Copertina
Autore Alexander McCall Smith
Titolo Le lacrime della giraffa
EdizioneGuanda, Parma, 2003, Narratori dela Fenice , pag. 238, cop.fle., dim. 140x220x20 mm , Isbn 978-88-8246-602-2
OriginaleTears of the Giraffe [2000]
TraduttoreStefania Bertola
LettoreElisabetta Cavalli, 2005
Classe narrativa inglese
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La casa del signor JLB Matekoni



Il signor JLB Matekoni, proprietario dell'officina meccanica Speedy Motors di Tlokweng Road, trovava difficile convincersi che la signora Ramotswe, la distinta fondatrice della Ladies' Detective Agency n. 1, avesse accettato di sposarlo. Ciò era avvenuto alla seconda proposta; la prima volta che si era fatto avanti, gesto che aveva richiesto da parte sua un immenso coraggio, era incorso in un rifiuto - cortese e colmo di rammarico -, ma cionondimeno un rifiuto. Di conseguenza, ne aveva dedotto che la signora Ramotswe non si sarebbe mai risposata; che la breve e disastrosa esperienza coniugale con Note Mokoti, trombettista e appassionato di jazz, l'avesse indotta a ritenere il matrimonio null'altro che una ricetta del dolore e della sofferenza. Dopotutto, era una donna dal carattere indipendente, con un lavoro e una bella casa tutta sua in Zebra Drive. Perché mai, si era chiesto, una donna del genere dovrebbe prendersi un uomo, dato che un uomo può rivelarsi assai difficile da gestire una volta che i voti siano stati scambiati e lui le sia entrato in casa? No, se fosse stato nei panni della signora Ramotswe, anche lui avrebbe probabilmente rifiutato una proposta di matrimonio, sia pure da un soggetto altamente ragionevole e rispettabile quale lui era.

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Sentì un rumore alle spalle e sobbalzò. Il capanno della pompa era un posto tranquillo, e fino a quel momento l'unico suono era stato quello degli uccellini fra i rami delle acacie. Questo era un suono umano. Si guardò attorno ma non vide niente. Poi lo sentì di nuovo, attraverso i cespugli, un rumore stridulo come di una ruota che avesse bisogno di essere oliata. Forse uno degli orfani stava spingendo una carriola o uno di quei carretti giocattolo che i bambini si costruiscono con pezzi di cassette e lattine.

Il signor JLB Matekoni si pulì le mani su uno straccio che si rificcò in tasca. Il rumore si avvicinava, e poi la vide emergere dalla macchia di cespugli che nascondeva le curve del sentiero: una sedia a rotelle su cui era seduta una bambina che spingeva da sola la sedia stessa. Quando alzò lo sguardo dal sentiero e vide il signor JLB Matekoni si fermò, con le mani strette al bordo delle ruote. Si fissarono per un attimo, poi lei sorrise e percorse gli ultimi metri del sentiero.

Lo salutò nel modo giusto, da ragazzina beneducata.

«Spero che tu stia bene, Rra» disse, porgendogli la mano destra e posando la sinistra sull'avambraccio, in segno di rispetto.

Si strinsero la mano.

«Spero di non avere le mani troppo unte» disse il signor JLB Matekoni. «Sto lavorando alla pompa.»

La ragazzina annuì: «Ti ho portato un po' d'acqua, Rra. La signora Potokwane ha detto che sei venuto qui senza niente da bere e che forse avevi sete».

Cercò nella borsa che era appesa alla sedia e tirò fuori una bottiglia.

Il signor JLB Matekoni la prese con gratitudine. Poco prima si era accorto di avere sete e aveva rimpianto di non essersi portato un po' d'acqua. Bevve una sorsata dalla bottiglia e intanto guardò la ragazzina. Era ancora piccola, undici o dodici anni, e aveva un bel viso aperto. Aveva i capelli pettinati a treccioline e ornati di perline. Portava un vestitino azzurro, stinto, quasi sbiancato dai ripetuti lavaggi, e ai piedi un paio di vecchie scarpe da ginnastica tutte scalcagnate.

«Abiti qui?» le chiese. «Alla fattoria?»

Lei annuì. «Sono qui da quasi un anno» rispose. «C'è anche il mio fratellino. Lui ha cinque anni.»

«Da dove venite?»

Lei abbassò lo sguardo. «Dalla zona di Francistown. La mia mamma è morta anni fa. Prima abitavamo con una donna, nel suo cortile. Poi ci ha detto che ce ne dovevamo andare.»

Il signor JLB Matekoni non disse niente. La signora Potokwane gli aveva raccontato la storia di qualcuno degli orfani, e ogni volta si era sentito straziare il cuore. Nella società tradizionale non esistevano bambini abbandonati; c'era sempre qualcuno che si occupava di loro. Ma le cose stavano cambiando, e adesso esistevano gli orfani. Soprattutto da quando c'era quella malattia che si stava diffondendo in tutta l'Africa. Adesso c'erano molti più bambini che non avevano i genitori e per alcuni di loro non c'era altro posto dove andare all'infuori dell'orfanotrofio. Era successo così a questa bambina? E come mai era sulla sedia a rotelle?

Il signor JLB Matekoni interruppe queste riflessioni. Era inutile speculare su cose per le quali non si poteva fare nulla. C'erano domande più immediate a cui trovare una risposta, per esempio perché quella sedia a rotelle faceva tanto rumore.

«La tua sedia cigola» disse. «L'ha sempre fatto?»

Lei scosse la testa. «Ha cominciato qualche settimana fa. Credo che abbia qualcosa che non va.»

Il signor JLB Matekoni si accovacciò per esaminare le ruote. Non aveva mai riparato una sedia a rotelle, ma capì subito qual era il problema. I cuscinetti erano secchi e impolverati - sarebbe bastato oliarli - e il freno faceva attrito. Ecco perché cigolava.

«Ti metto giù un attimo» disse. «Puoi stare seduta sotto l'albero mentre aggiusto la tua sedia.»

Sollevò la ragazzina e la depose dolcemente sotto l'albero. Poi rivoltò la sedia, liberò il blocco del freno e risistemò la leva che lo azionava. Mise un po' di olio nei cuscinetti e provò a far girare le ruote. Niente attrito e niente rumore. Raddrizzò la sedia e l'avvicinò al punto dov'era la ragazza.

«Sei stato gentilissimo, Rra» disse lei; «adesso devo tornare a casa se no la governante penserà che mi sono persa.» Se ne andò lungo il sentiero, lasciando il signor JLB Matekoni al suo lavoro. Procedette con le riparazioni e un'ora dopo aveva finito. Fu molto soddisfatto quando mise in moto la pompa e vide che funzionava con una certa scioltezza. Ma il suo intervento non avrebbe avuto effetti duraturi, e sapeva che sarebbe dovuto tornare a smontarla definitivamente. E allora come avrebbero fatto a innaffiare le verdure? Quello era il guaio, a vivere in un paese così arido. Tutto, dalla vita umana alle zucche, aveva un'autonomia molto limitata.

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La storia dei bambini



Tieni presente, disse la signora Potokwane, che anche se per noi è facile criticare i modi dei Basarwa, dovremmo invece pensarci bene, prima di farlo. Se si considera cos'è la loro vita, laggiù nel Kalahari, dove non hanno né bestiame né case in cui vivere; se si pensa a quello e a quanto resisteremmo a fare una vita del genere tu o io o un altro dei Batswana, allora si capisce che i boscimani sono gente davvero in gamba.

Un gruppo di questa gente viveva lungo il limitare del bacino salato, il Makadikadi, sulla strada che va all'Okavango. Non conosco bene quella parte del paese, ma ci sono stata un paio di volte. Ricordo la prima volta che l'ho vista: una vasta pianura bianca sotto un cielo bianco, con poche palme alte ed erba che spuntava dal nulla. Era un paesaggio così strano che ho creduto di essere uscita dal Botswana ed essere finita in una terra sconosciuta. Ma andando ancora un po' avanti ridiventa Botswana e ci si sente di nuovo a proprio agio.

C'era un gruppo di Basarwa che erano arrivati dal Kalahari per andare a caccia di struzzi. Dovevano avere trovato l'acqua nel bacino salato e proseguivano verso uno dei villaggi che si trovano lungo la strada per Maun. La gente che vive lì non si fida tanto dei Basarwa, perché dice che rubano le capre e di notte mungono le mucche degli altri, se non li tieni d'occhio.

Questo gruppo si era accampato a tre o quattro chilometri dal villaggio. Naturalmente non avevano costruito niente e dormivano sotto i cespugli, come fanno spesso. Disponevano di un sacco di carne, perché avevano appena ucciso parecchi struzzi ed erano ben felici di restare li finché non avessero sentito la necessità di muoversi.

C'erano parecchi bambini, e una delle donne aveva appena partorito un maschietto. Dormiva con il piccolo accanto a sé, un pochino discosta dagli altri. Aveva anche una figlia, che dormiva vicino a lei, dall'altra parte. La madre si svegliò, pensiamo, e mosse un po' le gambe per sistemarsi più comodamente. Purtroppo ai suoi piedi c'era un serpente, e lei gli appoggiò un tallone sulla testa. Il serpente la morse. Così succede di solito, con i serpenti. La gente dorme all'aperto su un materasso, e i serpenti si avvicinano in cerca di calore. Poi la persona muovendosi rotola sul serpente, e lui si difende.

Le diedero qualcuna delle loro erbe. Loro scavano le radici e strappano la corteccia dagli alberi, ma niente può servire contro il morso del lebolobolo, ovvero il serpente che aveva schiacciato. Secondo la ragazzina, la madre morì prima ancora che il bimbo si risvegliasse. Naturalmente loro non persero tempo e si prepararono a seppellire la donna quel mattino stesso. Ma, che tu lo sappia o no, signor JLB Matekoni, quando muore una donna Mosarwa che sta ancora allattando, seppelliscono anche il bambino. Non esiste cibo che possa nutrire un bambino senza madre. Per loro le cose stanno così.

La bambina si nascose fra i cespugli e li guardò portare via la madre e il fratellino. Era un terreno sabbioso, e riuscirono a scavare una fossa poco profonda, in cui deposero la madre, mentre le altre donne gemevano e gli uomini cantavano. La bambina li guardò mettere nella tomba anche il piccolino, avvolto in una pelle di animale. Poi li ricoprirono entrambi di sabbia e tornarono al campo.

Appena si furono allontanati, la bambina saltò fuori dal nascondiglio e scavò rapidamente nella sabbia. Non ci mise molto e ben presto ebbe il fratellino fra le braccia. Aveva le narici piene di sabbia, ma respirava ancora. La bambina fece dietrofront e attraversò di corsa la boscaglia diretta verso la strada, che non era molto lontana.

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Non sono un uomo importante, io, iniziò il signor Badule. La mia famiglia è originaria di Lobatse. Mio padre ci ha lavorato per molti anni, come usciere del tribunale. Era al servizio degli inglesi, che gli hanno dato due medaglie, con sopra il ritratto della regina. Le portava tutti i giorni, anche dopo essere andato in pensione. Quando ha terminato il servizio, uno dei giudici gli ha regalato una zappa da usare nelle sue terre. Il giudice aveva fatto fare quella zappa nel laboratorio della prigione e i detenuti, seguendo le istruzioni del giudice, avevano impresso a fuoco sul manico di legno una scritta che diceva: «Usciere Badule di prima classe, ha lealmente servito sua maestà e poi la repubblica del Botswana per cinquant'anni. Servitore fedele e di provata fiducia, da parte del signor giudice Maclean, magistrato dell'Alta Corte del Botswana».

Quel giudice era una brava persona ed è stato molto gentile anche con me. Ha parlato con i padri della scuola cattolica e sono stato ammesso a studiare lì. Mi sono impegnato molto, e quando ho denunciato uno degli altri ragazzi perché aveva rubato la carne in cucina, mi hanno nominato vicecapoclasse.

Ho superato gli esami della scuola, ho preso il diploma e poi ho trovato lavoro presso la Commissione per la carne. Anche lì mi sono molto impegnato e di nuovo ho denunciato quelli che rubavano la carne. Non lo facevo per essere promosso, ma perché sono uno a cui non piace la disonestà, in nessuna forma. Questa è una cosa che ho imparato da mio padre. Lavorando in tribunale, ha visto criminali di tutte le specie, compresi gli assassini. Li ha visti in tribunale che mentivano perché sapevano che ora dovevano scontare le loro malefatte. Li osservava quando i giudici li condannavano a morte e notava che certi omoni grandi e grossi che avevano picchiato e ucciso altre persone diventavano come bambini piccoli, erano terrorizzati e singhiozzavano e dicevano di essere pentiti per tutte quelle brutte azioni, che comunque negavano di avere commesso.

Dato il suo ambiente di lavoro, non c'è da meravigliarsi che mio padre abbia insegnato ai figli a essere onesti e a dire sempre la verità. Perciò non ho mai esitato a denunciare alla giustizia gli impiegati disonesti, e i miei datori di lavoro sono sempre stati molto soddisfatti.

«Lei ha impedito a quei malvagi di continuare a rubare la carne del Botswana» mi hanno detto, «noi non riusciamo a vedere con i nostri occhi tutto quello che combinano i nostri impiegati. I suoi occhi ci sono stati di grande aiuto.»

Non mi aspettavo una ricompensa, ma sono stato promosso. E nel mio lavoro, che si svolgeva negli uffici del quartier generale, ho trovato altre persone che rubavano la carne, sia pure in un modo più astuto e indiretto, ma sempre di rubare carne si trattava. Perciò ho scritto una lettera al direttore generale, in cui gli dicevo: «Ecco come le rubano la carne, proprio sotto il suo naso, nell'ufficio centrale». Alla fine ci ho messo tutti i nomi, in ordine alfabetico, ho firmato la lettera e l'ho spedita.

Sono stati molto contenti e di conseguenza ho avuto un'altra promozione. Ormai, tutte le persone disoneste si erano spaventate al punto da andarsene dalla ditta, e perciò non avevo più niente da fare in quel campo. Ma me la sono cavata bene lo stesso e ho risparmiato abbastanza da comprarmi una macelleria tutta mia. La ditta mi ha dato un assegno molto generoso, lamentando la mia decisione di andarmene, e io ho aperto una macelleria alla periferia di Gaborone. Forse l'ha vista, è sulla strada per Lobatse. Si chiama macelleria Prezzi Onesti.

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