Copertina
Autore Horace McCoy
Titolo Non si uccidono così anche i cavalli?
EdizioneTerre di mezzo, Milano, 2007 , pag. 122, cop.fle., dim. 13x20,5x1 cm , Isbn 978-88-6189-002-2
OriginaleThey Shoot Horses, Don't They? [1935]
TraduttoreLuca Conti
LettoreAngela Razzini, 2007
Classe narrativa statunitense
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Pagina 7

Capitolo primo


Mi alzai. Per un istante vidi di nuovo Gloria, seduta su quella panchina giù al molo. La pallottola l'aveva appena colpita alla tempia; il sangue non aveva ancora iniziato a fluire. Il bagliore della pistola le illuminava ancora il volto. Tutto era chiaro come il sole. Lei era rilassata, completamente a suo agio. L'impatto del proiettile le aveva fatto appena voltare la testa; non vedevo bene il profilo, ma riuscivo a scorgere a sufficienza il viso e le labbra per capire che sorrideva. Il pubblico ministero si era sbagliato nel dire alla giuria che era morta soffrendo, sola al mondo, abbandonata da tutti fuor che dal suo brutale assassino, in quella buia notte sulle rive del Pacifico. Impossibile prendere un granchio più grosso. Non è morta soffrendo. Era tranquilla e rilassata, e sorrideva. Prima d'allora non l'avevo mai vista sorridere. Quindi, come faceva a soffrire? E non era sola al mondo.

Ero il suo migliore amico. Ero il suo unico amico. Allora, come poteva essere sola al mondo?

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Pagina 15

Capitolo terzo


Buffo, come conobbi Gloria. Stava cercando anche lei di entrare nel mondo del cinema, ma questo lo seppi solo più avanti. Un giorno me ne venivo giù per la Melrose, dagli studi della Paramount, quando sentii strillare "Ehi! Ehi!" e mi voltai giusto in tempo per vederla correre verso di me, agitando le braccia. Mi fermai, ricambiai il gesto. Quando mi raggiunse era senza fiato e su di giri, e mi resi conto di non sapere chi fosse.

"Maledetto autobus", disse.

Mi guardai attorno e vidi l'autobus già a mezzo isolato di distanza, in direzione della Western.

"Oh", dissi. "Avevo capito che facevi segno a me..."

"E che c'entri tu?" mi chiese.

Scoppiai a ridere. "Non lo so", dissi. "Vai dalla mia parte?"

"Tanto vale che me la faccia a piedi fino alla Western", disse; e ci mettemmo in marcia verso la Western.

Fu così che ebbe inizio tutto quanto, e adesso la cosa mi sembra parecchio strana. Proprio non riesco a capirla. Ci ho pensato e ripensato, e ancora non ci capisco niente. Non è stato un omicidio. Per fare un piacere a qualcuno finisco per lasciarci la pelle io. Mi manderanno a morte. Lo so benissimo cosa dirà il giudice. Mi basta guardarlo per capire che sarà contento di dirlo, e dall'aria che tira so benissimo che anche la gente dietro di me sarà contenta di sentirglielo dire.

Prendete il mattino che ho incontrato Gloria. Non stavo un gran che bene; mi sentivo ancora un po' sottosopra, ma me ne ero andato lo stesso alla Paramount perché Von Sternberg stava girando un film d'ambientazione russa e pensavo che forse avrei potuto rimediare un lavoro. Mi chiedevo sempre se c'era qualcosa di meglio che lavorare per Von Stemberg, oppure per Mamoulian o Boleslawsky, farsi pagare per guardarli dirigere, imparare la composizione di un film, il ritmo, le inquadrature... per questo me n'ero andato alla Paramount.

Non mi avevano fatto entrare, ed ero rimasto davanti all'ingresso fino a mezzogiorno, quando uno degli assistenti del regista era uscito per pranzo. L'avevo raggiunto e gli avevo chiesto se c'era qualche possibilità di cogliere un po' d'atmosfera.

"Nient'affatto", mi rispose lui, aggiungendo che Von Sternberg stava molto attento ai suoi cacciatori d'atmosfera.

Mi parve proprio una risposta di cattivo gusto, ma sapevo cosa stava pensando, che i miei vestiti facevano davvero schifo.

"Non è un film in costume?" gli chiesi.

"Tutte le comparse ce le manda la Central", disse, piantandomi in asso.

Di preciso non stavo andando da nessuna parte; mi limitavo a spassarmela sulla mia Rolls-Royce, con la gente che mi segnava a dito come il più grande regista del mondo, quando udii gli strilli di Gloria. Visto come capitano queste cose?

Così scendemmo per la Melrose verso la Western, facendo conoscenza; e quando arrivammo alla Western sapevo che si chiamava Gloria Beatty, una comparsa che a sua volta non se la passava un gran che bene, e anche lei sapeva qualcosa di me. Mi piaceva un bel po'.

Divideva una stanzetta con non so che gente, dalle parti della Beverly, e io abitavo giusto a pochi isolati di distanza, così quella sera ci vedemmo di nuovo. E fu proprio quella sera a fare la differenza, ma anche adesso non posso certo dire che mi dispiace averla rivista. Avevo sette dollari guadagnati a spillare bibite in un drugstore (al posto di un mio amico, che aveva messo nei guai una ragazza ed era stato costretto a portarla a Santa Barbara per l'operazione) e le chiesi se preferiva andare al cinema o al parco.

"Che parco'" mi chiese.

"Laggiù, un po' più avanti", dissi io.

"Va bene", disse. "Tanto ne ho abbastanza, del cinema. Se non sono più brava io, come attrice, di quasi tutte quelle tipe, giuro che mi mangio il tuo cappello... Mettiamoci a sedere, sparliamo un po' della gente..."

Mi fece piacere che volesse andare al parco. Era sempre un bel posto, quello, ci si stava bene. Molto piccolo, appena un isolato, ma assai buio e tranquillo, fitto di cespugli, circondato da palme alte quindici, diciotto metri e la cui sommità s'apriva all'improvviso. Bastava entrarci, in quel parco, per illudersi di sentirsi al sicuro. Immaginavo spesso che quegli alberi fossero sentinelle dotate di assurdi elmetti: un corpo di guardia privato, a difesa della mia isola personale...

Il parco era un bel posto per sedersi. Tra le palme si scorgevano un gran numero di palazzi, le massicce e squadrate silhouette dei residence, con le insegne rosse sul tetto che davano colore al cielo sovrastante e a tutto quel che stava sotto. Ma per liberarsene bastava mettersi a sedere e fissarle senza sosta... e cominciavano ad arretrare. Così si poteva spedirle lontano, il più lontano possibile...

"Non avevo mai fatto caso a questo posto, prima", disse Gloria.

"A me piace", dissi, sfilandomi la giacca e stendendola sull'erba per farla sedere. "Ci vengo tre o quattro volte a settimana."

"Ti piace sul serio", disse lei, sedendosi.

"Quant'è che sei a Hollywood?" le chiesi.

"Da un annetto. Ho già fatto quattro film. Potevano essere anche di più", disse, "ma non riesco a entrare alla Central."

"Neanche io", dissi.

Se non facevi parte del Central Casting Bureau non avevi tante possibilità. I grossi studios chiamano la Central e gli dicono che vogliono quattro svedesi o sei greci o due contadini boemi, ed è la Central che se ne occupa. Capivo bene perché Gloria non riusciva a farsi prendere alla Central. Era troppo bionda e troppo piccola, e sembrava troppo vecchia. Con un bel guardaroba avrebbe potuto fare la sua figura, ma anche così non l'avrei certo chiamata carina.

"Non conosci nessuno che puo darti una mano?" le chiesi.

"In questo settore, come fai a capire chi può darti una mano?" disse lei. "Un giorno fai l'elettricista, e il giorno dopo sei diventato un produttore. L'unico modo per arrivare a un pezzo grosso sarebbe quello di saltargli sul predellino della macchina quando passa. Comunque, non credo che tra i divi del cinema gli uomini possano aiutarmi tanto quanto le donne. Da quel che ho visto di recente, mi sono quasi convinta di essermi lasciata saltare addosso dal sesso sbagliato..."

"Com'è che sei venuta a Hollywood?" le chiesi.

"Oh, non lo so", disse dopo un istante, "ma qualsiasi cosa era sempre meglio della vita che facevo giù a casa." Le chiesi dov'era casa sua. "Texas", rispose. "Texas occidentale. Mai stato?"

"No", dissi. "Vengo dall'Arkansas."

"Be', il Texas occidentale è un posto da cani", disse lei. "Abitavo con i miei zii. Lui faceva il frenatore sui treni. Grazie a Dio lo vedevo solo un paio di volte la settimana."

Si fermò e tacque, gli occhi puntati sul bagliore rossastro e vaporoso che sovrastava i residence.

"Almeno avevi una casa", dissi.

"Se la vuoi chiamare così", rispose. "Per quanto mi riguarda, aveva un altro nome. Quando mio zio era a casa, ci provava sempre, con me, e quando era via per lavoro non facevo altro che litigare con mia zia. Aveva il terrore che parlassi male di lei."

"Che bella gente", dissi tra me.

"Così, alla fine, sono scappata a Dallas", disse. "Mai stato?"

"Mai messo piede, in Texas", dissi.

"Non hai perso nulla", disse. "Poi, visto che non trovavo un lavoro, ho deciso di rubare qualcosa in un negozio e farmi prendere in consegna dalla polizia."

"Buona idea", dissi.

"Ottima", disse lei, "solo che non ha funzionato. Certo, mi hanno beccato subito, ma gli sbirri non se la sono sentita di tenermi dentro, e mi hanno lasciato andare. Per non morire di fame sono andata a vivere con un siriano che aveva un negozietto di hot dog dietro l'angolo del Municipio. Masticava tabacco dalla mattina alla sera... Mai stato a letto con uno che mastica tabacco?"

"Non credo" risposi.

"Eppure mi sa che l'avrei anche sopportata, 'sta cosa", disse, "ma quando ha cominciato a volermi scopare tra un cliente e l'altro, sul tavolo di cucina, ho gettato la spugna. Un paio di sere dopo ho bevuto del veleno."

"Cristo", dissi tra me.

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Pagina 71

Capitolo nono


ORE TRASCORSE 752

COPPIE IN GARA 26

I derby facevano fuori i concorrenti come mosche. In due settimane era stata eliminata una cinquantina di coppie. Io e Gloria c'eravamo andati vicini un paio di volte, ma ce l'avevamo fatta a restare in gara per il rotto della cuffia. Ci bastò cambiare tecnica per non avere più problemi: avevamo smesso di cercare di vincere, e non ce ne fregava più niente dell'ordine di arrivo, a patto di non essere gli ultimi.

E c'eravamo procurati anche uno sponsor: la Birra Jonathan, La Birra Che Non Fa Ingrassare. Appena in tempo: le nostre scarpe erano ormai consumate, e i vestiti mostravano la corda. Era stata la signora Layden a persuadere la Birra Jonathan a sponsorizzarci. Cerchi di convincere san Pietro a farmi entrare, signora Layden. Mi sa che sto arrivando. Ci avevano fornito tre paia di scarpe ciascuno, a me e Gloria, tre paia di calzoni di flanella grigia e tre maglioni col nome della birra stampato sulla schiena.

Dall'inizio della gara avevo messo su oltre due chili, e stavo cominciando a pensare che, forse forse, potevamo anche rischiare di vincere i mille dollari del primo premio. Gloria, invece, la vedeva parecchio nera.

"Che intendi fare, quando sarà finita?" mi chiese.

"Perché preoccuparsene ora?" dissi. "Mica è finita. Non capisco cos'hai da mugugnare. Non ce la siamo mai passata così bene... almeno abbiamo pranzo e cena garantiti."

"Vorrei morire", disse lei. "Vorrei che Dio mi fulminasse."

Non faceva che ripeterlo. Stava cominciando a darmi sui nervi.

"Un giorno o l'altro, Dio lo farà davvero", dissi.

"Magari... e magari avessi la forza di farlo da sola."

"Se vinciamo, puoi prendere i tuoi cinquecento dollari e filartela dove ti pare", dissi. "Puoi persino sposarti. Ce ne sono a bizzeffe, di tipi che non aspettano altro. Ci hai mai pensato?"

"Ci ho pensato eccome", disse lei. "Ma non potrei mai sposare il tipo d'uomo che voglio. L'unico disposto a sposarmi sarebbe quello che proprio non mi va. Un ladro o un pappone, roba così."

"Lo so perché fai di questi discorsi", dissi. "Tra un paio di giorni starai bene, e vedrai anche le cose in maniera diversa."

"Non c'entra un bel niente", disse lei.

"E neanche mi fa venire il mal di schiena. Non è quello. È l'intera faccenda, a essere un bel girotondo. Quando usciamo di qua, ci ritroviamo al punto di partenza."

"Abbiamo avuto da mangiare e da dormire", dissi.

"Be', a che ci serve, visto che non facciamo altro che rimandare una cosa che succederà comunque?"

"Ehi, Birra Jonathan", disse a voce alta Rocky Gravo. "Venite un po' qui."

Se ne stava accanto alla pedana assieme a Socks Donald. Io e Gloria ci avvicinammo.

"Che ne direste di un bel centone, ragazzi?" chiese.

"Per fare che?" domandò Gloria.

"Be', figlioli", disse Socks Donald, "m'è venuta un'idea brillante. Solo che mi serve un po' d'aiuto..."

"Ecco l'influenza di Ben Bernie", mi disse Gloria.

"Come?" disse Socks.

"Nulla", fece Gloria. "Continui pure... Le serve un po' d'aiuto, diceva."

"Già", disse Socks. "Voglio che vi sposiate qui, voi due. Un matrimonio pubblico."

"Sposarsi?" dissi io.

"Un momento", disse Socks. "Mica è una tragedia. Vi darò cinquanta dollari a testa, e al termine della maratona potrete pure divorziare, se vi va. Non dev'essere per sempre. Solo per fare un po' di spettacolo. Che ne dite?"

"Che lei è tutto scemo", rispose Gloria.

"Non dice sul serio, signor Donald", intervenni io.

"Dico sul serio sì", fece Gloria. "Non ho niente in contrario a sposarmi", disse a Socks, "ma allora perché non mi porta qui Gary Cooper o qualche pezzo grosso del cinema, un regista o un produttore? Non voglio mica sposare questo qui. Già ho abbastanza guai a badare a me stessa..."

"Mica è per sempre", disse Rocky. "Solo per fare un po' di scena."

"Proprio così", disse Socks. "Chiaro, la cerimonia andrà fatta con tutti i crismi... per forza, se vogliamo richiamare le folle. Ma..."

"Non le serve un matrimonio, per attirare la gente", disse Gloria. "Già è pieno zeppo così com'è. Per dare spettacolo, non vi basta far vedere questi poveri disgraziati che finiscono a gambe all'aria tutte le sere?"

"Tu non capisci il punto", disse Socks, corrucciato.

"Altro che se lo capisco", disse Gloria. "Sono già un bel pezzo avanti."

"Se vuoi entrare nel mondo del cinema, questa è la tua chance", disse Socks. "Ho già dei negozi pronti a fornirti l'abito da sposa e le scarpe, e un salone di bellezza che ti sistemerà a puntino. Ci saranno valanghe di registi e funzionari, qui, e avranno tutti quanti gli occhi puntati su di te. Quando ti ricapiterà un'occasione così? E tu che ne dici, figliolo?" mi chiese.

"Non saprei", risposi, per non irritarlo. Dopo tutto, era l'organizzatore. Sapevo che bastava farlo incazzare per rischiare la squalifica.

"Dice di no", fece Gloria.

"'Sta tipa pensa anche per lui", disse Rocky sarcastico.

"Ok", disse Socks alzando le spalle. "Se non vi frega nulla dei cento dollari, interesseranno di certo a qualcun altro. Almeno” disse rivolto a me, "hai capito chi è che porta i calzoni, in casa tua." E scoppiò a ridere assieme a Rocky.

"Non riesci proprio a mostrarti gentile con nessuno, eh?" dissi a Gloria dopo esserci allontanati. "Possiamo ritrovarci in strada da un momento all'altro."

"Meglio ora che domani", rispose lei.

"Mai conosciuta una persona così deprimente", dissi. "Certe volte penso che staresti meglio da morta."

"Sicuro", disse lei.

Quando raggiungemmo di nuovo la pedana vidi Socks e Rocky che parlavano animatamente con Vee Lovell e Mary Hawley, la coppia numero 71.

"Mi sa che Socks gli sta rifilando la fregatura", disse Gloria. "Quell'Hawley non riesce proprio a togliersi dai guai."

Fummo raggiunti da James e Ruby Bates, e avanzammo per un po' a braccetto. Eravamo tornati in buoni rapporti, da quando Gloria non cercava più di convincere Ruby ad abortire.

"Non è che Socks vi ha chiesto di sposarvi?" domandò Ruby.

"Sì", risposi io. "Come fai a saperlo?"

"L'ha chiesto a tutti", disse lei.

"L'abbiamo fatto rimbalzare ben bene", disse Gloria.

"Non è poi così male, un matrimonio pubblico", disse Ruby. "Il nostro..."

"Il vostro?" dissi stupito. James e Ruby erano così distinti e tranquilli, e così innamorati che non me li riuscivo a figurare in un matrimonio pubblico.

"Ci siamo sposati durante una maratona di ballo in Oklahoma", disse lei. "E ci abbiamo guadagnato circa trecento dollari di roba..."

"Come regalo di nozze, suo padre ci ha dato la doppietta", disse James ridendo.

Di colpo, una ragazza alle nostre spalle attaccò a gridare. Ci voltammo. Era Lillian Bacon, la compagna di Pedro Ortega. Camminava all'indietro, nel tentativo di sfuggirgli. Pedro la raggiunse e la colpì in viso con un pugno. Lei piombò a sedere sulla pista, gridando di nuovo. Pedro la afferrò per la gola con entrambe le mani, strozzandola, cercando di tirarla in piedi. Il suo volto era quello di un invasato. Non c'era alcun dubbio che stesse cercando di ucciderla.

Tutti quanti gli si avventarono contro nello stesso istante. La confusione fu totale.

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