Autore Frank McDonough
Titolo Gestapo. La storia segreta
SottotitoloProtagonisti, delitti e vittime. La verità sulla polizia di Hitler
EdizioneNewton Compton, Roma, 2016, I Volti della Storia 357 , pag. 282, ill., cop.rig.sov., dim. 15,5x23x2,8 cm , Isbn 978-88-541-8959-1
OriginaleThe Gestapo [2015]
TraduttoreDaniele Ballarini
LettoreLuca Vita, 2016
Classe storia criminale , storia contemporanea , paesi: Germania , storia: Europa












 

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Indice


  7  Introduzione


 19  1. Diventare la Gestapo

 51  2. Uomini e metodi della Gestapo

 69  3. Controllare la fede religiosa

101  4. Dare la caccia ai comunisti

136  5. Denuncia il tuo vicino

165  6. La guerra razziale contro gli «emarginati sociali»

196  7. Perseguitare gli ebrei

227  8. La Gestapo sotto processo


257  Glossario dei termini e delle organizzazioni tedesche
259  Fonti e bibliografia
275  Ringraziamenti
277  Indice dei nomi


 

 

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Pagina 7

INTRODUZIONE



Paul Schneider era un pastore evangelico dalla mentalità aperta. Era nato il 29 agosto 1897 nel piccolo paese di Pferdsfeld, in Renania. L'8 ottobre 1933 tenne un sermone in cui criticò Ernst Röhm, il capo dei reparti d'assalto (SA, o camicie brune), perché questi riteneva che si potesse realizzare la rivoluzione nazista senza «un rinnovamento interiore e spirituale» della gente. Le parole di Paul vennero riferite alle autorità ecclesiastiche. Il vescovo della diocesi renana, membro del movimento cristiano filonazista, lo redarguì e gli intimò di non esprimere più dal pulpito simili opinioni contro le gerarchie politiche. Allora il pastore scrisse in una lettera ai suoi genitori: «Nonostante il mio dovere di obbedienza cristiana, non credo che la Chiesa luterana possa evitare di entrare in conflitto con lo Stato nazionalsocialista». Nel febbraio 1934, gli alti prelati della Chiesa protestante lo giudicarono «politicamente inaffidabile» e, per limitare la sua azione, lo trasferirono in due remoti villaggi (Dickenschied e Womrath), degradandolo a piccolo parroco di campagna. Lì Schneider aveva un gregge di neanche duemila anime. L'11 giugno 1934, provocò di nuovo il locale Partito nazista, protestando contro una camicia bruna che, durante la cerimonia funebre in onore di un membro della Hitler-Jugend, aveva detto che Horst Wessel, un martire nazista, aveva «seguaci in Paradiso». Riferirono la sua reazione alla Gestapo, dopodiché lo misero sotto «custodia cautelare». I fedeli della zona firmarono una petizione affinché lo si rimettesse in libertà, e ottennero il loro scopo. Durante l'inverno 1935-36, Schneider fu denunciato alla Gestapo almeno una dozzina di volte per i suoi commenti antinazisti. Nel 1937, gli fu vietato di abitare o predicare in tutta la Renania. Ciò nonostante, sfidando l'ordinanza di «esilio locale», lui insisteva a tornare nella sua parrocchia per predicare. Il 3 ottobre 1937 tenne un ulteriore sermone antinazista, che in quell'occasione fu ascoltato da un funzionario della Gestapo. Lo arrestarono e lo confinarono in una prigione di Coblenza. Il 27 novembre 1938 venne deportato nel famigerato campo di concentramento di Buchenwald e relegato in isolamento totale. Ma lui, dalle sbarre della sua cella, di sera recitava spesso ad alta voce i versetti biblici. Leonhard Steinwender, un sacerdote cattolico, pure lui internato, lo descriveva quale «personaggio eroico che tutto il campo ammirava e rispettava. Nessuna tortura era in grado di impedirgli di appellarsi continuamente alla coscienza delle guardie e del comandante delle SS». Paul subì gravi abusi da parte delle SS, le squadre di protezione, proprio perché osava esprimere le sue idee. Ricorda Alfred Leikam: «Gli infliggevano a periodi alterni orrende torture fisiche, umiliazioni e maltrattamenti, con pesanti bastonate». Perfino Karl-Otto Koch, il crudele comandante di Buchenwald, si rese conto di non poter spezzare lo spirito del pastore. Di conseguenza, decise di liberarlo purché firmasse una dichiarazione in cui s'impegnava a non tornare più a sermoneggiare nella sua parrocchia. Schneider rifiutò di apporre la firma. Il 18 giugno 1939 lo eliminarono con cinque iniezioni letali di strofantina nell'infermeria del lager. L'affranta vedova e i suoi sei figli non poterono vederlo nemmeno nella bara, perché il suo corpo era in condizioni orribili. Parteciparono al servizio funebre celebrato a Dickenschied duecento ministri del culto protestante, di varia confessione, e una torma di parrocchiani, tutti desiderosi di porgere l'ultimo saluto a quella personalità di straordinario coraggio. Schneider fu il primo pastore luterano a subire il martirio per aver sfidato il regime nazista da posizioni religiose.

In questo libro analizzeremo le storie drammatiche, nonché inquietanti, degli individui che furono arrestati dalla Gestapo. Non ho intenzione di stilare un resoconto completo delle vicende operative della polizia segreta nazista, però desidero offrire una spiegazione del fenomeno basandomi sui numerosi studi esistenti e integrandola con un'originale interpretazione, che deduco dalle fonti consultate negli archivi tedeschi relativi al periodo 1933-45. Concentrerò inoltre la mia analisi su ciò che accadde all'interno della Germania (Altreich), senza estenderla ai territori occupati dal regime hitleriano durante la Seconda guerra mondiale. In fondo, lo scopo del presente volume consiste nell'esplorare l'impatto della Gestapo sui cittadini tedeschi che vissero in quell'epoca. Inizierò esaminando dettagliatamente la nascita. Poi approfondirò il retroterra e i metodi degli ufficiali di quest'organizzazione, su cui fornirò nuove, sorprendenti notizie. In seguito, mi soffermerò sulle vittime principali del terrore nazista, specie i dissidenti religiosi, i comunisti, gli emarginati e gli ebrei. In questi capitoli, metterò al centro della scena la tragica condizione umana delle vittime, facendo luce sulla misura in cui la Gestapo venne aiutata dalla gente comune, dalla Kripo (polizia giudiziaria) e dalle organizzazioni sociali e previdenziali. Nel capitolo finale, esporrò il destino dei funzionari della Gestapo come venne dettato dai processi del dopoguerra. Nel complesso, quest'opera offre un contributo molto importante per la comprensione del terrore nella società nazista.

[...]


Il mio interesse per il ruolo svolto dalla Gestapo si deve alla biografia che ho scritto su Sophie Scholl, una studentessa ventunenne dell'università di Monaco che il 18 febbraio 1943 venne arrestata per aver distribuito volantini antinazisti. La interrogarono e quattro giorni dopo la giustiziarono in seguito a un frettoloso processo dimostrativo presieduto da Roland Freisler, colui che era ribattezzato il «giudice hitleriano delle impiccagioni».

L'interrogatorio era stato condotto da Robert Mohr, un funzionario calmo e professionale, che si comportò da "normale" detective, non da nazista crudele e invasato. Così, il libro dimostrava quanto fosse importante esaminare specificamente gli interrogatori della Gestapo, e poi sollevava altre due rilevanti questioni che valeva la pena di approfondire: in primo luogo, tutte le indagini della polizia segreta erano eseguite con la stessa efficienza palesatasi nel caso della Scholl? In secondo luogo, i funzionari della Gestapo si comportavano sempre con l'empatia mostrata da Mohr?

Decisi perciò di scandagliare un ampio spettro di registri di questa organizzazione per analizzare meglio i casi di tante persone perseguitate nella società tedesca fra il 1933 e il 1945. Bisognava allargare ancor di più la gamma delle carte da setacciare. Il maggior numero di documenti sopravvissuti si trova nell'archivio di Düsseldorf, che ne contiene 73.000. Il presente volume si basa perlopiù su di essi, pur trascendendo la semplice analisi di quella città, su cui si era concentrato Mann, per inglobare uno spaccato più ampio dei casi in Westfalia settentrionale, che nel periodo nazista contava 4 milioni di abitanti. Ho avuto libero accesso a tutti i documenti pervenuti da allora.

Al tempo del regime hitleriano, la regione era densa di industrie, aveva una popolazione a maggioranza cattolica, una minoranza protestante e alcune comunità ebraiche nelle città principali. Ho integrato i fascicoli dell'archivio di Düsseldorf con documenti ufficiali, registri giudiziari, racconti dei testimoni oculari, autobiografie e interviste. Nel complesso, queste fonti mi hanno consentito di delineare l'operatività della Gestapo e di passare in rassegna il modo in cui erano trattate le sue vittime.

In tale prospettiva, questo libro verte su una nutrita serie di gruppi presi di mira dalla polizia segreta, dai comunisti ai dissidenti religiosi, dagli emarginati sociali agli ebrei, tenendo conto anche delle motivazioni di quelli che denunciarono le vittime. Il problema prevalente nei documenti della Gestapo non è ciò che essi registrano, ma quello che omettono. È risaputo che i funzionari si servivano delle cosiddette «tecniche di interrogatorio potenziato», che comportavano spesso percosse e sevizie, ma queste punizioni non venivano messe per iscritto. Ho riesumato alcune prove dai successivi processi alla Gestapo e dai racconti dei testimoni oculari per rivelare la portata di quelle pratiche brutali.

Comunque, ciò che mi preme qui sottolineare non è la quantità dei casi trattati dalla polizia segreta, bensì la loro qualità. Nell'archivio di Düsseldorf sono contenuti migliaia di documenti di estrema brevità. Quest'opera si basa invece sulle indagini più dettagliate, che talora sono composte da centinaia di pagine e implicavano interrogatori di innumerevoli testimoni.

Di conseguenza, il lettore sarà trasportato nella vita quotidiana di una fetta di tanti individui comuni o straordinari, provenienti da svariati ambienti sociali, che vissero nell'epoca nazista. Nelle prossime pagine, ci avventureremo nei quartieri popolari degli operai, nelle fabbriche, nelle birrerie agli angoli di strada, nei ristoranti, nelle abitazioni e perfino nelle camere da letto dei comuni cittadini. Qui troverete la storia occulta del Terzo Reich molto più che in altri libri.

Fra le tante storie affascinanti che prenderò in considerazione, si trovano i Testimoni di Geova che rifiutarono tenacemente di rinunciare alla loro fede; i sacerdoti e i pastori che non accettarono di tacere; i comunisti che non scesero a compromessi; gli operai che tracciavano graffiti; i giovani che formarono bande di dissidenti; i colleghi di lavoro e gli amanti che si denunciarono a vicenda; i vicini di casa che fecero la spia ai danni di chi ascoltava le trasmissioni radiofoniche straniere; e il caso di un «puro tedesco di razza ariana» e della sua fidanzata ebraica che rischiarono tutto per il loro amore.

Ma ciò che emerge da questo mio libro più chiaramente che mai è l'elevato livello di autonomia di cui godeva la Gestapo nel trattare i singoli casi, nonché l'enorme quantità di tempo che essa vi dedicava. La maggior parte delle indagini muovevano dalla denuncia presentata da un cittadino comune.

La polizia segreta non si limitava a imporre la propria volontà, chiedeva alla gente di prestare attenzione ai comportamenti altrui, specie quelli dei contestatori del regime. Tuttavia, essa non seppe prevedere che, in molti casi, le informazioni riservate e le soffiate derivavano da ostilità personali.

Diversamente da quanto si crede, la Gestapo non si limitava ad arrestare gli accusati e a consegnarli ai responsabili dei campi di concentramento.

Numerose vicende finivano col rilascio e la liberazione, altre si concludevano con una pena leggera. I vari funzionari cercavano di giungere a una decisione prima che scadesse il periodo iniziale (21 giorni) di custodia cautelare. Soltanto nei casi ritenuti gravi si passava la pratica al livello superiore, cioè al pubblico ministero a cui spettava la decisione finale. I trattamenti più duri erano riservati a coloro che gli ufficiali consideravano acerrimi oppositori politici, religiosi o razziali.

Alla fine dell'indagine, il rilascio di un sospettato era la norma, non l'eccezione. Non posso fare a meno di rilevare che quest'organizzazione, di cui spesso si dice che operasse al di fuori della legge, funzionava invece in base a rigidi criteri legali.

E l'autonomia di cui godevano i suoi funzionari portava di frequente a decisioni strane, se non proprio bizzarre. Nelle pagine seguenti, vi stupirà notare quanto fossero spietate o per contro indulgenti certe disposizioni.

Alcuni casi, che solitamente avrebbero comportato la pena di morte, finivano col proscioglimento, altri che apparivano futili, invece, terminavano con una punizione severa. Le indagini erano comunque sempre svolte con la pignoleria tipica tedesca.

Da questo libro, gli ufficiali e gli agenti non emergono in quanto emblematici rappresentanti del male, ma come gruppo di persone disparate, difficilmente etichettabili in quanto «comuni». Nelle ultime fasi della guerra, la polizia segreta trattò in modo ancor più brutale i «nemici dello Stato» e applicò più estensivamente le tecniche di interrogatorio potenziato.

Scavando a fondo in queste vicende, vi fornirò quindi una via d'accesso privilegiata e stimolante per scrutare quella che fu la vita quotidiana nella Germania nazista, l'affresco delle varie vittime del terrore hitleriano.

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DARE LA CACCIA AI COMUNISTI



Un giovane militante marxista (Walter Husemann) scrisse a suo padre la seguente lettera nel giorno della sua esecuzione, il 13 maggio 1943:

Rimani forte! Sto morendo come ho vissuto, da combattente nella guerra di classe! È facile definirsi comunisti finché non si è versato il sangue per la causa. Si dimostra di esserlo quando arriva l'ora in cui lo si deve provare in prima persona. Io sono un comunista, caro padre.


I comunisti di tal fatta erano il gruppo politico più sistematicamente perseguitato nella Germania nazista. Era difficile restare un attivista di sinistra ed evitare la denuncia alla Gestapo. Fra il 1933 e il 1945, molti militanti marxisti trascorsero lunghi periodi in prigione o nei campi di concentramento per la loro fede politica. Spesso subivano anche torture, percosse e intimidazioni psicologiche. Solo nel 1933 vennero arrestati 60.000 comunisti, di cui circa 2000 furono eliminati.

Prima del 1933, in Germania c'era il secondo più forte Partito comunista d'Europa, dopo l'URSS. Fondato nel 1919, il KPD era la voce appassionata della classe operaia tedesca che credeva nella rivoluzione sociale. Il segretario era Ernst Thälmann, un «uomo del popolo», rude e carismatico. Nel gennaio 1933, il partito aveva 360.000 iscritti, perlopiù giovani (età media 30 anni), il che ne rafforzava l'attrazione esercitata sulle nuove generazioni delle città industriali. Solo il 10 percento dei suoi membri era composto da impiegati, liberi professionisti e funzionari pubblici. Nel 1929, appena il 17 percento degli iscritti erano donne, sebbene il partito patrocinasse decisamente i diritti femminili. Le donne compaiono raramente nei fascicoli giudiziari sui gruppi della resistenza comunista. In uno studio condotto su 355 processi contro i comunisti arrestati per attività antinaziste fra il 1933 e il 1935 in Westfalia settentrionale, solo il 4 percento riguardava donne.

Il membro tipico del KPD era il lavoratore giovane, maschio, manovale o semispecializzato, residente in un quartiere operaio molto popoloso di una grande città industriale. Le adesioni al partito abbondavano soprattutto nelle «cittadelle rosse» dei quartieri operai di Berlino, Stoccarda, Amburgo, Colonia, Düsseldorf e Münchengladbach. Nelle elezioni del novembre 1932, le ultime di stampo democratico prima che Hitler prendesse il potere, i comunisti ottennero il 37,7 percento dei voti nelle zone ad alta intensità industriale. I militanti comunisti si ritenevano soldati impavidi, capaci di sacrificarsi senza scendere a compromessi nella lotta contro il fascismo. Il KPD aveva anche una sezione paramilitare, la cosiddetta Lega dei soldati rossi di prima linea, che era strettamente alleata con l'Opposizione sindacale rivoluzionaria. Nei distretti operai, sorgevano numerosi club sportivi, bande, cori, centri e circoli sociali finanziati dal partito. Il quale era attivo anche sul fronte delle pubblicazioni, dai libri ai giornali, dalle riviste agli opuscoli e ai manifesti.

I personaggi più in vista del KPD erano in contatto col regime sovietico e col Comintern, l'organizzazione internazionale istituita per diffondere le idee rivoluzionarie. Si accusa spesso questo partito di essere stato un semplice «burattino» nelle mani di Stalin, da cui evidentemente riceveva notevoli finanziamenti. Eppure, i suoi registri non contenevano mai versamenti diretti dall'Unione Sovietica. La sopravvivenza economica era garantita dalle quote degli iscritti, dalle donazioni e dai ricavi derivanti dalla vendita dei giornali e degli organi di partito.

Occorre sapere che, in Germania, la classe operaia si era spaccata alla fine della Prima guerra mondiale. La cosa era dipesa dal fatto che il Partito socialdemocratico (SPD), prevalente in quella che era la repubblica di Weimar, aveva iniziato a collaborare coi Freikorps (Corpi franchi) e coi reduci per soffocare la rivoluzione degli spartachisti, nel 1919, guidata da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, due comunisti di grande fascino che vennero brutalmente assassinati a Berlino. Ciò portò i comunisti a definire i socialdemocratici dei «social-fascisti» e provocò la dolorosa divisione della classe operaia. Fu tale contrasto a favorire, fra le altre cose, la vittoria di Hitler. I capi moderati dei socialdemocratici erano considerati dai militanti comunisti come dei «riformatori rinnegati, disposti a compromettersi» con lo Stato esistente. I socialdemocratici e la loro la base, da parte loro, erano ferocemente anticomunisti, visto che reputavano il KPD una sezione filostalinista, composta da fanatici quanto mai intolleranti. Come potevano andare d'accordo?

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Per la Gestapo, un problema molto più difficile fu, nel periodo bellico, la crescente collaborazione tra i comunisti e i numerosi stranieri che venivano portati in Germania per lavorare come schiavi nelle fabbriche di armamenti. L'8 marzo 1940, Reinhard Heydrich diramò le istruzioni sul trattamento da riservare ai lavoratori stranieri. Le punizioni peggiori dovevano essere adottate nei seguenti casi: insubordinazione professionale, sabotaggio industriale, rapporti sessuali tra tedeschi e persone straniere, contatti sociali nei bar e nei ristoranti. Gli operai stranieri, fra cui gli ebrei, erano obbligati a indossare in pubblico un distintivo specifico. I polacchi, per esempio, avevano una P viola fissata agli abiti. Nell'agosto 1944, lavoravano nelle città e nelle campagne tedesche 6 milioni di stranieri e altri 2,5 milioni di prigionieri di guerra. Questo «nuovo proletariato» era composto da 2 milioni di operai sovietici, 2,5 milioni di prigionieri di guerra dell'Armata rossa, 1,7 milioni di polacchi, 300.000 cechi, 270.000 olandesi e 200.000 belgi.

Nel periodo fra maggio e agosto 1942 furono 79.821 i lavoratori stranieri arrestati, e 4962 di questi casi implicavano rapporti sessuali «inappropriati» con persone di nazionalità tedesca. Alla Gestapo furono riferiti un mucchio di casi in cui i tedeschi avevano fraternizzato con questi lavoratori. L'intimità sessuale con un lavoratore straniero comportava la pena di morte. È incalcolabile il numero di uomini tedeschi che abusarono di operaie straniere nelle fabbriche e nei campi di lavoro. Molte di queste donne e ragazze erano riluttanti a riferire gli abusi sessuali, dal momento che temevano di essere spedite in campo di concentramento.

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LA GUERRA RAZZIALE CONTRO
GLI «EMARGINATI SOCIALI»



L'obiettivo centrale della Gestapo nei primi anni del regime hitleriano era stato l'eliminazione dei nemici politici e religiosi. Dalla metà degli anni Trenta, il nazismo iniziò a usare termini pseudo-eugenici per definire con una certa approssimazione i «nemici della razza». Si stabilì una gerarchia fra i membri «più o meno validi» della comunità nazionale. La polizia segreta cominciò gradualmente a operare in collaborazione con la Kripo (polizia giudiziaria) e con una miriade di dipendenti dei sistemi di assistenza e sanità pubblica, cui spettava il compito di trattare un ampio gruppo di cosiddetti «emarginati sociali».

Nel 1937 Heydrich specificò il ruolo di Kripo e Gestapo in senso palesemente razzista:

La responsabilità della SIPO [forze di sicurezza] consiste sostanzialmente nel salvaguardare il popolo [Volk] tedesco come entità globale, la sua forza vitale e le sue istituzioni, da ogni tipo di distruzione o disgregazione. A livello difensivo, essa deve respingere gli attacchi di tutte le forze che possano indebolire o minare la salute del popolo... A livello offensivo, deve indagare e quindi combattere preventivamente contro tutto ciò che si oppone alla forza vitale, di modo che tale opposizione non possa svilupparsi in qualcosa di distruttivo o disgregante.


Da quel momento, chiunque fosse classificato tra gli esclusi dalla comunità nazionale (Volksgemeinschaft) razzialmente e idealmente pura sarebbe stato preso di mira. In quest'ampia categoria di «asociali» rientravano i criminali recidivi, gli omosessuali, i condannati per reati sessuali, le prostitute, i disoccupati cronici, gli alcolisti, i mendicanti, i giovani delinquenti, le bande di strada e gli zingari. Nel 1944 fu varato un progetto di legge per il trattamento degli «alieni» alla comunità, legge che definiva «emarginati sociali» tutti i seguenti individui:

1. Chi si dimostra, nel carattere o nella condotta di vita, specie alla luce di un'insolita deficienza di mente o di personalità, non in grado di riuscire, coi suoi mezzi, a garantire le minime esigenze della comunità nazionale.

2. Chi per pigrizia o riluttanza a lavorare conduce una vita inutile, non produttiva o disordinata, e quindi diventa un fardello o un pericolo per la Comunità: oppure dimostra di avere abitudini di accattonaggio e tendenza al vagabondaggio, di oziare sul lavoro, di rubare, truffare, indulgere in eccessiva ubriachezza o darsi ad altri reati minori, o per qualunque altro motivo non riesce a essere all'altezza dell'obbligo di mantenersi; oppure chi per continua irascibilità o litigiosità turba la pace della comunità nazionale.

3. Chi si dimostra, nel suo carattere o nel modo di comportarsi, mentalmente disposto a compiere gravi reati.


Prima che i nazisti prendessero il potere, la disciplina pseudo-scientifica dell'eugenetica affermava da decenni che solo la procreazione selettiva era capace di ridurre il numero dei criminali e degli individui antisociali. Il concetto di «eugenetica» era stato coniato da Francis Galton, uno scienziato inglese. L'espressione «igiene razziale» apparve per la prima volta in un volume di Alfred Ploetz, un medico tedesco che nel 1895 sostenne la nozione della superiorità della razza «ariana» o teutonica. L'eugenetica si divulgò comunque in parecchi altri Paesi. Molti biologi ne dedussero che le differenze umane fossero ereditarie e immutabili. Ciò implicava che la razza umana avrebbe potuto essere migliorata soltanto mediante un'ottimizzazione della riproduzione, come avveniva già per i cavalli da corsa e i cani di razza. L'eugenetica non divenne solamente popolare, ma anche rispettabile, dal momento che veniva ritenuta una teoria scientifica moderna. In Gran Bretagna, era stata fondata nel 1902 la Società eugenetica. Nel 1909, lo University College di Londra istituì la cattedra per l'insegnamento di questa materia. Nel 1928 la Svizzera promulgò le leggi per la sterilizzazione, poi imitata da Danimarca (1929) e Norvegia (1934). La Svezia le ha mantenute in vigore fino al 1975. Ma il programma di sterilizzazione più completo apparve negli USA: almeno 39 dei suoi Stati, a partire dall'Indiana (1899), sottoponevano le persone mentalmente e fisicamente svantaggiate a sterilizzazione. Fra il 1907 e il 1932, si stima che gli Stati Uniti abbiano reso sterili 12.145 individui. Peraltro, le politiche sociali tese a migliorare la «stirpe» vennero accettate da parecchie nazioni, fra cui Cina, Brasile e India.

Nel 1920, due studiosi tedeschi (Karl Binding e Alfred Hoche) pubblicarono un libro intitolato Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens (Il permesso di annientare vite indegne di essere vissute). Essi identificarono un certo numero di persone che non avevano «valore sociale o economico», soprattutto gli «idioti incurabili» e i disabili mentali. Gli stessi autori suggerivano inoltre di concedere ai malati terminali il diritto al suicidio assistito (eutanasia). I primi nazisti condividevano queste idee, anzi, volevano applicarle non appena la conquista del potere politico gliel'avrebbe permesso. Essi divennero appassionati sostenitori delle teorie avanzate dagli eugenetisti. L'utopistica promessa hitleriana di creare una «comunità popolare» scevra da conflitti e razzialmente pura trovò terreno fertile tra l'elettorato, specie borghese, che era favorevole a questo bisogno di ordine e legalità, anche se la presa di posizione del Partito nazista era particolarmente dura. Ricordava una signora di Düsseldorf: «Alle riunioni di partito fornivano una spiegazione di questo genere: occorre eliminare la feccia dalle strade! I criminali incalliti, i pervertiti sessuali e i parassiti della comunità nazionale... verranno rieducati nei campi affinché lavorino onestamente. Insegneremo loro la pulizia e la disciplina».

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PERSEGUITARE GLI EBREI



Alle 11:03 dell'11 marzo 1933, Ludwig Förder, un avvocato ebreo, era seduto nel suo studio all'interno del tribunale di Breslavia. All'improvviso spalancarono la porta a calci. Irruppero nella stanza due corpulente camicie brune (SA) che gridarono: «Ebrei, fuori di qui!». Nel verbale di polizia compilato in seguito, Förder descrisse gli eventi:

Vidi Siegmund Cohn, ultrasettantenne, membro del foro, seduto sulla poltrona, immobile come se lo avessero inchiodato. Alcune camicie brune lo aggredirono... Un'altra si avventò su di me e mi diede due colpi in testa facendomi sanguinare abbondantemente. I suoi colpi riaprirono una ferita risalente alla Prima guerra mondiale... L'aggressore si guardava attorno, mi indicò e chiese al giudice: «Costui è un ebreo?»... Il vegliardo riteneva di non aver diritto di mentire a quell'energumeno, per cui rispose: «Sì, è un avvocato ebreo». Allora quel delinquente si rivolse ai suoi camerati: «Portate via questo giudeo». Uno di loro, posizionato sulla soglia, quando passai mi assestò un calcio violento sul sedere, facendomi cadere sul giudice Goldfarb, che era anche il capo della comunità ebraica... Questi mi guardò scioccato e disse: «A quale autorità devo rivolgermi per protestare contro questo scandalo?», e io replicai: «Temo non vi sia alcuna autorità rimasta».


Fattacci antisemiti di questo genere investirono clamorosamente la comunità ebraica nella Germania nazista. Gli ebrei rappresentavano una piccola minoranza nazionale: fra il 1871 e il 1931 non avevano mai superato l'1,09 percento della popolazione. Nel 1933, vivevano in Germania 525.000 ebrei, di cui 144.000 a Berlino. Nel 1939 ne rimanevano solamente 300.000. Dal 1940 al 1944, 134.000 ebrei tedeschi furono deportati e costretti ai lavori forzati nei campi di sterminio in Polonia. Si calcola che la cifra complessiva di ebrei tedeschi che hanno perso la vita nell'Olocausto sia 160.000. I sopravvissuti erano quelli che avevano contratto matrimoni misti o che da tali unioni erano nati.

Gli ebrei risiedevano da secoli nelle regioni germaniche dell'Europa e venivano periodicamente colpiti da persecuzioni. La costituzione tedesca del 1871 aveva garantito loro tutti i diritti di cittadinanza. Era consentita perfino la loro conversione al cristianesimo. E così in molti s'integrarono nella società, assimilandosi alla maggioranza. Dal 1881 al 1933, per esempio, si convertirono al protestantesimo 19.469 ebrei. Durante la Prima guerra mondiale, se ne arruolarono nell'esercito tedesco 100.000, 70.000 dei quali vennero spediti al fronte, dove una metà di loro ricevette medaglie al merito. In tutto, ne morirono 12.000, il contributo della comunità ebraica nella Grande guerra.

Il tasso di unioni matrimoniali fra ebrei e cristiani tedeschi era cresciuto rapidamente prima della presa del potere da parte di Hitler. Fra il 1901 e il 1905, solo il 15 percento degli ebrei erano sposati con non ebrei. Nel 1933 la cifra era salita al 44 percento.

L'assimilazione giudaica procedeva in Germania con una velocità sconosciuta negli altri Paesi europei. Gli ebrei assimilati diventavano indistinguibili dai gentili. «Sospetto che, se nel 1930 o 1931 qualcuno avesse chiesto a mio padre o a mia madre: "Cosa sei?", loro avrebbero risposto: "Tedesco/a"», ricorda Claus Moser, figlio di un banchiere ebreo, nato nel 1922. «Mio padre aveva partecipato alla Grande guerra. Si era meritato la Croce di ferro. I miei genitori non avrebbero mai rinnegato il loro ebraismo, ma prima di tutto si consideravano tedeschi. Sono certo che, prima che Hitler conquistasse il potere, anche se con mio padre andavo in sinagoga una volta all'anno, non fosse così importante».

[...]

La persecuzione antisemita fu un processo graduale. I nazisti volevano espellere gli ebrei dall'economia, alienarli dal vicinato e poi cacciarli dalla Germania. I tedeschi che, prima dell'avvento di Hitler al potere, si erano mescolati socialmente con loro, cominciarono a emarginarli e infine a ostracizzarli.

Il regime nazista varò circa 400 leggi antisemite. I capi delle comunità ebraiche definirino questa situazione «Terrore giudiziario». Venivano gradualmente esclusi gli ebrei dalle occupazioni nelle amministrazioni pubbliche, nelle professioni legali, nelle scuole secondarie e negli atenei.

Il primo provvedimento concreto ai loro danni si verificò il primo aprile 1933, quando fu indetta una giornata di boicottaggio nazionale dei negozi appartenenti agli ebrei. Le camicie brune si appostarono minacciosamente davanti alle vetrine, esponendo cartelli con slogan che dicevano: «Chi mangia prodotti semiti ne morirà!». Arnold Biegelson, un impiegato ebreo, ricorda:

Gli uomini delle SA davanti alle vetrine imbrattate alzavano cartelli su cui c'era scritto: «Non comprate dagli ebrei!». Mia madre, che non aveva per nulla un aspetto ebraico, venne fermata da una guardia delle camicie brune all'uscita da un negozio. La guardia le disse: «Ha visto il cartello, ma è entrata lo stesso. Ci ricorderemo della sua faccia». Non prendevamo sul serio quelle minacce. Allora potevamo ancora muoverci liberamente."

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Diversamente da una mitologia popolare invalsa, nei primi due anni di regime nazista la Gestapo non ebbe fra le sue priorità la persecuzione degli ebrei che rispettavano la legge. Nella città di Krefeld, essa arrestò soltanto 8 ebrei in tutto il 1933, di cui 7 erano militanti comunisti. La maggioranza degli ebrei che finiva sotto interrogatorio della polizia segreta era quella che reagiva a voce alta agli insulti antisemiti nei luoghi pubblici. Il 17 agosto 1935, un'ebrea cinquantacinquenne se la prese con due ragazzi nel centro di Colonia. Aveva visto che vendevano un giornale con un titolo enorme: «Chiunque s'immischia con gli ebrei inquina la nazione». Allora aveva detto loro: «Vergognatevi di vendere quel giornale». I due giovanotti andarono a riferire il suo commento a un funzionario delle SS, e la donna finì nell'ufficio della Gestapo per un interrogatorio. Disse che il commento le era stato dettato dalla rabbia e di non aver riflettuto sulle conseguenze. Il caso venne poi archiviato dal pubblico ministero.

Questo fatto avvenne nell'estate del 1933, quando le agitazioni antisemite stavano montando gradualmente in molti paesi e città tedesche. I negozi ebraici subirono una nuova ondata di boicottaggi. Lungo le strade confinarie di numerosi paesi e villaggi apparvero insegne improvvisate con lo slogan: «Qui non vogliamo ebrei». Altrove li si bandiva dalle biblioteche, dai cinema, dalle piscine, dalle birrerie, dai parchi e dalle piste da bowling. I cimiteri ebraici venivano regolarmente devastati da atti vandalici, solitamente compiuti da bande di giovani in camicia bruna. Gli attivisti nazisti invocavano a voce sempre più alta l'introduzione di nuove leggi per proibire le nozze e il coito fra ebrei e non ebrei.

Assecondando questa «spinta dal basso», Hitler decise di definire in modo più chiaro lo status legale della razza ebraica. Il 15 settembre 1935 venne convocata una seduta speciale del parlamento a Norimberga per mettere a punto una serie di leggi sulla cittadinanza che avrebbero avuto notevoli conseguenze. Esse divennero parte integrante dell'iniziativa nazista per garantire e migliorare la «purezza biologica» della razza tedesca. Nessun individuo di «sangue totalmente ebreo», che avesse entrambi i genitori e i nonni ebrei, poteva più essere cittadino tedesco né sposare o avere rapporti sessuali con una persona ariana. Gli ebrei non avevano il permesso di impiegare come domestiche «donne di puro sangue teutonico» con meno di 45 anni di età. Ed era loro proibito di esibire la bandiera tedesca. Per i reduci di religione ebraica della Grande guerra, questa fu una pillola ancor più amara da digerire. Quelli di «stirpe mista», aventi cioè un genitore ariano e uno ebreo (Mischlinge, o meticci), erano classificati come «sudditi dello Stato», il che voleva dire che non possedevano tutti i diritti di cittadinanza. Hitler presentò le leggi di Norimberga come se fossero le fondamenta della «coesistenza pacifica fra ebrei e tedeschi».

Norman Ebbut, corrispondente del «Times» a Berlino, commentò così queste leggi:

In assenza di altre disposizioni circa la regolamentazione, esse sono adoperate per giustificare ogni tipo di oltraggio e persecuzione, non solo da parte di singoli individui, ma anche da parte dello Stato... Le nuove leggi offrono opportunità illimitate... Chiunque può denunciare un suo nemico o concorrente ebreo per averlo visto in compagnia di una donna «ariana», o inventare debiti commerciali pregressi... A meno che in alto loco non si facciano tentativi per limitare il fanatismo antisemita, gli ebrei saranno condannati, per così dire, a girare ciecamente in tondo fino alla morte. Per questo processo, l'espressione più adatta sarebbe «pogrom freddo».


Si stabilì la definizione legale della differenza tra «ebrei puri» (Volljuden) e «meticci» (Mischlinge), che erano i figli delle nozze fra «ariani» ed ebrei. I primi erano tutti gli individui con discendenza da tre o più nonni ebrei. I «meticci» o «mezzosangue» si dividevano in due categorie: quelli di primo grado, cioè che avevano due nonni ebrei; e quelli di secondo grado, ossia con un solo nonno ebreo, ed erano quindi i più accostabili a un cittadino tedesco. Nessuna delle due categorie poteva rientrare fra gli «ariani», ma molti Mischlinge di secondo grado scamparono alla deportazione e allo sterminio dell'Olocausto. Nei matrimoni misti, i coniugi di razza ebraica erano esclusi dalle deportazioni, soprattutto se avevano figli, purché non avessero divorziato.

[...]

Le leggi di Norimberga contemplavano un nuovo reato per arrestare gli ebrei: «corruzione della razza» (Rassenschande). Esso metteva fuori legge i rapporti sessuali fra ebrei e non ebrei. Così, era ancora più facile denunciare alla Gestapo le infrazioni penali. E quindi, dopo l'introduzione di queste leggi, la polizia segreta fu maggiormente coinvolta nella persecuzione antisemita. Esse si applicavano a tutti gli ebrei e i tedeschi ariani che avevano rapporti sessuali extraconiugali o erano sospettati di amoreggiare tra di loro. Gli uomini, ebrei o ariani che fossero, dovevano teoricamente ricevere pene simili ma, in realtà, i primi venivano trattati peggio durante gli interrogatori per stabilire la sussistenza del reato. Le donne ariane non erano quasi mai imprigionate, mentre quelle ebraiche venivano spesso sottoposte a custodia cautelare. Gli ariani erano condannati a pene detentive meno gravi rispetto agli ebrei, ma anche loro, una volta scontata la condanna e rimessi in libertà, venivano trattati come dei paria. Le ariane perdevano spesso la tutela dei figli se accusate di intrattenere relazioni sessuali con ebrei.

Molti uffici locali della Gestapo istituirono sezioni speciali dedicate alla corruzione della razza. A Berlino, la polizia segreta usava spesso tecniche per l'induzione al reato: ingaggiava ragazze e prostitute allo scopo precipuo di attirare gli ebrei in situazioni sessualmente compromettenti. Altrove si organizzavano operazioni di sorveglianza sulle coppie sospettate di intrattenere rapporti fisici illegali. Non erano rari i tentativi di irruzione in casa di queste coppiette per sorprenderle in flagrante.

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Fu nel corso del 1938 che la persecuzione degli ebrei ebbe una drammatica escalation nella Germania nazista. Il decreto speciale del 26 aprile di quell'anno obbligava gli ebrei a denunciare tutte le ricchezze possedute, sotto forma di denaro o di beni. Nel giugno seguente, si ordinò alla polizia di arrestare nuovamente qualsiasi ebreo che avesse scontato una condanna per violazione delle leggi di Norimberga, primo atto verso la deportazione in un campo di concentramento. Prima dell'autunno, chiusero i battenti circa il 75 percento delle attività ebraiche.

[...]

In un telegramma dell'1:20 del 10 novembre, Heydrich dette altri ordini dettagliati sul modo in cui organizzare le dimostrazioni:

Per esempio, si devono bruciare e radere al suolo le sinagoghe se non vi è pericolo che il fuoco si propaghi agli edifici adiacenti. È possibile distruggere attività e appartamenti privati di ebrei, ma non saccheggiarli. La polizia non dovrebbe ostacolare le dimostrazioni che stanno avvenendo. Si arresteranno tanti ebrei, specie se sono ricchi, quanti potranno accoglierne le prigioni esistenti. Non appena scatterà l'arresto, occorrerà contattare un apposito campo di concentramento per rinchiuderli il prima possibile.


Questa perfetta preparazione della notte degli orrori è passata alla storia col nome di Kristallnacht per il gran numero di vetrine infrante. Le devastazioni antisemite avvennero in tutta la Germania. Picchiatori nazisti e guardie delle SS incendiarono sinagoghe e luoghi di preghiera. Oggetti insostituibili di enorme valore religioso furono gettati su pire funerarie per puro odio antisemita. Si menavano gli ebrei, si depredavano le loro case e attività commerciali. In tutto morirono una novantina di persone ma se ne arrestarono 30.000, con la scusa di «metterle in sicurezza». Diecimila di esse furono poi spedite in tre campi di concentramento: Dachau, Sachenhausen e Buchenwald. Il rimanente degli arrestati vennero liberati entro sei settimane. In un comunicato stampa, Goebbels dichiarò che le azioni dei tedeschi erano «comprensibili».

[...]

Il primo ottobre 1941, quando iniziarono le prime deportazioni in Polonia, l'Associazione ebraica del Reich tedesco registrava la presenza di 163.696 ebrei rimasti in Germania. Ormai, oltre a dover sopportare un gran numero di altre restrizioni, essi non potevano usare autobus e treni, entrare nei musei e nelle gallerie d'arte, possedere automobili, acquistare fiori, mangiare nei ristoranti, sedere sulle sdraio. Dal 13 marzo 1942, ogni loro residenza doveva esibire all'ingresso una stella di carta bianca. Essi non potevano avere neanche animali domestici. Ma era arduo per loro afferrare la tragedia in cui stavano sprofondando. Nelle ore più buie, non è facile capire le conseguenze della marea che sta montando.

La maggioranza delle deportazioni avvennero fra l'ottobre 1941 e l'estate dell'anno successivo. In tale periodo, si trasferirono in treno più di 100.000 ebrei verso i ghetti di Lódz, Riga e Minsk, e verso i campi di sterminio di Belzec e Auschwitz-Birkenau. Dopo quest'ondata di espulsioni, rimanevano in Germania solo gli ebrei che avevano fatto matrimoni misti, e i loro figli. I nazisti crearono un cosiddetto «campo di concentramento modello» a Theresienstadt per dare al mondo l'impressione che, in queste deportazioni, non vi fosse nulla di sinistro. La decisione di deportare gli ebrei dal Vecchio Reich (Altreich) fu influenzata dal successo dell'emigrazione forzata di 50.000 ebrei austriaci attuata da Eichmann. Heydrich decise che la creazione di ghetti di grande estensione in Germania avrebbe favorito la diffusione di malattie e criminalità, con gli immaginabili effetti sulla coesione sociale del resto della popolazione.

I racconti dei testimoni oculari e i processi del dopoguerra ci svelano come venivano eseguite le deportazioni dalla Germania.

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LA GESTAPO SOTTO PROCESSO



[...]

Faceva parte integrante del processo di Norimberga un sotto-processo contro la Gestapo, che era definita «organizzazione criminale» insieme alle SS e all'SD, il suo servizio di intelligence. L'avvocato e colonnello americano Robert Storey fu il referente del collegio d'accusa in questo sotto-processo. A suo avviso, la polizia segreta era un'«organizzazione statale» che svolse le sue attività in stretta collaborazione con l'SD. Uno degli imputati più in vista fu Hermann Göring, colui che aveva istituito la Gestapo nel febbraio 1933, in Prussia. Il fatto che Storey avesse categorizzato il sistema repressivo nazista in un unico gruppo terroristico, composto da personale collettivamente responsabile per i crimini di guerra, si dimostrò l'argomentazione più convincente dell'intero processo. Le prove raccolte dalla pubblica accusa per sostenere l'argomentazione erano molto dettagliate. Vennero stranamente escluse dal procedimento giudiziario la Kripo (polizia giudiziaria) e la ORPO (polizia d'ordinanza), in quanto si riteneva che fossero rimaste organismi civili, benché al servizio di uno Stato dittatoriale.

Il collegio di difesa per la Gestapo era guidato dall'avvocato tedesco Rudolf Merkel. Questi chiamò a testimoniare diversi membri della Gestapo.

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Il 30 settembre 1946 fu emessa la sentenza del processo di Norimberga contro la Gestapo. La si condannò in quanto organizzazione criminale che espletò le sue funzioni in stretta collaborazione con l'SD. La sentenza stabilì le enormi dimensioni della sua essenza criminale: i suoi uffici avevano arrestato e interrogato tutte le persone che finirono nei campi di concentramento. Essa aveva svolto un ruolo cruciale nelle persecuzione dei comunisti, dei gruppi religiosi, degli ebrei e di tutta un'altra serie di nemici e oppositori. Aveva preso parte alla persecuzione e alla deportazione degli ebrei. Aveva arrestato gli individui trasferendoli nei campi di concentramento affinché «crepassero di lavori forzati», non solo in Germania, ma in tutta l'Europa occupata dal nazismo. Era implicata nel maltrattamento e nell'assassinio dei prigionieri di guerra e dei lavoratori stranieri all'interno del Paese. Molti ufficiali della Gestapo avevano partecipato ai tanti omicidi nell'URSS. In base a questi delitti contro l'umanità, la sentenza passata a Norimberga concludeva che tutti i funzionari e gli agenti esecutivi o amministrativi della Gestapo erano responsabili in solido per i reati commessi dall'organizzazione. Furono dichiarati non colpevoli soltanto alcuni suoi impiegati e burocrati secondari, e quelli che si erano dimessi anteriormente al primo dicembre 1939. Di conseguenza, si suggeriva che la Gestapo fosse diventata un gruppo criminale pienamente funzionale solo a partire dalla Seconda guerra mondiale. Il corollario era che si escludeva che i suoi funzionari potessero venire puniti per reati commessi prima di quella data.

Dodici su ventidue imputati nazisti vennero condannati a morte, incluso Hermann Göring, che si suicidò con una fiala di cianuro il 16 ottobre 1946, il giorno in cui lo si doveva giustiziare.

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Il governo comunista della DDR seppe sfruttare per motivi propagandistici anche il fatto di aver versato sostanziosi assegni pensionistici e assistenziali a quelle che erano state le vittime del terrore della Gestapo, mentre nella BRD (Germania Ovest) gli ex membri della resistenza al regime nazista subivano l'ostracismo e avevano enormi difficoltà a trovare lavoro. E i comunisti orientali avevano facile gioco nel rilevare la scandalosa misura in cui la società dei tedeschi occidentali rimaneva macchiata dalla presenza nazista. Il Fronte nazionale della DDR pubblicò nel 1965 un libro tradotto in inglese col titolo di War and Nazi War Criminals in West Germany: State, Economy, Administration, Justice, Science. In esso si nominavano 1800 ex feroci nazisti che ancora detenevano posizioni molto importanti nella Germania Ovest. Nell'elenco erano compresi quindici ministri governativi, cento generali e ammiragli, 828 magistrati e pubblici ministeri, 245 membri del servizio diplomatico e 297 ufficiali di polizia di alto grado, inclusi alcuni che erano stati implicati nelle SS, SD, Kripo e Gestapo. Il governo allora in vigore nella BRD definì questo libro una «totale falsificazione», ordinando alla polizia nazionale di sequestrarne le copie in occasione dell'edizione 1967 della Fiera del libro di Francoforte. Invece, il libro non era soltanto veridico ma sottovalutava gravemente il numero di ex nazisti che conservarono posizioni di privilegio in Germania occidentale.

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Verso il 1960 era ormai chiaro che il governo di Konrad Adenauer voleva evitare altri processi eclatanti, perché essi avrebbero danneggiato sul piano internazionale la reputazione della Germania federale, avviata verso una stupefacente rinascita economica e politica. Nel decennio successivo, si introdussero sottili emendamenti per ridurre le possibilità che si organizzassero altri procedimenti contro gli ex nazisti. Una legge del marzo 1960 fissò il termine di prescrizione a quindici anni, partendo dal primo gennaio 1950, per tutti i delitti, tranne quelli rubricati come «omicidio volontario». Questo voleva dire che nel 1965 sarebbe stato impossibile perseguire qualsiasi crimine effettuato al tempo del nazismo. La manovra legale più controversa per rendere ancor più difficile la punizione dei criminali di guerra si realizzò nel 1968 con l'aggiunta di un codicillo all'articolo 50, comma 2, del codice penale della Germania occidentale, la cosiddetta Norma introduttiva per i reati contro l'ordinamento. Essa decretava che, se si riusciva a dimostrare che un individuo aveva partecipato a un omicidio in base a evidenti motivi abietti (per esempio odio razziale, ritorsione o piacere nell'atto criminale) lo si poteva incriminare, pur riaffermando che coloro i quali erano definiti «complici» del reato avrebbero dovuto essere puniti con indulgenza dalla giuria. Questo emendamento non avrebbe dovuto essere applicato ai crimini di guerra, ma gli avvocati difensori più scaltri vi facevano appello per differire o sospendere i procedimenti a carico degli ex nazisti. Il 20 maggio 1969, la suprema corte di giustizia della Germania federale stabilì che, nei futuri processi per crimini bellici, occorreva dimostrare che gli accusati avevano agito per «personali motivi criminali» affinché si potesse applicare il massimo della pena. Altrimenti, li si doveva ritenere solo «complici» di quelli da cui avevano ricevuto gli ordini.

Viste le restrizioni legali imposte e apportate per tutti questi casi, non può sorprendere il fatto che il processo più sensazionale contro un grosso criminale nazista dopo il 1948 non sia avvenuto in Germania, Est o Ovest che fosse: si tenne in Israele. L'11 maggio 1960 un gruppo di otto agenti del servizio segreto israeliano rintracciò e catturò il maggior criminale di guerra della Gestapo ancora in libertà. Era il ricercato numero uno: Adolf Eichmann, che viveva in una casa alla periferia di Buenos Aires, capitale dell'Argentina. Lo riportarono in Israele per processarlo.

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Un altro membro di spicco della Gestapo che riuscì a sfuggire alla giustizia nella Germania del dopoguerra fu Werner Best, il burocrate più professionale che avesse mai impiegato le sue abilità nella polizia segreta. Era stato lui a ingaggiare il personale incaricato di gestire l'intera operazione dell'Olocausto e gli stermini eseguiti dagli Einsatzgruppen. Per Best, l'eliminazione degli ebrei era «storicamente necessaria», e il razzismo biologico del regime nazista era «logico e razionale». Nel 1941, aveva scritto un volume (Die Deutsche Polizei) per elogiare i metodi della Gestapo e dipingere il suo personale in termini lusinghieri: poliziotti professionisti che trattavano sempre le persone sospettate col massimo rispetto e la massima dignità. Nel 1948 un tribunale danese aveva condannato Best a morte per il suo ruolo di governatore della Danimarca occupata. La sentenza non fu però mai eseguita. La sua liberazione avvenne nel 1951 e il gerarca poté tornare in Germania occidentale. Nel 1958 il tribunale di denazificazione gli inflisse una multa di 70.000 marchi per le sue attività all'interno della Gestapo. Nel frattempo, Best stava già lavorando come consulente strapagato per la Stinnes, una grande azienda tedesca.

Nel marzo 1969 la polizia fece irruzione nel sontuoso appartamento di Best, che viveva a Mülheim an der Ruhr, prelevandolo per condurlo a Berlino, dove lo si voleva interrogare. Il procuratore generale berlinese aveva collezionato una quantità enorme di prove per incriminarlo di nuovo ed era arcisicuro di convincere una giuria a dichiararlo colpevole. Ma Best, che faceva leva sui suoi contatti nel mondo politico e giuridico, oltre che sulla sua reputazione sociale, venne convinto a darsi malato, a dire che era troppo vecchio e debole per affrontare un lungo processo per crimini di guerra che lo avrebbe esaurito emotivamente. Nell'agosto 1972, le autorità della Germania Ovest aggiornarono il caso, e il processo non si svolse mai.

Best è morto il 23 giugno 1989 senza aver mai pagato il suo debito per gli innumerevoli crimini commessi durante l'epoca nazista.

Lo stesso vale per la Gestapo.

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