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| << | < | > | >> |IndicePresentazione di Mauro Ceruti 5 Prefazione 29 1 - Conoscere la conoscenza 37 2 - L'organizzazione del vivente 50 3 - Storia: riproduzione ed eredità 67 4 - La vita degli organismi piuricellulari 79 5 - La deriva naturale degli esseri viventi 92 6 - Domini comportamentali 112 7 - Sistema nervoso e conoscenza 127 8 - I fenomeni sociali 156 9 - Domini linguistici e coscienza umana 176 10 - L'albero della conoscenza 192 Glossario 207 Note bibliografiche 211 |
| << | < | > | >> |Pagina 37| << | < | > | >> |Pagina 38Le sorprese dell'occhioNiente di quello che stiamo per dire potrà essere compreso in modo veramente efficace se il lettore non si sentirà coinvolto personalmente, se non avrà un'esperienza diretta che vada oltre la semplice descrizione che se ne può fare. Per questo, invece di parlare di come l'apparente solidità del nostro universo di esperienze diviene rapidamente sospetta quando la guardiamo da vicino, lo dimostreremo con due semplici osservazioni, entrambe nell'ambito della nostra esperienza visiva di tutti i giorni. Prima osservazione: il lettore dovrà fissare lo sguardo sulla croce disegnata nella figura 2, coprendosi l'occhio sinistro e ponendo la pagina a una distanza di circa 40 centimetri. Ciò che osserverà è che il punto nero nella figura, di dimensioni non trascurabili, improvvisamente scompare! Fate l'esperimento ruotando un poco la pagina e aprendo l'altro occhio. E' anche interessante copiare il disegno su un altro foglio di carta e ingrandire gradatamente il punto nero fino a individuare qual è la dimensione massima in cui scompare. Poi ruotate la pagina in modo che il punto B si trovi nella posizione in cui era A, e ripetete l'osservazione. Che cosa è successo alla linea che attraversa il punto? In realtà si può fare questa stessa osservazione senza alcun disegno, semplicemente sostituendo la croce e il punto con i pollici. Il dito appare decapitato (provate!). | << | < | > | >> |Pagina 43Di fatto, queste esperienze (e le molte altre simili) contengono in modo condensato tutto il senso fondamentale di quello che vogliamo dire, perché ci mostrano in quale modo la nostra esperienza sia indissolubilmente legata alla nostra struttura. Non vediamo lo «spazio» del mondo ma viviamo il nostro campo visivo; non vediamo i «colori» del mondo ma viviamo il nostro spazio cromatico. Senza alcun dubbio, e come scopriremo nel corso di queste pagine, noi stiamo in un mondo. Ma quando esamineremo più da vicino in che modo arriviamo a conoscere questo mondo, ci scontreremo sempre con il fatto che non possiamo separare la storia delle nostre azioni (biologiche e sociali) da come ci appare questo mondo. Questa cosa è tanto ovvia e vicina da essere la più difficile da vedere.Il grande scandalo Nello zoo del Bronx, a New York, c'è un grande padiglione riservato ai primati. Si ha così la possibilità di vedere in buone condizioni scimpanzé, gorilla, gibboni e tante altre scimmie del Nuovo e Vecchio mondo. Tuttavia l'attenzione è attirata da una gabbia, separata dalle altre e circondata da grosse sbarre. Avvicinandosi si vede una scritta che dice: «Il primate più pericoloso del pianeta». Guardando fra le sbarre il visitatore vede con sorpresa riflesso il suo viso: la scritta spiega che l'uomo ha ucciso, sul pianeta, più specie di qualunque specie conosciuta. Da essere osservatori passiamo a essere osservati (da noi stessi). Ma cosa vediamo? Il momento della riflessione davanti a uno specchio è sempre molto particolare, perché è il momento in cui possiamo prendere coscienza di ciò che, da soli, non è possibile vedere in nessun altro modo, come quando scopriamo il punto cieco che ci rende consci della nostra stessa struttura, e come quando eliminiamo la cecità che ne deriva riempiendo il vuoto. La riflessione è un procedimento per conoscere il modo in cui conosciamo, un atto per volgerci su noi stessi, l'unica opportunità che abbiamo per scoprire le nostre cecità e di riconoscere che le certezze e le conoscenze degli altri sono a loro volta poco chiare e tenui quanto le nostre. Questa particolare situazione in cui si giunge a conoscere il modo in cui si conosce è tradizionalmente considerata elusiva dalla nostra cultura occidentale imperniata sull'azione e non sulla riflessione; ne risulta che la nostra vita personale è, in generale, cieca nei confronti di se stessa. Sembra che da qualche parte ci sia un tabù: «Proibito conoscere la conoscenza». Però è davvero scandaloso non sapere come si costruisce il nostro universo di esperienze, che è il più vicino alla nostra esistenza. Ci sono molte cose scandalose al mondo, ma questa ignoranza è una delle peggiori. Forse una delle ragioni per cui si tende a evitare di toccare le basi della nostra conoscenza è che questo fatto ci darebbe una sensazione un po' sconcertante a causa della circolarità che deriva dall'utilizzazione di uno strumento di analisi per analizzare lo stesso strumento di analisi: è come se pretendessimo che un occhio vedesse se stesso. Nella figura 4, che è un'incisione dell'artista olandese M.C. Escher, questo sconcerto è rappresentato molto chiaramente, con le due mani che si disegnano a vicenda in modo tale che non si sa mai dov'è l'inizio di tutto il processo, né qual è la mano «vera». Allo stesso modo, anche se abbiamo visto che i processi implicati nelle nostre attività, nella nostra costituzione, nei nostri meccanismi di esseri viventi, sono l'essenza stessa della nostra conoscenza, ci proponiamo di indagare il modo in cui conosciamo, attraverso l'osservazione di questi fenomeni, per mezzo di questi processi. Non abbiamo infatti alcuna alternativa, perché non è possibile separare ciò che facciamo dalla nostra esperienza del mondo, con le sue regolarità: le sue piazze, i suoi bambini e le sue guerre atomiche. Quello che certamente possiamo tentare (e che il lettore deve assumere come impegno personale) è di renderci conto di tutto quello che implica questa coincidenza continua del nostro essere, del nostro fare e del nostro conoscere, lasciando da parte l'abitudine di pensare che la nostra esperienza sia segnata da un marchio di indubitabilità, come se riflettesse un mondo assoluto. Perciò, alla base di tutto ciò che diremo, ci sarà questo costante rendersi conto che il fenomeno della conoscenza non può essere concepito come se esistessero «fatti» od «oggetti» esterni a noi che uno prende e si mette in testa. L'esperienza di qualcosa là fuori è convalidata in modo particolare dalla struttura umana che rende possibile «la cosa» che emerge dalla descrizione. Questa circolarità, questo concatenamento fra azione ed esperienza, questa indissolubilità fra essere in un modo particolare e il modo in cui il mondo ci appare, ci dice che ogni atto di conoscenza ci porta un mondo fra le mani. Questa caratteristica della conoscenza sarà, inevitabilmente, oltre che il nostro problema, il nostro punto di partenza e il filo conduttore di ogni nostra trattazione nelle prossime pagine. Tutto ciò si può condensare nell'aforisma: Ogni azione è conoscenza e ogni conoscenza è azione. Commetteremmo un errore se, parlando di azione e di esperienza, ritenessimo che ciò valga solo in rapporto al mondo che ci circonda, sul piano puramente «fisico». Due aforismi chiave «Ogni azione è conoscenza e ogni conoscenza è azione». «Ogni cosa detta è detta da qualcuno». | << | < | > | >> |Pagina 47SpiegazioneIl nostro obiettivo è, dunque, chiaro: vogliamo esaminare il fenomeno della conoscenza assumendo come problema e come punto di partenza l'universalità dell'azione nella conoscenza, questo toccare con mano un mondo, in modo che possiamo rivelare le sue basi. Questo sarà il criterio da adottare per poter affermare che siamo riusciti nel nostro intento? Una spiegazione è sempre una proposta che riformula e riorganizza le osservazioni eseguite su un fenomeno in un sistema di concetti accettabili da parte di un gruppo di persone che condividono un criterio di validità. Per esempio la magia (per chi la accetta) è esplicativa tanto quanto lo è la scienza (per chi la accetta). La differenza specifica fra la spiegazione magica e quella scientifica sta nel modo con cui si genera il sistema esplicativo scientifico, il quale costituisce di fatto il suo criterio di validità. Possiamo infatti distiguere essenzialmente quattro condizioni che devono essere soddisfatte nella proposta di una spiegazione scientifica. Condizioni che non si verificano necessariamente in modo sequenziale, ma sovrapponendosi in un ordine qualsiasi: a) descrizione dei o dei fenomeni da spiegare, in modo che sia accettabile da parte della comunità degli osservatori; b) proposta di un sistema concettuale capace di generare il fenomeno da spiegare, in modo che sia accettabile per la comunità degli osservatori (ipotesi esplicativa); c) deduzione, a partire da b), di altri fenomeni non considerati esplicitamente nella proposta, così come la descrizione delle condizioni di osservazione nella comunità degli osservatori; d) osservazione di questi altri fenomeni dedotti da b). Conoscere Conoscere è un'azione effettiva, è decidere, realtà operativa nel dominio di esistenza dell'esser vivo. Solo se si soddisfa questo criterio di validità, una spiegazione è una spiegazione scientifica e, viceversa, una affermazione è una affermazione scientifica solo se si basa su una spiegazione scientifica. | << | < | > | >> |Pagina 48Spiegazione del conoscere l. Fenomeno da spiegare: azione effettiva dell'essere vivente nel proprio ambiente. 2. Ipotesi esplicativa: organizzazione autonoma dell'essere vivente; deriva filogenetica e ontogenetica con conservazione dell'adattamento (accoppiamento strutturale). 3. Deduzione di altri fenomeni: coordinazione comportamentale nelle interazioni ricorrenti tra esseri viventi e coordinazione comportamentale ricorsiva al di sopra della coordinazione comportamentale. 4. Osservazioni ulteriori: fenomeni sociali, domini linguistici, linguaggio e autoconoscenza. | << | < | > | >> |Pagina 50Di fronte a queste domande il primo passo del nostro itinerario è il seguente: il fatto che la conoscenza è l'azione di colui che conosce ha le sue radici nelle modalità stesse del suo essere vivente e nella sua organizzazione. Noi sosteniamo che non si possono comprendere le basi biologiche della conoscenza solo mediante lo studio del sistema nervoso e ci sembra che sia necessario capire come questi processi siano radicati nell'essere vivente preso nella sua totalità. Di conseguenza, in questo capitolo cominceremo a discutere alcuni aspetti che hanno a che fare con l'organizzazione del vivente. Facciamo notare che questa discussione non è uno sfoggio di biologia o una sorta di riempitivo accademico necessario per chi non ha una formazione biologica. Essa è, in questo libro, una parte fondamentale per comprendere il fenomeno della conoscenza in tutta la sua dimensione. | << | < | > | >> |Pagina 58Quando parliamo degli esseri viventi, supponiamo che ci sia qualcosa in comune fra di essi, altrimenti non li metteremmo nella stessa classe che designamo con la denominazione di «vivente». Quello che non è stato detto, tuttavia, è qual è l'organizzazione che li definisce come classe. La nostra proposta è che gli esseri viventi si caratterizzano perché si producono continuamente da soli, il che indichiamo denominando l'organizzazione che li definisce organizzazione autopoietica. Questa organizzazione è essenzialmente il prodotto di certe relazioni che descriveremo in dettaglio e che analizzeremo più facilmente a livello delle cellule.| << | < | > | >> |Pagina 59L'origine delle molecole organicheQuando si parla della comparsa delle molecole organiche simili a quelle che si trovano negli esseri viventi (quali nucleotidi, amminoacidi e catene proteiche), si ha spesso la tentazione di pensare che la probabilità che esse si siano prodotte spontaneamente sia troppo piccola, e che sia stata necessaria una qualche direzionalità in tutto il processo. Secondo la ricostruzione che abbiamo appena abbozzato, le cose non stanno in questo modo. Ognuna delle tappe descritte deriva come inevitabile conseguenza dalla precedente. Ancora oggi se si prende un'imitazione dell'atmosfera primitiva e si produce l'adeguata eccitazione energetica, si ottengono molecole organiche di complessità paragonabile a quella delle molecole che si trovano negli esseri viventi attuali. Ancora oggi se si concentra a sufficienza una massa gassosa di idrogeno, al suo interno avvengono reazioni termonucleari che danno origine a elementi chimici nuovi che prima non erano presenti. La storia che abbiamo delineato è fatta di sequenze che inevitabilmente si susseguono le une alle altre e i risultati possono sorprendere solo se non si considera la sequenza storica completa. Una delle dimostrazioni più classiche del fatto che non c'è discontinuità in questa trasformazione a tappe è stata data da un esperimento realizzato da S.L. Miller nel 1953 e illustrato nella figura 10. L'idea di Miller è semplice: realizzare in una boccia di vetro un'imitazione dell'atmosfera primitiva sia per i suoi componenti, sia per le sue radiazioni energetiche. Nel suo caso l'idea consisteva nel far passare una scarica elettrica attraverso una miscela di ammoniaca, metano, idrogeno e vapore acqueo. i risultati delle trasformazioni molecolari venivano studiati mediante la raccolta dell'acqua condensata e l'analisi delle sostanze disciolte in essa. Con sorpresa di tutto il mondo scientifico, Miller ottenne una abbondante produzione di molecole di solito presenti negli organismi cellulari attuali, quali gli amminoacidi alanina e acido aspartico, e altre molecole organiche quali l'urea e l'acido succinico. | << | < | > | >> |Pagina 66(...) Tutto fa pensare che, una volta verificatesi le condizioni per l'origine dei sistemi viventi, questi si siano originati numerose volte, cioè che molte unità autopoietiche, con molte varianti strutturali, si siano formate in molti luoghi della Terra durante un periodo di molti milioni di anni. La comparsa di unità autopoietiche sulla superficie della Terra costituisce una pietra miliare nella storia del nostro pianeta. Questo fatto deve essere ben compreso. La formazione di una unità determina sempre una serie di fenomeni associati alle caratteristiche che la definiscono, fatto che ci permette di dire che ogni classe di unità specifica una fenomenologia particolare. Così, le unità autopoietiche specificano la fenomenologia biologica, la loro fenomenologia tipica che ha caratteristiche ben diverse dalla fenomenologia fisica. Questo avviene non perché le unità autopoietiche violino qualche aspetto della fenomenologia fisica (avendo componenti molecolari non possono non soddisfare tutte le leggi della fisica) ma perché i fenomeni che esse generano, funzionando come unità autopoietiche, dipendono dalla loro organizzazione e dal modo in cui questa si realizza, e non dal carattere fisico dei loro componenti che determina solamente il loro spazio di esistenza.Perciò, se una cellula interagisce con una molecola X incorporandola nei suoi processi, quello che avviene come conseguenza di tale interazione non è determinato dalla proprietà della molecola X, ma dal modo con cui tale molecola è «vista», è assunta dalla cellula quando la incorpora nella sua dinamica autopoietica. Le modificazioni che interverranno nella cellula come conseguenza di tale interazione saranno quelle determinate dalla sua struttura come unità cellulare. Pertanto, nella misura in cui l'organizzazione autopoietica determina la fenomenologia biologica nella realizzazione degli esseri viventi come unità autonome, è fenomeno biologico ogni fenomeno che implichi l'autopoiesi di almeno un essere vivente. | << | < | > | >> |Pagina 67| << | < | > | >> |Pagina 76Eredità Si intende per eredità l'invarianza, attraverso le generazioni, di un determinato aspetto strutturale in una discendenza di unità storicamente collegate. | << | < | > | >> |Pagina 77L'idea dell'informazione genetica Spesso abbiamo sentito dire che i geni contengono l'«informazione» che caratterizza un essere vivente. Si può dire che questo sia un errore per due motivi fondamentali. Primo, perché confonde il fenomeno dell'eredità con il meccanismo di replica di certi componenti cellulari (DNA) che hanno grande stabilità attraverso le generazioni. Secondo, perché dire che il DNA contiene quanto necessario per caratterizzare un essere vivente, isola questi componenti (parte della rete autopoietica) dalle loro interazioni con tutto il resto della rete. E' la rete di interazioni nella sua totalità ciò che costituisce e specifica le caratteristiche di una particolare cellula, non uno solo dei suoi componenti. Il fatto che le modificazioni di questi componenti chiamati geni abbiano una conseguenza drammatica per la struttura di una cellula è comunque certo. L'errore consiste nel confondere la partecipazione essenziale con la responsabilità unica. Con lo stesso modo di ragionare si potrebbe dire che l'ordinamento politico di un paese determina la sua storia. Questo è evidentemente assurdo; l'ordinamento politico è un componente essenziale qualunque sia la storia, ma non contiene l'«informazione» che specifica tale storia. | << | < | > | >> |Pagina 79| << | < | > | >> |Pagina 92Tutto questo implica che ontogenesi di esseri viventi capaci di riprodursi e filogenesi di linee riproduttive diverse sono tutte intrecciate in una gigantesca rete storica che presenta una meravigliosa varietà di piante, animali, funghi e batteri, che ci appare evidente tanto nel mondo organico che ci circonda quanto nelle differenze che, osserviamo fra noi, esseri umani, e gli esseri viventi. Questa grande rete di trasformazioni storiche degli esseri viventi è la trama della loro esistenza come esseri storici. In questo capitolo riprenderemo vari temi accennati nei capitoli precedenti per comprendere l'evoluzione organica in modo globale e generale, poiché, senza una comprensione adeguata dei meccanismi storici di trasformazione strutturale, non c'è comprensione del fenomeno della conoscenza. In realtà la chiave per comprendere l'origine dell'evoluzione si trova in qualcosa che abbiamo già notato negli ultimi capitoli: associazione costante fra differenze e somiglianze in ogni tappa riproduttiva, conservazione dell'organizzazione e cambiamento strutturale. Poiché c'è somiglianza, c'è la possibilità di esistenza per una serie storica, o discendenza ininterrotta. Poiché ci sono differenze strutturali c'è la possibilità di variazioni storiche nelle linee di discendenza.
Ma, più precisamente, perché si producono o si
stabiliscono certe linee di discendenza e non
altre? Come avviene che, quando ci guardiamo
intorno, il pesce ci sembra così naturalmente
acquatico e il cavallo così adatto alle grandi
pianure? Per poter rispondere a queste domande è
necessario prima di tutto esaminare più da vicino
e in maniera più chiara come si verificano le
interazioni fra gli esseri viventi e ciò che li
circonda.
La storia della modificazione strutturale di un particolare essere vivente è la sua ontogenesi. In questa storia ogni essere vivente parte con una struttura iniziale che condiziona il corso delle sue interazioni e delimita i cambiamenti strutturali che tali interazioni innescano in esso. Nello stesso tempo l'essere vivente nasce in un luogo particolare, in un ambiente che costituisce il contesto in cui si realizza e in cui interagisce e che anche noi vediamo essere dotato di una dinamica strutturale propria, operativamente distinta dall'essere vivente. Questo è un punto cruciale. Come osservatori abbiamo distinto l'unità, che è l'essere vivente, dal suo sfondo e l'abbiamo caratterizzata con una organizzazione determinata. Con ciò abbiamo deciso di distinguere due strutture che vanno considerate operativamente indipendenti l'una dall'altra, essere vivente e ambiente, fra le quali si realizza una congruenza strutturale necessaria (altrimenti l'unità scompare). In tale congruenza strutturale una perturbazione dell'ambiente non contiene in sé la specificazione dei suoi effetti sull'essere vivente, ma è questo con la propria struttura che determina il suo stesso cambiamento in rapporto alla perturbazione. | << | < | > | >> |Pagina 97Ontogenesi e selezioneQuanto detto sopra è valido per qualunque sistema e quindi anche per gli esseri viventi. Inoltre gli esseri viventi non sono certamente unici né nella loro determinazione, né nel loro accoppiamento strutturale. E' invece tipico che la determinazione e l'accoppiamento si realizzino all'insegna della continua conservazione dell'autopoiesi che li definisce, sia essa di primo o di secondo ordine, così come è tipico che in essi tutto sia subordinato a tale conservazione. Così anche l'autopoiesi delle cellule che compongono un organismo pluricellulare è subordinata all'autopoiesi di questo come sistema autopoietico di secondo ordine. Ogni cambiamento strutturale in un essere vivente avviene quindi nell'ambito necessario della conservazione della sua autopoiesi, e quelle interazioni che innescheranno in esso cambiamenti strutturali compatibili con tale conservazione saranno perturbazioni, mentre saranno interazioni distruttive le altre. La continua modificazione strutturale degli esseri viventi con conservazione dell'autopoiesi si verifica in ogni momento, continuamente, in molti modi simultaneamente. E' il palpitare di tutta la vita. | << | < | > | >> |Pagina 99Curva pericolosa: la selezione naturale La parola selezione in questo contesto è ingannatrice e bisogna assicurarsi di non scivolare, senza accorgersene, su una serie di connotazioni che appartengono ad altri domini e non a quello dei fenomeno di cui ci occupiamo. Spesso infatti pensiamo a un processo di selezione come all'atto di scegliere volontariamente fra molte alternative. Ed è facile cedere alla tentazione di pensare che qui accada qualcosa di simile: l'ambiente tramite le sue perturbazioni starebbe «scegliendo» quali dei molti cambiamenti possibili si possono verificare. Questo è proprio il contrario di ciò che accade in realtà e sarebbe in contrasto con il fatto che stiamo trattando di sistemi strutturalmente determinati. Un'interazione non può produrre uno specifico cambiamento strutturale perché tale cambiamento è determinato dallo stato precedente dell'unità in questione e non dalla struttura dell'agente perturbante, come abbiamo già discusso nel paragrafo precedente. Qui parliamo di selezione nel senso che l'osservatore può notare che, fra i molti cambiamenti che egli ritiene possibili, ogni perturbazione ha innescato («scelto») uno e non un altro di tale insieme. In realtà questa descrizione non è del tutto adeguata, perché in ogni ontogenesi si verifica solo una serie di interazioni e si innesca solo una serie di cambiamenti strutturali, e i cambiamenti che l'osservatore vede come possibili sono solo ipotetici anche se possibili in storie diverse. In queste circostanze la parola selezione sintetizza la conoscenza che l'osservatore ha di ciò che avviene in ogni ontogenesi, sebbene questa conoscenza derivi dalla sua osservazione comparativa di molte ontogenesi. Ci sono altre espressioni che potrebbero essere usate per descrivere questo fenomeno. Tuttavia la ragione per cui anche noi ci riferiamo a esso in termini di selezione di percorsi di cambiamenti strutturali, è che questa parola è ormai indissociabile dalla storia della biologia da quando è stata utilizzata da Darwin. In "L'origine delle specie" Darwin segnalava per la prima volta la relazione fra variazioni generazionali e accoppiamento strutturale e diceva che era «come se» ci fosse una selezione naturale, paragonabile per il suo effetto alla selezione artificiale attuata da un allevatore con le varietà di suo interesse. Darwin stesso fu molto chiaro nel dire che non cercò mai di utilizzare tali parole se non con un preciso senso metaforico. Ma molto tempo dopo, nella divulgazione della teoria della evoluzione, si passò a interpretare l'idea della «selezione naturale» come fonte di interazioni distruttive dell'ambiente. A questo punto della storia della biologia sarebbe proprio impossibile modificarne la terminologia ed è quindi meglio utilizzarla stando attenti a intenderla bene. Anche la biologia ha la sua ontogenesi! | << | < | > | >> |Pagina 101Filogenesi ed evoluzioneA questo punto siamo in possesso di tutti gli elementi per comprendere nel suo insieme la grande serie di trasformazioni degli esseri viventi durante la loro storia e per rispondere alle domande con cui abbiamo iniziato questo capitolo. Il lettore attento si sarà reso conto che, per poterci addentrare maggiormente in questo fenomeno, quello che abbiamo fatto è stato guardare, attraverso un microscopio concettuale, che cosa succede nella storia delle interazioni individuali. Perché soltanto comprendendo in che modo questo succede in ogni caso, e sapendo inoltre, che ci sono variazioni in ogni tappa riproduttiva, ci possiamo proiettare in una scala di tempo lunga vari milioni di anni e possiamo osservare i risultati di un numero molto (ma molto!) grande di ripetizioni dello stesso fenomeno di ontogenesi individuale seguita da cambiamento riproduttivo. Nella figura 22 abbiamo una visione globale della storia degli esseri viventi, dalla loro origine fino ai nostri giorni, in tutto il suo splendore. Naturalmente questa figura è simile a un albero e per questo motivo viene chiamata albero filogenetico delle specie. Una filogenesi è una successione di forme organiche imparentate sequenzialmente tramite relazioni riproduttive, e le modificazioni sperimentate nel corso della filogenesi costituiscono il cambiamento filogenetico (o cambiamento evolutivo). | << | < | > | >> |Pagina 103Lo studio dei resti fossili, obiettivo della paleontologia, permette di costruire storie simili a quella dei trilobiti per ogni tipo di animale e di pianta conosciuto. Nella storia strutturale degli esseri viventi non esiste un solo caso che non dimostri come ogni linea di discendenza rappresenta un caso particolare di variazione attorno a un tema fondamentale, che si verifica attraverso una sequenza ininterrotta di tappe riproduttive con conservazione dell'autopoiesi e dell'adattamento.| << | < | > | >> |Pagina 109Più o meno adatto Abbiamo detto che, finché un essere vivente non scompare, è adatto al suo ambiente e che, rispetto a questa sua condizione di adattamento, è invariante, cioè si conserva. Inoltre abbiamo detto che sotto questo profilo tutti gli esseri viventi sono uguali finché sono vivi. Tuttavia, spesso abbiamo sentito dire che esistono esseri più o meno adatti, cioè che si sono più o meno adattati come risultato della propria storia evolutiva. Come molte descrizioni dell'evoluzione biologica che abbiamo ereditato dai testi scolastici, questa, allontanandosi completamente da quanto abbiamo detto, appare inadeguata. Nel migliore dei casi l'osservatore può introdurre un modello di paragone o di riferimento che gli permetta di fare confronti e di parlare di efficienza nella realizzazione di una funzione. Per esempio, si potrebbe misurare l'efficienza rispetto al consumo di ossigeno in diversi gruppi di animali acquatici e mostrare che, a parità di sforzo apparente, alcuni consumano meno di altri. Sarebbe sufficiente ciò per descrivere questi animali come più efficienti e meglio adattati? Certamente no, perché per il fatto di essere tutti viventi, in tutti vengono soddisfatte le condizioni necessarie per una ontogenesi ininterrotta. I confronti sull'efficienza appartengono al dominio di descrizioni che l'osservatore fa, ma non hanno alcuna relazione diretta con ciò che accade nelle storie individuali di conservazione dell'adattamento. In poche parole: non c'è «sopravvivenza del più adatto», c'è «sopravvivenza dell'adatto». Si tratta di condizioni necessarie che possono essere soddisfatte in molti modi e non di un'ottimizzazione di un qualche criterio estraneo alla stessa sopravvivenza. | << | < | > | >> |Pagina 111Riassumendo: l'evoluzione è una deriva naturale, prodotto dell'invarianza dell'autopoiesi e dell'adattamento. Come nel caso delle gocce d'acqua, non è necessaria una direzionalità esterna per generare la diversità e la complementarità fra organismo e ambiente che vediamo; tanto meno è necessaria una tale guida per spiegare la direzionalità delle variazioni in una linea evolutiva, né si deve pensare che si stia ottimizzando una qualche qualità specifica degli esseri viventi. L'evoluzione, piuttosto, assomiglia a uno scultore vagabondo che passeggia per il mondo e raccoglie un filo qui, una latta là, un pezzo di legno più in là e li unisce nel modo consentito dalle loro strutture e circostanze, senza altro motivo se non che è lui che può unirli. E così, nel suo vagabondare, si producono forme complesse composte da parti armonicamente interconnesse, che non sono prodotto di un progetto ma di una deriva naturale. Nello stesso modo, senza altra legge che non sia la conservazione di una identità e della capacità di riprodursi, siamo nati tutti ed è questo che ci imparenta tutti in qualcosa che è fondamentale: la rosa a cinque petali, il gambero di fiume o l'amico americano.| << | < | > | >> |Pagina 112| << | < | > | >> |Pagina 127| << | < | > | >> |Pagina 140Ma insistiamo: l'organizzazione di base del sistema nervoso umano, pur così enormemente complicato, segue essenzialmente la stessa logica del sistema nervoso dell'umile idra. Nella serie di trasformazioni delle linee evolutive che vanno dall'idra ai mammiferi troviamo schemi che sono variazioni intorno allo stesso tema. Nei vermi nemertini, per esempio, il tessuto nervoso, inteso come rete di neuroni, è stato compartimentato all'interno dell'animale in un cordone attraverso cui passano le connessioni che vanno e vengono dalle superfici sensoriali e da quelle motorie. Ogni variazione nello stato motorio dell'animale sarà il prodotto di una certa configurazione di attività in certi gruppi di neuroni che si collegano ai muscoli (motoneuroni o neuroni motori). Tale attività motoria a sua volta genera molteplici cambiamenti, sia nelle cellule sensoriali ubicate nei muscoli, sia in altre parti del corpo e nella superficie di contatto con l'ambiente, sia negli stessi neuroni motori, in un processo realizzato per mezzo di cambiamenti nella stessa rete di neuroni interposti, o interneuroni, che li collega. In questo modo si realizza una continua correlazione sensomotoria determinata e mediata dalla configurazione di attività di questa rete di interneuroni. Poiché il numero degli stati possibili all'interno di questa rete è praticamente illimitato, anche i comportamenti possibili dell'organismo sono praticamente illimitati.Questo è il meccanismo fondamentale mediante il quale il sistema nervoso amplia il dominio di interazioni di un organismo: accoppia le superfici sensoriali e motorie mediante una rete di neuroni la cui configurazione può essere molto varia. Meccanismo molto semplice ma che, una volta costituito, durante la filogenesi dei metazoi ha permesso un'immensa varietà e una diversificazione enorme dei domini comportamentali. Infatti i sistemi nervosi di specie diverse si diversificano essenzialmente solo per le configurazioni specifiche delle loro reti di interneuroni. Così nell'uomo, circa 10^11 interneuroni (centomila milioni) collegano circa 10^6 neuroni motori (un milione) che attivano poche migliaia di muscoli attraverso 10^7 cellule sensoriali (dieci milioni) distribuite come recettori in varie zone del corpo. Fra i neuroni motori e quelli sensoriali è interposto il cervello, una sorta di gigantesco ammasso di interneuroni che li collega (in un rapporto di 10/100.000/1) in una dinamica sempre diversa. | << | < | > | >> |Pagina 146Storia naturale del sistema nervoso Nei celenterati (idra) il sistema nervoso è omogeneamente distribuito in tutto l'organismo. Non è così in altri animali, quali per esempio i mammiferi. Ci sono due tendenze fondamentali nella trasformazione del sistema nervoso nella storia degli esseri viventi: 1) quello di riunire i neuroni in un compartimento (cordone nervoso); 2) quello di concentrare un maggior volume di neuroni nell'estremità cefalica (cefalizzazione). Così, negli animali segmentati quali i lombrichi, c'è un sistema nervoso tipicamente concentrato in gruppi di cellule in forma di gangli distribuiti in modo segmentale lungo tutto l'animale, ma collegati fra loro con una lieve concentrazione cefalica. In altri animali la concentrazione cefalica può essere enorme, come si vede chiaramente, per esempio, nell'aragosta e ancora di più nell'uomo. Il risultato è che il funzionamento del sistema nervoso si diversifica enormemente con un incremento nella varietà dei modi di interazione neuronale che porta, come conseguenza, a un aumento della porzione cefalica, come è evidente in tutte le linee evolutivi dei vertebrati, dei cefalopodi e degli insetti (fig. 40). In altre parole, questo aumento di massa encefalica amplia enormemente le possibilità di plasticità strutturale dell'organismo che è fondamentale per la capacità di apprendimento, argomento su cui torneremo più avanti. | << | < | > | >> |Pagina 147Quanto abbiamo detto sottolinea che il funzionamento del sistema nervoso è pienamente coerente con il fatto che esso fa parte di una unità autonoma in cui ogni stato di attività conduce a un altro stato di attività nella stessa unità perché il suo funzionamento è circolare, o in chiusura operativa. Il sistema nervoso quindi, per la sua caratteristica architettura, non ostacola ma anzi arricchisce il carattere autonomo dell'essere vivente. Cominciano già a esser chiare le ragioni per cui ogni processo di conoscenza è necessariamente fondato sull'organismo visto come unità e sulla chiusura operativa del suo sistema nervoso, da cui deriva che ogni sua conoscenza è una sua azione, mediante correlazioni sensoeffettrici, nei domini di accoppiamento strutturale in cui si trova.| << | < | > | >> |Pagina 149Il cervello e il computer Interessante: la chiusura operativa del sistema nervoso ci dice che esso opera senza cadere in nessuno dei due estremi, né rappresentazionista né solipsista. Infatti non è solipsista perché, come parte dell'organismo, il sistema nervoso partecipa alle interazioni di questo con il suo ambiente, interazioni che provocano in esso continui cambiamenti strutturali che modulano la sua dinamica di stati. In realtà questo è il motivo fondamentale per cui a noi, come osservatori, sembra che i comportamenti animali in generale siano adeguati alle circostanze in cui hanno luogo, e per lo stesso motivo gli animali non si comportano come se stessero seguendo un proprio capriccio indipendentemente dall'ambiente. Le cose stanno così, nonostante che per il sistema nervoso non ci sia né un fuori né un dentro, ma solo mantenimento di correlazioni proprie che sono in cambiamento continuo, come accadeva con gli strumenti indicatori nel sottomarino del nostro esempio precedente. Tanto meno è rappresentazionista perché, in ogni interazione, è lo stato strutturale del sistema nervoso quello che determina quali perturbazioni sono possibili e quali cambiamenti queste possono provocare nella sua dinamica di stati. Sarebbe pertanto un errore definire il sistema nervoso come qualcosa che ha entrate e uscite nel senso tradizionale. Questo significa che tali entrate e uscite formano parte della definizione del sistema, come accade con un elaboratore elettronico o altre macchine inventate dall'uorno. Questo è del tutto ragionevole quando si progetta una macchina in cui la cosa principale è come si vuole interagire con essa; ma il sistema nervoso (o l'organismo) non è stato progettato da nessuno ed è il risultato di una deriva filogenetica di unità incentrate sulla loro stessa dinamica di stati. La cosa migliore è quindi riconoscere al sistema nervoso lo status di unità definita dalle sue relazioni interne, sulle quali le interazioni agiscono solamente modulando la dinamica strutturale, come in un'unità con chiusura operativa. Detto con altre parole, il sistema nervoso non «prende informazioni» dall'ambiente, come spesso si sente dire, ma al contrario governa la situazione determinando quali configurazioni dell'ambiente sono perturbazioni e quali cambiamenti esse provocano nell'organismo. La metafora, tanto usata, del cervello come elaboratore è non solo ambigua ma completamente errata. | << | < | > | >> |Pagina 153Conoscenza Parliamo di conoscenza ogni volta che osserviamo un comportamento efficace (o adeguato) in un contesto preciso, cioè in un dominio che definiamo con una domanda (esplicita o implicita) che formuliamo come osservatori. | << | < | > | >> |Pagina 154Notiamo bene, allora, che la valutazione se siamo o meno in presenza di conoscenza si fa sempre in un contesto di relazioni, in cui i cambiamenti strutturali che le perturbazioni innescano in un organismo appaiono all'osservatore come un effetto sull'ambiente. Il valore attribuito ai cambiamenti strutturali provocati nell'organismo è in rapporto con l'effetto atteso dall'osservatore. Da questo punto di vista un osservatore può attribuire il valore di atto conoscitivo a qualsiasi interazione realizzata da un organismo e a qualunque comportamento osservato. Allo stesso modo il fatto di vivere - di riservare ininterrottamente l'accoppiamento strutturale come essere vivente - è conoscere nell'ambito dell'esistenza. Si può dire che vivere è conoscere (vivere è azione efficace nel dominio dell'esistenza dell'essere vivente).In linea di principio, questo è sufficiente per spiegare la partecipazione del sistema nervoso a tutte le dimensioni conoscitive. Tuttavia, se volessimo comprendere la partecipazione del sistema nervoso in tutte le forme particolari della conoscenza umana, dovremmo naturalmente descrivere tutti i processi specifici e concreti che si verificano nella generazione di ciascuno dei comportamenti umani nei loro diversi domini di accoppiamento strutturale. Per questo sarebbe necessario osservare da vicino il funzionamento del sistema nervoso dell'uomo, a tutti i livelli di dettaglio, cosa che non rientra nell'intento di questo libro. Riassumiamo: il sistema nervoso partecipa ai fenomeni conoscitivi in due maniere complementari, che dipendono dal suo particolare modo di operare, come una rete di neuroni con chiusura operativa, in quanto parte di un metazoo. La prima, più ovvia, è tramite l'ampliamento del dominio di stati possibili dell'organismo che discende dalla enorme diversità di configurazioni sensomotorie permesse dal sistema nervoso e che è la chiave della sua partecipazione al funzionamento dell'organismo. La seconda è tramite l'apertura per l'organismo di nuove dimensioni di accoppiamento strutturale che discende dalla possibilità, realizzatasi nell'organismo stesso, dell'associazione di una grande varietà di stati interni con la diversità di interazioni in cui esso può entrare. La presenza o l'assenza di un sistema nervoso può essere una misura della discontinuità che esiste fra gli organismi con conoscenza relativamente limitata e quelli che sono capaci di una diversità, in linea di principio illimitata, come l'uomo. | << | < | > | >> |Pagina 156| << | < | > | >> |Pagina 169La metafora del «canale di comunicazione» La nostra discussione ci ha portato a concludere che, biologicamente, nella comunicazione non c'è «trasmissione di informazione» mentre c'è comunicazione ogni volta che c'è coordinazione comportamentale in un dominio di accoppiamento strutturale. Questa conclusione desta impressione solo se si decide di non mettere in discussione la metafora più nota sulla comunicazione, quella del «canale», che è, stata resa popolare con i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa. Secondo la metafora del canale, la comunicazione è qualcosa che si genera in un punto, viene fatta passare attraverso un condotto (canale) e raggiunge l'altra estremità ricevente. Pertanto, c'è un qualcosa che viene comunicato e questo è parte integrante di ciò che si sposta nel condotto. Così, siamo abituati a parlare di «informazione» contenuta in una immagine, in un oggetto o, in modo più evidente, nella parola stampata. Secondo quanto abbiamo analizzato, questa metafora è lo fondamentalmente falsa, perché suppone un'unità non determinata strutturalmente, in cui le interazioni sono istruttive, come se ciò che accade a un sistema in una interazione fosse determinato dall'agente perturbante e non dalla sua dinamica strutturale. Tuttavia è evidente, anche nella vita di tutti i giorni, che la comunicazione non si verifica così: ogni persona dice ciò che dice e ascolta ciò che ascolta secondo la propria determinazione strutturale. Dal punto di vista di un osservatore c'è sempre ambiguità in un'interazione comunicativa. Il fenomeno della comunicazione non dipende da quello che si trasmette, ma da quello che accade con chi riceve. E questo è ben diverso dal «trasmettere informazione». | << | < | > | >> |Pagina 176| << | < | > | >> |Pagina 194La mente e la coscienzaTutti questi esperimenti ci dicono qualcosa di fondamentale sul modo secondo cui, nella vita di tutti i giorni, si organizza e si rende coerente questa continua concatenazione di riflessioni che chiamiamo coscienza e che associamo alla nostra identità. Da un lato ci mostrano che l'azione ricorsiva del linguaggio è condizione sine qua non per l'esperienza che associamo all'aspetto mentale. Dall'altro, queste esperienze fondate sull'aspetto linguistico si organizzano in base a una varietà di stati del nostro sistema nervoso, ai quali, come osservatori, non è detto che abbiamo accesso diretto, ma che organizziamo sempre in modo tale che si inseriscano nella coerenza della nostra deriva ontogenetica. Non può accadere, nel dominio linguistico di Paul, che egli rida senza una spiegazione coerente di questa azione, pertanto la sua consapevolezza di essere vivente imputa tale stato a un qualche motivo, quale: «E' che voi siete dei bei tipi!», conservando con questa riflessione la coerenza descrittiva della sua storia. Ciò che nel caso di Paul possiamo considerare fino a un certo punto come coscienze disgiunte che operano nello stesso organismo, è qualcosa che ci rivela un meccanismo che deve operare in noi costantemente. Questo ci mostra cioè che nella rete di interazioni linguistiche in cui ci muoviamo manteniamo una continua ricorsività descrittiva che chiamiamo «io», che ci permette di conservare la nostra coerenza operazionale linguistica e il nostro adattamento nel dominio del linguaggio. Ciò non dovrebbe sorprenderci, a questo punto del libro. Abbiamo visto che un essere vivente, pur sottoposto alle continue perturbazioni dell'ambiente e del suo stesso operare, si conserva come unità. Abbiamo visto poi che il sistema nervoso produce una dinamica comportamentale mediante la generazione di relazioni di attività neuronale interna alla sua chiusura operazionale. Il sistema vivente, a ogni livello, è organizzato in modo da produrre regolarità interne. Nel dominio dell'accoppiamento sociale e della comunicazione, in questa «trofallassi linguistica», si produce lo stesso fenomeno, solo che la coerenza e la stabilizzazione della società come unità si produrrà, questa volta, mediante i meccanismi resi possibili dall'operare linguistico e dal suo ampliamento nel linguaggio. Questa nuova dimensione di coerenza operativa è quello che sentiamo come coscienza e come «nostra» mente. Le parole, lo sappiamo, sono azioni, non sono cose che si spostano da qui a là. E' la nostra storia in interazioni ricorrenti che ci permette un effettivo accoppiamento strutturale interpersonale e che ci permette anche di accorgerci che partecipiamo a un mondo che noi, tutti insieme, realizziamo tramite le nostre azioni. Ciò è talmente evidente che ci risulta letteralmente invisibile. E' solamente quando il nostro accoppiamento strutturale fallisce in qualche dimensione della nostra esistenza che ci rendiamo conto, se riflettiamo, fino a qual punto la trama delle nostre coordinazioni comportamentali nella manipolazione del nostro mondo e la comunicazione siano inscindibili dalla nostra esperienza. Questi fallimenti saltuari in qualche dimensione del nostro accoppiamento strutturale sono comuni nella nostra vita quotidiana, dal comprare il pane all'educare un figlio. Costituiscono la motivazione per nuovi modi di accoppiamento e nuove descrizioni. E così, ad infinitum. La vita umana di tutti i giorni, l'accoppiamento sociale più comune, è così piena di trama e strutture che, quando viene esaminata, non appare più molto chiara. Per esempio, il lettore ha mai prestato attenzione all'incredibile trama su cui si appoggia la conversazione più banale, per quanto riguarda i toni di voce, le sequenze seguite nell'uso delle parole, le sovrapposizioni di azioni fra gli interlocutori? Realizziamo questo tipo di accoppiamento nella nostra ontogenesi da così tanto tempo che questa ci sembra semplice e diretta. In realtà, la vita ordinaria, la vita di tutti i giorni, è una filigrana di specificità nella coordinazione comportamentale. E dunque in questo modo che la comparsa del linguaggio e di tutto il contesto sociale nell'uomo, genera questo fenomeno inedito - per quello che sappiamo - della mente e della coscienza di sé, come l'esperienza più intima dell'essere umano. Senza lo sviluppo storico delle strutture adeguate non è possibile entrare in questo dominio umano - come avviene nel caso della bambina-lupo. Al contrario, la mente, in quanto fenomeno appartenente alla rete di accoppiamento sociale e linguistico, non è una cosa che sta nel mio cranio, non è un fluido del mio cervello: la coscienza e la mente appartengono al dominio di accoppiamento sociale ed è lì che si realizza la loro dinamica. Ed è anche da lì che la mente e la coscienza agiscono come selettori del cammino seguito dalla nostra deriva strutturale ontogenetica. Inoltre, appartenendo a un dominio di accoppiamento umano, possiamo considerare noi stessi come fonti di interazioni linguistiche che agiscono selettivamente sul nostro divenire. Ma, come comprese molto bene Robinson Crusoe mentre manteneva un calendario e leggeva la Bibbia tutte le sere, questo è possibile solo se ci si comporta come se si fosse un altro, poiché è la rete di interazioni linguistiche quella che ci rende come siamo. Noi stessi, che come scienziati diciamo tutte queste cose, non siamo diversi. La struttura obbliga. Noi esseri umani, in quanto tali, siamo inseparabili dalla trama di accoppiamenti strutturali tessuta dalla continua «trofallassi linguistica». Il linguaggio non è stato inventato da qualcuno solo per la comprensione di un mondo esterno e non può, pertanto, essere usato come uno strumento per rivelare tale mondo. Al contrario, è all'interno del linguaggio stesso che l'atto conoscitivo, nella coordinazione comportamentale che costituisce il linguaggio, ci offre il mondo a portata di mano. Ci realizziamo in un mutuo accoppiamento linguistico, non perché il linguaggio ci permetta di dire quello che siamo, ma perché siamo nel linguaggio, in un continuo essere immersi nei mondi linguistici e semantici con i quali veniamo a contatto. Ritroviamo noi stessi in questo accoppiamento, non come origine di un riferimento né come riferimento a una origine, ma come una modalità di continua trasformazione nel divenire del mondo linguistico che costruiamo insieme con gli altri esseri umani. | << | < | > | >> |Pagina 198Come le mani dell'incisione di Escher (fig. 4), anche questo libro ha seguito un itinerario circolare. Abbiamo iniziato dalle qualità della nostra esperienza, comuni a tutta la nostra vita sociale. A partire da qui abbiamo effettuato un lungo percorso attraverso l'autopoiesi cellulare, l'organizzazione dei metacellulari e i loro domini comportamentali, la chiusura operativa del sistema nervoso, i domini linguistici e il linguaggio. In questo percorso abbiamo costruito gradualmente, con pezzi semplici, un sistema di spiegazioni capace di mostrare come si originano i fenomeni tipici degli esseri viventi. In questo modo ci rendiamo anche conto che la nostra spiegazione ci mostra come i fenomeni sociali, fondati su un accoppiamento linguistico, danno origine al linguaggio e come il linguaggio, partendo dalla nostra esperienza quotidiana di conoscenza attraverso di esso, ci permette di trovare la spiegazione della sua origine. L'inizio coincide con la fìne. Abbiamo così raggiunto l'obiettivo che ci eravamo proposti all'inizio, e cioè il fatto che la teoria della conoscenza doveva dimostrare come il fenomeno della conoscenza genera la domanda della conoscenza. Questa situazione è molto diversa da quelle nelle quali ci troviamo solitamente, dove il fenomeno della domanda e l'oggetto della domanda appartengono a domini distinti. Dunque se il lettore ha seguito con serietà quanto è stato detto in queste pagine, si vedrà costretto a guardare tutte le sue azioni gustare, preferire, rifiutare e conversare - come prodotto dei meccanismi che abbiamo descritto. Se abbiamo convinto il lettore a considerare se stesso partecipe della stessa natura di tali fenomeni, questo libro ha raggiunto il suo primo obiettivo. Il farlo, certamente, ci pone in una situazione completamente circolare che ci dà un po' di disorientamento, simile a quello che ci danno le mani di Escher. Il disorientamento è dovuto al fatto che ci sembra di non avere ancora un .cors punto di riferimento fisso e assoluto, al quale possiamo ancorare le nostre descrizioni per affermare e difendere la loro validità. Se infatti decidiamo semplicemente di supporre che esiste un mondo oggettivo e fisso, allora non possiamo allo stesso tempo comprendere come funziona il nostro sistema nella sua dinamica strutturale dicendo che l'ambiente specifica il suo operare. Se, al contrario, non riconosciamo l'oggettività del mondo, è come se afferrnassimo che tutto è pura relatività e che tutto è possibile, negando qualunque regola. Ci scontriamo allora con i problemi legati alla comprensione del modo in cui la nostra esperienza è accoppiata a un mondo che viviamo come contenente regolarità, che sono il risultato della nostra vita biologica e sociale. Ancora una volta dobbiamo camminare sul filo del rasoio, evitando gli estremi rappresentazionisti (od oggettivisti) e solipsisti (o idealisti). In questa via di mezzo troviamo la regolarità del mondo che sperimentiamo in ogni momento, ma senza nessun punto di riferimento indipendente da noi che ci garantisca la stabilità assoluta che vorremmo attribuire alle nostre descrizioni. In realtà, tutto il meccanismo con cui ci generiamo, come descrittori e osservatori, ci garantisce e ci spiega che il nostro mondo, come il mondo con cui veniamo a contatto nel nostro stare con gli altri, sarà sempre esattamente questa mescolanza di regolarità e di mutevolezza, questa combinazione di solidità e di sabbie mobili così tipica dell'esperienza umana quando viene osservata da vicino. Inoltre è evidente che non possiamo uscire da questo,cerchio e saltar fuori dal nostro dominio conoscitivo. Sarebbe come se, per un fiat divino, si cambiasse la natura del cervello, si cambiasse la natura del linguaggio e si cambiasse la natura del divenire, cambiando la natura della natura. Siamo continuamente immersi in questa circolazione da un'interazione all'altra, i cui risultati dipendono dalla storia. Ogni azione porta a una nuova azione: è il cerchio conoscitivo che caratterizza il nostro essere, in un processo la cui realizzazione è immersa nel modo di essere autonomo del vivente. Tramite questa continua ricorsività, ogni mondo con cui si viene a contatto necessariamente nasconde le sue origini. Dal punto di vista biologico, non ha importanza tenere presente quello che ci è successo nell'ottenere le regolarità del mondo che ci sembrano normali, dai valori o dalle preferenze fino alle tonalità dei colori e agli odori. Il meccanismo biologico ci indica che una stabilizzazione operativa nella dinamica dell'organismo non include il modo con cui si è originata. Le nostre visioni del mondo e di noi stessi non conservano i registri delle loro origini, le parole del linguaggio (della riflessione linguistica) diventano oggetti che nascondono le coordinazioni comportamentali che le costituiscono operativamente nel dominio linguistico. Da ciò deriva il fatto che abbiamo continuamente sempre nuovi «punti ciechi» conoscitivi, che non ci accorgiamo di non vedere, che non ci rendiamo conto di non conoscere. Solo quando qualche interazione ci tira fuori dalle situazioni ovvie - per esempio, quando veniamo bruscamente trasportati in un diverso ambiente culturale - e ci permettiamo di riflettere, solo allora ci rendiamo conto della grande quantità di relazioni che diamo per scontate. Il bagaglio di regolarità proprie dell'accoppiamento di un gruppo sociale costituisce la sua tradizione biologica e culturale. La tradizione è, contemporaneamente, oltre che un modo di vedere e agire, anche un modo di nascondere. Ogni tradizione si basa su ciò che una storia strutturale ha accumulato come ovvio, come regolare, come stabile, e la riflessione che permette di vedere ciò che è ovvio si avvia solo incontrando ciò che perturba tale regolarità. Tutto quello che noi, come esseri umani, abbiamo in comune è una tradizione biologica, iniziata con l'origine della vita e giunta fino a oggi, nelle diverse storie degli esseri umani di questo pianeta. Dalla nostra eredità biologica comune dipende il fatto che abbiamo i fondamenti di un mondo comune e perciò non ci meravigliamo che per tutti gli esseri umani il cielo sia azzurro e il Sole sorga tutte le mattine. Dalle nostre differenti eredità linguistiche dipendono tutti i differenti mondi culturali in cui, come uomini, possiamo vivere e che, entro i limiti biologici, possono essere diversi quanto si vuole.
Ogni conoscenza umana appartiene a uno di
questi mondi ed è sempre vivida in una tradizione
culturale. La spiegazione dei fenomeni
conoscitivi che abbiamo presentato in questo libro
si colloca all'interno della tradizione della
scienza e va valutata con questi criteri.
Tuttavia è singolare in quanto ci mostra che,
quando tentiamo di conoscere la conoscenza, ci
scontriamo chiaramente col nostro stesso essere.
Conoscere la conoscenza non significa seguire
l'andamento di un albero, con un saldo punto di
partenza che cresce gradualmente fino a
raggiungere tutto quello che c'è da conoscere.
Somiglia di più alla situazione del ragazzo
ritratto in
La galleria delle stampe
di Escher (fig. 61). Il quadro che egli guarda,
gradualmente e impercettibilmente, si trasforma
nella città in cui si trova la galleria! Non
sappiamo dove situare il punto di partenza: fuori
o dentro? La città o la mente del ragazzo? Il
riconoscimento di questa circolarità conoscitiva
non costituisce tuttavia un problema per la
comprensione del fenomeno della conoscenza, ma in
realtà fissa il punto di partenza che permette la
sua spiegazione scientifica.
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