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| << | < | > | >> |Indice7 PREFAZIONE 9 INTRODUZIONE BOOK 13 Il MIO GARDEL 19 IL TANGO 25 LA NASCITA E GLI INIZI 31 ALLE RADICI DEL 'GAUCHO CANTOR' 35 IN VIAGGIO VERSO IL SUCCESSO 45 LA VOCE 49 LA GESTUALITÀ 55 IL CORPO, LA GINNASTICA 59 IL CIBO 61 IL DENARO 65 ARGENTINA OPULENTA... OH PARIS, PARIS! 69 L'ICONA DELL'ARGENTINO 71 IL GIORNO CHE... PIAZZOLLA 73 L'UOMO DIETRO AL MITO 75 MANAGER DI SE STESSO 77 LA RADIO 79 IL CINEMA 91 L'EVOLUZIONE 95 IL PIONIERE 99 MUORE IL CANTANTE, NASCE IL MITO 105 GARDEL SINATRA... LEGGENDA URBANA? 109 COINCIDENZA, NUMEROLOGIA O... PREMONIZIONE? 111 L'ARTE DI ESSERE GARDEL 115 PATRIMONIO DELL'UMANITÀ 117 REPORT 123 CRONOLOGIA 129 FONTI 131 CD |
| << | < | > | >> |Pagina 7PREFAZIONEA pieno titolo l'Autore si getta nella mischia letteraria del racconto biografico, pur essendo un musicista. Anzi, forse proprio per questo gli riesce l'impresa. Forse solo un musicista può davvero raccontarne un altro, cogliendone le note e le sfumature più vere e forse solo un argentino può parlare di un suo compatriota senza cadere nella retorica (anche se è proprio quel linguaggio universale che è la Musica ad abbattere quotidianamente le restrittive frontiere delle Nazioni). Carlos e Diego appartengono a due secoli differenti, attraversati tuttavia da un filo comune che connette i loro due diversi e volontari esili: il Tango. Non tanto come danza, ballo, ritmo, quanto piuttosto come intuizione di una Via, un 'tao', un'espressione creativa non sempre bene definita ma sempre in movimento fluido: 'eversivo' eppure così figlio della Tradizione, ribelle anche se spesso appannaggio borghese, anche culturalmente, comunque in ogni sua manifestazione gesto di libertà, segno di sfida e, soprattutto, atto d'amore... Proprio come questo dono rivolto a Carlos, dio-padre del tango, da Diego, suo generoso figlioccio e 'tanghizzo' (un po' tanghero, un po' scugnizzo!)... Che ogni giorno sia davvero migliore e ci canti il suo mistero, la sua gioia, la sua passione... E più di tango per tutti! Enzo Decoro | << | < | > | >> |Pagina 9INTRODUZIONEChe dire di Carlos Gardel? Tutta la sua opera è piena di misteri. Ma, paradossalmente, questi misteri non sono nati perché la sua vita da 'star' si svolgeva lontano dal contatto con la gente. Anzi, al contrario, l'artista Gardel era permanentemente in contatto con tutti, senza distinzione tra personalità della musica o del canto, tra gli amici o l'ambiente delle corse dei cavalli, tra i politici o i re, tra il mondo del teatro o del cinema, tra i professionisti come tra i dilettanti. Il suo essere uomo 'per bene', la sua sensibilità, la sua generosità, il suo rispettare il prossimo, ben consapevole che "c'è sempre qualcuno che non condivide la nostra idea", sono alcuni dei motivi per i quali Gardel ha riscosso enormi consensi non solo per la sua Arte, ma anche per lo stile di vita. Ne è un esempio rilevante il modo in cui lo chiamavano le persone che lo frequentavano, cioè: 'Don Carlos'. Quel 'Don' era riservato, all'epoca, a persone 'speciali', di grande esperienza e avanti con gli anni. E lui, ancora giovane, poté già fregiarsene. Fa sensazione sapere che, sia in vita sia dopo la sua morte, l'opera di Gardel è stata amata e continua ad esserlo in maniera così intensa. Il suo pubblico gli ha tributato grandi onori, di quelli solitamente riservati a chi entra nella storia. Senz'ombra di dubbio, 'Don Carlos' è stato il creatore del modo di cantare e di interpretare il Tango. Ed è curioso che tutti i cantanti di tango che, avendo un particolare timbro baritonale (caratteristica gardeliana), hanno tentato di emularlo – a volte anche molto bene – non abbiano riscosso grossi favori, né di critica né di pubblico. Questo mi fa credere che se si potesse donarlo, il clone non avrebbe la magia dell'originale e non sarebbe idolatrato e amato quanto il pubblico ama e idolatra il nostro unico 'Don Carlos Gardel'. Héctor Osvaldo Lemmi | << | < | > | >> |Pagina 19Il TANGOPrima di parlare della vita e dell'arte di Carlos Gardel, l'inventore del 'tango-canción', il 'tango-canzone', è importante inquadrare brevemente il periodo storico e il tessuto sociale in cui nasce un fenomeno culturale complesso – riguardando il ballo, la musica e la poesia – , che piace così tanto e da così tanto tempo. Anche se delinearne la storia risulta molto difficile. Sono molteplici, infatti, i dubbi e le polemiche sulle sue origini. La maggioranza degli studiosi conviene nel ritenere che il tango sia nato nella città di Buenos Aires alla fine dell'Ottocento. Secondo altri – per la gioia degli uruguaiani, che ne rivendicano la co-paternità – i suoi natali sarebbero da ricercarsi, invece, nel Rio de la Plata, il fiume al confine tra Buenos Aires e l'Uruguay. Risulta ancora meno facile, pertanto, individuarne una precisa data di nascita. Sembra, comunque, che il 1880 possa essere considerato, sia pure orientativamente, l'anno della svolta per quella che, fino ad allora, era solo una determinata maniera di ballare. L'ambiente sociale era quello in cui si ascoltavano e si ballavano 'habaneras', polche, mazurche e qualche valzer. Di tali danze era appassionata per lo più la popolazione bianca, mentre quella di colore (il 25% degli abitanti di Buenos Aires in quel periodo) ballava al ritmo del 'candombe', un ritmo di discendenza africana, che, rispetto a come si ballerà il tango, non prevedeva la coppia 'abbracciata' e seguiva soprattutto la ritmica incalzante dei tamburi. Musicalmente, il tango ha le medesime origini della 'habanera' cubano-spagnola: L'Havana (Cuba) e Buenos Aires (Argentina), due grandi porti, in cui la lingua spagnola è predominante, da sempre rappresentano luoghi di scambio culturale. In principio il tango veniva interpretato da piccoli gruppi di strumentisti che utilizzavano soprattutto violino, flauto e chitarra. A volte, però, in assenza di quest'ultima, si ricorreva ad uno strumento a fiato improvvisato con un pettine e una cartina di quelle impiegate per avvolgere le sigarette: il soffio dello strumentista marcava, quindi, il ritmo. Il 'bandoneón' – reso poi celebre da Anibal Troilo e Astor Piazzolla – , più che strumento oggi icona del tango, non vi fu utilizzato fino al 1900 circa, quando, a poco a poco, subentrò al flauto. Si pensa che, inizialmente, il tango fosse un modo d'interpretare melodie preesistenti, sulle quali crearne di nuove, da eseguire a prescindere dalla trascrizione musicale. Molto spesso, infatti, né gli autori né gli interpreti sapevano scrivere o leggere la musica. E ciò rappresentava un'allettante fonte di guadagno per quanti, conoscendo la scrittura musicale, ne approfittavano per appropriarsi di non pochi brani già popolarissimi, 'firmandoli' come autori (di non specchiata moralità, evidentemente). Anche riguardo all'etimologia del termine, in assenza di una specifica documentazione, le versioni sono molteplici. Alcuni sostengono che in Spagna fosse chiamato 'tango' un 'legno flamenco', altri che le origini del nome siano da ricercarsi in qualche espressione introdotta dagli schiavi di colore. Tra l'altro, questo termine appare anche nei documenti spagnoli risalenti al periodo dello sfruttamento delle colonie per indicare il posto dove gli schiavi di colore si riunivano per festeggiare le loro divinità. Un'ultima ipotesi, infine, è quella relativa alla trasformazione del termine 'tambor' (in spagnolo 'tamburo') in 'tambò' e, quindi, in 'tango' sempre da parte degli schiavi africani, i quali, non parlando bene lo spagnolo, sarebbero stati responsabili di questa storpiatura lessicale. Si può parlare, invece, con una certa sicurezza del 'palcoscenico naturale' sul quale si sviluppa il tango. Verso la fine dell'Ottocento, infatti, Buenos Aires è una città in continua espansione, con una crescita demografica in aumento costante a causa dell'onda migratoria proveniente dall'Europa. Italiani e spagnoli per lo più, oltre che tedeschi, ungheresi, arabi, ebrei, slavi, croati, quasi tutti uomini in cerca di quella fortuna che la propria terra ha loro tolto o negato, si ritrovavano insieme nel 'nuovo mondo', ma con scarse possibilità di comunicazione linguistica. La popolazione di Buenos Aires, composta per il 70% da abitanti di sesso maschile, si caratterizza, così, per un inevitabile scompenso. Le cifre parlano chiaro: nel 1870 l'Argentina ha due milioni di abitanti, venticinque anni dopo quattro milioni. La metà della popolazione si concentra a Buenos Aires, dove la percentuale di stranieri arriva ad essere del 50% senza contare i 'gauchos' e gli 'indios' provenienti dalle province interne del Paese. In questo melting pot, nei 'bassifondi' e in tutti i posti 'non raccomandabili' si comincia a ballare il nuovo ritmo, associato, inizialmente, all'ambiente delle 'case chiuse', poiché le uniche donne che frequentano quelle zone sono prostitute, o servono ai tavoli nei 'peringundines' e nelle 'academias'. In conseguenza di ciò, il tango s'inizia a ballare in modo assai 'corporale', provocante. Inizialmente malvisto dal resto della società, negli anni successivi questo 'baile' oltrepassa le barriere dei quartieri malfamati per approdare in città e, da lì, raggiungere il mondo intero. Nei primi anni, quando il tango si converte in canzone, le parole che accompagnano la melodia sono manifestamente oscene. I titoli lo dimostrano: Dos sin sacarla (Due senza toglierla), Con que tropieza que no dentra (Che succede che non entra), Siete pulgadas (Sette pollici) e... Choclo, letteralmente 'spiga di mais' ma, in realtà, un doppio senso per alludere all'apparato genitale femminile. Dai suoi umili natali fino all'incoronazione come 're dei balli' negli ambienti più raffinati, il tango percorre un cammino di andata e ritorno tra il Nuovo e il Vecchio Continente, con una fermata decisiva a Parigi, la 'capitale del XIX secolo'. Sul perché il tango arrivi a Parigi esistono diverse ipotesi. La faccenda è complessa e per chiarirla è necessario tornare in Argentina. La gioventù 'bene' di Buenos Aires, infatti, non ha problemi a scendere nei quartieri 'bassi' per divertirsi, ballare o incontrare donne di un certo tipo. Ovviamente, il tango è vietatissimo nelle loro case e tanto meno possono ballarlo le 'signorine' della loro classe sociale. Perciò, per anni, rimane un fenomeno marginale dei ceti inferiori. I 'rampolli' argentini, però, si recano spesso in Europa, contribuendo così ad esportare il 'baile' nel Vecchio Continente. Meta preferita dei loro viaggi è Parigi, all'avanguardia, all'epoca, sia per il 'glamour' e per la moda, sia per un atteggiamento all'insegna di un'apertura mentale allegra e senza pregiudizi. Stile di vita che si riscontra soprattutto nelle sale da ballo, come testimonia Louis Mercier, nel 1800 cronista della 'vita parigina': "Dopo il denaro, oggi è il 'ballo' ciò che ha più successo tra i parigini, non importa da dove arriva, amano il 'ballo', venerandolo [...] è un'ossessione alla quale non possono sottrarsi". L''ossessione' s'ingigantisce ai primi del Novecento, quando i locali più famosi sono il Bal Bullier a Montparnasse e il Moulin de la Galette. I parigini hanno una certa dimestichezza con i balli 'spinti', sia per i costumi 'disinvolti' delle donne, sia per le allusioni sessuali presenti nella loro cultura danzereccia. In siffatto contesto non è difficile l'ingresso del tango a Parigi, dove trova un terreno più che fertile: avvolto in un fascino tutto 'latino', inizialmente desta curiosità, poi diventa moda e finisce per fare furore. Da Parigi, centro chic d'Europa, al resto del Continente il passo è breve. È allora che Buenos Aires ritrova il proprio 'figlio cattivo', ormai diventato un'icona di glamour e moda grazie alla benedizione parigina. Lo scandaloso 'baile', quindi, viene riaccolto per fare di Baires la Parigi d'oltreoceano. La gloria non fa mancare qualche detrattore. Una parte della società si scaglia contro il tango, nell'eterna battaglia tra il nuovo e il vecchio, tra censura e apertura, tradizione e rinnovamento. Papa Pio X sconsiglia di ballarlo giudicandolo 'peccaminoso', il Kaiser lo proibisce ai propri ufficiali e certe riviste spagnole, inglesi e tedesche lo trovano 'indecoroso, grottesco e indecente'. Nessuna di queste reazioni, però, può mutare la sorte del tango. Il suo 'trionfo' è già realtà. La moda porta a 'vestiti da tango', 'color tango', 'tango-the'. Il tango diventa il 're dei balli' in un mondo che si avvia verso la Prima Guerra Mondiale e la nascita di una nuova superpotenza, gli Stati Uniti d'America. E, negli anni seguenti, non mancherà di vivere nuove esperienze. Come il 'tango-canción': tango cantato, composto da musica e poesia, grazie a Carlos Gardel, il massimo esponente di questo fenomeno. Successivamente, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, la supremazia degli Stati Uniti imporrà ovunque lo swing e, a seguire, il rock. Oggi il tango è di nuovo di moda. Nella terra di Gardel, a Buenos Aires, è rinato un certo fermento che fa pensare agli anni Quaranta. Un dato preciso ci dimostra l'attualità del genere: circa 200.000 persone, arrivate da tutto il mondo, nell'agosto del 2010 hanno assistito alla tredicesima edizione del Mundial y Festival de Tango che si svolge nella città di Buenos Aires. | << | < | > | >> |Pagina 25LA NASCITA E GLI INIZINon ci sono troppi dubbi sulle origini di Carlos Gardel. Tutte le prove segnalano come sua città natale Tolosa, la 'città rosa' (appellativo dovuto alla colorazione delle sue costruzioni in mattoni) a 700 chilometri da Parigi, culla dei trovatori e dei cantastorie che intonarono gesta d'amore e di eroi molto tempo prima della diffusione cartacea delle opere letterarie e musicali. E cosa fu Gardel se non un trovatore che cantava le preoccupazioni, i sogni e i desideri del suo popolo? Corre l'anno 1890 quando, all'ospedale Saínt Joseph de la Grave, nasce Charles Romuald Gardes: 'paternità sconosciuta', secondo l'atto di nascita. Pare che il nome di suo padre fosse Paul Laserre. Secondo Armando Defino, amico e amministratore di Gardel, anni dopo, quando questi era già famoso, tale Laserre si sarebbe presentato a Buenos Aíres offrendosi finalmente di riconoscerlo. Al rifiuto di Carlitos, l'uomo sarebbe rientrato in Europa, dove se ne sarebbe persa ogni traccia. Ma torniamo ai primi anni. Poco dopo la nascita di Carlos, la mamma, Berthe Gardes, emigra in Argentina anche a causa della sua difficile condizione di 'ragazza madre' in quel di Tolosa. Ad ogni modo, la scelta di partire per Buenos Aires non è casuale, visto che, dopo New York, la capitale argentina, all'epoca, conta il maggior numero di abitanti con nazionalità francese. Ci sarebbe, per amor di verità, un'altra tesi — sia pure assai poco accreditata — sulla nascita di Gardel, che lo vedrebbe venire al mondo a Tacuarembó, in Uruguay. Tolosa sostiene, comunque, con orgoglio la certezza di aver dato i natali al cantante. Nella Biblioteca Municipale sono tantissimi i libri sul tango e su Gardel, mentre in Municipio si può trovare l'atto di nascita di Charles Romuald Gardes. A Buenos Aires il bambino, il 2 aprile 1901, entra al Collegio Pio IX, retto dai Padri Salesiani, col nome dì Carlos Gardes (nei registri, tuttavia, non c'è traccia né della sua età né del suo Paese d'origine). Nel 1902 il suo nome entra a far parte di un gruppo d'alunni considerati molto promettenti. Più tardi, Gardel avrà a dire: "Sono nato a Buenos Aires, avevo due anni e mezzo"; un'affermazione ingegnosa, con la quale evita di dare ulteriori precisazioni. Non a caso, però, 'el francesito' è uno dei suoi tanti soprannomi. | << | < | > | >> |Pagina 45LA VOCECircola una battuta divertente sul perché Gardel cada día canta mejor, ossia "canta meglio ogni giorno": i suoi dischi 'provano tutti i giorni'... Come a dire che, fatti suonare a ripetizione, in giro per il mondo, finiscono per migliorarne le qualità vocali. In realtà, Gardel ha un rapporto quasi maniacale con la gola e le corde vocali. E, nonostante una vita mondana frenetica, riesce a salvaguardare una voce eccezionale. Gardel registra con le più importanti orchestre dell'epoca, regalando performance strepitose. I suoi chitarristi, con cui realizza il maggior numero di registrazioni discografiche, in particolare, si trovano a far da comprimari ad una personalità artistica forte e spiccata. E devono far sì che l'attenzione resti concentrata sulla bellezza dell'interprete. La sicurezza vocale ostentata da Gardel lo porta a sperimentare cose nuove e mai osate, come recitare, fischiare o emettere suoni inarticolati. Il pubblico europeo gradisce moltissimo questo genere di 'trasgressione', riconoscendogli una grande originalità musicale. In un brano dell'intervista rilasciata al giornale "El País" nell'agosto del 1928, Gardel spiega le ragioni per le quali integra il recitato al cantato. Il suo buon gusto e la sua sensibilità ne vengono fuori in modo evidente: – Perché mischia il recitato nelle canzoni? – È semplice, non che abbia cambiato il mio stile, quello continua ad essere lo stesso. Ma è importante capire che esistono canzoni che obbligano l'autore a ricorrere al recitato, e non perché vengano meno le qualità vocali. No! Ad esempio io lo faccio per trasmettere l'emozione al pubblico, per fargli assaggiare tutto il 'sapore' – diciamo così – della canzone 'rioplatense' [dal nome del Rio de la Plata, fiume tra Baires e Uruguay, N.d.A.]. È necessario prima di tutto interpretare lo spirito che l'autore ha voluto raccontare nelle sue parole. La musica certamente bisogna rispettarla, questo è sicuro, però prima secondo me ci sono le parole che devono essere interpretate con lo spirito giusto. – Un esempio? – Il tango Chorra ['ladra' in gergo lunfardo, N.d.A.], è qualcosa come una narrazione che non deve essere cantata solamente. Se leggete il testo l'autore ci parla di un 'soggetto' ingenuo, senza esperienza, vittima di una donna 'sagace'. E quindi cantando unicamente, non si può far capire al pubblico com'è questo uomo, è fondamentale farlo vedere più umano, reale ed in questo senso ce la metto tutta per far bene e allo stesso momento entrare nei panni dell'autore e di quello che ci ha voluto raccontare. – Lei crede che nel tango ci sia spazio per il recitato, dunque? – A mio giudizio non ci sono incompatibilità. In certi tanghi la dizione s'impone, lasciando per un momento da parte il canto e credo che il risultato sia eccellente! Al di là dell'aneddotica, che pure l'accompagnerà per tutta la vita, Gardel possiede un'eccezionale emissione vocale. Una laringe ampia ospita corde vocali lunghe e forti, che conferiscono alla sua voce quel timbro baritonale tanto particolare quanto bello. La sua voce, inoltre, è impostata, ma suona naturale e cristallina. Vederlo cantare è interessante: si ha la sensazione che quella favolosa portata vocale provenga da tutto il suo corpo, eppure è sempre rilassato e lascia che le parole si formino sulle labbra. Sembra quasi che la voce non esca da lui ma, come giunta da un altro luogo, si serva del suo corpo, 'trafiggendo dolcemente' ad ogni esecuzione. Senza paura d'esagerare potremmo dire che Carlos Gardel, all'avanguardia per il suo tempo, inventa una nuova tecnica vocale. In effetti, è sicuramente il più sperimentatore tra i suoi contemporanei. Nella sua voce si condensano un amore particolare per gli spettacoli di zarzuela (l'operetta spagnola) e d'opera. Ma anche le canzoni napoletane arricchiscono il suo bagaglio; senza dimenticare l'arte più intima dei payadores, cantastorie e improvvisatori argentini che suonavano prima dell'avvento del tango. Sicuramente Gardel da giovane, dietro le quinte dei teatri di Buenos Aires, sognava di diventare come Emilio Sagi Barba o il sommo Enrico Caruso (col quale, anni dopo, avrà un incontro in Brasile). Sono senz'altro le canzoni napoletane – che si ascoltano costantemente nel quartiere di Abasto – a offrirgli la possibilità di gettare un ponte tra la lirica e la musica popolare, tra un'eccellente padronanza tecnica e la vocazione al racconto più intimo. Un ponte che permette alla sua espressività d'indirizzarsi verso lo stile 'cameristico', di cui, nella canzone Golondrinas, dà un pregevole saggio nei tenui cambi di dinamica con i quali descrive magistralmente l'irrimediabile partenza delle rondini di un'estate perduta. | << | < | |