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| << | < | > | >> |Pagina VIIL 'etimologia è evidente: 'convivio' da cum vivere, vivere insieme. Nel modo più semplice e immediato la parola propone un'identità fra l'atto del mangiare e quello del vivere. E, veramente, poiché il cibo è la sostanza della vita, ciò che la rende materialmente possibile, esso si presta più e meglio di ogni altra cosa ad essere assunto come metafora dell'esistenza. I due livelli - il materiale e il metaforico - s'intrecciano in modo inestricabile. I due termini dell'equazione - il cibo e la vita - si confondono l'uno con l'altro. Le società che ci hanno preceduto hanno vissuto in modo sempre intenso, quando non angoscioso, il problema del reperimento del cibo: in modo più o meno esplicito gli sforzi comuni degli uomini, la loro volontà di organizzarsi collettivamente hanno avuto come obiettivo primario la sopravvivenza. Per questo il cibo si è caricato di tanti significati, ha assunto su di sé tutto lo spessore di cultura che la società era in grado di esprimere, riflettendone, come uno specchio, ogni aspetto ed ogni piega, palese o nascosta. Roland Barthes ha scritto una volta che l'assunzione da parte del cibo di significati, simboli, valori che trascendono la sua realtà nutritiva - la preminenza, in tanti casi, della «circostanza» in cui avviene il consumo sulla «sostanza» specifica dei cibo: vedi il caso del caffè inteso, in contrasto con le sue proprietà eccitanti, come momento di relax - è tanto più forte quanto più le società hanno superato il problema primordiale della fame e possono permettersi di instaurare con gli alimenti un rapporto meno viscerale, più (per cosi dire) intellettuale. | << | < | > | >> |Pagina XXIIIAnche parlare del piacere è un piacere, ed anche leggerne, come accade nei libri. Ben lo diceva Ateneo, il più grande erudito della letteratura gastronomica e conviviale dell'Antichità, quando all'inizio della sua monumentale opera sui «sofisti a banchetto» (Deipnosofisti), simulando di raccontare un pranzo del romano Larenzio e di riportare tutte le conversazioni sul cibo e la tavola che vi si erano svolte, paragonava il suo libro al convito e quasi lo identificava con esso, assicurando che «il sontuoso pranzo è come dipinto dalla disposizione del discorso, e l'ordine, la disposizione del libro è la stessa di quella del pranzo». Anche il nostro libro vorrebbe costituire un'occasione di piacere, proporre un'avventura - come sempre è leggere - stimolante e godibile. Il tema del convivio, attorno al quale ruotano i testi presentati nelle prossime pagine, è di quelli che per loro natura meglio si prestano allo scopo; ma è anche un'occasione per penetrare nel vivo delle culture che hanno scandito la storia dell'Occidente europeo dal primo millennio prima di Cristo alla fine del Medioevo: duemilacinquecento anni di storia, durante i quali molte cose sono cambiate, altre sono rimaste uguali. Dalla cultura greca alla romana, dal paganesimo classico a quello dei popoli del Nord, dall'eredità giudaica al messaggio cristiano, al Medioevo cortese, alla civiltà delle borghesie cittadine, all'umanesimo, molti modelli di vita e molti sistemi di valori - con ogni sorta di commistioni e di interferenze reciproche - si sono confrontati e scontrati. Ogni volta la tavola imbandita è stata al centro delle attenzioni, localizzando su di sé, e come catalizzando, lo spessore di civiltà che le ruotava intorno. Tutto un mondo di simboli, di messaggi, di idee si è concentrato nel luogo e nel momento del convivio. Fonti di ogni genere ci hanno lasciato testimonianza del modo ogni volta diverso in cui le singole società o i singoli individui hanno interpretato e vissuto questo momento centrale della loro vita; in questo libro si è dato spazio principalmente alla letteratura, ma non mancano frequenti incursioni in altri campi: tra i testi normativi, ad esempio, o nella trattatistica, e negli stessi documenti d'archivio. In ogni caso si sono colti soprattutto gli aspetti sociali e culturali della convivialità, senza indulgere più di tanto alle esigenze del palato in senso stretto.Il nostro viaggio, che prende le mosse da Omero per giungere alla letteratura umanistica del Quattrocento, si svolge nell'ambito geografico e culturale dell'Europa. Solo occasionalmente lo sguardo si spinge fino all'Asia o all'Africa, ma è sempre lo sguardo degli Europei - si tratti di Erodoto o dei viaggiatori e pellegrini del Medioevo - che osservano, valutano, confrontano con i loro usi e le loro tradizioni. Mancano, anche se il periodo considerato è lunghissimo, partizioni o cesure che sarebbero parse formali e forzate. Il solo criterio che si è ritenuto opportuno seguire nel determinare la successione dei testi è quello semplicemente cronologico, ciò che ha significato mescolare e avvicinare testi di natura diversissima, fornendo un'idea tangibile della varietà, appunto, delle prospettive culturali, che non si susseguono nel tempo l'una dopo l'altra, ma coesistono spesso affiancate: la persistenza di pratiche e valori pagani ben addentro il Medioevo «cristiano» ne è esempio fra i migliori. Il convivio, come la vita, è un'avventura, dove tutto può e deve succedere, perché l'esperienza sia gradevole e memorabile. Si racconta che re Artù non iniziava mai a mangiare se, prima, qualcuno non aveva giostrato davanti a lui, o inscenato una vicenda appassionante, o narrato storie meravigliose. Qualcosa di bello, di piacevole, di emozionante doveva accadere, o essere rivissuto nei gesti o nei racconti: ancora la forza delle parole. Solo a quel punto il banchetto - la vita - meritava considerazione.
E ora, il convivio può cominciare.
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