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| << | < | > | >> |Indice9 Ringraziamenti Il cervello. Istruzioni per l'uso 13 Introduzione Dodici regole del cervello, 14 Non ci sono ricette, 16 Ritorno alla giungla, 17 21 Esercizio Regola 1: l'esercizio fisico potenzia il cervello La sopravvivenza del più adatto, 22 Volete invecchiare come Jim o come Frank?, 24 Un esercizio di costruzione stradale, 32 È tempo di fare la nostra rentrée, 37 Idee, 39 44 Sopravvivenza Regola 2: anche il cervello umano si è evoluto Una caratteristica pratica, 47 Nuove regole per sopravvivere, 49 Improvvisando su un riff, 51 In piedi, 53 Un po' di familiarità con il nostro cervello, 55 Mi gratti la schiena..., 59 Sentirsi compresi, 61 64 Connessioni Regola 3: ogni cervello ha una rete di connessioni diversa Uova all'occhio di bue e mirtilli, 65 Avanti e indietro a nuoto, 68 Un cambiamento radicale, 70 Ancora da assemblare, 73 Il neurone Jennifer Aniston, 75 Nella strada in cui abitate, 77 Una mappa del cervello, 80 Idee, 82 87 Attenzione Regola 4: le cose noiose non catturano l'attenzione Posso avere la vostra attenzione, per cortesia?, 89 Allarme rosso, 93 Idee, 106 112 Memoria a breve termine Regola 5: ripetere per ricordare Primi squarci di luce nella memoria, 114 Dove vanno i ricordi, 117 A fette e a dadini, 120 Cambio automatico o manuale?, 122 Svelare la chiave del codice, 127 Idee, 132 138 Memoria a lungo termine Regola 6: ricordare per ripetere Il consolidamento, 140 Il richiamo, 143 Attenzione al vuoto, 144 La ripetizione, 146 Memorie in movimento, 156 Dimenticare, 160 Idee, 162 167 Sonno Regola 7: dormire bene per pensare bene E questo lo chiamate riposo?, 168 Allodola o gufo?, 173 Sonnellini presidenziali, 175 Dormiamoci sopra, 178 Sonno perso, cervello esaurito, 179 Idee, 184 188 Stress Regola 8: un cervello stressato non impara come dovrebbe Terrore e trastullo, 190 Inondazione del sistema, 192 Dal raffreddore alla smemoratezza, 194 L'eroe e il cattivo, 197 Un respingente genetico, 199 L'ago della bilancia, 200 Stress in casa, 202 Stress al lavoro, 205 Pronto intervento matrimoniale, 209 Idee, 212 218 Integrazione sensoriale Regola 9: vanno stimolati più sensi contemporaneamente La febbre del sabato sera, 219 Come i sensi si integrano, 221 Dal basso in alto, dall'alto in basso, 223 Lavoro di squadra per sopravvivere, 226 Il nesso con l'apprendimento, 228 Il fiuto della memoria, 232 Idee, 236 242 Vista Regola 10: la vista batte tutti gli altri sensi Un'orda hollywoodiana, 243 Flussi di coscienza, 245 Cammelli e piedipiatti, 248 Il fantasma della lente, 252 Vale mille parole, 253 Un pugno sul naso, 255 Idee, 257 262 Genere Regola 11: il cervello maschile è diverso dal cervello femminile Il fattore X, 263 Più grosso è meglio?, 266 La battaglia dei sessi, 268 Prime tracce, 269 Natura o cultura?, 277 Idee, 277 282 Esplorazione Regola 12: siamo formidabili esploratori naturali Rompiamo tutto, 283 Il test della lingua, 285 Ora verifico anche te, 288 La scimmia vede, la scimmia fa, 289 Un viaggio lungo una vita, 290 Dai dinosauri all'ateismo, 292 Idee, 295 Il senso di meraviglia, 299 303 Indice analitico |
| << | < | > | >> |Pagina 13IntroduzioneProvate a moltiplicare il numero 8388628 per 2, a mente. Ce la fate nel giro di qualche istante? C'è un giovane uomo che riesce a raddoppiare quel numero per ben 24 volte in pochissimi secondi, e sempre fornendo il risultato giusto. C'è un ragazzo che è in grado di dire quale sia l'ora esatta in qualunque momento, anche mentre dorme. C'è una ragazza che può determinare con precisione le dimensioni di un oggetto situato a 6 metri di distanza da lei. C'è una bambina che, all'età di sei anni, faceva dei quadri così realistici e intensi che una galleria della Madison Avenue le dedicò una personale. Eppure, a nessuno di questi giovani è stato possibile insegnare ad allacciarsi le scarpe. E, del resto, nessuno di loro ha un quoziente intellettivo superiore a 50. Il cervello è davvero qualcosa di stupefacente. Forse il vostro non sarà particolare come quello di questi ragazzi, ma non è certo menò straordinario. Senza dubbio il più sofisticato sistema di trasferimento di informazioni che esista sulla terra, il vostro cervello è pienamente in grado di assimilare i piccoli segni neri presenti sul pezzo di legno sbiancato che avete sotto gli occhi, e trarre da essi un significato. Per il compimento di questo miracolo, il vostro cervello invia una miriade di scariche elettriche attraverso centinaia di chilometri di fili conduttori costituiti da cellule nervose così minuscole che migliaia di esse potrebbero stare nel punto che chiude questa frase. E tutto questo richiede un tempo minore di un battito di ciglia. In realtà, lo avete appena fatto. Per giunta, c'è un'altra cosa altrettanto incredibile, data la relazione alquanto intima che abbiamo con il nostro cervello: la maggior parte di noi non ha la più pallida idea di come funzioni. Questo fatto produce conseguenze a dir poco bizzarre. Cerchiamo di parlare al cellulare e nello stesso tempo guidare, anche se è letteralmente impossibile per il nostro cervello svolgere più compiti quando si tratta di impegnare l'attenzione. Abbiamo creato ambienti di lavoro d'ufficio molto stressanti, anche se un cervello stressato è notevolmente meno produttivo. Le nostre scuole sono concepite in modo tale che la maggior parte dell'effettivo apprendimento debba avvenire a casa. Tutto ciò sarebbe comico se non fosse così dannoso. La responsabilità sta nel fatto che raramente gli scienziati che studiano il cervello dialogano con insegnanti e professionisti del mondo del lavoro, con educatori e ragionieri, con provveditori agli studi e amministratori delegati di aziende. A meno che non abbiate il «Journal of Neuroscience» sul tavolino, siete tagliati fuori dal giro.
L'intento di questo libro è di portarvi dentro.
Dodici regole del cervello Il mio obiettivo è quello di presentare ai lettori dodici aspetti relativi al funzionamento del cervello. Le chiamerò «regole», e di ciascuna illustrerò il contenuto scientifico, proponendo poi alcune idee per cercare di capire in che modo la regola in questione possa applicarsi al vivere quotidiano, in particolare sul lavoro e a scuola. Il cervello è complesso, quindi estrarrò da ogni argomento soltanto schegge di informazioni: sarà dunque una spiegazione non esaustiva, ma, mi auguro, accessibile. Il sito www.brainrules.net costituisce parte integrante del progetto. Potete passare da un capitolo del libro alle illustrazioni e alle informazioni bibliografiche on line. Ecco un esempio di ciò che troverete: - Inizialmente, noi non eravamo avvezzi a stare seduti a tavolino per otto ore al giorno. Da un punto di vista evoluzionistico, il nostro cervello si è sviluppato con l'allenamento fisico, camminando anche per 20 chilometri al giorno. Il cervello ha ancora un forte desiderio di quel genere di esperienza, specialmente in popolazioni sedentarie come la nostra. È questa la ragione per cui, in popolazioni di questo tipo, l'esercizio fisico potenzia le risorse del cervello (Regola 1). Chi pratica d'abitudine l'esercizio fisico ottiene prestazioni migliori, rispetto a un sedentario, nella memoria a lungo termine, nel ragionamento, nell'attenzione e nei compiti connessi alla risoluzione di problemi. Sono convinto che integrare l'esercizio fisico nelle nostre otto ore di lavoro o di studio sarebbe nient'altro che normale. - Come senza dubbio avrete notato se vi è capitato di assistere a una classica presentazione con PowerPoint, la gente non presta attenzione alle cose noiose (Regola 4). Chi parla ha a disposizione qualche secondo per afferrare l'attenzione del pubblico, e soltanto 10 minuti per tenerla viva. A 9 minuti e 59 secondi, occorre fare qualcosa per riguadagnare l'attenzione e far ripartire le lancette per altri 10 minuti: qualcosa di pertinente anche sul fronte emozionale. Inoltre, il cervello ha bisogno di pause. È questa la ragione per cui nel libro farò ricorso ad aneddoti e racconti per chiarire molti dei punti che affronto. - Vi siete mai sentiti stanchi verso le tre del pomeriggio? È perché il vostro cervello desidera davvero un po' di sonno. Se lo assecondaste, potreste essere più produttivi: in uno studio, si è verificato che un sonnellino di 26 minuti migliorava del 34 per cento le prestazioni di alcuni piloti della NASA. E anche un adeguato riposo notturno condiziona l'agilità mentale del giorno dopo: dormire bene per pensare bene (Regola 7). - Faremo la conoscenza di un uomo che può leggere due pagine contemporaneamente, una con ciascun occhio, e ricordare per sempre tutto ciò che sta scritto su entrambe. La maggior parte di noi, naturalmente, dimentica più di quanto ricordi, ed è questo il motivo per cui se vogliamo ricordare dobbiamo ripetere (Regola 5). Quando vi saranno chiare le regole del cervello rispetto alla memoria, capirete perché intendo demolire la nozione di compiti a casa.
- Scopriremo perché i «terribili due» (quel ben noto periodo dello
sviluppo infantile, a cavallo dei due anni) solo
in apparenza sono una forma attiva di ribellione, mentre in
realtà rappresentano l'impellente urgenza del bambino di
esplorare. I bambini potranno non avere una conoscenza
estesa del mondo, ma sanno moltissimo sul modo in cui ottenerla. Siamo
esploratori naturali mossi da una forte spinta (Regola 12), ed è questa una
caratteristica che non ci abbandona mai, malgrado gli ambienti artificiali che
ci siamo costruiti.
Non ci sono ricette Le idee che concludono i capitoli del libro non sono ricette, bensì un invito a compiere ricerche sul campo. La ragione scaturisce dal mio mestiere. Il mio ambito di specializzazione è la ricerca sulle basi molecolari dei disordini psichiatrici, ma il mio vero interesse è cercare di capire l'affascinante distanza fra un gene e un comportamento. Per gran parte della mia vita professionale sono stato un consulente privato, un lavoratore in affitto per progetti di ricerca che necessitavano di un biologo molecolare e dello sviluppo con questo tipo di specializzazione. Ho avuto il privilegio di osservare innumerevoli sforzi di ricerca che implicavano cromosomi e funzioni mentali. In questi percorsi, mi sono di tanto in tanto imbattuto in articoli e libri che facevano roboanti affermazioni, basate su «recenti avanzamenti» delle neuroscienze, su come cambiare le modalità di insegnamento o il modo di agire in ambito professionale. E venivo preso dal panico, domandandomi se quegli autori si stessero riferendo a qualche area della letteratura scientifica totalmente fuori dal mio schermo radar. Io parlo parecchi idiomi della scienza del cervello, eppure non sapevo nulla di questi universi che si dichiaravano capaci di dettare le regole migliori per l'educazione e per il lavoro. In verità, se mai riuscissimo a capire del tutto il modo in cui un cervello umano sa come afferrare un bicchier d'acqua, già sarebbe un risultato della massima portata.
Non era il caso di farsi prendere dal panico. Possiamo tranquillamente
abituarci a guardare con occhio scettico qualunque asserzione proveniente
dall'ambito della ricerca neuroscientifica che pretenda di dirci senza mezzi
termini come diventare insegnanti, genitori, imprenditori o studenti migliori.
Questo libro è un'esortazione alla ricerca proprio perché non ne sappiamo
abbastanza per prescrivere ricette. È un tentativo di vaccinazione contro
mitologie quali il cosiddetto «effetto Mozart», le personalità da cervello
sinistro/cervello destro, o l'idea di fare entrare i vostri figli alla Harvard
University facendo loro ascoltare dei nastri con lingue straniere mentre sono
ancora nell'utero.
Ritorno alla giungla Ciò che sappiamo sul cervello proviene dai biologi che studiano i tessuti cerebrali, dagli psicologi sperimentali che studiano i comportamenti, dai neuroscienziati cognitivi che studiano in che modo i primi si correlano ai secondi e dai biologi evoluzionisti. Malgrado siano poche, per quanto preziose, le cose che conosciamo sul funzionamento cerebrale, la nostra storia evolutiva ci dice questo: il cervello sembra essere progettato per risolvere problemi connessi alla sopravvivenza in un ambiente esterno instabile, e per farlo in pressoché costante movimento. Chiamo tutto ciò «involucro della performance» del cervello. Ogni argomento di questo libro - esercizio fisico, sopravvivenza, collegamenti neurali, attenzione, memoria, sonno, stress, significato, vista, genere ed esplorazione - è legato a questo involucro della performance. Il movimento di quelle ere ancestrali si traduce nella pratica dell'esercizio fisico. L'instabilità ambientale ha portato all'estrema flessibilità dei collegamenti all'interno del nostro cervello, consentendoci di risolvere problemi attraverso l'esplorazione. Apprendere dai nostri errori, così da poter sopravvivere nei grandi spazi aperti, ha significato prestare attenzione a determinate cose a spese di altre, e creare dei serbatoi di memoria in un modo molto specifico. Anche se da decenni lo teniamo rinchiuso in aule e uffici a cubicoli, in realtà il nostro cervello si era organizzato per sopravvivere in giungle e praterie. Ed è un aspetto di cui non ci siamo liberati. Sono un tipo garbato, ma divento scontrosamente meticoloso come scienziato. Per comparire in questo libro, gli studi che cito hanno dovuto passare quello che qualcuno presso la Boeing Company (dove ho lavorato come consulente) chiama «il fattore di scontrosità di Medina», MGF [Medina grump factor]. Ciò significa che le ricerche a supporto di tutti i miei temi di discussione hanno prima dovuto essere pubblicate in una rivista scientifica dopo aver superato una revisione effettuata da specialisti del settore [peer-reviewed], e successivamente replicate. Molti degli studi sono stati ripetuti decine di volte (per appesantire il meno possibile la lettura, i riferimenti bibliografici estesi non sono stati inseriti nel libro, ma sono consultabili nel sito www.brainrules.net). Che cosa dimostrano questi studi, considerati nel loro insieme? Principalmente questo: se si volesse creare un ambiente educativo direttamente antitetico alle attitudini del cervello, probabilmente si progetterebbe qualcosa di simile a un'aula scolastica. Se si volesse creare un ambiente lavorativo direttamente antitetico alle attitudini del cervello, probabilmente si progetterebbe qualcosa di simile a un ufficio a cubicoli separati. E se l'intenzione fosse quella di cambiare le cose, si dovrebbe fare tabula rasa di entrambi e ricominciare tutto da capo. Per molti versi, è proprio del ricominciare da capo che tratta questo libro. | << | < | > | >> |Pagina 63Sintesi - Nella nostra testa non c'è un solo cervello, ma tre. Siamo partiti dal «cervello rettiliano» per poter respirare, poi ne abbiamo aggiunto uno simile a quello dei gatti, e per finire abbiamo ricoperto questi primi due con il sottile strato di gelatina che prende il nome di «corteccia»: il terzo, e potente, cervello «umano». - Siamo riusciti a dominare il pianeta adattandoci al cambiamento come dato di fatto, dopo che siamo stati costretti a scendere dagli alberi per vivere nelle savane, dove i bruschi mutamenti climatici dissestavano le nostre fonti alimentari. - Il passaggio dalle quattro alle due gambe per percorrere la savana ha liberato energia confluita nello sviluppo di un cervello più complesso. - Il ragionamento simbolico è una dote esclusivamente umana. Può essere sorto dal nostro bisogno di comprendere reciprocamente intenzioni e motivazioni, consentendoci di collaborare all'interno di un gruppo. | << | < | > | >> |Pagina 111Sintesi – I «punti-luce» dell'attenzione che ci sono nel cervello possono focalizzare soltanto una cosa alla volta: svolgere più compiti simultaneamente non va bene. – Riusciamo meglio a riconoscere uno schema e ad astrarne il significato che non a registrarne i singoli dettagli. – Un coinvolgimento emotivo aiuta il cervello nell'apprendimento. – Le persone che ascoltano una lezione o un intervento di altro genere staccano la spina dopo 10 minuti, ma si può ridestare la loro attenzione raccontando degli aneddoti pertinenti o creando eventi ricchi di emozione. | << | < | > | >> |Pagina 120A fette e a dadiniI ricercatori hanno mostrato che il ciclo vitale della memoria dichiarativa può essere suddiviso in quattro fasi sequenziali: codificazione, immagazzinamento, richiamo e dimenticanza. La codificazione descrive ciò che accade nel momento iniziale dell'apprendimento, quell'attimo fuggente in cui il cervello incontra per la prima volta un nuovo tassello di informazione dichiarativa. Implica anche un colossale inganno, nel quale il cervello svolge un ruolo attivo di cospiratore. Ecco un esempio di questa sovversione, proveniente ancora una volta dalle osservazioni cliniche del neurologo Oliver Sacks. Il caso riguarda Tom, un ragazzo autistico con capacità molto limitate che è diventato famoso per essere in grado di «produrre» musica (benché di fare poco altro). Tom non ha mai ricevuto alcuna formazione musicale, ma ha imparato a suonare il pianoforte semplicemente ascoltando altre persone farlo. La cosa stupefacente è che riusciva a suonare brani complessi con le competenze e la maestria di professionisti affermati, e questo già al primo tentativo e dopo un solo ascolto. Infatti è stato osservato mentre suonava la canzone Fisher's Horn Pipe con la mano sinistra e, simultaneamente, Yankee Doodle Dandy con la destra e inoltre, sempre simultaneamente, cantava Dixie! Può anche suonare il pianoforte da dietro, vale a dire con la schiena rivolta alla tastiera e a mani invertite. Non male per un ragazzo che non riesce nemmeno ad allacciarsi le scarpe. Quando sentiamo parlare di persone così, in genere proviamo un po' di invidia. Tom assorbe la musica come se potesse premere il tasto «on» di un registratore neurale contenuto in qualche punto della sua testa. Pensiamo di avercelo anche noi, un registratore del genere, solo che il nostro è un modello molto più scadente. È un'impressione comune. In tanti credono che il cervello assomigli molto a un registratore, in cui per apprendere basta schiacciare il tasto «record» (e per ricordare il tasto «play»). Ma non è affatto così. La realtà del cervello - che sia di Tom o di chiunque altro - è quanto di più lontano possa esserci da un'idea del genere. Il momento dell'apprendimento, della codificazione, è così misterioso e complesso che non abbiamo metafore per descrivere ciò che accade nel nostro cervello in questi primi attimi fuggevoli. Il poco che sappiamo fa pensare più a un frullatore che giri con il coperchio aperto. Quando entra nel cervello, l'informazione viene letteralmente fatta a fette, divisa in tanti pezzi distinti e poi spruzzata in tutte le direzioni all'interno della mente. Detto in termini più formali, i segnali provenienti da diverse fonti sensoriali sono registrati in aree cerebrali separate. Nel momento del suo ingresso, l'informazione viene frammentata e ridistribuita. Se, ad esempio, state guardando un'immagine complessa, il vostro cervello immediatamente estrapola le linee diagonali disgiungendole dalle linee verticali e le immagazzina in aree separate. Lo stesso avviene per i colori. Se l'immagine è in movimento, anche questa caratteristica verrà estratta e depositata in un punto diverso rispetto a quello delle immagini statiche.
Questa separazione così violenta è anche così pervasiva da
verificarsi persino quando percepiamo informazioni che
sono di esclusiva produzione umana, come le varie parti del
linguaggio. Una donna che aveva subito un ictus in una specifica regione
cerebrale aveva perso la capacità di usare le vocali scritte. Se le si chiedeva
di scrivere una frase semplice come «Il tuo cane ha inseguito il gatto», il
risultato era:
A ciascuna lettera era riservato uno spazio, ma gli spazi delle vocali erano lasciati in bianco! Da ciò siamo in grado di sapere che vocali e consonanti non sono immagazzinate nello stesso punto del cervello. L'ictus della paziente aveva danneggiato dei circuiti connettivi di qualche tipo. Questo è esattamente l'opposto della strategia che impiega un video-registratore per memorizzare elementi. Ma se guardiamo più da vicino, l'effetto frullatore va ancora più in profondità. Anche se aveva perso la capacità di inserire le vocali nelle parole, la donna aveva perfettamente mantenuto la nozione del punto giusto in cui queste lettere dovevano essere inserite. Usando la stessa logica, appare dunque evidente che la posizione di una vocale sia immagazzinata in un'area diversa rispetto a quella della vocale in sé, vale a dire: il contenuto è immagazzinato separatamente dal suo contesto/contenitore. Incredibile, non è vero? Il mondo ci appare come una totalità unificata. Se il funzionamento cerebrale ci dice che invece così non è, in che modo riusciamo a mantenere traccia di ogni cosa? In che modo le caratteristiche che vengono registrate separatamente, ad esempio le vocali e le consonanti di questa stessa frase, possono riunirsi e produrre una percezione di continuità? È una domanda che assilla da anni i ricercatori, tanto che le è persino stato dato un nome: il «problema del legame», dall'idea che determinati frammenti di pensiero si leghino fra loro nel cervello per generare continuità. Non abbiamo idea del modo in cui il cervello ci dia, sistematicamente e spontaneamente, questa illusione di stabilità. Tuttavia qualche indizio ce l'abbiamo. Un'indagine approfondita dei momenti iniziali dell'apprendimento, la fase della codificazione, ha fornito qualche chiarimento non solo sul problema del legame, ma su tutti i tipi di apprendimento umano. E di questi indizi che ora discuteremo. | << | < | > | >> |Pagina 124Test di codificazioneCi sono anche altri tipi di codificazione, tre dei quali possono essere illustrati con il breve test che segue. Esaminate la parola in stampatello accanto al numero, poi rispondete alla domanda sottostante. 1) FOOTBALL Questa parola può essere inserita nella frase: «Mi sono girato per affrontare _______»? 2) LIVELLO Questa parola fa rima con anello? 3) MINIMA
Ci sono dei cerchi in queste lettere?
Le risposte a ciascuna di queste domande richiedono competenze intellettive molto diverse: i ricercatori oggi sanno che esse sono alla base di differenti tipi di codificazione. La prima frase illustra quella che si chiama «codificazione semantica». Rispondere nel modo corretto implica prestare attenzione ai significati dei termini. La seconda frase illustra un processo definito «codificazione fonemica», che presuppone un confronto tra i suoni delle parole. La terza si chiama «codificazione strutturale», è quella di tipo più superficiale e richiede semplicemente un'ispezione visiva delle forme. Il tipo di codificazione che eseguiamo su una data informazione nel momento in cui ci entra in testa è strettamente connesso con la nostra capacità di ricordare quella stessa informazione in un momento successivo. | << | < | > | >> |Pagina 127Svelare la chiave del codice
Gli scienziati hanno scoperto che tutti i processi di codificazione,
nonostante il loro ampio raggio d'azione, possiedono caratteristiche comuni, tre
delle quali sembrano molto promettenti per applicazioni nel mondo reale, in
contesti sia scolastici sia lavorativi.
1. Più elaborato è il modo in cui codifichiamo l'informazione al momento dell'apprendimento, più forte è il ricordo
Quando la codificazione è elaborata e profonda, la memoria che va a
costituire è molto più robusta di quando la codificazione è parziale e
superficiale. Questo è dimostrabile con un esperimento che potete fare anche
subito con due gruppi di amici. Fate loro guardare attentamente per alcuni
minuti l'elenco di parole qui sotto.
Dite al gruppo 1 di determinare la quantità di lettere che contengono linee diagonali e la quantità di quelle che non ne contengono. Dite al gruppo 2 di pensare al significato di ciascuna parola e classificate, su una scala da 1 a 10, in che misura la parola è ritenuta piacevole o spiacevole. Togliete l'elenco, lasciate passare qualche minuto, e poi chiedete a ciascun gruppo di scrivere quante più parole ricorda. I risultati eclatanti che otterrete sono stati replicati infinite volte in laboratori di tutto il mondo. Il gruppo che elabora il significato delle parole ne ricorda sempre una quantità da due a tre volte superiore di quella del gruppo che ha solo osservato l'architettura delle singole lettere. Abbiamo fatto una versione di questo esperimento quando abbiamo discusso i livelli di codificazione e vi ho chiesto quanti cerchi vi fossero nelle parole... vi ricordate? Potete fare un esperimento simile usando delle immagini, o anche la musica. Indipendentemente da quale sia l'input sensoriale, i risultati sono sempre gli stessi. A questo punto state magari dicendo a voi stessi: «Beh, ma...». Non è ovvio che più significato ha una certa cosa, più memorabile diventa? Molti ricercatori vi risponderanno: «Ebbene, sì!». Proprio l'estrema naturalezza della tendenza sta a riprova del concetto. Cercare delle linee diagonali nella parola «mela» non è nemmeno lontanamente elaborato come ricordare la buonissima torta di mele della nonna, e dare alla torta, quindi alla parola, un bel 10 come punteggio. Ricordiamo le cose tanto meglio quanto più elaboratamente le codifichiamo nel momento in cui veniamo a contatto con loro, soprattutto se possiamo personalizzarle. Il trucco per i professionisti aziendali, e per gli insegnanti, è di presentare degli insiemi di informazioni così avvincenti da indurre coloro che ascoltano a fare tutto da soli, cioè a impegnarsi spontaneamente in una codificazione profonda ed elaborata.
È un po' bizzarro, se ci pensate. Di solito rendere più elaborato un
qualcosa significa renderlo più complicato, che per
un sistema mnemonico dovrebbe voler dire più gravoso. Invece è proprio così:
maggiore complessità equivale a maggiore apprendimento.
2. La traccia di memoria sembra essere immagazzinata nelle stesse parti del cervello che hanno recepito ed elaborato l'input iniziale Questa è un'idea così controintuitiva che per spiegarla ci potrebbe volere una leggenda metropolitana. Almeno, credo si tratti di una leggenda metropolitana, nata per bocca di un partecipante a un pranzo ufficiale di amministratori universitari, cui una volta presi parte, che tenne un discorso formale. Costui raccontò la storia del più furbo rettore di college che avesse mai conosciuto. Nei mesi estivi l'istituto aveva completamente rinnovato i propri spazi esterni, che così vantavano fontane e prati splendidamente curati. L'unico intervento ancora necessario era la costruzione di marciapiedi e vialetti per l'accesso degli studenti agli edifici. Ma per questi passaggi non era ancora pronto il progetto. Gli addetti ai lavori erano impazienti di costruirli e volevano sapere dove e come farli, ma l'astuto rettore si rifiutò di comunicarglielo. «Questi percorsi asfaltati saranno permanenti», disse un po' arcigno. «È meglio che li costruiate l'anno prossimo. Vi darò i progetti allora». Insoddisfatti ma accondiscendenti, gli addetti aspettarono. Iniziò l'anno scolastico, e per raggiungere le loro classi gli studenti erano costretti a camminare sull'erba. Molto presto iniziarono a comparire in tutto il campus dei sentieri definiti, accanto ad ampie isole di prato verde. Alla fine dell'anno, gli edifici erano collegati fra loro in maniera sorprendentemente efficiente da una rete di sentieri. «Ora», disse il rettore agli appaltatori che avevano atteso tutto l'anno, «potete installare i passaggi e i vialetti permanenti. Ma non avete bisogno di nessun progetto. Semplicemente costruiteli su quelli che vedete!». Il progetto iniziale, creato dall'input iniziale, era diventato il percorso permanente. Il cervello ha una strategia di immagazzinamento alquanto simile al progetto del sagace rettore. Le vie neurali inizialmente reclutate per elaborare una nuova informazione finiscono con il diventare le vie permanenti che il cervello riutilizza per depositare l'informazione stessa. Le nuove informazioni che entrano nel cervello possono essere paragonate a quegli studenti che hanno inizialmente creato i sentieri grezzi attraverso un prato intonso. L'area dell'immagazzinamento finale può essere paragonata al momento in cui quei sentieri sono stati asfaltati permanentemente. Sono gli stessi sentieri, e qui sta la questione.
Che cosa significa questo per il cervello? Che i neuroni
della corteccia rispondono attivamente nel caso di qualunque evento di
apprendimento, e sono profondamente implicati anche nell'immagazzinamento
mnemonico permanente.
Questo significa che il cervello non ha al suo centro una terra promessa dove
vanno a finire i ricordi allo scopo di essere poi richiamati. Al contrario, le
memorie sono distribuite su tutta la superficie della corteccia. All'inizio può
sembrare un'idea difficile da afferrare. A molti piacerebbe pensare
che il cervello funzioni come un computer, completo di rivelatori di input (come
la tastiera) connessi a un dispositivo centrale di immagazzinamento. Invece i
dati sperimentali fanno pensare che il cervello umano non abbia un hard disk
separato dai rivelatori degli input iniziali. Ciò non significa
che il deposito della,memoria sia sparso uniformemente per
tutto il paesaggio neurale del cervello. Molte regioni cerebrali sono implicate
nella rappresentazione di ciascun singolo input, e ogni regione apporta qualcosa
di diverso alla memoria nel suo complesso. L'immagazzinamento è un evento
basato sulla cooperazione.
3. Il richiamo può essere migliorato replicando le condizioni in cui è avvenuta la codificazione iniziale In uno dei più insoliti esperimenti mai eseguiti in psicologia cognitiva, si è confrontata la funzione cerebrale di persone che stavano su un terreno asciutto con indosso una muta da subacqueo con quella di persone galleggianti in circa tre metri d'acqua, sempre in tenuta subacquea. Entrambi i gruppi di sommozzatori hanno ascoltato quaranta parole in successione casuale, poi è stata testata la loro capacità di richiamare l'elenco dei vocaboli. I soggetti che avevano sentito le parole stando in acqua ottenevano un punteggio del 15 per cento superiore se veniva chiesto loro di richiamarle facendoli tornare in quegli stessi tre metri d'acqua anziché stare a riva. I soggetti che avevano sentito le parole sulla spiaggia ottenevano un punteggio del 15 per cento superiore se veniva chiesto loro di richiamarle facendoli stare a riva, sempre vestiti da subacquei, anziché nei tre metri d'acqua. Sembrava che la memoria funzionasse meglio se le condizioni ambientali in cui avveniva il richiamo replicavano le condizioni ambientali della codificazione. È possibile che la caratteristica del punto 2), secondo cui il cervello immagazzina gli eventi usando gli stessi neuroni inizialmente reclutati per codificarli, sia operativa anche in questa terza caratteristica? La tendenza è così marcata che si riscontra un miglioramento della memoria anche in condizioni in cui un apprendimento di qualunque genere dovrebbe risultare compromesso: al riguardo sono stati condotti esperimenti utilizzando la marijuana e persino il gas esilarante (protossido di azoto). Questa terza caratteristica risponde anche all'umore. Se impariamo qualcosa mentre siamo tristi, saremo capaci di ricordarlo meglio se, nel momento del richiamo, qualcosa ci farà tornare in quello stesso stato d'animo. Questa condizione viene chiamata «apprendimento contesto-dipendente o stato-dipendente». | << | < | > | >> |Pagina 137Sintesi - Il cervello ha molti tipi di sistemi mnemonici. Uno di questi agisce attraverso quattro fasi di elaborazione: codificazione, immagazzinamento, richiamo e dimenticanza. - Le informazioni che entrano nel cervello sono immediatamente suddivise in frammenti che vengono inviati a regioni differenti della corteccia per essere immagazzinati. - Molti degli eventi che presagiscono se qualcosa di appreso sarà anche ricordato avvengono nei primissimi secondi dell'apprendimento. Un ricordo sarà tanto più forte quanto più elaborata è la codificazione che ha luogo in questi momenti iniziali. - Potete migliorare le vostre chance di ricordare qualcosa se riproducete l'ambiente in cui quel qualcosa è entrato per la prima volta nel vostro cervello. | << | < | > | >> |Pagina 262Genere
Regola 11: il cervello maschile è diverso dal cervello femminile
L'uomo era un tipo in gamba. La donna una rompiscatole. I risultati dell'esperimento potrebbero riassumersi in queste due frasi. Tre ricercatori hanno creato un vicepresidente immaginario di una compagnia aeronautica. Ai quattro gruppi di soggetti partecipanti, costituiti ciascuno da un numero uguale di uomini e donne, è stato chiesto di valutare la performance lavorativa di questa persona fittizia. A ogni gruppo è stata fornita una breve descrizione del lavoro del vicepresidente, ma al primo gruppo è stato detto anche che il vicepresidente era un uomo. I soggetti dovevano giudicare sia la competenza sia la piacevolezza del candidato. Il primo gruppo ha espresso una valutazione molto lusinghiera, giudicando l'uomo «molto competente» e «piacevole». Al secondo gruppo fu detto che il vicepresidente era una donna. È stata giudicata «piacevole» ma «non molto competente». Tutti gli altri fattori erano uguali. Solo la percezione del genere era cambiata. Al terzo gruppo fu detto che il vicepresidente era un maschio stile superstar, un elemento dalle capacità straordinarie e lanciato in carriera. Al quarto gruppo fu detto che il vicepresidente era una femmina, anche lei stile superstar, anche lei sulla rampa di lancio verso i vertici aziendali. Come prima, il terzo gruppo ha giudicato l'uomo «molto competente» e «piacevole». Anche la donna è stata ritenuta «molto competente», ma non «piacevole», anzi, le descrizioni fornite dal gruppo comprendevano aggettivi come «ostile». Come dicevo, l'uomo era un tipo in gamba, la donna una rompiscatole.
Il punto è che i pregiudizi di genere ledono persone reali
in situazioni reali. Ora che stiamo per catapultarci nel controverso discorso su
cervello e genere, è di importanza più
che cruciale tenere bene a mente queste conseguenze sociali. C'è molta
confusione in merito al modo in cui uomini e
donne si relazionano gli uni con le altre, e ancora di più sul
perché. C'è confusione anche sui termini, con una zona di
incertezza al confine dei concetti di «sesso» e «genere».
Qui, «sesso» sarà per lo più riferito alla biologia e all'anatomia, «genere»
sarà per lo più riferito alle aspettative sociali. Il sesso è inscritto nei
mattoni del DNA, il genere no. Le differenze tra cervello maschile e femminile
iniziano in primo luogo dal modo in cui sono diventati tali.
Il fattore X Come diventiamo maschi o femmine? La strada per l'assegnazione sessuale comincia con tutto l'entusiasmo normalmente stimolato dal sesso. Durante un rapporto, quattrocento milioni di spermatozoi si tuffano a capofitto l'uno sull'altro nel tentativo di trovare un ovulo. Il compito non è poi così difficile. Nell'universo microscopico della fertilizzazione umana, l'ovulo ha le dimensioni della Morte Nera e gli spermatozoi quelle dei bombardieri X-wing. La X è una lettera che ben si presta all'impresa, essendo il nome di quel cromosoma estremamente importante contenuto nella metà degli spermatozoi e in tutti gli ovuli. Ricorderete i cromosomi dalle lezioni di biologia, quelle contorte stringhe di DNA compresse nel nucleo che contengono le informazioni necessarie per creare un essere umano. Allo scopo ne occorrono quarantasei, che potete immaginare come altrettanti volumi di un'enciclopedia. Ventitré provengono dalla madre e ventitré dal padre. Due sono cromosomi sessuali, di questi almeno uno dev'essere un cromosoma X, altrimenti non si sopravvive. Se vi ritrovate con due cromosomi X, andrete per tutta la vita nella toilette delle signore; se con uno X e uno Y in quella degli uomini. Questa assegnazione sessuale è controllata dal maschio, cosa che le mogli di Enrico VIII avrebbero voluto che lui sapesse. Fece condannare a morte una di loro perché non era stata capace di dargli un figlio maschio come erede al trono, ma avrebbe dovuto applicare la condanna a se stesso: il cromosoma Y può essere conferito solo dagli spermatozoi (gli ovuli non ne hanno), per cui è il maschio che determina il sesso. Le differenze di genere possono suddividersi in tre aree: genetiche, neuroanatomiche e comportamentali. Gli scienziati di solito dedicano un'intera carriera a indagarne soltanto una: ciascuna differenza è come un'isola a sé stante in un comune oceano di ricerca. Noi le visiteremo tutte e tre, a cominciare da una spiegazione molecolare del perché Enrico VIII deve ad Anna Bolena un mare di scuse. Uno dei fatti più interessanti in merito al cromosoma Y è che non ne occorre molto per fare un maschio. Per dare il calcio di inizio al programma dello sviluppo maschile ne basta un frammento situato nella zona centrale, che porta un gene chiamato SRY. Nella nostra visita guidata, sull'isola dei geni subito ci imbattiamo nello scienziato che vi regna, David C. Page, colui che ha isolato lo SRY. Anche se ha passato i cinquanta, Page sembra avere più o meno ventotto anni. Direttore dello Whitehead Institute (Cambridge, Massachusetts) e professore al MIT, è un uomo di considerevole intelletto, oltre che affascinante e piacevolmente ironico. Page è il primo terapista sessuale molecolare del mondo, o, meglio, intermediario sessuale. Ha scoperto che si può distruggere il gene SRY in un embrione maschile e ottenere una femmina, oppure aggiungere lo SRY a un embrione femminile e trasformarlo in un maschio (SR sta per sex reversal, «inversione sessuale»). Perché è possibile fare questo? Al riguardo, c'è un particolare che dispiacerà a tutti coloro che ritengono i maschi biologicamente «cablati» per dominare il pianeta: i ricercatori hanno scoperto che la condizione basilare di default dell'embrione dei mammiferi è impostata per farlo diventare femminile. Esiste un'enorme disuguaglianza fra i due cromosomi. Il cromosoma X fa il grosso del lavoro evoluzionistico, mentre il piccolo Y è andato disperdendo i geni che gli sono associati al tasso di circa 5 per ogni milione di anni, commettendo un suicidio al rallentatore. Ora è giunto ad avere meno di 100 geni, quando invece il cromosoma X ne porta circa 1500, tutti i partecipanti necessari al progetto di costruzione dell'embrione. E non stanno mostrando alcun segno di decadimento. Con solo un cromosoma X singolo, i maschi hanno bisogno di tutti i geni di X che riescono a ottenere. D'altro canto, le femmine ne hanno il doppio del necessario. Per farvi un'idea, immaginate la ricetta di un dolce che richieda solo un misurino di farina. Se decidete di mettercene due, il risultato sarà molto diverso e non dei migliori. L'embrione femminile, per risolvere il problema dei due X, usa quella che può considerarsi l'arma più antica nella battaglia dei sessi: semplicemente, ne ignora uno dei due. Questo trattamento di riduzione al silenzio è noto come inattivazione del cromosoma X. Su uno dei due cromosomi viene affisso l'equivalente molecolare di un avviso di «Non disturbare». Poiché vi sono due cromosomi X, della madre o del padre, tra cui scegliere quello in eccesso, i ricercatori hanno voluto scoprire su quale dei due venga di preferenza affisso il segnale. La risposta è stata totalmente imprevista. Non risultavano esservi preferenze. Alcune cellule, nell'embrione che si sta sviluppando per diventare una bambina, attaccano l'avviso intorno al cromosoma X materno, altre cellule del vicinato lo mettono intorno a quello paterno. Allo stato attuale della ricerca, non sembra esservi alcuna logica o ragione, ed è quindi considerato un evento casuale. Questo significa che le cellule dell'embrione femminile sono un complesso mosaico di geni X sia materni che paterni, sia attivi che inattivi. Poiché i maschi per sopravvivere richiedono tutti i 1500 geni X, e posseggono un solo cromosoma X, sarebbe stupido da parte loro affiggere degli avvisi di «Non disturbare», infatti non lo fanno mai. L'inattivazione del cromosoma X non ha luogo nei maschi. E poiché i maschi devono ottenere il loro cromosoma X dalla madre, tutti gli uomini sono letteralmente, per quanto concerne il loro cromosoma X, unisessuati. Una condizione molto diversa da quella delle loro sorelline, geneticamente assai più complesse. Sono queste le nostre prime scoperte su potenziali differenze di genere effettivamente basate sui geni. Oggi conosciamo le funzioni di molti dei 1500 geni che risiedono nel cromosoma X. E qui occorre prendere fiato. Molti di quei geni implicano funzioni cerebrali, molti governano il modo in cui pensiamo. Nel 2005 è stato completato il sequenziamento del genoma, e si è appurato che una percentuale decisamente alta di geni del cromosoma X codifica per proteine implicate nella costruzione del cervello. Alcuni di questi geni possono essere coinvolti nella costituzione di funzioni cognitive superiori, dalle competenze verbali ai comportamenti sociali a certi tipi di intelligenza. I ricercatori definiscono il cromosoma X un «punto caldo» cognitivo. Queste scoperte rappresentano una delle regioni più importanti dell'isola dei geni; non è l'unica, così come questa isola non è la più importante dell'oceano. | << | < | > | >> |Pagina 281Sintesi — Il cromosoma X — i maschi ne hanno uno e le femmine due (anche se uno dei due funge da copia di backup) — è un «punto caldo» cognitivo, poiché contiene una percentuale altissima di geni implicati nella costruzione del cervello. — Le donne sono geneticamente più complesse, perché i cromosomi X attivi nelle loro cellule sono una miscela di madre e padre. Invece i cromosomi X degli uomini provengono tutti per via materna, e i loro cromosomi Y contengono meno di 100 geni, in confronto ai circa 1500 del cromosoma X. — I cervelli di uomini e donne sono differenti sotto l'aspetto strutturale e biochimico (gli uomini hanno un'amigdala più grande e producono la serotonina più rapidamente, ad esempio), ma non sappiamo se queste differenze abbiano rilevanza.
— Uomini e donne rispondono in modo diverso allo stress
acuto: le donne attivano l'amigdala dell'emisfero sinistro e
ricordano i dettagli emozionali, gli uomini usano l'amigdala
destra e colgono l'essenziale.
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