonchalance), indifferenti (ma potrebbero fingere), contemplativi (sono molto pazienti e riescono a prevedere cosa sta per accadere), seccati (quando gli esseri umani loro compagni si allontanano), confusi (perché non apprezziamo i topi decapitati e i conigli sbudellati che ci portano in dono) e palesemente soddisfatti di se stessi, un'emozione molto comune nei felini.

Ma qual è la natura del loro attaccamento a noi? Non sono animali che vivono in gruppo, quindi — a differenza dei cani — non ci riservano la fedeltà e i sentimenti destinati ai membri della loro specie. Non offriamo loro sicurezza: è raro che un animale minacci un gatto (fatta eccezione per i cani). Apprezzano il nostro cibo ma sono in grado di procurarsene da sé. Grazie al loro splendido manto non hanno bisogno del nostro calore. Forse il loro attaccamento nei nostri confronti si può spiegare in parte con una sorta di transfert: una forma di nostalgia o di rievocazione dell'epoca in cui erano cuccioli. In nostra presenza, persino i gatti adulti riescono a ritrovare la gioia spensierata e giocosa dell'infanzia, in cui noi agiamo in loco parentis (nel ruolo strettamente materno, dal momento che i gatti maschi non hanno alcun interesse alla paternità).

Se si escludono i cani, i gatti sono gli animali con i quali abbiamo la maggiore intimità. Credo che questo abbia permesso loro di accedere a emozioni che non avrebbero mai avuto l'opportunità di sperimentare allo stato selvatico, come, per esempio, il piacere della compagnia di un membro di una specie diversa. Noi per i gatti siamo come l'erba gatta, una droga, ma la dipendenza è reciproca. È raro che alle persone i gatti piacciano soltanto: o sono indifferenti, o li odiano, oppure li adorano. Per chi li ama la ricompensa è grande, perché con nessun altro animale è tanto facile e affascinante oltrepassare la barriera delle specie, un desiderio quasi universale che appartiene alla storia del genere umano.

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Pagina 24

Narcisismo



        Molto diverso da quel fedele animale che è il cane,
        i cui sentimenti sono tutti rivolti al padrone,
        il gatto pare provare qualcosa solo per se stesso,
        vivere alle sue condizioni e accettare solo la
        compagnia da cui può trarre profitto.
                                                     BUFFON


La donna frustrata della striscia del New Yorker che domanda al gatto in poltrona: «Sto parlando da sola?» dovrebbe indurre alla risata perché l'ovvia risposta è «Sì», in quanto ai gatti non interessa affatto quello che diciamo. Ma è davvero così?

Molte persone sono convinte che i gatti ci ignorino. Alcune si azzardano a definirli "freddi", che non è un termine descrittivo ma esprime un giudizio di valore. La maggior parte dei gatti (tra i miei solo Minna Girl costituisce una parziale eccezione) non viene da noi quando li chiamiamo, o meglio, viene qualche volta, se ne ha voglia, e altre no, probabilmente quando non gli va a genio (a meno che non influiscano altri fattori a noi ancora sconosciuti). Tale presunta indifferenza verso gli esseri umani induce alcune persone a concludere che i gatti sono narcisisti e di fatto il narcisismo è la caratteristica che definisce i gatti. Ma i gatti non sono ritenuti solo narcisisti, sono comunemente definiti altezzosi, egotistici, egocentrici, egoisti, egomaniacali, compiaciuti di sé, assenti, scontrosi e distaccati. Riguardo alla loro indifferenza, l'espressione usata di solito è "calcolata indifferenza", ma dubito che qualcuno possa ostinarsi a provare che è del tutto calcolata.

I narcisisti mancano della capacità di pensare agli altri, di prendere in considerazione i bisogni altrui e di subordinare i propri desideri a quelli di qualcun altro. Sono interamente presi da se stessi. Quando avevo quindici anni, su una nave in viaggio da New York a Londra, strinsi amicizia con un uomo che rispondeva a questa descrizione, un noto critico letterario americano che si trovava a bordo — il giovane ammiratore e la celebrità del mondo letterario — e trascorsi gran parte della traversata in sua compagnia. Parlava senza interruzione di sé, del proprio talento, dei propri libri e ammiratori. Erano bei discorsi, in grado di affascinare me — che avevo quindici anni — ma anche altre persone: infatti era sempre circondato da una piccola folla. Eppure, anche se non conoscevo il termine, già allora sapevo che quell'uomo era un narcisista assoluto. Non dimostrava il minimo interesse per le idee altrui o per nient'altro che i suoi stessi pensieri: al momento in effetti, parevano più interessanti di quelli di chiunque altro. Eppure la sua mente raffinata non contemplava l'unico pensiero che si imponeva a tutti gli altri: quell'uomo era un pazzo.

Il narcisismo dei gatti, se vogliamo attenerci a questa definizione, non ha niente a che vedere con tutto ciò. I gatti ci osservano in continuazione, in modo ossessivo. Con freddezza. direbbe qualcuno, o perlomeno con un certo distacco (Ti guardano senza lasciarsi sfuggire nulla. E quando osservano, i loro occhi diventano ancora più grandi. Qualcuno sostiene che non possono fare altrimenti: noi rappresentiamo per loro un predatore superiore e una potenziale minaccia. E invece no: anche quando sono del tutto appagati e soddisfatti, lontani da qualsiasi pericolo, i gatti ci guardano e ci esaminano. Probabilmente non sapremo mai che cosa hanno in mente in quei momenti. Ma, di qualunque cosa si tratti, non stanno pensando a se stessi. Dunque chi afferma che i gatti sono concentrati solo su se stessi è chiaramente in torto. I gatti ci osservano con un'attenzione tale che non possono fare altro che pensare a noi. Ma se dovessimo chiedere loro se preferiscono pensare a noi piuttosto che a se stessi, è probabile che risponderebbero di no.

In un certo senso, tutti gli animali, esseri umani e non, sono narcisisti, ammesso che si possa equiparare narcisismo ed egoismo. L'egoismo è innato in ogni creatura vivente: nessuno sopravviverebbe senza una sana dose di egoismo. I gatti hanno una maggiore capacità di sopravvivenza rispetto alle altre creature? Sarebbe un'affermazione piuttosto bizzarra. Eppure non c'è dubbio che i gatti sembrino meno altruisti dei cani, per esempio. Non oso neppure pensare che la mia vita debba dipendere da uno dei miei gatti. Dubito che metterebbero in gioco la loro sicurezza per salvarmi la vita. E perché dovrebbero? (Pare che solo i cani mettano a rischio la propria vita in modo automatico, forse perché sono in grado di comprendere quando una vita è in pericolo, mentre i gatti non lo capiscono.) Tuttavia a volte sembrano preoccuparsi. Quando nuoto al largo, i quattro gatti hanno l'abitudine di rimanere lungo la spiaggia di fronte a casa per aspettarmi, fissando l'orizzonte. Sono davvero preoccupati e meditano un'operazione di salvataggio oppure è semplice curiosità? Se iniziassi ad agitarmi e gridare, non credo che reagirebbero.

L'impulso spontaneo di fare qualcosa per gli altri potrebbe essere una caratteristica ereditaria, comune ai cani e agli umani ma sconosciuta ai gatti, che non ha nulla a che fare con il concetto di egoismo. Perché non abbiamo mai sentito parlare di un gatto da monta come esistono i cani da monta? Le maggiori attività economiche sono state condotte grazie a quasi tutte le specie addomesticate — cani (in qualità di pastori e bovari), capre, pecore, maiali, bovini, bufali indiani, cavalli. Solo i gatti non hanno alcuna rilevanza economica, probabilmente a causa della loro natura non malleabile. La non adattabilità sembra essere una delle caratteristiche fondamentali dei gatti. Non si sottomettono a noi. I gatti contrastano persino la modificazione della taglia, che invece nei cani è stata effettuata con successo. È impossibile trovare gatti molto più grandi o più piccoli di altri. Sono tutti più o meno della stessa grandezza. I gatti ignorano i nostri ordini: «Vieni», «Alzati», «Ubbidisci», «Da' la zampa», mentre i cani obbediscono senza difficoltà. È un comportamento che fa impazzire alcune persone, ma ai gatti non importa minimamente!

Quando la gente definisce i gatti narcisisti intende dire che sono animali che non cambiano i loro programmi per adattarsi ai nostri. È molto difficile obbligare un gatto a fare quello che vogliamo. E questa parrebbe una delle principali ragioni per cui a molti uomini non piacciono i gatti: sfuggono a ogni controllo. Non obbediscono. Perfino il gatto con il migliore carattere del mondo quasi sempre ha già le sue faccende da sbrigare. Anche quando non sta facendo niente (e dormire non è certo "non fare niente"), lo fa alle sue condizioni. Minna Girl viene sempre quando la chiamo. Tranne quando non viene: la chiamo, lei si volta indietro e poi continua per la sua strada, senza il minimo imbarazzo e senza preoccuparsi per non avermi obbedito. Una cosa simile non potrebbe mai succedere con un cane, tranne che in particolari circostanze. Invece, anche con un gatto che ha un ottimo carattere, è un'esperienza quotidiana. I gatti ci sentono, ci vedono, capiscono quello che chiediamo loro, ma poi lo ignorano e danno l'impressione di essere del tutto indifferenti. Yossie non fa mai quello che gli dico; però pretende che faccia tutto quello che lui mi chiede. Riguardo al cibo è molto insistente: "Lo voglio adesso!" è il consueto ritornello. I miei gatti hanno molto in comune con mio figlio Ilan, che ha cinque anni. "Sii ragionevole" è un concetto che non riescono proprio ad afferrare.

Mi sveglio, controllo se c'è un gatto in giro e chiamo: «Miki!», nella speranza che arrivi saltellando da me, mi strofini il naso sul viso facendo le fusa e manifesti con ogni mezzo il piacere di vedermi. Amo i saluti mattutini: due esseri che si dimostrano la gioia di vedersi dopo un periodo di lontananza. Invece Miki mi passa accanto senza neppure soffermarsi. Prima o poi lo fanno tutti i gatti. Si comportano come se io non fossi lì, come se contassi a malapena qualcosa nella loro vita. Più tardi, lo stesso giorno, correranno e giocheranno con me sulla spiaggia con gli occhi che brillano, visibilmente felici di essere tutti insieme. Sto imparando a non avere aspettative e a prendere le cose come vengono. Non mi offrono altra scelta.

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Pagina 57

Quanto può essere profondo l'amore di un gatto? I gatti soffrono per la scomparsa di qualcuno? Possono morire per amore? Alcuni anni fa mia sorella Linda era andata dal veterinario, e lì vide una gatta con tutte e quattro le zampe fasciate. «Che cosa le è successo?» domandò. Il veterinario le spiegò che, il giorno prima, il proprietario si era gettato da una finestra del decimo piano ed era morto. La gatta l'aveva seguito: era malridotta ma riuscì a sopravvivere. Come spiegare un comportamento simile? La gatta era in grado di rendersi conto delle conseguenze del salto? Difficile credere che lo fosse, ma ancor più che non lo fosse. Discendendo da felini che vivevano nelle foreste, i gatti hanno sempre bisogno di conoscere la loro esatta posizione nello spazio, in caso contrario la caduta da un albero potrebbe rivelarsi fatale. Non a caso quando un gatto cade da un luogo elevato di solito sopravvive. In uno studio del 1987 pubblicato dal Journal of the American Veterinary Medical Association, due veterinari hanno esaminato 132 casi di gatti precipitati dalla finestra trasportati all'Animal Medical Center di New York per le cure. In media i gatti erano caduti dal 5,5° piano, eppure il novanta percento di loro sopravvisse, benché molti fossero feriti. Un gatto cadde dal ventesimo piano senza gravi conseguenze. Il meccanismo è semplice: distendono le quattro zampe per ottenere una sorta di effetto paracadute e, quando si avvicinano al suolo, spezzano la caduta atterrando prima con le zampe anteriori e flettendo la colonna vertebrale per assorbire il colpo. La gatta che si era gettata dalla finestra aveva letteralmente "seguito" il suo amato padrone, anche se significava rischiare la vita.

Alcune persone sono scettiche riguardo alla capacità dei gatti di suicidarsi, forse perché non ritengono questi animali capaci di un amore tale da sopraffare il loro leggendario egoismo. Molti veterinari affermano di non conoscere alcun caso accertato. Susan Little, una veterinaria del Baytown Cat Hospital di Ottawa e specialista in medicina per felini, mi scrive che in vent'anni di professione dedicati soprattutto ai gatti, non ha mai visto o sentito di un caso di un felino suicida.

Non saprei come sia possibile verificare un resoconto simile, ma la mia amica Marie mi ha raccontato la storia di Claire, sua sorella maggiore, e del suo gatto. Nel 1972, quando Claire aveva ventidue anni, la sua famiglia abitava in Borgogna. Claire decise di fare una scalata in solitario nella località di Argenteuil-la-Bassée, un paesino di montagna abbandonato a quasi cinquecento chilometri di distanza. Non si ebbero sue notizie per settimane. La famiglia era preoccupata, come pure la sua gatta Minou, al punto che smise di mangiare e non toccò cibo per tre settimane. Un alpinista notò un'automobile, l'auto di Claire, che era rimasta parcheggiata per tre settimane ai piedi di una montagna. Non molto tempo dopo una squadra di ricerca trovò il suo corpo. Marie, che mi ha raccontato questa storia, era a casa quando riportarono l'auto. Vide Minou infilarcisi sotto e rifiutarsi di muoversi. Non ci fu modo di persuaderla a uscire da lì sotto e pochi giorni dopo morì. Più tardi si apprese che aveva smesso di mangiare esattamente lo stesso giorno in cui Claire era morta. Com'è concepibile una cosa del genere? Può esistere un legame simile tra un essere umano e un animale? C'è qualche meccanismo in grado di spiegarlo? Rupert Sheldrake, autore del libro I poteri straordinari degli animali, con ogni probabilità risponderebbe di sì. Io rimango scettico, ma non escludo del tutto l'idea. Di sicuro non ho da proporre una spiegazione migliore.

Anni fa avevo due gatti abissini che erano fratelli, Rama e Ravana. Rama fu ucciso da un'auto in una delle sue avventure solitarie. Lo seppellimmo nel nostro giardino a Berkeley. Il giorno successivo Ravana andò a sedersi sulla tomba (ci aveva guardato mentre seppellivamo il fratello). Per settimane andò a sedersi in quel punto con aria afflitta. Ho avuto la netta impressione che non si sia mai ripreso da quel dolore.

Il mio amico Peter Thompson, uno scrittore e regista di Sidney, mi ha raccontato che suo padre, il poeta John Thompson, ha perso un gatto in circostanze tali da confermare che questi animali possono morire di dolore. Quando John andò a tenere un corso in Malaysia, il suo adorato Red Ned fu affidato alle cure di un veterinario per diverse settimane. Due settimane prima del suo ritorno, Red Ned morì all'improvviso, nonostante fosse in perfetta salute e ben curato. Il veterinario, imbarazzato, insistette per effettuare un'autopsia, ma non scoprì nulla e con riluttanza concluse che Red Ned era morto di crepacuore.

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Pagina 95

Attaccamento



«Se ne andava per conto suo, e tutti i luoghi erano uguali per lui.» Fa così il celebre ritornello del racconto di Rudyard Kipling Il gatto che se ne andava da solo. In questo racconto Kipling definisce il gatto «il più selvatico di tutti gli animali selvatici». Eppure è questo il grande enigma: pur discendendo da un antenato sfuggente e del tutto selvatico, spaventato a morte (e a ragione) dagli esseri umani, il gatto domestico, quello che vive con noi, in un tempo evolutivo infinitesimale, ha imparato a creare uno dei più profondi e misteriosi legami tra l'uomo e un animale che si sia mai visto.

Non è certo un grande mistero perché amiamo i gatti: la spiegazione viene da chiunque abbia mai adorato un gatto, dal tempo in cui questi sono diventati compagni dell'uomo. Portiamo nella nostra vita un cacciatore di topi, un compagno, calore e mistero, e la sensazione di vivere con una specie estranea, perfino selvatica (nessun animale addomesticato è meno addomesticato di un gatto). La ragione per cui piacciamo ai gatti è un po' più incomprensibile, ma esistono diverse teorie. In cima alla lista una sola parola: compagnia.

Infatti i gatti si sono evoluti come predatori solitari, ma vivendo per quattromila anni in prossimità dei luoghi abitati dagli uomini hanno mutato direzione in modo irreversibile. Ho osservato colonie di gatti inselvatichiti in America, Italia e Nuova Zelanda. Gran parte delle stime indica una popolazione di gatti inselvatichiti pari a quella dei gatti domestici, quindi nella sola America è probabile che esistano cinquanta milioni di gatti tornati alla vita selvatica. Le colonie che ho osservato sono nelle città e in media contano una decina di individui. Rimango sempre sbalordito da quanto questi animali siano in sintonia con le azioni degli esseri umani che incontrano. Alcune persone camminano tra di loro con indifferenza; altri, impietositi, portano loro un po' di cibo. Ai gatti non sfugge niente: lo si vede dalla circospezione e dall'accurato esame che fanno a ogni persona che si avvicina. Essendo un nuovo arrivato, ho osservato alcuni gatti avvicinarsi a me pieni di esitazione, forse temendo che potessi rivelarmi pericoloso e fare loro del male. In ogni caso uno sconosciuto. Eppure i gatti non erano indifferenti a me, direi piuttosto il contrario. Amico o nemico che fossi, a loro interessavo comunque. Perfino i gatti inselvatichiti sono sintonizzati con gli esseri umani. Anche se a distanza, sono attaccati a noi.

Si dà molto risalto alla natura solitaria del gatto. Invece sono rimasto sorpreso dalla rapidità con cui i miei quattro giovani amici sono subito diventati dipendenti l'uno dall'altro e hanno imparato ad apprezzare la compagnia degli altri. Ultimamente mi aspettano al ritorno dalle mie commissioni, anche per due o tre ore: tutti e quattro, a volte in cinque. Non appena mi vedono si precipitano da me con la coda dritta a candela: fanno tutti il loro verso di saluto che amo sentire, una specie di mugolio. Che cosa fanno quando me ne vado? Qualunque cosa sia, sono sicuro che non la fanno da soli. Non sono fratelli cresciuti insieme dalla nascita, ma è evidente che amano la compagnia degli altri. Si comportano quasi come un branco di cani.

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Pagina 188

I gatti possiedono sensi acuti al servizio della loro indole indagatrice. Ho già detto che quando i miei gatti dormono con me spesso drizzano le orecchie a suoni che io non riesco a percepire. Io mi fido dei loro sensi più che dei miei, perché i gatti hanno un udito migliore del nostro. Poiché per loro è necessario captare versi di uccelli e roditori ad altissime frequenze, i gatti percepiscono suoni fino a 60 chilohertz. Lo squittio dei roditori ha una gamma di frequenze compresa tra i 20 e i 50 chilohertz. Gli esseri umani sentono tra i 15 e i 20 chilohertz (i cani fino ai 35, più di noi ma non quanto i gatti).

A volte gli occhi dei gatti esprimono sorpresa o intensa curiosità. Succede perché, fra tutti gli animali domestici e in relazione alla loro taglia, hanno gli occhi più grandi. Possiedono grandi pupille che di notte lasciano penetrare più luce. Per vedere hanno bisogno di una quantità di luce sei volte inferiore rispetto a noi. Ciò li rende eccellenti cacciatori notturni. Soprattutto nella penombra o nelle notti stellate, vedono come noi in pieno giorno. Per un gatto non ha importanza che il giorno finisca: per lui ha inizio di notte. E poiché amiamo giocare con loro durante il giorno, vivono due volte. Le sedici ore quotidiane di sonno in genere si suddividono in brevi sonnellini, ed è per questo che in inglese esiste l'espressione catnap, "dormitina"

Durante le ore del giorno, i gatti necessitano di una maggiore protezione dalla luce di quanto a noi offrano le lenti scure, e perciò le loro pupille si assottigliano fino a divenire fessure; per evitare di rimanere abbagliati hanno bisogno di un sistema di regolazione molto sofisticato. Quando escono alla luce del sole, battono le palpebre e adattano le pupille. Amano distendersi al sole, ma immancabilmente con gli occhi chiusi.

Gli occhi di tutti i felini hanno la caratteristica di riflettere la luce. Se di notte gli si punta contro un fascio di luce brillano. Causa del riflesso sono cellule di natura cristallina che costituiscono una specie di specchio all'interno dell'occhio, noto come tapetum lucidum; esso offre al gatto una seconda opportunità di cogliere un oggetto che potrebbe essergli sfuggito per la scarsa luce. Delineando il retro della retina, agisce come uno specchio che riflette la luce non assorbita al primo passaggio. Quello che vediamo quando una luce colpisce gli occhi di un gatto in una stanza buia, è un bagliore detto eye shine, luccichio dell'occhio. Secondo i cacciatori di streghe del Medioevo, questa qualità riflettente conferiva al gatto uno sguardo demoniaco, forse perché il colore della luce riflessa dipende dal colore degli occhi del gatto. I gatti con occhi verdi o gialli riflettono una luce verdastra. Quelli con gli occhi blu, come i siamesi, una luce rossastra.

Essendo un cacciatore notturno, il gatto non ha bisogno dei colori quanto gli esseri umani o un uccello in cerca di frutti dai colori brillanti. In base a studi comportamentali e fisiologici, i ricercatori credono che i colori fondamentali che vedono i gatti siano il verde e in parte anche il blu. I felini selvatici che cacciano in pieno giorno, come il ghepardo e il gatto selvatico sudamericano, rispetto al gatto domestico hanno il doppio o il triplo dei coni nella fessura dell'occhio e riescono a distinguere tutti i colori.

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