Autore Ian McEwan
Titolo Il mio romanzo viola profumato
EdizioneEinaudi, Torino, 2018, L'Arcipelago 237 , pag. 56, cop.fle., dim. 12,2x18,2x0,6 cm , Isbn 978-88-06-23913-8
OriginaleMy Purple Scented Novel [2016] - The Self [2018]
TraduttoreSusanna Basso
LettoreAngela Razzini, 2018
Classe narrativa inglese












 

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Indice


    1   Il mio romanzo viola profumato

   25   L'io


   51   Riferimenti bibliografici



 

 

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Pagina 3

Del mio amico, il romanziere Jocelyn Tarbet, un tempo celebrato, avrete sentito parlare, ma sospetto che il ricordo di lui cominci a sbiadire. Gli anni possono essere implacabili con la gloria. È probabile che mentalmente associate il suo nome a uno scandalo ormai semidimenticato, una vicenda incresciosa. Di me, di Parker Sparrow, romanziere un tempo oscuro, non avevate invece mai sentito parlare prima che il mio nome venisse collegato pubblicamente al suo. Come i due estremi di un dondolo, i nostri nomi rimangono inseparabili per un esiguo manipolo di bene informati. La sua ascesa ha coinciso, pur non essendone causa, con il mio declino. Il suo successivo tramonto è stato il mio trionfo terreno. Non nego che siano stati commessi degli illeciti. Ho rubato una vita e non intendo restituirla. Siete liberi di considerare le poche pagine che seguono come una confessione.

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Pagina 25

L'io



Un paio d'anni fa mi trovavo a Venezia in piazza San Marco seduto davanti a una tazza di caffè e osservavo il passaggio di migliaia di turisti come me. Quasi tutti avevano un apparecchio fotografico. A decine scattavano foto non già del Palazzo Ducale tanto splendidamente descritto da John Ruskin, bensí di se stessi davanti a quel palazzo. Tenevano i cellulari il piú lontano possibile o si facevano aiutare da appositi estensori. Le meraviglie di Venezia non erano complete senza la testimonianza di un io in mezzo a loro. Guardatemi, sono qui. Molti tra quei turisti, specie i piú giovani, sarebbero andati su Facebook il giorno stesso per far conoscere al mondo le gesta dei loro insostituibili, specialissimi io. Quanto al sottoscritto, a mia volta avevo trascorso la mattinata a contemplare autoritratti del XVI e XVII secolo, in svariati musei. Che cos'è dunque un io, un'entità biologica incontrovertibile o per certi versi invece un prodotto culturale, affinato dall'arte e dalla letteratura in modo particolare?

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Pagina 36

[...] C'è una breve strofa di Philip Larkin sulla fine di una relazione che ben ci illustra l'idea di un'interiore camera di consiglio.
        Poiché la maggioranza di me
        Si oppone alla maggioranza di te,
        Il dibattito si chiude seduta stante, e
        Ci separiamo.

Che valutiamo tali voci come un'autentica molteplicità di io o come il prodotto di un io unico, abile come un attore provetto nell'interpretare persone diverse, risulta, a conti fatti, una questione di scelta personale. Si tratta del nostro panorama mentale da allestire al meglio delle possibilità.

[...]


Il cervello umano anatomicamente moderno, in tutta la sua gloria cognitiva, assilla il pianeta da appena duecentomila anni, o forse molto meno. Da certe fratture craniche e altri traumi ossei, sappiamo che i primi esseri umani conducevano esistenze violente. L'aspettativa di vita era inferiore ai venticinque anni. Non possiamo tuttavia sapere nulla riguardo alle esperienze private delle schiere di morti che si sono accumulate alle nostre spalle se non il poco che qualcuno ha deciso di mettere per iscritto. Per questo abbiamo dovuto aspettare l'avvento dei mezzi di trasmissione culturale, e l'invenzione della scrittura che risale ad appena cinquemila anni orsono.

L'esperienza privata non era un'istanza urgente per gli scrittori del passato. La decodifica dei nostri testi piú antichi - Sumeri, Babilonesi, Egizi - ci consegna codici legali, elogi di sovrani, eroi e divinità, dottrine religiose, perizie commerciali, osservazioni astronomiche, cronache di alluvioni, siccità, guerre, raccolti. La scrittura cuneiforme non ci concede neppure uno sguardo di sfuggita sulla rappresentazione di una soggettività. In un certo senso non sappiamo praticamente nulla della vita interiore degli antichi Egizi.

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Pagina 40

Simili punti di luce, momenti di rivelazione soggettiva, si trovano sparsi qua e là in tutti i secoli premoderni. Non permettete ai teorici di raccontarvi che l'io non esiste prima del XVIII secolo. Esiste in Marco Aurelio, Virgilio, in Catullo e Lucrezio, in Dante, nelle Note del guanciale di Sei Shōnagon, quando la narratrice, con una punta di particolare dispetto, osserva: «È anche deludente comporre una poesia che riteniamo molto bella e inviarla a una persona, senza riceverne una in risposta». In Chaucer come in Petrarca e in altri innumerevoli poeti. Ma si tratta di attimi, giusto un paio di versi eccezionali che portano alla ribalta la vita interiore. L'io certamente esisteva, ma ancora non era un soggetto adatto alla letteratura. Si potrebbe in questo senso immaginare un compendio semplificato della letteratura come la storia di una costante espansione di temi e soggetti accettabili.

Occorre aspettare l'inizio dell'era moderna per imbatterci in un'indagine sistematica dell'io. Come nel mese di maggio può capitare, osservando un prato, di accorgersi che certe piante raggiungono la piena fioritura prima di tutte le altre, cosí nella storia della cultura alcuni individui anticipano gli altri in modo dirompente.

Il che mi conduce a Michel de Montaigne.

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Pagina 49

Anche identificando il cervello con la mente, rimaniamo sbalorditi all'idea che un io frutto di pura materia abbia saputo descrivere se stesso, che l'io insomma non sia la causa del pensiero, bensí il suo prodotto. Almeno nell'Occidente europeo, molti di noi hanno fatto ritorno a quello spazio un tempo identificato da Flaubert: dopo la morte delle divinità romane e prima dell'avvento di Cristo e il chiudersi della mente occidentale. Siamo orfani di un dio consolatorio ma anche liberi dalle sue imposizioni. Viviamo in tempi piú duri, ma piú interessanti. Possiamo radunarci in massa in luoghi turistici come piazza San Marco, armati di smartphone e pronti a scattare selfie, ma siamo soli dinanzi alla tragica impermanenza del nostro io mentre, come Amleto, affrontiamo la mortalità di questa «quintessenza di polvere».

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