Autore Ian McEwan
Titolo Nel guscio
EdizioneEinaudi, Torino, 2017, Supercoralli , pag. 178, cop.rig.sov., dim. 14x22,3x1,8 cm , Isbn 978-88-06-23274-0
OriginaleNutshell [2016]
TraduttoreSusanna Basso
LettoreAngela Razzini, 2017
Classe narrativa inglese












 

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Pagina 3

Uno


Dunque eccomi qui, a testa in giú in una donna. Braccia pazientemente conserte ad aspettare, aspettare e chiedermi dentro chi sono, dentro che guaio mi sto per cacciare. Mi si chiudono gli occhi di nostalgia al ricordo di quando fluttuavo libero nel mio sacco opalescente, a spasso dentro la bolla sognante dei miei pensieri, tra capriole al ralenti in un oceano privato, e delicate carambole contro i confini trasparenti della mia prigione, quella membrana sicura che, pur attutendole, vibrava insieme alle voci di cospiratori intenti a una macchinazione odiosa. Succedeva nella spensierata stagione della mia giovinezza. A questo punto, ormai completamente capovolto, con le ginocchia schiacciate al petto e senza alcun margine di movimento, non ho soltanto la testa impegnata ma anche tutti i pensieri. Non ho piú scelta, un orecchio è premuto giorno e notte contro le pareti irrorate di sangue. Ascolto, prendo appunti mentali, e mi preoccupo. Tra le lenzuola sento discorsi efferati e mi agghiaccia il terrore di quel che mi aspetta, di quel che potrebbe compromettermi.

Immerso nelle astrazioni, posso contare solo sui loro proliferanti legami a catena per crearmi l'illusione di un mondo noto. Sento dire «azzurro», che non ho mai visto, e immagino un evento mentale non molto lontano da «verde», che a sua volta non ho mai visto. Mi reputo un innocente, dispensato da obblighi di lealtà e doveri, uno spirito libero, a dispetto dell'esiguità del mio spazio vitale. Nessuno che mi contraddica o rimproveri, nessun nome, nessun precedente indirizzo, niente fede religiosa, niente debiti, nessun nemico. Sulla mia agenda, se ne avessi una, sarebbe segnata unicamente la data della mia incipiente nascita. Sono, o ero, checché ne dica la genetica contemporanea, una tabula rasa, una lavagna intatta. Ma di pietra troppo liscia, o troppo porosa, inadatta a qualunque aula scolastica, a qualsiasi tetto di campagna, una tabula che, crescendo, si scrive da sé, facendosi, giorno dopo giorno, un po' meno rasa. Mi reputo un innocente, ma a quanto pare sono parte di un complotto. Mia madre, che il cielo benedica il suo rumoroso cuore instancabile e pompante, sembra sia coinvolta.

Ho detto sembra, madre? No, è. Sei. Sei coinvolta. Lo so, fin dal principio. A proposito, lascia che lo richiami alla memoria, quel momento di creazione sopraggiunto in concomitanza con il mio pensiero primigenio. Tanto tempo fa, ormai molte settimane orsono, il mio solco neurale si chiuse su se stesso per dare origine al sistema nervoso, e miliardi di giovani neuroni alacri come bachi da seta presero a filare e tessere le proprie diramazioni assoniche nella formidabile tela aurea della mia prima idea, un concetto di tale semplicità che ora in parte mi sfugge. Sarà stato me? Troppo egocentrico. Adesso, forse? No, eccessivamente teatrale. Allora, qualcosa che preceda entrambi i concetti, comprendendoli, una sola parola mediata da un sospiro della mente, un deliquio di accettazione, di pura essenza, qualcosa come... questo? Troppo sofisticato. Dunque, piú probabilmente, la mia idea fu Essere. O, in alternativa, la sua variante grammaticale: è. Eccola, la mia primigenia nozione, ed ecco il punto: è. Tutto qui. In uno spirito analogo a quello dell' Es muss sein. Il principio della vita cosciente coincise con la fine dell'illusione, l'illusione del non-essere, e l'esplosione del reale. Il trionfo del realismo sul magico, di ciò che è su ciò che pare. Mia madre è coinvolta in un complotto e di conseguenza lo sono anch'io, anche se il mio ruolo potrebbe essere quello di sventarlo. Oppure, se dovessi giungere al dunque in ritardo, da quell'allocco esitante che sono, almeno di fare vendetta.

Ma non intendo lagnarmi della mia buona sorte. Ho saputo sin dall'inizio, da quando ho scartato il dono della coscienza dal dorato involucro in cui era avvolta, che sarei potuto venire al mondo in un luogo peggiore e in tempi di gran lunga piú tetri di questi. Lo stato generale delle cose mi è piú che chiaro, e rende, o dovrebbe rendere trascurabili i miei problemi privati. C'è non poco di cui essere lieti. Sto per ereditare una condizione di modernità (igiene, vacanze, anestetici, lampade da tavolo, arance in pieno inverno) e per abitare un angolo privilegiato del pianeta: la ben nutrita, bonificata, occidentale Europa. L'antica leggendaria Europa, decrepita, relativamente garbata, infestata dai propri fantasmi, vulnerabile ai prepotenti, poco sicura di sé, traguardo di milioni di sventurati. La mia residenza prossima ventura non sarà l'opulenta Norvegia, cui era andata la mia prima scelta in considerazione del gigantesco fondo sovrano e di una munifica assistenza pubblica, e nemmeno la seconda opzione, cioè l'Italia, in virtú della cucina regionale e delle rovine baciate dal sole, ma neppure la terza, la Francia, per il suo Pinot Noir e la sua spavalda autostima. Erediterò invece il regno tutt'altro che unito di una stimata anziana regina, un posto nel quale un principe-imprenditore, noto per le sue opere buone, i suoi elisir (olio essenziale di cavolfiore per depurare il sangue) e le sue ingerenze incostituzionali, attende irrequieto il trono. Casa mia sarà questa, e mi andrà bene cosí. Poteva toccarmi di venire al mondo in Corea del Nord, un altro posto dove la successione non si contesta ma la libertà e il cibo scarseggiano.

Come è possibile che io, neppure giovane, neppure nato ieri, sappia già quanto basta per sbagliarmi su tante cose? Beh, ho le mie fonti, io ascolto. Mia madre Trudy, quando non sta insieme al suo amico Claude, ama la radio e predilige i dibattiti alla musica. Chi mai, agli albori della rete, avrebbe potuto presagire l'inarrestabile rinascita della radio, o il recuperato impiego di un termine arcaico come «wireless»? Oltre il chiassoso sciaguattare di stomaco e intestino, sento i notiziari, scaturigine di qualsiasi brutto sogno. Guidato da un autolesionismo implacabile, non mi perdo una sillaba di qualunque indagine e qualunque polemica. Le repliche orarie e i sommari ogni trenta minuti non mi annoiano mai. Sopporto perfino le notizie dal mondo della Bbc, con quei puerili squilli di tromba e trilli di xilofono sintetici fra un servizio e l'altro. A metà di una lunga nottata tranquilla, a volte assesto a mia madre un calcione violento. Lei si sveglia, non riesce piú a prendere sonno, e allora accende la radio. Uno scherzo crudele, lo so, ma la mattina siamo tutti e due piú informati.

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Io resto sveglio, ascolto, imparo. Questa mattina presto, a meno di un'ora dalle prime luci, l'argomento si è fatto piú pesante. Attraverso le ossa di mia madre, ho registrato un brutto sogno travestito da solenne conferenza. Lo stato del mondo. Un'esperta di relazioni internazionali, una donna equilibrata dalla bella voce fonda, mi ha comunicato che il pianeta non è in buona salute. Ha preso in esame due prospettive molto diffuse: il vittimismo e l'aggressività. Entrambe, scelte poco felici per i singoli individui. In abbinata poi, per gruppi o per nazioni, un fermentato tossico che solo di recente ha ubriacato i russi in Ucraina, come in precedenza era accaduto ai loro amici serbi nelle loro terre. Siamo stati offesi, ora mostriamo al mondo chi siamo. Ora che il governo russo è il braccio politico della criminalità organizzata, un'altra guerra in Europa ha smesso di risultare inconcepibile. Ora che si rispolverano le divisioni corazzate lungo il confine meridionale della Lituania, e il bassopiano germanico. Lo stesso intruglio che infiamma le frange barbariche dell'Islam. La coppa è prosciugata, si leva ovunque l'identico grido: siamo stati umiliati, ci vendicheremo.

La relatrice ha mostrato di avere una visione piuttosto fosca della nostra specie nella quale rintracciava una costante percentuale di psicopatici, una costante umana. Le lotte armate, per cause giuste o meno, li attraggono. Perciò danno una mano a trasformare scaramucce locali in conflitti piú ampi. L'Europa, a suo giudizio in piena crisi esistenziale, debole e litigiosa, cova nazionalismi compiaciuti che sorseggiano la stessa buona birra. Confusione di valori, il bacillo dell'antisemitismo in eterna incubazione, le moltitudini dei migranti esauste, inferocite, stanche. Altrove, in ogni dove, inedite ineguaglianze economiche, con i super ricchi assurti a razza dominante a parte. L'ingegno impiegato dagli stati per escogitare nuove geniali armi distruttive, dalle corporazioni internazionali per eludere il sistema fiscale, da virtuosi istituti di credito per ammassare milioni come fosse sempre Natale. La Cina, troppo grande per avere bisogno di amici o di pareri, che va cinicamente esplorando le coste dei vicini, inventando isole di sabbia tropicale, e preparandosi alla guerra che sa ineluttabile. I paesi a maggioranza musulmana infestati dal fanatismo religioso, dal malessere sessuale, dalla creatività repressa. Il Medio Oriente, reattore veloce di un possibile conflitto mondiale. E ancora, nemici di comodo, gli Stati Uniti, difficilmente identificabili come la speranza del pianeta, colpevoli di torture, impotenti dinanzi al loro stesso testo sacro concepito in tempi di parrucche incipriate, una costituzione insondabile quanto il Corano. Abitati da un popolo irritabile, obeso, spaventato, preda di una collera inarticolata, sprezzante dell'autorità, pronto ad assassinare il sonno a ogni nuova pistola. E l'Africa che ancora ha da imparare il segreto della democrazia, vale a dire il pacifico passaggio di mano del potere. L'Africa, coi suoi bambini che muoiono a migliaia, settimana dopo settimana, per mancanza di beni elementari: acqua pulita, zanzariere, farmaci da poco. Infine, a livellare e fondere l'intera umanità, il vecchio tormentone del mutamento climatico, della deforestazione, della scomparsa dei ghiacci polari e di alcune specie. Le colture agricole dannose e redditizie che stanno cancellando la bellezza biologica. L'aumento dell'acidità degli oceani. In rapida avanzata all'orizzonte, il crescente urinario tsunami di vecchi cancerosi e dementi che pretendono cure. E presto, in seguito alla transizione demografica, il suo opposto, il catastrofico declino di certe popolazioni. La libertà di parola non piú garantita, la democrazia liberale non piú ovvio porto di destinazione, robot che rubano posti di lavoro, la libertà individuale in rotta di collisione con la sicurezza, il socialismo in disgrazia, il capitalismo corrotto, rovinoso e non meno in disgrazia, nessuna alternativa in vista.

Per concludere, ha detto, questi disastri sono il frutto della nostra duplice natura. Ingegnosa e infantile. Abbiamo costruito un mondo troppo pericoloso e complesso per poterlo governare con il nostro temperamento attaccabrighe. In simili condizioni disperate, cederemo alla deriva del sovrannaturale. Si fa sera in questa seconda Età della Ragione. Siamo stati magnifici, ma ormai è finita. Una ventina di minuti. Clic.

In preda all'ansia, giocherello col mio cordone ombelicale. Mi fa da scacciapensieri. Un momento, ho pensato. Visto che devo ancora incominciare, perché prendersela con ciò che è infantile? Ho sentito abbastanza discorsi simili per aver imparato a chiamare a raccolta le controargomentazioni. Il pessimismo è una scelta troppo facile, per non dire deliziosa, stemma e cimiero di intellettuali di ogni latitudine. Assolve le classi dei pensatori dal compito di trovare soluzioni. Ci entusiasmiamo per le piú fosche previsioni proposte da opere teatrali, poesie, romanzi, film. E adesso, pure dai programmi radiofonici. Perché dare credito a questa lettura del mondo, quando l'umanità non è mai stata cosí ricca, sana e longeva? Quando si muore meno in guerra e partorendo, il sapere è aumentato, e la verità scientifica non è mai stata tanto accessibile? Quando non passa giorno senza che sboccino amorevoli campagne di solidarietà per bambini, animali, religioni straniere, sconosciuti forestieri di paesi lontani? Quando si contano a centinaia di milioni le persone riscattate da una vita di mera sussistenza? Quando, nel mondo occidentale, anche i mediamente poveri occupano comode poltrone, deliziati dall'ascolto della musica mentre navigano su scorrevoli autostrade a una velocità pari a quattro volte quella di un cavallo lanciato al galoppo? Quando vaiolo, polio, colera, morbillo, alta mortalità infantile, analfabetismo, esecuzioni pubbliche nonché la tortura come prassi sono stati banditi da moltissimi paesi? Tutte sciagure che fino a ieri erano diffuse ovunque. Quando pannelli solari, parchi eolici, energia nucleare e altre invenzioni ancora poco note potranno traghettarci oltre gli scarichi di anidride carbonica, mentre le colture geneticamente modificate salveranno noi dal pericolo devastante degli agenti chimici e i piú poveri dalla fame? Quando il processo planetario di migrazione verso le grandi metropoli restituirà ampie aree di territorio alla natura incontaminata, abbasserà il tasso di crescita demografica e trarrà le donne in salvo dall'ignoranza del patriarcato rurale? E che dire dei miracoli quotidiani che oggi farebbero di un qualunque manovale l'oggetto dell'invidia di Cesare Augusto: odontoiatria al riparo dal dolore fisico, illuminazione elettrica, contatto immediato con i nostri cari, insieme al lusso della miglior musica del mondo e alla cultura gastronomica di dozzine di paesi? Siamo pieni di privilegi e di piaceri, non meno che di rimostranze, e chi ancora non lo è si appresta a diventarlo. Quanto ai russi, non si diceva lo stesso anche della Spagna cattolica? Paventavamo lo sbarco delle armate di Spagna sulle nostre spiagge. Ma, come tante altre cose, non è successo. La faccenda fu risolta con qualche colpo di cannone e una tempesta provvidenziale che trascinò la flotta iberica in punta alla Scozia. Saremo sempre angosciati dalla realtà circostante: è il prezzo da pagare per il complicato dono della coscienza.

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John Cairncross sembra contento di consegnare sua moglie a Claude Cairncross. E questo scatena la reazione di mia madre, convinta che rottamazioni e passaggi di mano siano di sua esclusiva competenza. Potrebbe voler negare Elodie a mio padre. Potrebbe volergli negare la vita stessa. Ma forse mi sbaglio. Mio padre, l'uomo che recita poesie in biblioteca, che sembra far tesoro di ogni secondo in presenza di mia madre, che le permette di buttarlo in strada. (Adesso va'!) Non posso fidarmi delle mie impressioni. Non c'è niente che torni.

Ora come ora comunque non c'è tempo di pensare. John si è alzato in piedi, e incombe su di noi, bicchiere in mano, vacillando appena, pronto a fare un discorso. Silenzio, tutti quanti.

- Trudy, Claude, Elodie, forse sarò breve e forse no. Che cosa importa? Voglio dire una cosa. Quando un amore finisce e un matrimonio è a pezzi, la prima vittima è la memoria sincera, l'onesta, imparziale rievocazione del passato. Troppo scomodo, troppo in conflitto con il momento presente. E il fantasma dell'antica felicità al banchetto della rovina e della devastazione. Ecco perché, per contrastare il vento della dimenticanza, ci tengo ad accendere la mia modesta candela di verità e vedere quanto lontana arriva la sua luce. Quasi dieci anni fa, sulla costa dalmata, in un alberghetto senza vista sul mare, in una stanza circa otto volte piú piccola di questa e in un lettuccio non piú largo di un metro, Trudy e io ci tuffammo di testa nell'amore, nell'estasi, nell'abbandono reciproco, in una gioia e una pace a perdita d'occhio, senza tempo, indicibile a parole. Voltammo le spalle al mondo per inventarne e costruirne uno tutto nostro. Ci eccitavamo a vicenda fingendoci violenti, per poi viziarci e coccolarci come due bambini; escogitavamo soprannomi, creando una nostra lingua privata. Vivevamo al di là dell'imbarazzo. Ci davamo, ci prendevamo e ci permettevamo ogni cosa. Eravamo eroici. Convinti di aver raggiunto vette che nessun altro, nella vita come nella poesia, avesse mai toccato. Il nostro amore era talmente assoluto e puro da sembrarci un principio universale. Era un sistema etico, un modo di rapportarsi agli altri cosí elementare da essere stato in qualche modo trascurato. Quando ci coricavamo faccia a faccia su quel lettino e ci guardavamo dritto negli occhi chiacchierando, ci mettevamo letteralmente al mondo. Lei mi prendeva le mani e me le baciava e per la prima volta in vita mia non erano piú motivo di vergogna. Le nostre rispettive famiglie, che ci descrivevamo nel dettaglio, finalmente assumevano un senso anche per noi. Le amavamo di un amore irruente, a dispetto di tutte le difficoltà del passato. Lo stesso valeva per i nostri migliori, e piú importanti amici. Riuscivamo a redimere chiunque conoscessimo. Il nostro amore militava per il bene del pianeta. Trudy e io non avevamo mai parlato né ascoltato con altrettanta attenzione. Il nostro fare l'amore era l'estensione dei nostri discorsi, e viceversa.

Quando fini la settimana e tornammo per sistemarci qui in casa mia, l'amore prosegui per mesi, anni. Sembrava che niente mai potesse ostacolarlo. Perciò, prima di dire altro, lasciatemi brindare a quell'amore. Possa non essere mai negato, dimenticato, travisato o archiviato come un'illusione. Al nostro amore. È successo. È stato vero.

Sento un mormorio di assenso inquieto e riluttante e, piú vicino a me, sento mia madre deglutire a fatica prima di fingere di unirsi al brindisi. Credo che non abbia gradito quel «casa mia».

- Ora, - prosegue mio padre, abbassando la voce, come se entrasse in un'agenzia di pompe funebri, - quell'amore ha completato la sua corsa. Non è mai sprofondato nella mera routine, mai diventato un baluardo contro la vecchiaia. È morto di una morte tragica e improvvisa, come si conviene agli amori di quella portata. È calato il sipario. Fine. E io sono contento. È contenta Trudy. E cosí pure tutti quelli che ci conoscono: contenti e sollevati. Ci fidavamo l'uno dell'altra, adesso non piú. Ci amavamo, adesso Trudy mi è insopportabile quanto io lo sono a lei. Tesoro, faccio fatica perfino a guardarti. Ci sono state occasioni in cui avrei potuto strangolarti. Mi è capitato di sognare che ti stringevo forte i pollici contro le arterie carotidi ed ero felice. So che per te è lo stesso. Ma bando ai rimpianti. Rallegriamoci, invece. Sono proprio questi i sentimenti cupi di cui abbiamo bisogno per ritrovare la nostra libertà, per poter rinascere a nuova vita e a nuovi amori. Elodie e io abbiamo trovato un amore che ci terrà legati per il resto delle nostre esistenze.

- Aspetta, - dice Elodie. Penso che tema la tendenza di mio padre a diventare indelicato.

Lui però non si lascia interrompere. - Trudy, Claude, sono felice per voi. Vi siete trovati nel momento perfetto. E nessuno potrà mai negare che vi meritiate a vicenda.

Questo è un insulto bell'e buono, sebbene mio padre lo pronunci con imperturbabile sincerità. Unirsi a un uomo al tempo stesso insulso e sessualmente vigoroso come Claude costituisce un destino complesso. Suo fratello ne è consapevole. Ora zitti, però. Non ha finito di parlare.

- Occorre prendere accordi. Ci saranno scontri, tensioni. Lo schema generale però è semplice, per nostra fortuna. Claude, tu hai la bella casa grande a Primrose Hill, e tu, Trudy, ti ci puoi trasferire. Io invece riporto un po' di roba qui, domani stesso. Appena ve ne sarete andati e i decoratori avranno finito i lavori, Elodie verrà a stare con me. Suggerisco di non frequentarci per circa un annetto, poi vedremo. Per il divorzio non dovrebbero esserci complicazioni. La cosa fondamentale è ricordarsi di essere sempre ragionevoli e civili e non scordare la fortuna che abbiamo avuto di trovare un altro amore. Ok? Bene. No, no, non vi disturbate ad accompagnarci. Conosciamo la strada. Trudy, se sei in casa, ci vediamo domani, verso le dieci. Non mi fermo molto - devo andare subito a St Albans. A proposito, ho trovato la chiave.

Sento una sedia spostarsi, si è alzata Elodie. - Un momento, cioè, posso dire qualcosa anch'io, adesso?

Mio padre è cordiale ma fermo. - Del tutto fuori luogo.

- Ma...

- Su, meglio che andiamo, ora. Grazie del vino.

Qualcuno si schiarisce la gola, e subito dopo i passi si allontanano dalla cucina verso le scale.

Mia madre e il suo amante restano seduti in silenzio mentre li ascoltiamo andare via. Sentiamo la porta che si chiude con un rumore epidittico, definitivo. Un punto fermo. Trudy e Claude sono sbalorditi. Io, sottosopra. Che ruolo occupavo nell'orazione di mio padre? Quello del morto. Sepolto a testa sotto in una tomba incassata tra le viscere della sua detestata sposa. Non un accenno, nemmeno in un inciso, neppure liquidato come cosa irrilevante. «Circa un annetto» deve passare prima che il mio salvatore mi veda. Ha reso onore a una memoria onesta e di me si è dimenticato. Precipitandosi verso la propria nuova nascita, ha obliterato la mia. Padri e figli. Una volta ho sentito queste parole e non me le scordo piú. Che cosa mai li congiunge in natura? Un istante di cieca foia.

Ipotesi. Si è trasferito a Shoreditch per avere un posto dove invitare Elodie. Ha liberato la villa per dare modo a Claude di traslocare e a se stesso di buttare fuori Trudy. Quelle visite apprensive, le poesie appassionate, perfino la chiave smarrita erano finte, espedienti per far sentire Trudy piú sicura con Claude, per avvicinarli.

Claude si versa altro vino. Date le circostanze è un conforto sentirlo attingere con stolida precisione alla piú vacua delle riflessioni possibili.

- Ma pensa te...

Trudy non apre bocca per mezzo minuto. Quando lo fa, pronuncia parolé biascicate ma dall'intento molto chiaro.

- Lo voglio morto. E deve essere domani.

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