Copertina
Autore Patrick McGrath
Titolo Follia
EdizioneAdelphi, Milano, 1998, Fabula 107 , Isbn 978-88-459-1360-0
OriginaleAsykum [1996]
TraduttoreMatteo Codignola
LettoreRenato di Stefano, 1998
Classe narrativa inglese
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Pagina 7 [ prima pagina ]

Le storie d'amore catastrofiche contraddistinte da ossessione sessuale sono un mio interesse professionale ormai da molti anni. Si tratta di relazioni la cui durata e la cui intensità differiscono sensibilmente, ma che tendono ad attraversare fasi molto simili: riconoscimento, identificazione, organizzazione, struttura, complicazione, e così via. La storia di Stella Raphael è una delle più tristi che io conosca. Stella era una donna profondamente frustrata, che subì le prevedibili conseguenze di una lunga negazione e crollò di fronte a una tentazione improvvisa e soverchiante. Come se non bastasse, era una romantica. Traspose la sua esperienza con Edgar Stark sul piano del melodramma, facendone la storia di due amanti maledetti che sfidano il disprezzo del mondo in nome di una grande passione. E' stata una vicenda il cui corso ha distrutto quattro vite, eppure Stella, ammesso che abbia mai provato qualche rimorso, è rimasta fedele alle sue illusioni fino alla fine. Io ho cercato di aiutarla, ma lei mi ha tenuto lontano dalla verità finché non è stato troppo tardi. Non aveva scelta.

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Pagina 46

Stella lo vedeva come una specie di adorabile canaglia. Non riusciva a contraddirlo. Non era capace di contrastarlo in nessun modo, non era possibile, perché ormai si era arresa, spingendo così a fondo l'identificazione da sentirsi incompleta senza di lui. Capiva cosa stava succedendo, si stava innamorando, e non voleva fermarsi. Non poteva, mi disse. Per questo non si oppose al suo furto, perché aveva assunto lo stesso atteggiamento di sprezzo del pericolo di Edgar e lo aveva razionalizzato. Qualche giorno dopo, quando lui le chiese dei soldi, gli diede tutto quello che aveva nel borsellino.

Aveva perso il controllo. Non si controlla un innamoramento, mi disse, non è possibile. E la divertiva che fosse potuto accadere in questo modo, con quest'uomo. Un paziente. Un paziente che lavorava nell'orto. Stella, le dissi, non potevi fare una scelta più scriteriata. La verità, mi rispose, è che non ho scelto affatto.

A casa cercava di funzionare nel modo più normale possibile, ma era come se fosse da un'altra parte. A poco a poco, le sue giornate cominciarono a concentrarsi sul momento in cui, sempre più eccitata, aspettava al buio nel capanno del cricket di sentire gli scarponi di Edgar che si arrampicava sul muro, e da lì sul tetto della rimessa, per poi infilarsi nella finestrella e saltare sul pavimento. Poi veniva verso di lei con un sorrisetto, verso di lei che lo aspettava, pronta per lui, sulle coperte, e le si gettava addosso, e lei si perdeva completamente mentre lo cercava, mentre sentiva le sue mani forti sul suo corpo. Oh, sì, lo amava.

Chissà.

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Pagina 63

«Eri ubriaca. Perché devi bere in quel modo? Nessun altro ha bevuto tanto».

Una pausa di silenzio. Era un silenzio cupo, carico di collera e di risentimento: il silenzio di Max. Stella aveva passato il segno, e il suo modo di punirla era creare quel mostruoso silenzio, che riempiva la stanza di dolore e di rabbia. Stella si voltò dall'altra parte, lasciandosi inondare la mente dalle immagini di Edgar. Poi pianse sommessamente nel buio, perché non riusciva a non pensare, con terrore, che Jack Straffen poteva revocargli la semilibertà. Max non fece neppure il gesto di consolarla, e del resto lei non glielo avrebbe concesso. Quella sera, per la prima volta, Stella sentì che la catastrofe si avvicinava.

La giornata era calda e serena, e gli insetti ronzavano fra le rose sfiorite mentre lei andava incontro al suo amante, che intravedeva al banco da lavoro nella serra. Con lui c'era anche Charlie. Vedendola arrivare, Edgar posò gli attrezzi e si pulì le mani sul fustagno dei pantaloni. Stella aveva con sé il cestino, con dentro i guanti da giardinaggio e le cesoie. Edgar le aveva raccolto un po' di fagioli e di scarola, e un mazzo di carotine. Mentre le riempiva il cestino Stella andò a sedersi sulla panchina.

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Pagina 149

E Max? Aveva mai sentito la sua mancanza?

Mai. Stella ammise di averci pensato, naturalmente, ma senza un briciolo di rimorso, il che faceva sembrare tristemente fuori luogo la gelosia di Edgar, e il suo timore che Stella volesse tornare da lui. No, per Max non provava niente. Disse che se fosse stato un vero marito nulla di tutto questo sarebbe mai successo, lei non avrebbe sentito quel vuoto, quell'avidità, non avrebbe avuto bisogno di quello che Edgar le aveva offerto e che era stata incapace di rifiutare, anche se significava perdere tutto il resto, suo figlio, la casa, un posto nel mondo. Max adesso le sembrava una specie di morto vivente, una creatura esangue che osservava l'umanità con uno sguardo da entomologo, rinchiudendo le persone in tante bacheche con sotto la loro brava etichetta, questo è un disturbo della personalità, questo un isterico. Solo dopo averlo lasciato, mi disse, si era resa conto di quanto grande fosse il vuoto che Max aveva creato in lei. Lo odiava per questo, per averla spinta a quel parossismo di disperazione. Non sapeva che cosa ne sarebbe stato di lei, ma le sembrava di non avere altra scelta che giocarsi la partita fino in fondo.

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Pagina 293

Non sono andato in pensione come avevo in mente. Mi rimane del lavoro da fare. Edgar è ancora in isolamento; il suo atteggiamento non è migliorato. E' ancora ostile e si rifiuta di collaborare, ma cambierà, gia sento che sta cedendo; immagino abbia capito che ormai gli resto soltanto io. Non gli ho detto che Stella è morta, perché voglio prima sentire la sua versione dei fatti. Ci sono ancora troppe domande senza risposta. Max, per dirne una, è tuttora convinto che i suoi vestiti non siano stati rubati d'impulso, come raccontava Stella, ma che sia stata invece lei a darli a Edgar; in altre parole, che già allora lei stesse complottando contro di noi, e fosse a conoscenza della sua intenzione di fuggire.

A pensarci bene Edgar verrà a sapere comunque della sua morte, ammesso che non lo sappia già. Questo è un istituto molto grande, e la gente parla. Soffrirà molto, e noi dovremo fare molta attenzione. Come me, come tutti noi era stato folgorato dalla sua bellezza, ma lui era andato più a fondo di noi, l'aveva idealizzata e poi aveva dovuto lottare contro il caos delle sue stesse passioni quando si era ritrovato nell'impossibilità di nutrire l'immagine che aveva creato. Penso fosse quello che inconsciamente aveva cercato di esprimere con la sua ultima opera, benché sostenesse di voler soltanto scardinare certezze, capovolgere abitudini e convenzioni visive. Non riesco a non sentirmi vicino a quelle due povere anime sconvolte, intrappolate qui nelle ultime settimane della loro vita, ciascuna a contorcersi nel suo inferno privato, ciascuna a spasimare per l'altra. So come funzionano le storie d'amore distruttive, e alla fine si arriva sempre a questo, o a qualcosa di molto simile.

Ho ripreso l'abitudine di tornare in ufficio verso sera. La polizia è stata molto comprensiva, e ora tutti i ritratti di Stella fatti nel sottotetto, e anche gli schizzi dell'orto, sono in mano mia. Hanno un tratto curiosamente incerto, e all'occhio risulta qualcosa che ricorda quella che gli italiani chiamano « morbidezza ». Ho anche la testa. L'ho fatta cuocere e colare in bronzo nero, e la tengo nel cassetto della scrivania. Edgar ci ha lavorato così ossessivamente, negli ultimi giorni in Horsey Street, e sempre a togliere, che adesso è affusolata e minuscola. E' bellissima: sottile, minuscola, angosciata... ma è lei. La tiro fuori spesso, durante il giorno, e resto a contemplarla. E così, vedete, dopotutto ho ancora la mia Stella qui con me.

E naturalmente ho lui.

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