Autore Patrick Modiano
Titolo Ricordi dormienti
EdizioneEinaudi, Torino, 2018, Supercoralli , pag. 84, cop.rig.sov., dim. 14x22x1 cm , Isbn 978-88-06-23976-3
OriginaleSouvenirs dormants
EdizioneGallimard, Paris, 2017
TraduttoreEmanuelle Caillat
LettoreFlo Bertelli, 2019
Classe narrativa francese












 

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Pagina 3

Un giorno, sul lungosenna, il titolo di un libro ha attirato la mia attenzione: Il tempo degli incontri. Anche per me, in un lontano passato, c'è stato un tempo degli incontri: In quel periodo avevo spesso paura del vuoto. Una vertigine che non provavo quando ero solo, ma con certe persone che, appunto, avevo incontrato da poco. Per tranquillizzarmi pensavo: prima o poi riuscirò a piantarle in asso. Alcune di queste persone non sapevi fin dove ti potevano trascinare. La china era scivolosa.

Per prima cosa potrei evocare le domeniche sera. Mi mettevano angoscia, come a chiunque abbia vissuto i rientri in collegio, d'inverno, a fine pomeriggio, nell'ora in cui cala il buio. Momenti che in seguito ti tormentano nei sogni, a volte per tutta la vita. La domenica sera alcune persone si riunivano nell'appartamento di Martine Hayward, e io mi trovavo fra quella gente. Avevo vent'anni e mi sentivo un po' fuori posto. Mi coglieva di nuovo un senso di colpa, come se fossi stato ancora uno studente: invece di rientrare in collegio ero scappato.

Chissà se devo proprio parlare subito di Martine Hayward e dei pochi disparati individui che la circondavano in quelle sere? O è meglio seguire l'ordine cronologico? Non lo so piú.

Verso i quattordici anni mi ero abituato a camminare da solo per strada nei giorni di vacanza, dopo che la corriera della scuola ci aveva lasciati alla Porte d'Orléans. I miei genitori erano assenti, mio padre preso dai suoi affari, mentre mia madre recitava in un teatro di Pigalle. Ho scoperto quell'anno - 1959 - il quartiere di Pigalle di sabato sera, quando mia madre era in scena, e ci sono tornato spesso nei dieci anni successivi. Darò altri dettagli in proposito, se ne avrò il coraggio.

All'inizio avevo paura di camminare solo, e per tranquillizzarmi seguivo ogni volta lo stesso itinerario: rue Fontaine, place Bianche, place Pigalle, rue Frachot e rue Victor-Massé fino alla Boulangerie all'angolo con rue Pigalle, uno strano locale che rimaneva aperto tutta la notte, e dove compravo un croissant.

Lo stesso anno, lo stesso inverno, i sabati in cui non andavo a scuola facevo la posta davanti al palazzo di rue Spontini dove abitava una ragazza di cui non ricordo il nome, e che chiamerò «la figlia di Stioppa». Non la conoscevo, avevo saputo il suo indirizzo dallo stesso Stioppa, nel corso di una delle passeggiate in cui mi trascinavano lui e mio padre, la domenica, al Bois de Boulogne. Stioppa era un russo, amico di mio padre, e si vedevano spesso. Alto, con i capelli bruni e lucidi. Indossava un vecchio cappotto col bavero di pelliccia. Aveva subíto dei rovesci di fortuna. Lo riaccompagnavamo verso le sei di sera fino alla pensione familiare dove alloggiava. Mi aveva detto che sua figlia era mia coetanea e che avrei potuto frequentarla. A quanto pare non la vedeva più, dato che viveva con sua madre e il nuovo marito di lei.

I sabati pomeriggio di quell'inverno, prima di raggiungere mia madre nel suo camerino a Pigalle, mi appostavo davanti al palazzo di rue Spontini aspettando che si aprisse il portone di vetro con le inferriate nere e spuntasse una ragazza della mia età, «la figlia di Stioppa». Avevo la certezza che sarebbe stata sola, che mi sarebbe venuta incontro e che l'avrei avvicinata in modo naturale. Ma non è mai uscita dal palazzo.

Stioppa mi aveva dato il suo numero di telefono. Qualcuno ha risposto. Ho detto: - Vorrei parlare con la figlia di Stioppa -. Silenzio. Mi sono presentato come «il figlio di un amico di Stioppa». La sua voce era chiara e amichevole, come se ci conoscessimo da tanto tempo. - Richiamami la settimana prossima, - mi ha detto. - Cosí fissiamo un appuntamento. È complicato... Non abito da mio padre... Ti spiegherò tutto... - Ma durante la settimana successiva e le altre settimane di quell'inverno, gli squilli del telefono si sono susseguiti senza alcuna risposta. Di sabato, prima di prendere il metrò per Pigalle, ho di nuovo fatto due o tre volte la posta davanti al palazzo di rue Spontini. Invano. Avrei potuto suonare alla porta dell'appartamento ma, come per il telefono, ero certo che nessuno avrebbe risposto. E poi, da quella primavera, non ci sono state mai più passeggiate al Bois de Boulogne con Stioppa. Né con mio padre.

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Pagina 72

Avevo preso io la valigia che era piuttosto pesante, e di nuovo percorrevamo avenue du Nord. Era sollevata di avere lasciato la casa. Anch'io. Esistono luoghi con un aspetto ordinario che a prima vista non suscitano diffidenza, ma dopo pochi istanti trasmettono energia negativa. Ed ero sempre stato sensibile al cosiddetto «spirito del luogo». Tanto che al minimo dubbio mi allontanavo in fretta, come quel pomeriggio d'inverno nel caffè La Source, quando ero in compagnia del fratello di Geneviève Dalame e del suo amico con il viso da vecchio groom. Tra l'altro ho cercato di approfondire l'argomento stilando nei miei quaderni una lista di tutti i luoghi e gli indirizzi precisi dove avevo deciso di non attardarmi. Si tratta di un dono particolare, un sesto senso che hanno i cani da tartufo, per esempio, che ricorda anche alcuni apparecchi come i cercamine. Durante il corso degli anni mi sono accorto che in genere non mi sbagliavo riguardo a quei luoghi e indirizzi. Spesso, venti o trent'anni dopo scoprivo il motivo per cui aleggiava un'energia negativa, grazie a testimonianze casuali, confronti, vecchi fatti di cronaca e, a volte, soltanto poche parole nel mezzo di una conversazione sentita per caso in un caffè.

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