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| << | < | > | >> |Pagina 7Il caldo vento africano sparge miele tiepido sulle giornate di maggio, le strade infuocano nel primo pomeriggio con fiammate di lamiere in corsa. L'estate ha colto di sorpresa la città rallentandone i ritmi, fronti imperlate di sudore slacciano camicette colorate.La mansarda è un forno e il ventilatore al centro della stanza lotta con l'afa respingendola in tutte le direzioni. Ritmicamente incendia la punta della sigaretta, che brilla protetta dall'ombra delle persiane. Scorro le pagine del giornale senza leggerle, aspiro lente boccate perdendomi nei pensieri, lambiti appena dai Pink Floyd. È passato solo un mese da quando ho iniziato a lavorare, ma il solito senso di nausea, come un serpente che si srotola lento, già inizia a salire dallo stomaco, diffondendo la sua insofferenza. Dixie, affondata nel suo pelo nero, poggia la lingua rossa sul pavimento e mi guarda supplichevole. Le sue passeggiate sono drasticamente diminuite di durata e intensità da quando l'ufficio grigio della banca mi risucchia quotidianamente ore ed energie. Non che il lavoro sia faticoso di per sé, ma richiede uno sforzo notevole stare intrappolato sette ore, circondato da occhiali, sorrisi superficiali, visi che hanno ormai assunto il colore pallido delle banconote e bocche spente che parlano anestetizzando l'anima. Sto vivendo questa nuova situazione in modo quasi inconsapevole, mi sembra che tutto ciò stia capitando a un altro. Ogni tanto una pacca sulle spalle, che vorrebbe essere amichevole, mi riporta alla realtà. Addirittura c'è chi si complimenta: «Finalmente ti sei sistemato, era ora!» | << | < | > | >> |Pagina 20Appena uscito dalla banca passo a casa di Silvia. Ad aprirmi è come sempre la madre, con sorriso pacioso e bacio paludoso. Eh sì, perché Silvia ha trent'anni ma vive ancora con i suoi. Naturalmente è in bagno che si sta cambiando. Si sente lo scrosciare del lavandino e l'aprirsi e il chiudersi della specchiera.La sua è la classica famiglia in stile Happy Days. Di solito evito di salire perché non amo molto le domande dirette del padre, ex poliziotto che non ha perso il vizio di interrogare, ma visto che la sono andata a prendere per scegliere le bomboniere - con tanto di stipendio in tasca - ho voglia di godermi il momento di gloria. Il padre, che sta leggendo il giornale sulla poltrona, abbassa il foglio in modo che si scoprano gli occhi. Il primo sguardo è severo, come sempre (dev'essere la forza dell'abitudine), poi forse si ricorda che ho iniziato a lavorare e che ho anche accettato di sposarmi e fa scomparire un po' imbarazzato quella prima istintiva espressione. Nell'altra stanza la madre mi chiede se voglio il caffè, dico di sì. Oggi il gerarca si sta sforzando di essere simpatico, addirittura inizia lui a parlare. Il sudore sulla fronte ne evidenzia lo sforzo. Mi accendo una sigaretta in modo provocatorio, so benissimo che detesta il fumo. Gli rispondo a monosillabi fissandolo negli occhi. Il sudore della sua fronte aumenta ma il tono rimane cordiale. Vado oltre: allungo i piedi sulla stessa sedia dove li ha allungati lui. So che questo lo manda in bestia ma voglio vedere fino a che punto il desiderio di normalità può ingabbiare la sua schiettezza. Lui smette di parlare. Ci fissiamo in cagnesco. «Il caffè è pronto. Stefano vieni a bertelo con me». La voce della madre blocca sul nascere quella che poteva essere una bella litigata. Mentre mi alzo, il gerarca apre la finestra e si ricompone la sedia sotto i piedi borbottando qualcosa di volutamente incomprensibile. Bevo il caffè intanto che la madre di Silvia mi allunga un catalogo di bomboniere (esistono anche i cataloghi di bomboniere! sigh). Sono tutte uguali, inutili soprammobili di forme variegate che renderebbero morte anche le case più vive. Fingo di interessarmi, anche se è un prezzo un po' alto per un caffè. Addirittura evidenzia con un colore rosso quelle che le piacciono di più. Mentalmente mi sto già alterando. Appena molli e ti fai vedere più razionale, o forse solo più normale, ne approfittano per rifilarti overdose di superficialità e di banalità. Signora mi capisca, devo ancora abituarmi a quello che sono diventato, fino a ieri sera bevevo birra da solo sulla spiaggia per non riempirmi la testa di queste stronzate, e oggi, appena sto un po' meglio, me ne vuol far fare un'indigestione! | << | < | > | >> |Pagina 37I pensieri si susseguono confusi come i passi. Mi sto avvicinando di giorno in giorno, come per inerzia, al bivio fatale. Pensavo che sarebbe stato diverso, che le emozioni avrebbero governato le mie scelte e l'entusiasmo avrebbe fatto da bussola. Non ho mai seguito segnali prestabiliti nelle mie tante curve, poi qualcosa si è inceppato, la velocità ha iniziato a calare e mi sono ritrovato imprigionato nell'ingorgo della vita. All'inizio ho cercato di sorpassare, suonavo disperato, urlavo dal finestrino, poi piano piano mi ci sono abituato. Ora seguo diligente la fila e i cartelli, e spesso sono felice, ma è una felicità diversa, senza lacrime e grosse emozioni, senza velocità: mi limito a seguire la macchina davanti a me e non mi chiedo dove stia andando. Gli autogrill dell'anima sono sempre più radi. E così passeggio da solo nel giardino dei sogni appassiti, un giorno forse riuscirò a farlo senza grossi rimpianti.| << | < | |