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| << | < | > | >> |Pagina 3 [ inizio libro ]L'inizio è facile da individuare. Eravamo al sole, vicino a un cerro che ci proteggeva in parte da forti raffiche di vento. lo stavo inginocchiato sull'erba con un cavatappi in mano, e Clarissa mi porgeva la bottiglia - un Daumas Gassac del 1987. L'istante fu quello, quella la bandierina sulla mappa del tempo: tesi la mano e, nel momento in cui il collo freddo e la stagnola nera mi sfioravano la pelle, udimmo le grida di un uomo. Ci voltammo a guardare dall'altra parte del prato, e intuimmo il pericolo. L'attimo dopo, correvo in quella direzione. Si trattò di un rivolgimento assoluto: non ricordo di aver lasciato cadere il cavatappi, né di essermi alzato, di aver preso una decisione, né di aver sentito la raccomandazione che Clarissa mi rivolse. Che idiozia, lanciarmi dentro questa storia e i suoi labirinti, allontanandomi di volata dalla nostra felicità, tra l'erba tenera di primavera accanto al cerro. Un altro grido e l'urlo del bambino, affievolito dal vento che spazzava le chiome alte degli alberi lungo le siepi. Accelerai la mia corsa. A quel punto, improvvisamente, da angolazioni diverse del prato, altri quattro uomini stavano convergendo sul luogo dell'incidente, correndo come me.| << | < | > | >> |Pagina 10Le strinsi piú forte la mano senza parlare. Di Keats e della sua poesia sapevo poco, ma ritenevo possibile che, date le condizioni disperate in cui versava, non avesse voluto scriverle proprio perché l'amava moltissimo. Di recente avevo pensato che l'interesse di Clarissa nell'esistenza di quelle ipotetiche lettere avesse qualcosa a che fare con il nostro rapporto, e con la sua convinzione che un amore non può essere perfetto se non trova espressione in forma scritta. Nei mesi successivi al nostro incontro, e prima dell'acquisto dell'appartamento, mi aveva scritto alcune meraviglie, appassionatamente astratte nello svisceramento di ciò che faceva del nostro amore qualcosa di diverso e migliore rispetto a qualunque altro sentimento mai esistito. Forse è questa l'essenza di ogni lettera d'amore: la celebrazione dell'unicità. Io mi ero sforzato di eguagliarla, ma la franchezza mi aveva concesso solo di attingere ai fatti, che a me parevano comunque abbastanza miracolosi di per sé: una donna bellissima amava e voleva essere riamata da un uomo massiccio, goffo, stempiato e incredulo.| << | < | > | >> |Pagina 11La conversazione su Keats si esauri mentre preparavamo la colazione sull'erba. Clarissa estrasse la bottiglia dal sacco e me la porse tenendola dal fondo. Come ho già detto, il collo mi stava sfiorando la pelle quando udimmo il grido. Era un tono baritonale su note via via piú alte dettate dalla paura. Quel grido segnò l'inizio e, naturalmente, una fine. In quell'istante si chiuse un capitolo, o meglio, un intero stadio della mia vita. A saperlo, e a poter disporre di un secondo in piú, valeva la pena di concedersi un pizzico di nostalgia. Il nostro matrimonio d'amore senza figli durava da sette anni. Clarissa Mellon amava anche un altro uomo; ma con l'approssimarsi del bicentenario dalla sua nascita, il fastidio che mi arrecava era in fondo modesto. Anzi, mi dava persino una mano fornendo spunti per gli scambi di idee che erano parte integrante del nostro equilibrio, il nostro modo per discutere di lavoro. Abitavamo in un edificio art déco nella zona settentríonale di Londra con un fardello di preoccupazioni al di sotto della media: piú o meno un anno di ristrettezze economiche, il passeggero timore per un cancro inesistente, i divorzi e le malattie degli amici, l'intolleranza di Clarissa verso i miei occasionali e furiosi accessi di insoddisfazione per il mio lavoro - ma nulla poteva minacciare l'autonoma intimità delle nostre vite.| << | < | > | >> |Pagina 50Ora che l'inquieto perditempo se n'era andato, trasferii la mia irritazione sui responsabili della biblioteca. L'edificio era tristemente famoso, per la sua rumorosità, in particolar modo per il ronzio delle luci al neon tra gli scaffali al quale nessuno era riuscito a porre rimedio. Forse sarei stato meglio alla biblioteca Wellcome. La sezione scientifica qui era scarsissima. Sembrava si fosse ritenuto che romanzi, testi storici e biografie fossero piú che sufficienti a comprendere il mondo. Possibile che gli analfabeti che gestivano questo posto e che avevano l'audacia di considerarsi colti, vivessero nella convinzione che la letteratura fosse il piú alto risultato intellettuale della nostra civiltà?Questa tirata interiore poté forse durare un paio di minuti. Ne ero come avvolto, invisibile a me stesso. Mi riebbi in virtú di un elementare recupero di autoconsapevolezza che persino il signor... non avrebbe saputo attribuire al cane del mio amico. Ovviamente non erano stati né lo scricchiolare nel pavimento, né l'inettitudine della direzione ad agitarmi. Si trattava di un mio stato d'animo, di una condizione tra il viscerale e il mentale che ancora stentavo a comprendere. Mi abbandonai sulla sedia e raccolsi gli appunti. A quel punto non avevo ancora registrato gli stimoli prodotti dalla calzatura e dalla macchia di colore. Fissavo lo sguardo sulla pagina che tenevo in grembo. Le ultime parole scritte prima di perdere il controllo sui miei pensieri erano state «intenzionalità, intenzione, tentativo di esercitare controllo sul futuro». Al momento di scriverle quelle parole si riferivano a un cane, ma rileggendole incominciai a innervosirmi. Non riuscivo a trovare il termine adatto a definire la sensazione che stavo provando. Non pulito, contaminato, assurdo, una condizione fisica ma in qualche modo anche morale. E' chiaramente falso che senza linguaggio non esista pensiero. Io avevo un pensiero, uno stato d'animo, una sensazione e stavo cercando il modo per dire ciascuno di essi. Se la colpa si riferisce al passato, allora come si definisce lo stesso concetto in rapporto al futuro? Intenzione? No, e neppure influenza sul futuro. O triste presagio. Ansia, disgusto per il futuro. Colpa e presagio, legati dal filo che cuce il passato al futuro, ruotando intorno al presente, unico istante davvero vivibile. Non era esattamente paura. La paura è un concetto preciso, che prende corpo intorno a un oggetto. Terrore era termine troppo forte. Paura del futuro. Apprensione, dunque. Sí, ecco, piú o meno. Era apprensione. | << | < | > | >> |Pagina 56Guardai la bottiglia del gin e decisi di no. Un problema di ordine piú immediato era come far passare la serata fino al ritorno di Clarissa. Se non mi affrettavo a compiere una scelta consapevole, sapevo che sarei scivolato nell'alcool e nei miei pensieri. Amici non ne volevo vedere, non sentivo il bisogno di distrarmi e non avevo neppure fame. Andai nello studio, accesi luce e computer e tirai fuori gli appunti presi in biblioteca. Erano le otto e un quarto. Nel giro di tre ore potevo buttare giú il grosso del mio pezzo sulla funzione dell'aneddoto nella letteratura scientifica. Disponevo già a grandi linee dì una teoria, niente in cui necessariamente credessi, ma quanto bastava per costruirci intorno un articolo. Si trattava di enunciarla, elencare gli argomenti comprovanti, affrontare le eventuali obiezioni, e tornare a enunciarla in conclusione. Un racconto in sé, magari un po' stanco, ma che aveva reso un discreto servizio a migliaia di giornalisti prima di me.Lavorare fu un'evasione - al tempo nemmeno ne dubitavo. Non possedevo risposte alle mie domande e riflettere non mi avrebbe portato lontano. Prevedevo che Clarissa non sarebbe rientrata prima di mezzanotte, perciò mi abbandonai alla mia tesi tanto seria quanto vacillante. In capo a venti minuti mi ero portato nella condizione mentale auspicata; stavo al riparo tra le alte mura dell'immensa prigione del pensiero localizzato. Non mi accade sempre, e quella sera ne fui molto sollevato. Non dovetti neppure difendermi dal solito ammasso di relitti cerebrali, scorie di ricordi recenti, rottami di scelte non fatte, o spettrali avanzi di desideri sessuali. La spiaggia era tutta pulita. Non cedetti alla tentazione di abbandonare la sedia per la promessa di un caffè e, a dispetto del gin, non sentivo il bisogno di urinare. Era stata la cultura ottocentesca del dilettantismo a favorire il proliferare di scienziati dallo stile aneddotico. Tutti quei gentiluomini senz'arte né parte, tutti quei curati con un mucchio di tempo da perdere. Lo stesso Darwin, prima di salpare sulla Beagle, sognava una vita in campagna per dedicarsi in pace alla propria passione di collezionista, e anche nell'esistenza che il caos e il genio finirono per assegnargli, Down House conservò sempre le caratteristiche piú di una parrocchia che di un laboratorio scientifico. La forma artistica dominante era quella del romanzo, grandiosi racconti tentacolari che non disegnavano solo la mappa di certi destini privati, ma ricostruivano società intere, ríspecchiando e accogliendo le istanze del pubblico di quei giorni. La gente piú colta leggeva romanzi contemporanei. Il piacere del narrare era radicato nell'anima ottocentesca. Poi accaddero due cose. La scienza si fece piú ostica, piú alto il livello di professionalità richiesto. Il dibattito si trasferí negli atenei, i racconti da parroco di campagna cedettero il posto a complesse teorie in grado di sopravvivere intatte senza supporto sperimentale e, dotate di una loro specifica estetica formale. Al tempo stesso, in letteratura e in altri ambiti artistici, le stravaganze del modernismo presero a celebrare le qualità formali e strutturali, la coerenza interna e l'autoreferenzialità. Una casta sacerdotale custodiva i templi di questa difficile arte dalle incursioni dell'uomo della strada. Lo stesso avvenne in campo scientifico. Nella fisica per esempio, un'esigua élite di iniziati europei e americani accettò e acclamò la Teoria generale di Einstein ben prima che giungessero i dati sperimentali destinati a darne conferma. La Teoria, che Einstein presentò al mondo tra il '15 e il 'i6, affermava in aperto oltraggio ad ogni buon senso, che la gravità è un semplice effetto della curvatura dello spazio e del tempo. Si sosteneva che il campo gravitazionale del sole avrebbe deviato la luce. | << | < | > | >> |Pagina 156... Scrivi che al giorno d'oggi sappiamo abbastanza sui fenomeni chimici da formulare ipotesi sull'origine della vita sulla terra. Piccoli bacini minerali riscaldati dal sole, legami chimici, catene proteiche, aminoacidi, eccetera. Il brodo primordiale. Da questa storia, sostieni che abbiamo eliminato la presenza di Dio e che lo abbiamo ridotto a cercare rifugio nei microspazi di molecole e particelle della fisica quantistica. Ma non regge, Joe. Descrivere la composizione del brodo, non coincide con lo spiegare le ragioni della sua esistenza, ne col rintracciarne lo chef. E' un'argomentazione debolissima contro un potere infinito. Tra le pieghe delle tue tirate contro Dio si coglie la supplica ad essere salvato dalla trappola della tua stessa logica. La somma dei tuoi scritti si riduce a un lungo grido di solitudine. Non c'è spazio per la gioia nella tua smania di rinnegare. Che cosa ci puoi guadagnare alla fine? So che non mi ascolterai, per adesso. La tua mente è chiusa, le tue difese, attive. Ti fa comodo trincerarti dietro alla convinzione che io sia pazzo. Aiuto! C'è un uomo fuori di casa mia che mi vuole offrire il suo amore e quello di Dio! Chiamate la polizia, fate venire un'ambulanza! Joe Rose non ha nessun problema. Il suo mondo è in ordine, ogni cosa al suo posto; i problemi sono di Jed Parry invece, l'idiota paziente che se ne sta in mezzo alla strada come un mendicante, in attesa di posare anche solo uno sguardo sul suo amato e di offrirgli il suo amore. Che devo fare per farmi ascoltare? Solo la preghiera può rispondere a questa domanda, soltanto l'amore può fartela pervenire. Ma il mio amore per te non sarà piú del tipo implorante. Non intendo piú stare seduto accanto al telefono in attesa di una parola gentile da parte tua. Basta, non sei piú tu a decidere del mio futuro, non hai il potere di ordinarmi cosa devo fare. Adesso il mio amore è duro e feroce, è un amore che rifiuta il rifiuto, e che si muove inesorabile verso di te, per venire a reclamarti e a salvarti. In altre parole, il mio amore - che è anche quello di Dio -, è il tuo destino. I tuoi rifiuti, le tue resistenze, insieme a tutti gli articoli e i libri che hai scritto assomigliano al capriccio di un bambino che pesta i piedi perché è stanco. E' solo questione di tempo, e quando arriverà il momento, tu mi sarai grato.| << | < | > | >> |Pagina 160Non ho idea di come fosse andata, ma stavamo a letto uno di fronte all'altra, come se niente fosse. Forse era solo questione di stanchezza. Era tardissimo, ben oltre la mezzanotte. Il silenzio pareva cosí ricco da assumere una qualità visiva, un fulgore palpabile, e una densità, come una spessa mano di vernice fresca. La sinestesia poteva essere frutto del mio disorientamento, visto che perdermi nel prato verde del suo sguardo, sentire tra le mani le sue braccia esili e lisce, era per me una sensazione tanto nota. Ed era anche successo cosi all'improvviso. Non eravamo certo in guerra, ma tra noi era tutto in sospeso. Ci fronteggiavamo come due eserciti separati da un dedalo di trincee. Paralizzati. Il solo movimento avvertibile era quello di silenziose accuse che increspavano l'aria sopra le nostre teste, come vessilli. Agli occhi di lei io ero un maniaco, un folle perverso e, soprattutto, il rapace invasore del suo spazio privato. Quanto a me, la consideravo sleale, poco comprensiva in questo momento di crisi, e irragionevolmente sospettosa.Non ci furono liti, nemmeno battibecchi, come se entrambi sapessimo che un confronto poteva farci a pezzi. Ci rivolgevamo la parola con estrema cautela, chiacchieravamo di lavoro e ci scambiavamo messaggi sulla spesa, il mangiare, le piccole incombenze domestiche. Clarissa usciva di casa ogni mattina per lezioni, seminari e battaglie con la direzione dell'Ateneo. Io scrissi una recensione lunga e noiosa di cinque pubblicazioni sul tema della coscienza. Quando avevo incominciato a scrivere per riviste specialistiche il termine coscienza era quasi tabú all'interno del dibattito scientifico. Non certo un argomento. Ora invece si era guadagnato un posto accanto ai buchi neri e a Darwin, e rischiava di avere la meglio anche sui dinosauri. Procedevamo nelle nostre routine giornaliere, perché tutto il resto pareva poco chiaro. Sapevamo di aver perso slancio, tutti e due. Se non proprio l'amore, avevamo dimenticato il trucco che lo tiene in vita, e non sapevamo come entrare in argomento. Dormivamo nello stesso letto, ma senza toccarci. Usavamo lo stesso bagno, ma non ci vedevamo mai nudi. Affettavamo una meticolosa disinvoltura, consapevoli che ogni passo falso, ogni cortese freddezza, ad esempio, sarebbe bastata a smascherare l'enigma e a trascinarci dentro quel conflitto che tanto ci premeva di evitare. Quello che un tempo ci era sembrato naturale, come far l'amore o parlare per ore o stare insieme in silenzio, adesso sembrava artificioso e forzato almeno quanto il cronometro da marina Numero 4 di Harrison, altrettanto impossibile e anacronistico da ricreare. Quando la guardavo spazzolarsi i capelli o chinarsi per raccogliere un libro, mi ricordavo della sua bellezza come di un dato acquisito sui libri e imparato a memoria. Come di un fatto vero, ma di nessuna rilevanza immediata. Ed ero anche in grado di ricostruire me stesso nello sguardo di lei: un testadicazzo grande e grosso, spinto ad agire da impulsi biologici, un polipo di dimensioni gigantesche e dalle capacità logiche mediocri con il quale si fosse trovata a dividere la vita per sbaglio. Quando le parlavo, sentivo il tono della mia voce farsi piatto e incolore dentro la testa, e non solo ogni frase, ma ogni singola parola, mi suonava falsa. Una collera muta, un'impalpabile coltre di disprezzo per me stesso, ecco i miei elementi, il mio emblema. | << | < | > | >> |Pagina 166Eravamo sdraiati in silenzio ormai da dieci minuti. Lei stava sul fianco sinistro e mi pareva di sentire l'andamento giambico del suo ritmo cardiaco attraverso il cuscino. O forse era il mio. Era lento ed ero sicuro che stesse rallentando ancora. Non c'era alcuna tensione in questo silenzio. Ci guardavamo negli occhi e il nostro sguardo si spostava pacato sui lineamenti dell'altro, dagli occhi alle labbra, dalle labbra agli occhi. Era come un lungo e pigro cammino a ritroso nella memoria e, col passare dei minuti senza che nessuno dei due profferisse parola, il processo di guarigione assumeva sempre piú forza. Di sicuro la forza d'inerzia del nostro amore, le ore, le settimane, gli anni armoniosamente trascorsi insieme, erano piú potenti delle mere contingenze attuali. L'amore non era forse in grado di produrre le sue stesse riserve d'affetto? L'ultima cosa da fare adesso, pensavo, era cedere al gioco del paziente ascolto e delle spiegazioni. La psicologia spicciola si aspetta troppo dalla pratica della verbalizzazione dei problemi. I conflitti sono come organismi viventi: hanno una loro durata naturale. Il trucco consisteva nel sapere quando lasciarli morire. Usate al momento sbagliato, le parole potevano funzionare come scosse fibrillatorie. E allora la creatura poteva tornare in vita in forma patogena, artificiosamente rigenerata da una nuova, interessante formulazione del caso, o da chissà quale morbosa «freschezza» di approccio. Spostai la mano e aumentai appena la pressione delle dita sul braccio di lei. Le sue labbra si schiusero in uno scollamento sensuale accompagnato dal suono morbido di una consonante occlusiva. Non dovevamo far altro che guardarci negli occhi e ricordare. Per far l'amore e tutto il resto c'era tempo. Le labbra di Clarissa pronunciarono il mio nome, senza emettere un suono, nemmeno un respiro. Non riuscivo a staccarle lo sguardo dalla bocca. Morbida, così ricca di colore naturale. Il rossetto è stato inventato perché le donne possano vantare un pallida imitazione di labbra come queste. - Joe... - disse ancora la bocca. C'era un'altra ragione per la quale non avremmo dovuto parlare adesso, e cioè che cosí facendo ci saremmo ridotti ad accogliere Parry in camera con noi, nel nostro letto.| << | < | > | >> |Pagina 173Stavo cercando di mettere insieme un dossier di minacce e, benché non ci fosse un solo esempio diretto, comparivano allusioni e salti logici il cui effetto cumulativo non poteva sfuggire alla mente di un poliziotto. Ci sarebbe voluta l'abilità critica di una come Clarissa per leggere fra le righe delle dichiarazioni d'amore di Parry, ma da lei sapevo di non potermi aspettare alcun aiuto. Dopo circa un'ora mi resi conto che era un errore insistere nella ricerca di espressioni di aperta denuncia o di delusione: da me era partito tutto, ero io a lanciargli i segnali, a tenerlo sulla corda con false promesse, a rimangiarmi l'impegno di andare a stare con lui. Sul momento quelle affermazioni erano sembrate intimidatorie, ma col senno di poi apparivano solo patetiche. Le minacce vere, incominciavo a capire, erano altrove, là dove interrompeva la descrizione di quanto si sentisse solo in mia assenza, per ricordare di quando a quattordici anni era stato in campagna da uno zio. Parry si faceva prestare un fucile calibro 22 e poi andava a caccia di conigli. Quell'andare furtivo costeggiando le siepi, con tutti i sensi in stato di allerta, completamente concentrato sul gesto da compiere, era questo il genere di solitudine che prediligeva. Il racconto sarebbe stato piuttosto innocuo, se non ci avesse messo tanto trasporto nella rievocazione del piacere provato uccidendo «il potere della morte affidato a un gesto delle mie dita, Joe, un potere a distanza. Io posso! Posso!, pensavo.| << | < | > | >> |Pagina 182L'espressione era «in due posti contemporaneamente», e il ricordo si riferiva a un mattino presto. L'avevo lasciata dormire ed ero sceso in cucina a mettere su il tè. Probabilmente avevo raccolto la posta dal pavimento dell'ingresso e avevo selezionato i biglietti d'auguri per sistemarli sopra il vassoio. Mentre aspettavo che il bollitore fischiasse, diedi un'occhiata all'intervento radiofonico che dovevo registrare nel pomeriggio. Lo ricordo bene, perché ho adoperato quel materiale in seguito, per il primo capitolo di un libro. Era possibile che la fede avesse una base genetica, o era solo un conforto pensarlo? Se la fede garantiva un vantaggio selettivo, i mezzi per dimostrarlo potevano essere innumerevoli quanto inefficaci. Supponiamo che la religione conferisca prestigio, soprattutto alla casta sacerdotale: ecco una serie di vantaggi sociali. E se avesse sprigionato forza nelle avversità, quel potere di consolazione, la speranza di sopravvivere al disastro che avrebbe annientato l'uomo senza dio? Forse offriva ai fedeli delle convinzioni ardenti, la forza bruta che deriva dall'ottusità.Forse funzionava tanto sul gruppo quanto sul singolo individuo, rafforzando la coesione e l'identità, oltre alla sensazione di essere, insieme ai compagni di fede, nel giusto anche quando, per non dire soprattutto, si era nel torto. Dio è con noi. Sostenuti da un delirio di unità, armati delle piú orrende certezze, si cala in massa sulla tribú confinante, la si devasta e violenta a morte e ci si ritira nell'ardore della propria rettitudine e nell'ebbrezza della vittoria voluta e promessa da Dio. Ripetete il fenomeno cinquantamila volte nel corso dei millenni, ed ecco che il complesso sistema genetico che controlla una convinzione infondata ha buone probabilità di diffondersi. Entravo e uscivo con la mente da queste riflessioni. Poi il bollitore fischiò e mi dedicai al tè. La sera prima Clarissa si era fatta un'unica treccia che aveva fermato con un nastrino di velluto nero. Quando entrai in camera con il vassoio del tè e i biglietti d'auguri e il giornale, lei era seduta sul letto che si scioglieva i capelli e li scuoteva con la mano. Stare a letto con la persona che ami è una gran bella cosa, ma tornare al tepore che il corpo di lei ha accumulato per tutta una notte, è dolcissimo. Facemmo un brindisi a base di tè leggemmo i biglietti d'auguri e passammo alle coccole di compleanno. Clarissa pesa trentacinque chili meno di me e qualche volta le piace mettersi sopra. Si raccolse le lenzuola intorno come lo strascico di una sposa e mi si mise a cavalcioni con aria assonnata. Quella mattina stavamo facendo un gioco. Io stavo sdraiato supino fingendo di leggere il giornale. Mentre lei mi prendeva dentro di sé e gemeva, si contorceva e fremeva, io facevo finta di niente, sfogliavo il giornale e aggrottavo la fronte per concentrarmi sull'articolo che mi stava davanti. Sentirsi ignorata le procurava un legero brivido masochistico: nessuno la notava, era come se non ci fosse. Annichilimento! Poi si concesse il piacere opposto di distruggere la mia concentrazione, di trascinarmi lontano dalle frenesie del mondo pubblico fino agli abissi di quelle regioni nelle quali era lei sovrana assoluta. Adesso ero io quello da cancellare e, insieme a me, tutto ciò che non era lei. | << | < | > | >> |Pagina 280 [ fine libro ]... Indietro non si torna, Joe! Ora che sei Suo, sei anche mio! Tanta felicità quasi mi imbarazza. Sono destinato a essere un recluso. Ci sono sbarre alle finestre; il reparto è chiuso a chiave di notte; trascorro le giornate in compagnia di idioti che sbavano, gemono e si trascinano, mentre quelli che non si trascinano, sono violenti da contenzione. Il personale, specie gli infermieri maschi, è composto da bruti che dovrebbero essere internati a loro volta, ma che in qualche modo sono riusciti a passare dall'altra parte. C'è fumo di sigarette, finestre che non si aprono, odore di urina, la Tv sempre accesa. E il mondo che ti ho descritto migliaia di volte. Dovrei lasciarmi travolgere. E invece sono piú determinato che mai. Non mi sono mai sentito tanto libero. Sono al settimo cielo, Joe, sono tanto felice! Se avessero saputo quanto sarei stato bene qui dentro, mi avrebbero lasciato uscire. Devo smettere di scrivere perché sento il bisogno di abbracciarmi. Giorno dopo giorno guadagno la nostra felicità, e non mi importa se ci vorrà un'intera vita. Mille giorni: questa è la mia lettera di conpleanno per te. Lo sai già, ma devo ripetertelo ancora: ti adoro. Vivo per te. Grazie del tuo amore, grazie della tua accoglienza, grazie della gratitudine che mi porti per cio che sto facendo. Mandami presto un altro messaggio e ricorda: la fede è gioia. |